Erano bellezze
selvagge in
pantaloni, oppure annoiate
prostitute che
si imbarcavano per guadagnare
un po di ducati durante le lunghe
navigazioni
negli oceani?
|
|
Di loro ricordiamo i corpi tozzi e i visi tondi, le pose sgherre
accanto ai loro uomini; avevano lo schioppo in pugno e lo sguardo
atteggiato ad uninesistente ferocia: erano pur sempre delle
donne, e spesso madri, e soltanto per amore erano finite alla macchia,
a condividere i rischi che i loro amanti facevano correre spesso
a centinaia (in alcuni casi a migliaia) di fuorbanditi che infestavano
il Sud, dagli Abruzzi alla Calabria, ovunque monti e macchie e paludi
offrissero rifugi sicuri e rapidi scampi.
Vogliamo dire delle brigantesse che presero parte a quella sorta
di rivoluzione sociale post-unitaria, filoborbonica, ma soprattutto
anti-sabauda, che tinse di rosso tante contrade meridionali. Altere,
sicuramente, e fedeli fino al sacrificio supremo. Il che non assicurò
loro alcun segno di pietà da parte di chi combatteva il brigantaggio:
ne sono testimonianza orrenda le foto scattate per documentare i
successi dellesercito, e in particolare dei bersaglieri e
della cavalleria, tenuto sotto scacco per anni da rivoltosi che
conoscevano bene il territorio e che attuavano una guerriglia diffusa,
da mordi e fuggi, con multipli colpi di mano, e persino con il controllo
di città e aree regionali.
Quelle foto ritraevano non soltanto gli uomini, ma anche le donne
già fucilate, comunque sedute, con gli occhi sbarrati, con
le armi al fianco, con le mani sul grembo. Nientaltro, perché
nulla possedevano al momento della cattura, se non i vestiti che
indossavano, la bisaccia con pochi viveri e lorcio di pelle
con lacqua potabile. Raramente possedevano un cavallo. Frequentemente
dividevano la vita tra partecipazione alle imprese dei loro uomini,
e ritorni ai propri tuguri, da persone insospettate, eccezion fatta
per le più note brigantesse, il cui coraggio e la cui spregiudicatezza
sconcertavano i rudi piemontesi e lombardi che avevano la ventura
di scontrarsi con costoro.

Fu, per numero di partecipanti al brigantaggio e per lalto
tributo pagato, un fenomeno unico in Europa. E non se ne è
scritto molto, se non da specialisti di questo settore particolare
della nostra storia: anche perché scarsi sono i documenti
emersi, e negletta è stata la loro vicenda umana. Politicamente
analfabete, quasi tutte analfabete tout court, furono essenzialmente
vittime di amori sbagliati, comunque spericolati, preludi di tragedie
con esito scontato: il piombo dei plotoni desecuzione ne fece
giustizia sommaria, assai più di quanto, nel Paese di Cesare
Beccaria, le prigioni ne facessero esempio di recupero alla vita
civile e sociale.
Destini segnati in partenza, incrociati con quelli dei grandi e
piccoli briganti che sommarono ideali e grassazioni, strategie dattacco
alle regie truppe e sotterranee trattative col nemico
al tempo del generale ripiegamento. E destini giocati tutti in avventure
terragne, con le antropologie differenziate da terra a terra: gli
elementi più feroci provenivano dal Molise, i più
abili dalla Capitanata, i più tenaci dallIrpinia e
dalle Calabrie, i più determinati dalla Basilicata, i più
divisi dagli Abruzzi e dal Basso Lazio. Una nebulosa con numeri
variabili, in costante fermento, sempre imprevedibile nelle tattiche
guerrigliere, e di frequente manovrata dal baronismo conservatore
del Sud. In ogni caso, fenomeno collettivo, con radicamenti profondi
nella società, il che rese più arduo il compito dellestirpazione,
che si compì dopo tradimenti, cacce alluomo, bagni
di sangue, lasciando un Paese estenuato.
Altra storia, di elementi individuali, quella svoltasi sui mari
sotto il segno folgorante della pirateria femminile. Donne armate
di pistole e sciabole che andavano allarrembaggio, comandando
una ciurma bucaniera? Sembra che ne siano esistite una decina, a
seconda della definizione che si vuol dare al termine pirata,
che deriva dal greco peiraino, attacco, e il The Shorter
Oxford Dictionary definisce one who robs and plunders on the
sea etc.; a sea robber... one who roves about in quest of plunder;
one who with violence, a marauder, despoiler. Il pirata è
dunque chi corre il mare per commettere ruberie e saccheggi, colui
il quale vagabonda in cerca di qualcosa da arraffare, commettendo
violenze.
