Una nuova storia da narrare.
Un nuovo
rincorrersi nel tempo.
Un perdersi
nellinfinito, questa volta, nel silenzio tantrico tibetano.
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Il
dizionario delle diversità
Due milioni e mezzo di stranieri in Italia rappresentano una realtà
che è destinata a dare molti frutti, più o meno belli,
più o meno buoni, più o meno colorati. Ma pur sempre
nuovi e sconosciuti. Ecco allora uno strumento importante per imparare
a decifrare quello che sta accadendo intorno a noi, senza lasciarsi
sopraffare da luoghi comuni e definizioni errate. Il Dizionario
delle diversità propone delle basi comuni per affrontare
serenamente lincontro con lo straniero e con il
suo bagaglio di esperienze.
In che Paese vivremo tra venti o trentanni? Come sarà
cambiata lItalia? A domande di questo tipo è difficile
pensare di poter dare una risposta certa; troppe le variabili in
gioco. Di sicuro, cè un unico dato: lItalia non
sarà più il Paese degli Italiani. O meglio, lo sarà
ancora, ma non saranno più gli stessi italiani
.

Sono cambiati, infatti, e cambieranno ancora i concetti
fondamentali di razza, etnicità e
cultura. Non potrebbe essere altrimenti, del resto,
in un pianeta che è sempre più cosmopolita e multietnico.
Un mondo in cui la migrazione è un fenomeno che interessa
tutti i Paesi più industrializzati, dal momento che tutti,
prima o poi, a partire dalla seconda Guerra mondiale, hanno avuto
bisogno di manodopera più di quanta non ne generassero in
patria. E allora, per stare al passo coi tempi, è indispensabile
fare chiarezza sui nuovi concetti che servono ad esprimere la società
in cui ci muoviamo.
Attraverso la comprensione di oltre 300 lemmi vengono presi in considerazione
le polemiche e gli assunti infondati che caratterizzano il dibattito
sociale, politico, economico, e perché no anche
statistico, sullimmigrazione e sulla profonda trasformazione
che essa comporta in ogni ambito del vivere comune.

I numerosi temi connessi al fenomeno migratorio vengono affrontati
nel Dizionario in maniera multidisciplinare, così da fornire
al semplice lettore, agli studiosi e agli addetti ai
lavori un quadro a 360 gradi. I curatori e gli autori, specialisti
nel campo normativo (come Guido Bolaffi, già capo Dipartimento
presso il ministero del Lavoro e del Welfare e oggi segretario generale
di Confartigianato) o nelle scienze psicanalitiche e sociali (come
Raffaele Bracalenti, Peter Braham e Sandro Gindro), sono riusciti
a trattare le voci del Dizionario inserendo i singoli argomenti
nelle prospettive complementari della psicologia, della psicoanalisi
e dellantropologia sociale, nonché della corrente giurisprudenza
nazionale e internazionale. Ad impreziosire lopera il contributo
di autori quali lantropologa Matilde Callari Galli, il sociologo
Umberto Melotti, il demografo Antonio Golino.
Il dibattito politico in atto sullimmigrazione e il modo
in cui i media affrontano largomento non sono facilmente comprensibili
da parte dellopinione pubblica e lo dimostra chiaramente il
dissidio profondo che la società italiana vive tra rifiuto
del diverso, dellestraneo alla propria cultura,
lo spirito daccoglienza e di compassione verso lesule,
e la diffidenza generata da certe sparate demagogiche.
E lo dimostrano bene alcuni esempi: la mobilitazione spontanea e
la gara di solidarietà sorta allepoca degli sbarchi
in massa di fuoriusciti albanesi sulle coste meridionali-orientali
del Paese o in occasione dellarrivo dei profughi
kossovari; lintroduzione di una normativa che interpreta limmigrato
esclusivamente come forza lavoro; il pensiero diffuso
che il richiedente asilo sia in realtà un migrante economico
che vuole approfittare del buon cuore degli italiani; il timore
di una invasione musulmana; la necessità di sopperire
al calo demografico nel Paese.
