Un viaggio tra arte e innovazione,
fra tradizione
e invenzione:
tra musica
e architettura, nella convinzione che l’esperienza artistica
abbraccia diversi campi e molte discipline.
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Gallipoli restaura il “Teatro Garibaldi”, pregevole manufatto
di architettonica e di acustica dislocato al centro della città
vecchia, e ne promette il rilancio: sarà un piccolo tempio
dedicato alla danza, espressione d’arte che vede crescere di
giorno in giorno il numero di amatori. Galatina, invece, abbatte
il corpo architettonico del “Teatro Tartaro”, salvando
la facciata (ma non la faccia), e con tutta probabilità destinerà
ad altra attività il “Cavallino Bianco”.
Così va il mondo: la cosiddetta civiltà dei consumi
non va tanto per il sottile, quando si tratta di prendere decisioni
che oscillano tra la tutela o il recupero di strutture che, nate
per manifestazioni culturali e artistiche, tuttavia possono costare
qualcosa alla collettività, e la loro trasformazione in centri
destinati ad altra attività, magari solo produttiva, dunque
remota dagli obiettivi originari, e comunque inserita in contesti
che poco o nulla hanno a che fare con una tradizione artistica locale.
Staremo a vedere che cosa succederà.

Altrove è storia o cronaca diversa. Un teatro all’italiana
con vari ordini di palchi, poltrone di platea e buche per l’orchestra;
magari un auditorium ricavato da una fabbrica dismessa, una discarica
(come quella calabra di Altomonte) trasformata in una cavea al modo
degli anfiteatri classici, una chiesa dove musica e pittura si uniscono,
o infine un teatro all’aperto adattato per ospitare i più
popolari titoli di opere liriche o le pagine più note della
musica classica: questa è l’Italia dei teatri risorti,
rimessi a nuovo, animati da nuova vita.
E’ l’Italia della musica che, dal più piccolo centro
urbano alla più grande città, si dota di luoghi dove
far risuonare le note di Verdi e di Puccini, di Bellini e di Donizetti,
ma anche di Mozart e di Mendelssohn, di Liszt e di Wagner, di Grieg
e dei nostri autori barocchi, compresi gli autori stranieri che
attraversarono il nostro Paese e si ispirarono a persone e a paesaggi
per creare i loro capolavori. Un gran viaggio tra arte e innovazione,
fra tradizione e invenzione: un connubio tra musica e architettura,
nella convinzione che l’esperienza artistica abbraccia diversi
campi e molte discipline.
In attesa che riapra i battenti (nel mese di dicembre) il Teatro
alla Scala (la sala del Piermarini, inaugurata nel 1778, è
stata sottoposta a una revisione completa, tra restauro e nuovi
volumi aggiunti allo storico edificio), c’è un affascinante
percorso, e c’è uno splendido itinerario sulle strade
e sui luoghi della musica: le grandi direttrici che vanno dal Teatro
Regio di Torino al Teatro Massimo di Palermo, ma anche le vie meno
battute che passano dal Teatro Sociale di Alba, in Piemonte, e approdano
al Teatro Comunale di Noto, in Sicilia.
Quella del nostro Paese è una storia di teatri distrutti
e ricostruiti: è cronaca quasi recente quella del Petruzzelli
di Bari, mentre è recentissima quella della riapertura della
celebre Fenice di Venezia. Ma altre storiche sale possono raccontare
vicende di tramonti e di improvvise albe. E’ il caso del Regio
torinese, nato come teatro di corte, distrutto da un incendio nel
1936, e riaperto nel 1973. La struttura architettonica porta la
firma inconfondibile di Carlo Mollino e di Marcello Zavellani Rossi:
linee curve, un solo ordine di palchi e un boccascena che richiama
la forma di un televisore, e tutto, dal laccato delle pareti alle
maniglie delle porte, inconfondibilmente anni Settanta.
Un gusto anni Ottanta, invece, domina il genovese Teatro Carlo Felice,
distrutto dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, e riaperto
soltanto nel 1991: l’architetto Aldo Rossi lo dotò di
nuovi volumi, e per la sala pensò ad una grande piazza: una
platea che degrada, e alle pareti di pietra, al posto dei palchi,
balconi di case e finestre.

Al crocevia di tradizione e innovazione si colloca il particolarissimo
Teatro Sociale Busca, di Alba: costruito nel 1853 con il classico
schema della sala a ferro di cavallo, andò incontro a un
progressivo degrado che ne impose drasticamente la chiusura nel
1933: una complessa vicenda di progetti rimandati, approdò
nel 1997 alla sua inaugurazione. Oggi il teatro si presenta con
una doppia sala: da una parte, la storica platea, e dall’altra
uno spazio da moderno auditorium. Nel mezzo, condiviso dai due spazi,
un unico palcoscenico che si affaccia sulle due sale e permette
il molteplice utilizzo del teatro.
Tornando nel solco della tradizione, se nella regione lombarda saltano
all’occhio le singolari similitudini – il marmo come elemento
predominante – del Teatro Accademico di Mantova e del Teatro
Fraschini di Pavia, l’uno e l’altro su progetto del Bibiena,
nell’area veneta non si può non citare, accanto al classico
Teatro Olimpico di Vicenza, il sontuoso Filarmonico di Verona e
il vero e proprio gioiello in stile liberty che è il Teatro
Comunale di Thiene.
Ma l’innovazione sta di casa anche nelle regioni Toscana ed
Emilia: se il Teatro Comunale di Firenze, rinato nel 1966 dopo la
celebre quanto disastrosa alluvione, è un esempio perfetto
di sala alla tedesca, a Parma nel 2001 è stato inaugurato
il modernissimo Auditorium Paganini, che l’architetto Renzo
Piano ha ricavato da un antico zuccherificio dismesso. E se il vecchio
Sferisferio di Macerata è stato adattato alle esigenze dell’opera
lirica sotto le stelle, se Foligno ha suggestivamente collocato
un auditorium, intitolato a San Domenico, in una chiesa risalente
agli inizi del Trecento, Brindisi ha inteso lasciare un segno forte
con il Teatro Verdi, edificato negli anni Settanta e definito “Teatro
sospeso” perché costruito su piloni d’acciaio,
per salvaguardare i reperti archeologici di epoca romana, emersi
nel corso dei lavori.

A parte l’Auditorium romano, che con ogni probabilità
è la struttura più moderna della Penisola, e a parte
i lavori di ristrutturazione o di restauro lieve di altri teatri
italiani, va sottolineato che il nostro Paese vanta anche un numero
vastissimo di cosiddetti “teatri bomboniera”, piccoli
gioielli dotati di tutte le strutture che contraddistinguono un
tradizionale teatro: ne è pienissima, ad esempio, l’Umbria;
ce ne sono in Abruzzo e in Campania; e ne sono esempio, oltre al
classicheggiante Teatro di Noto, anche l’essenziale emiciclo
del Teatro Civico di Alghero.
Uno strumento utile per scoprire tutti i teatri italiani c’è,
ed è la guida I luoghi della musica edita dal “Touring
Club”: un volume che si è proposto di raccogliere, suddivisi
per regioni, tutti i principali luoghi in cui risuonano le note
musicali, con notizie storiche che si affiancano a notazioni di
carattere artistico, corredate da una ricca documentazione iconografica.
In catalogo, ben 214 città, 492 luoghi dedicati alla musica,
l8 festival europei selezionati, e 1.820 indirizzi di teatri, conservatori,
scuole musicali, enti e associazioni.
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