Ma questa definizione tralascia importanti verità, tra le
quali il fatto che i pirati abbiano spesso preso di mira bastimenti
stranieri, come daltronde avviene in guerra. La pirateria,
inoltre, è iniziativa che ha alle spalle altri soggetti facenti
parte di unorganizzazione commerciale o territoriale abbastanza
complessa.
E stata la scrittrice britannica Jo Stanley a porsi le domande
e a tentare di dare delle risposte documentate ai quesiti sullargomento:
le piratesse facevano parte delluniverso di banditi fanfaroni,
di reietti solitari; erano bellezze selvagge in pantaloni, oppure
annoiate prostitute che si imbarcavano per guadagnare un po
di ducati durante le lunghe navigazioni negli oceani? Si trattava
di spiriti liberi, oppure di madri sifilitiche, che per di più
soffrivano il mal di mare? Tremavano alla sola idea della battaglia,
oppure erano audaci spadaccine?
Nel suo Bold in her breeches. Women pirates across the ages, Jo
Stanley cerca di distruggere limmagine stereotipata, radicata
nella cultura occidentale, della pirateria quale attività
prettamente maschile. I pochi personaggi femminili che nella nostra
letteratura solcano i mari si possono infatti contare sulle dita
e aleggiano nel mito: tra questi, i più noti sono Ann Bonny
e Mary Read, che vissero nei Caraibi intorno al 1720. Secondo lautrice,
le donne pirata sono ciò che rimane delle dee pagane e del
matriarcato, e sono assimilabili alle amazzoni. A differenza delle
muse, non ispirano, non sono creature dolci e melanconiche, non
hanno alcun desiderio al di là della sete di potere e, in
questa accezione, non possono che essere distrutte nellimmaginario
maschile in quanto contendono alluomo il potere, proprio perché
distruttive quanto lui e impegnate in unattività più
virile rispetto a molte altre. In qualche modo, la figura della
donna pirata valica i confini tra uomo e donna, si fa carico di
entrambi i ruoli. Non è detto che sia sempre in prima linea,
pur svolgendo un ruolo attivo.
Dopo la battaglia di Evesham del 1265, ad esempio, i seguaci dello
sconfitto Simon de Monfort si avventurarono per mare insieme con
le loro famiglie e vissero di pirateria, fino a che il sovrano fece
seguire alle persecuzioni e alle confische un atto di clemenza.
E difficile dubitare che in tali condizioni le donne non continuassero
a cucinare, a lavare i panni e a badare ai figli, pur vivendo su
una nave anziché tra le mura domestiche.
Nel XIX secolo diverse centinaia di donne cinesi solcarono i mari
in quanto mogli e madri di pirati. La francese Fanny Loviot, catturata
dai pirati cinesi nel 1858, testimoniò nella propria biografia
come sui vascelli le donne aiutassero gli uomini, specialmente nel
carico delle mercanzie, oltre che nel loro scarico nei centri pirateschi
costieri. E Ann Bonny e Mary Read, le piratesse più conosciute
dai lettori britannici (vissero nel XVIII secolo, epoca nel corso
della quale la pirateria è meglio documentata), presero parte
anche ai combattimenti. Le altre bucaniere di cui siamo a conoscenza
appartennero a famiglie reali, regnarono su un territorio più
o meno vasto e spesso si sposarono allo scopo di consolidare il
più possibile il proprio potere.
Vissero in unepoca in cui molto probabilmente le razzie erano
pratica abbastanza comune. Tra queste regine guerriere la Stanley
ricorda Artemisia, che scorrazzava nel Mare Egeo attorno al 480
a.C.; la principessa irlandese Granuaile (nel XVI secolo); lestremo-orientale
Cheng I Sao (inizio del XIX secolo); la danese Alfhild (V secolo);
le cinesi Lo Hon-Cho e Lai Choi San, vissute tra gli anni Venti-Trenta
del XX secolo.
Soffermiamoci, a ragion veduta, su Artemisia, regina di Alicarnasso,
la prima donna pirata, nel senso di guerriera che solca i mari,
di cui si abbia notizia. Erodoto racconta che cinquantanni
dopo la morte di Ciro, Artemisia combatte a fianco del re persiano
Serse (regnò dal 486 al 465 a.C.) nella guerra contro i greci.