Le spiegazioni contenute nel Dizionario delle diversità,
insomma, non servono solamente a fare chiarezza, ma anche a suscitare
profondi dubbi. Spiegano sì in maniera sintetica, ma spingono
anche allapprofondimento con la delicatezza del buon maestro,
affiancando in ordine alfabetico parole quali fenotipo,
flussi e foglio di via. Tre concetti presi
a caso, che trovano però una curiosa sintesi alla voce sadomasochismo,
quella che forse più di ogni altra ben sintetizza lapproccio
dello Stato contemporaneo al fenomeno delle migrazioni, del multiculturalismo
e della multietnicità.
Il Dizionario delle diversità, pubblicato dalla
Edup, in una versione adattata alla situazione italiana, ha già
conosciuto meritata fama in Inghilterra, dove è stato pubblicato
dal prestigioso editore Sage, con il titolo di Dictionary of Race,
Ethnicity & Culture, ed è stato presentato con successo
alla House of Lords dal professore di origini indiane Bikhu Parekh,
docente presso la London School of Economics.
stefan leszczynski
Voyage autour de
mon lit
Xavier de Maistre (Chambéry 1763-Pietroburgo 1852) mi era
sempre piaciuto: non scrisse cercando notorietà, fu letterato
occasionale, discontinuo, mutevole, autore di opere immediate e
personali, delicatissime per fine ironia e sottile indagine; autore
delizioso, di amabile lettura; uomo e artista dindole aggraziata,
dalla dolcezza malinconica e discreta, caratterizzata da sottile
vena umoristica. Che fosse unaffinità elettiva?
Mi era, inoltre, piaciuto il fatto che la critica definissse scarne
le sue prose, dovendo poi ammettere che si trattava di miniature,
resistenti al tempo e alle mode, molto più di certi scritti
di grande ambizione e proporzione.
Voyage autour de ma chambre, ispirato al Viaggio sentimentale
dello Sterne, era stato la mia lettura francese preferita, durante
una lunga malattia delladolescenza; era stato anche il modello
di quel gusto e di quello stile che, un giorno, avrei voluto possedere...
Trascorse una vita intera; e non avevo dimenticato quel testo elegante.
Oggi che, per usare lautoironia cara al suo Autore, «di
casa ormai esco poco», voglio divertirmi a tentarne una parodia
in formato ridotto, intitolata sempliemente Voyage autour
de mon lit.

Mi si perdoni larbitrio. Scopo: dimostrare quasi per scherzo
che non tutto ciò che è macro (vana dimensione,
cara ai nostri deformati giorni) si adatta allo studio delluomo.
La descrizione di un micro-cosmo, quale ad esempio può
essere il buio intimo in cui, puntualmente mattino e sera, apro
gli occhi alla paura e li chiudo alla speranza, servirà a
farmi meglio conoscere; è ciò che voglio.
Devo, comunque, avvertire che il grande letto in cui dormo è
un antico letto cinese, posto nella grande camera dun castello;
un letto a baldacchino in ciliegio lucido, «della Cina povera»,
dice Siou-Wan. Lo portai dallIndonesia, non in quanto oggetto,
bensì come un trattato di vita orientale da studiare in vecchiaia.

Il suo legno non ha mai perso uno strano profumo, «di sandalo»,
dice ancora Siou-Wan. Ignora chiodi e viti; è costruito ad
incastro; non ha tirato crepe, smentendo gli esperti che dal mutamento
di clima pronosticavano irreparabili guasti e tarme varie.
Il suo colore, i suoi pannelli laccati mantengono da anni quella
tonalità rosso-scura, detta in Asia sangue di piccione. Non
scricchiola, pur essendo privo di molle e di rete; una stuoia vegetale,
stesa sulle sue non flessibili tavole, funge da materasso europeo.
E munito di cassetti, che scivolano nel suo ventre, profondi
e comodi. La sua altezza da terra è quella di quattro sacchi
di riso cinese sovrapposti, da antico giaciglio-ripostiglio che
era.
Vi si accede per un solo lato, poiché dallaltro è
appoggiato al muro, come un grosso mobile.
Gli angoli della parte superiore, da dove sporgono aste destinate
laggiù a reggere pesanti quanto indispensabili
zanzariere, sono ornati da intarsi rituali, composti a mano da artigiani
che non esistono più.
Il mio letto cinese è una piccola casa nella grande casa,
giusto come fu concepito. Vi si dorme in posizione longitudinale
rispetto al lato aperto, dove si sale e si scende, servendosi
dun piccolo sgabello, scolpito nello stesso legno duro di
questo austero testimone di remote civiltà contadine. Il
capo di chi vi è disteso supino guarda un drago sacro, intarsiato
sul soffitto-coperchio, in mezzo a motivi floreali. Pensi ad altra
gente, lontana e misteriosa. Senti arrivare il nulla, senza fatica,
e dimentichi ogni tua contingenza.
Contrario come sono agli spazi vuoti, agli arredamenti sporadici,
ho riempito, anzi occupato il bianco delle due pareti che fanno
angolo; cosicché dormo con una pesante collana dambra
appesa sopra la nuca. Una preziosa stampa romana, raffigurante la
navata centrale della Basilica di San Pietro (!) mi fa, come si
dice qui, da testiera. Vi sono ancora: il telefono,
poggiato sopra un tam-tam verticale africano, una Madonna bizantina
acquistata ad Istanbul, una croce copta che tutti scambiano per
una grande chiave dottone, trovata a Nairobi;
nonché sparsi feticci gri-gri, cioè portafortuna,
che, per la verità, in questa foto non si vedono dato che
li regalai!
Resistono, invece, tre esercitazioni in bianco e nero
degli allievi della Scuola dArte di Dakar, orgoglio del mio
poeta preferito, L.S. Senghor. Assieme ad una piccola incisione
del Pinelli, fanno corona ad un originale olio di anonimo, invaso
dal verde-savana dove due donne, altrettanto africane, scendono
a lavare verso il fiume
Visto? Il giro si fa ampio, tutto si trasforma in paesaggio.
Il Voyage autour de mon lit continua e cambia in continuazione,
come un documentario ben fornito. Ecco: i cuscini di seta ricamata
li portammo da Singapore; la coperta di lana alluncinetto,
autentica eresia nellesotico insieme, è opera paziente
di Siou-Wan, quando al primo inverno del rientro in Italia ci trovammo
freddolosi e soli, senza conoscere anima viva. Purtroppo, una fotografia
taglierebbe fuori il fregio che circonda, in alto, il baldacchino;
e ignorerebbe gli intarsi che, in basso, ornano i portagioie, ricavati
nel legno delle due larghe gambe frontali; ma invisibili e introvabili.
Sì, perché, come dicevo prima, questo letto-pensatoio,
per me, è una stanza segreta da abitare gelosamente. Non
è facile concettualizzarla nei particolari e tutta insieme.
Limportante è che lasci via libera alle fantasie, le
quali sono appunto basate su cose che non si vedono. O meglio, che
non vedete voi, mentre io, che in quel letto dormo, ne ricavo di
che scrivere a iosa articoli sulla convivenza multi-razziale, richiestimi
fino alla noia da chi mai viaggiò.
Basta sporga la testa di traverso dal baldacchino cinese e guardi
a picco la salentinissima volta a stella, che subito
il mio pensiero, pur dentro il mio letto, se ne va allegramente
in giro. Apro i contatti e parto, più comodo certamente che
in un sedile di classe cabina, a bordo dun aereo di linea.
Le due donne nere del grande quadro colorato, specialmente, che
scendono svolazzanti verso quel fiume azzurro (ma, forse, è
un laghetto melmoso, oppure uno sporco stagno africano, di cui non
conosco il nome anche perché non esiste), fanno dimenticare
ogni senile stanchezza e venir voglia di ricominciar la stagione
del nuovo.
Le vedo scendere, giovani, verso lacqua, con grossi mucchi
di panni da lavare in testa; non si voltano e, di colpo, maddormento;
anche se, per la verità, questo letto cinese non è
proprio un rifugio fatto per dormire. Il che, fortunatamente, non
sempre mi riesce; altrimenti mabbrutirei di riposo.
Fortunatamente, infatti, accade che un gran tramestìo faccia
oscillare quel mio bel lettone; è il notturno, trafelato
arrivo di quattro ansimanti Terranova, dal fondo del ripostiglio
del castello, dopo la vecchia cucina
Giunge, quel tramestìo improvviso, come un fiducioso SOS
animale. Sono grossi, i miei cani, ma hanno una paura folle del
lampo e del tuono. Nella camera silenziosa, ora si sentono sicuri
e prendono il posto dei sacchi di riso. Si accucciano, attendono
tranquilli che spiova. Tanto, il loro amico-padrone
è lì, sopra di loro, sognando ad occhi aperti. Nemmeno
sè accorto che fuori di quelle spesse mura fa tempesta...