Cretese da parte di madre (sembra che a metà del V secolo
a.C. le donne di Creta godessero di maggiore indipendenza rispetto
alle donne ateniesi) e figlia di Lidgamo di Alicarnasso, Artemisia
non è appendice del padre né del defunto marito a
cui succede non per mancanza di discendenza maschile (è madre
di un figlio adulto), quanto per una scelta personale, motivata
da puro spirito davventura, oltre che da un coraggio virile.
Unica tra tutti i comandanti delle forze persiane, Artemisia consiglia
a Serse di non salpare poiché, memori della sconfitta recentemente
subita in Eubea (agosto del 480), i persiani dovrebbero aver imparato
a non confrontarsi con la potenza navale dei greci. Il consiglio
viene elargito con apparente umiltà: «Risparmia le
tue navi. Nelle cose di mare i greci ci sono superiori quanto gli
uomini sono superiori alle donne». Ma allinizio del
discorso Artemisia aveva dichiarato che il diritto di parlare con
franchezza le derivava dal coraggio e dalle capacità dimostrate
durante la battaglia nellEubea.
Lintervento di questa donna lascia stupefatti gli altri membri
del consiglio di Serse. Coloro che le sono amici temono la sua rovina
per parole tanto audaci, gli invidiosi sperano ardentemente che
perda il favore del re. Stupito dalla perspicacia di Artemisia,
Serse non segue tuttavia il suo consiglio, convinto che la disfatta
nellEubea fosse da imputare alla propria assenza sul luogo
della battaglia, causa del rilassamento dellesercito. Il gran
re persiano affronta dunque i greci a Salamina (480 a.C.), dove
Artemisia viene braccata dal comandante ateniese Aminia di Pallene,
«che la cercava ovunque... poiché offendeva gli ateniesi
che una donna avesse preso le armi contro di loro e i capitani delle
navi avevano ricevuto ordini speciali al suo riguardo, insieme allofferta
di diecimila dracme come ricompensa per chiunque lavesse catturata
viva».
Per sottrarsi alla caccia di Aminia, Artemisia si astiene dallattaccare
la trireme nemica, e si lancia contro una nave degli alleati, con
Damasitimo, re di Calinna, a bordo. I greci, credendo di avere a
che fare con una nave alleata, desistono dallinseguimento.
Seduto sul trono installato su unaltura, Serse osserva la
battaglia, grato ad Artemisia per avere affondato una nave, che
mai avrebbe pensato appartenere a un alleato.
Erodoto è particolarmente indulgente con Artemisia, la cui
astuzia è interpretata non come un vile tradimento, bensì
come espressione di una raffinata tattica militare. A questo giudizio
benevolo contribuirono senza dubbio un po di patriottismo
(Erodoto e Artemisia provengono da quello stesso lembo di terra
che si protende nelle acque meridionali dellEgeo), nonché
gli aneddoti dei reduci della battaglia di Salamina, che lo storico
doveva avere ascoltato da bambino.
Finita lepoca della pirateria a vela, oggi gli scorridori
del mare agiscono lungo le coste orientali dellAfrica e in
quel groviglio di terre che ruotano intorno alla Malesia. Non si
tratta dei discendenti dei grandi bucanieri che avevano taverne,
donne e rifugi sicuri nei Caraibi, né dei discendenti del
salgariano Sandokan, re della pelatissima isola di Mompracem. Sono
grassatori che solcano i mari, forniti di strumenti elettronici,
di imbarcazioni velocissime e di armi sofisticate. Depredano vascelli,
merci e passeggeri, e svaniscono tra i meandri delle foreste equatoriali.
Tra di loro, ma soltanto in Estremo Oriente, non difettano le donne,
ricettatrici stanziali di quanto viene depredato in aree impenetrabili
del territorio che in alcuni casi è stato addirittura scarsamente
esplorato e che non è sotto il controllo di corrottissime
forze pubbliche. Gli episodi di assalti e abbordaggi sono oggetto
pressoché quotidiano della cronaca. Cinesi, malesi, indonesiani,
elementi provenienti dalla Malacca e dal Borneo sono attivi ormai
da decenni.
Le presenze femminili sono state documentate solamente da alcuni
anni a questa parte, con la scoperta dei capannoni-depositi meno
protetti. Si favoleggia della presenza di piratesse anche a bordo
delle imbarcazioni assalitrici. Alle sciabole di una volta son succedute
le armi automatiche; allartiglieria, i lanciarazzi. La storia
si ripete, con altri mezzi.
|