florio santini
La cultura? Si fa nellagorà
Conferenze, festival, best seller: ogni appuntamento culturale
svoltosi negli ultimi mesi ha incontrato grande favore di pubblico,
facendo riempire le piazze dove si dibatteva insieme a filosofi
e letterati provenienti da ogni parte del mondo. E successo
a Mantova, in occasione del Festival della letteratura, a Modena
dove si sono sfiorate le cinquantamila presenze per uno scintillante
festival della filosofia dedicato alla vita. Afflussi record anche
a Rimini, dove si parlava di felicità al tradizionale meeting
organizzato da Cl; a Bari invece Arnoldo Foà si è
cimentato con la lettura delle poesie di García Lorca, a
Milano Vittorio Sermonti ha fatto altrettanto con la Commedia di
Dante.
Al centro di tutto, lei: la piazza. Sì, perché, accanto
ad una crescente domanda di senso e di complessità che sta
investendo la nostra società, la vecchia agorà sta
cercando di riprendersi prepotentemente quel ruolo che le spetta;
infatti, come già sottolineato dal sociologo barese Franco
Cassano, «la filosofia sembra ritornare alle origini, allagorà,
lì dove essa nacque parallelamente alla democrazia».

Cè, oltre alla voglia di stare insieme fuori del salotto
di casa e del cerchio luminoso dellabat-jour, un ritorno
alle origini, un rinnovato legame che, fin dalla civiltà
greca, unisce la città alla cultura, facendo della piazza
la sede privilegiata per dibattere questioni culturali e politiche
dinteresse generale.
La civiltà greca, da Omero fino a Platone e Aristotele, ha
visto il lento e progressivo processo di formazione dellidea
di polis, perennemente oscillante tra realtà e utopia, tra
storia e mito.
Se vogliamo spiegarci meglio il crescente legame che oggi lega la
cultura alla città (di cui la piazza si pone come il centro
e il cuore pulsante) dobbiamo necessariamente tener presente che
nella civiltà greca, più di ogni altra, esisteva uno
stretto legame tra polis e cultura: luna influenzava laltra
e viceversa, in diverse scansioni che hanno dato vita ad opere grandiose
che non cessano di nutrire la cultura europea.
E interessante notare, tra laltro, che la letteratura
greca, accanto alla riflessione sulla città, propone anche
quella sul modello contrario, sul mondo della natura considerato
spesso come fuga o evasione, fino a sfiorare lutopia, da una
situazione oramai divenuta insostenibile e difficoltosa: fin dallepos
di Omero, infatti, viene postulata come necessaria la convivenza
civile, ma sembra quasi che se ne avvertano le difficoltà
e i problemi.
E dobbiamo constatare come i problemi legati alla pacifica e civile
convivenza, così brillantemente approfonditi già allombra
del Partenone alcuni secoli fa, oggi siano di drammatica attualità,
in tempi in cui si vagheggiano laceranti conflitti di civiltà
e ognuno di noi si trova alle prese col multiculturalismo, a convivere
con culture e civiltà differenti dalle nostre.
Ecco quindi che le nostre piazze si riempiono per capire meglio
e sperimentare perché no? nuove vie di dialogo
e di tolleranza.
Presso i greci la riflessione sulla città è sempre
stata preponderante: la polis, destinata a diventare il centro e
il simbolo della civiltà ellenica, fu pensata come un
luogo della coscienza comune, come un meson, uno schema spaziale
omogeneo, realizzato, secondo J. P. Vernant (Mito e pensiero, pag.
142 e segg.), soprattutto dalla riforma di Clistene.
M. Detienne, parlando della società aristocratica e guerriera
dei poemi omerici, afferma che i giochi funebri, la spartizione
del bottino e le assemblee deliberative sono istituzioni che formano
un piano di pensiero prepolitico e che proprio il meson, spazio
centrale e simmetrico, è anticipazione della città
e, più precisamente, dello spazio politico dellagorà.
Se in Omero e, più in generale, in tutta la letteratura delletà
arcaica possiamo vedere la città come entità che ancora
si sta formando nelle coscienze e nelle idee, nelletà
classica il mito della città diviene, sia pure parzialmente,
realtà sotto il governo di Pericle, eccezionale uomo politico,
ma anche grande amante e intenditore di cultura.
Tuttavia, è opportuno sottolineare come il mito sopravanzi
la realtà effettiva: la città come modello irripetibile,
come utopia e come simbolo di democrazia e di libertà è
anche creazione degli intellettuali, è un mito pensato ed
espresso nella letteratura che, pur non realizzatosi mai completamente
nella storia, si pone come stimolo e ideale al quale luomo
politico può e deve ispirarsi nella sua azione.
La città è lo spazio nel quale si realizzano libertà,
giustizia e uguaglianza, in un ordine garantito dalla legge che
assicura il bene di tutta la collettività: è il mito
della democrazia di Atene, paradigma, secondo lo storico Tucidide,
per gli altri Greci. Fuori da questo spazio ci sono empietà,
illegalità e prepotenza, mancanza di leggi e di libertà,
ricerca dellutile individuale: in altre parole, la ferinità
o la barbarie o la tirannide, figure tutte della negazione della
polis.
E indiscutibile quindi il reciproco condizionamento che lega
polis e cultura: ogni evoluzione della prima è controllata
dalla seconda, ed entrambe si danno vita reciprocamente in una grandiosa
fioritura di pensiero.
Allinizio delletà classica il mito della città
è presente in Eschilo, che crede fortemente nella polis e
simpegna a creare consenso intorno ad essa; alla fine di questa
età, ormai alle soglie dellellenismo, il mito è
subìto da Isocrate, che evita la realtà della storia
rifugiandosi nel passato, oppure è studiato da Aristotele,
emotivamente ormai staccato dallidea della città, uomo
di un tempo nuovo nel quale la polis non è più un
ideale da realizzare o da discutere, ma è diventata una specie
di reperto archeologico da analizzare.
Tra i due estremi, che sono cronologici e ideologici insieme, tutti
gli intellettuali affrontano e trattano il mito della città.
Profondamente politico è il teatro, sia tragico, con Eschilo,
Sofocle ed Euripide che, da posizioni ideologiche diverse, celebrano
lidea della polis quale essi la vedono, sia comico, con Aristofane,
che sceglie il genere della commedia, legandolo certamente allattualità
politica, ma da questa prendendo le mosse per una fuga nellutopia:
la politica e la città sono interpretate con la fantasia
che deforma il reale nellassurdo e nel sogno. Aristofane non
riesce ad accettare la decadenza della città, si accorge
dellimpossibilità di realizzare nella storia lo splendido
mito della polis e si rifugia nellutopia, in un atteggiamento
di fuga di fronte al divenire della storia.
Anche la filosofia e la storiografia (Erodoto e Tucidide su tutti)
analizzano la struttura e le vicende della polis così come
loratoria, che fornisce strumenti adeguati per il dibattito
ideologico e politico.
Tutto quindi è in rapporto con la città. Ma il filo
che legava insieme polis e cultura è destinato a spezzarsi:
la fine della polis di cui il testo anonimo della Costituzione
degli Ateniesi dà ampia testimonianza, ponendosi in direzione
decisamente contraria allidea della città segna
anche un profondo cambiamento della cultura.
Dopo il tramonto della polis la letteratura muta, e di molto, i
suoi caratteri e le sue finalità, così come di molto
si modifica il ruolo degli intellettuali, destinati a diventare
sempre più professionisti della cultura, e sempre
meno cittadini, interpreti e creatori di idee politiche.
La disaffezione degli intellettuali verso la politica sarà
una costante che, a cicli alterni, si ripeterà sempre nella
storia.
antonio sanfrancesco
Arde la fòcara
per il Santo
Erano le prime nebbie, insistenti e ricorrenti, che annunciavano
lincipienza dellinverno. Il freddo iniziava a pungere
la pelle, a raggiungere lanima, e faceva desiderare un po
di calduccio, anche un tepore temporaneo. Si affacciava lidea
del fuoco, cominciava a farsi largo tra i piccoli desideri. Il fuoco
per i salentini di Novoli vuol dire soprattutto SantAntonio
abate, significa fòcara e festa e 16 gennaio.
Da qualche giorno, in un tempo di trentanni fa, nella piazza
grande si iniziava a parlare del comitato festa per SantAntonio:
da un bel po la torrida estate era alle spalle, era passata
anche la vendemmia e in molti avevano addirittura assaggiato il
vino nuovo, ancora troppo giovane. Di sera dopo aver scapulàtu,
cioè dopo aver finito di lavorare, si trovavano alcuni dei
più interessati, si incrociavano i loro passi nel largo davanti
alla chiesa, sul marciapiede del bar dove lavorava Antonio.
Era un ragazzo allora e dal pomeriggio, dopo aver scritto e letto
quanto necessario per non fare brutta figura allindomani a
scuola, faceva laiutante barista sino a quasi notte. Stava
nel locale proprio allangolo più vicino al santuario
del patrono.
Una sera di metà novembre vi entrarono i componenti il nuovo
comitato, avevano rinnovato le cariche, cera già un
presidente. Avevano anche assistito alla prima messa di ringraziamento,
proprio lì vicino, in chiesa, con il parroco che avrebbe
benedetto gli animali il vespro della festa. Entrarono in gruppo
nel bar che aveva il nome del santo, contenti e chiesero da bere
e brindarono alla riuscita dei giorni futuri e della festa.
Ci sono paesi e paesi, feste e feste, ma per i novolesi quella di
SantAntonio abate è una malattia, antica come la sua
devozione, che si perde nei secoli passati.
Il presidente del comitato aveva preso in fitto una piccola sede,
giusto come punto dappoggio per ritrovarsi con gli altri prima
diniziare la raccolta delle offerte che si faceva bussando
ad ogni uscio, in tutte le vie e nei vicoli più nascosti
del paese. Avevano anche stabilito i turni per la raccolta festiva:
di domenica due componenti del comitato si sarebbero preoccupati
di chiedere un obolo ai passanti, nel passaggio stretto che cè
sotto il campanile della Matrice, sul lato di tramontana della piazza
grande. Lo chiedevano con una certa umiltà, ma con altrettanta
decisione, parando e scuotendo tra le mani lu cippu, la semplice
cassetta di legno che presentava sul davanti il santino, unantica
stampa del protettore del fuoco tra gli animali da cortile.
Passarono i giorni e Antonio si accorse dellimminenza della
festa quando, un mattino proprio presto, sentì i colpi di
mortaio che annunciavano linizio della novena e che fecero
sobbalzare pure suo padre che aveva fatto la guerra. Antonio era
terrorizzato al pensiero degli altri scoppi che avrebbe dovuto subire,
specialmente di quelli che accendevano la sera del santo di fronte
alla chiesa, quando spegnevano tutte le luci delle luminarie. La
festa di SantAntonio giungeva per tutti, ma non per lui, per
Antonio non era una bella ricorrenza. Poi la vigilia si cucinava
di magro e a lui il pesce non scendeva proprio giù, non lo
mangiava e sarebbe rimasto a digiuno.
Quellanno era venuto a predicare un frate cappuccino con la
barba grigia, il saio pesante di lana grezza e i piedi nudi nei
sandali di cuoio risuolati. Era un rubicondo simpaticone e Antonio
lo ricorda bene perché durante le nove sere non disdegnò
di entrare nel bar per chiedere un bel punch caldo dopo aver gridato
nella navata colma di fedeli.
Intanto la fòcara iniziava a farsi notare da lontano ben
eretta, nella piazzetta dove si faceva allora, non molto lontano
né dalla chiesa né dal luogo da dove Antonio la poteva
addirittura vedere, seguire il suo svilupparsi in altezza e in potenza.
La raccolta della legna era iniziata qualche settimana prima e le
fascine di vite appena potata erano sufficienti, e non cera
bisogno di comprarle, come si fa oggi, dai feudi dei paesi vicini.
I tralci li offrivano i contadini, tutti legati e già sulla
via daccesso al podere, pronti per essere presi dai carrettieri
che usavano donare ancora un loro viaggio gratis, a devozione del
santo.
Arrivò gennaio e qualche giorno prima della vigilia della
festa il bar improvvisamente si riempì di omaccioni dallaccento
strano: Totò, il principale di Antonio, gli disse di aver
riconosciuto che tra quelli cerano baresi, foggiani, alcuni
venivano dalla Basilicata e addirittura da Napoli. Erano arrivati
per fissare il posto, erano giostrai, venditori ambulanti, bancarellai,
e avevano passato la mattinata su al municipio con le guardie comunali
che gli avevano fatto pagare loccupazione del suolo pubblico.
Con lapprossimarsi della data i preparativi nel bar si intensificarono.
Era arrivata la festa e bisognava aver tutto per tutti, sempre.
La sacralità del giorno per Antonio si trasformava in sacrificio,
significava lavoro e poi ancora lavoro. Solo la processione, alla
quale parteciparono quasi tutti, rappresentò una pausa; dopo,
e per due giorni, non si capì più nulla. Febbricitante,
ogni anno si ammalava, gli sbalzi di temperatura interna ed esterna
al bar, lumidità e poi le mani in acqua per tante ore
occupate a lavare bicchieri e tazze da caffè.
Gente che entrava e usciva: chi voleva bere, chi aveva fame e voleva
un panino imbottito con i mujatieddri, gli involtini di interiora
dagnello, chi giocava a carte pur di stare al caldo, chi chiedeva
del bagno, e moltissimi che poggiavano in continuazione le mani
ghiacciate sulla macchina da caffè per riceverne un po
di calore. I venditori di piatti, di noccioline, i forestieri giunti
in paese per vedere i fuochi dartificio, la fòcara,
i palloni aerostatici, la villa di luci, la bengalata, i pellegrini
devoti del santo, tutti entravano e uscivano dal bar, ma soprattutto
sentivano freddo, tanto freddo.
Anche quellanno, alla fiera, era giunta unintera famiglia:
padre, madre e figlio, come sempre in bicicletta. Non vendevano
nulla, solo il capofamiglia metteva, su una tavola di legno trovata
poco prima per strada, un panno verdone sul quale faceva muovere
due bicchieri capovolti che nascondevano un dado. Non avevano nulla
e quella volta un venditore di ceramiche e sedie li volle riscattare
e, con dignitosa carità, comprò e gli regalò
una padella. Con quella, il giorno della festa, cucinarono e mangiarono
un po di pasta e si scaldarono facendo il fuoco e riparandosi
a ridosso di un muro vicino al falò.
Poi la notte più lunga, quella della festa: sembrò
non avere tempo.
Non dormì nessuno, i curiosi che guardavano le lingue di
fuoco della fòcara scendere nella galleria, nella sua stessa
gola, spinte dal vento gelido, ma con loro cera anche tanta
gente che avrebbe passato la notte alladdiaccio, sotto i teloni
delle baracche, su una coperta o su un telo di plastica per isolarsi
dal pavimento ghiacciato della strada.
E i bambini, tanti bambini, figli degli ambulanti, si stringevano
tra loro e con i genitori cercavano un po di caldo. Entrarono
e uscirono anche loro dal bar per tutta la notte, per un bicchiere
di anisetta, per bere caffè bollente ma anche cioccolato,
e tanti erano proprio poveri: anche questo era la festa.
La notte la chiesa era chiusa, avrebbe aperto il suo portone in
legno di secoli solo alle sei.
Lindomani giunse quasi inatteso, come la continuazione di
un giorno lungo, senza ore e intenso. Era lalba, il sole si
fece largo nel cielo fresco e iniziarono a sentirsi i profumi delle
mandorle tostate, dello zucchero filato, il vociare delle prime
persone che giungevano nella piazza del santo, sul sagrato della
chiesa, i rumori lontani delle giostre e delle loro carovane.
Nessuno si era ricordato che Antonio quel giorno avrebbe dovuto
festeggiare il suo onomastico, nessuno ricordava più la notte
appena trascorsa.
Era la mattina di una festa di trentanni fa, come quella di
tanti anni dopo, di questanno e di tutti gli anni che verranno.
dino levante
Poesia sottovetro
Cè del magico in questa mostra di Teresa Vella dal
suggestivo titolo Poesia Sottovetro, fra le più
ricche di fascino, fra tante che lartista da tempo allestisce
in Italia e allestero. Ancora una volta, come nelle precedenti
esposizioni, anche questa codifica e testimonia il fare artistico
di Teresa, sempre in continuo e rigoroso evolversi. Evoluzione sempre
più consolidata nel tempo e nelle diverse esperienze, che
vanno dalla pittura, al design e alle installazioni.

Con Poesia Sottovetro, lartista avvia unaudace
operazione estetica, ricca di fascino, tendente a visualizzare il
verso poetico incastonandolo nel vetro, materia da lei prediletta.
Un tentativo ben riuscito di dare corposità quasi fisica
al suono delle parole. I versi sottovetro già nella loro
scelta indicano una sensibilità non comune da parte dellartista
e non perdono il fascino del loro suono: al contrario, esso diviene
più coinvolgente, risultando in perfetta simbiosi con la
materia che lo protegge.
Le opere in mostra scaturiscono dalla sintesi di un concetto creativo
che tende a unificare diversi linguaggi, dal poetico al visivo,
amalgamati con perizia alchemica. Diversi linguaggi che interagiscono
fra loro, pur conservando ognuno le proprie peculiarità,
a cui non potrebbero mai rinunciare. Ed è questa operazione
che ci dà lidea delle capacità mediatiche dellartista,
sempre attenta a percepire i misteriosi messaggi propri dei fenomeni
artistici che, spesso, sfuggono allosservatore. Pervenire
a tali risultati è senzaltro traguardo ambizioso: Teresa
vi riesce appieno in virtù di una sua particolare attitudine
a dialogare con la materia, in questo caso, il vetro industriale
fuso artigianalmente.
E questo suo dialogare che le consente di appropriarsi lentamente
dei segreti che la materia gelosamente custodisce e che svela solo
ad artisti muniti di particolare sensibilità, in grado, grazie
alla loro mediazione creativa, di renderli fruibili agli altri.
nicola cesari
Viaggio intorno alluomo
[Esp. - 19] La narrazione salva il mondo
Occorre aprire esperienza, aprire sprazzi di vissuto. Va salvaguardato
il segreto professionale e al contempo garantita unespressione
di quanto giunge a maturare come dato reale nella relazione daiuto.
Per reperire un affido ad un bambino in stato di necessità;
per illustrare ad una maestra la condizione familiare di un bambino
che attraversa una difficoltà; per dimostrare ad un amministratore
pubblico la validità di una certa impresa o servizio, in
riferimento ad un certo risultato ottenuto con un caso particolare.
Sono queste alcune delle situazioni in cui, verosimilmente, si può
rendere necessario rivelare alcune conoscenze di un caso che si
sta trattando. E anche nello scrivere si rasenta talvolta la rivelazione
di informazioni riservate; e occorre trovare il modo perché
la descrizione rimanga attinente ai fatti, senza che si configuri
in qualche modo la possibilità di risalire pur minimamente
al soggetto direttamente interessato.
E vero che talvolta vi sono situazioni che è arduo
poter descrivere con delle parole, siano esse esperienze liete o
anche veri e propri drammi umani. Trattando argomenti di lavoro,
inerente alla relazione daiuto e alla terapia psicologica,
è più facile imbattersi comunque in esperienze di
dolore, ma come riferimento assumiamo comunque lesperienza
umana nella sua globalità, con gli aspetti lieti e tristi,
dolorosi e di gioia.
Non cè aspetto dellumana dimensione che si possa
percepire come tale se non in ragione anche del suo complemento.
Dolore e gioia, felicità e tristezza, odio e amore, limpidezza
e oscuramento.
E importante, nel definire la dimensione di un problema, coglierlo
nella complementarietà ad altri aspetti dellesperienza
del soggetto. Non si potrebbe comprendere un problema se non alla
luce di quanto per la persona ha rappresentato, nella sua vita,
quel problema.
Anche fra operatori di servizi diversi è frequente imbattersi
in atteggiamenti di ritrosia a comunicare a dei colleghi problematiche
relative ad un soggetto che si segua entrambi per motivi diversi.
Al consultorio perviene segnalazione dalla scuola per la condizione
di un bambino disadattato socialmente: fa spesso assenze, non corrisponde
impegno nello studio, si coalizza con altri bambini nel realizzare
imprese non confacenti al vivere sociale, quali, ad esempio, dispetti
di una certa gravità ad altri bambini fuori della scuola,
danneggiare dei beni pubblici e altro. Il padre di questo bambino
è a sua volta seguito dal SerT per problemi di tossicodipendenza.
Ebbene, sarà molto improbabile un contatto fra il consultorio
e il SerT per analizzare le due situazioni, che in pratica rappresentano
due aspetti di un unico caso. Gli operatori del SerT, infatti, affermano
di aver ricevuto disposizioni rigidissime sul non interloquire con
alcuno dei casi clinici di loro competenza. Che poi è lo
stesso segreto professionale a cui tutti, come operatori sanitari,
siamo tenuti. Attivarsi in maniera critica rispetto ad un problema
familiare e sociale estremamente complesso richiede di poter disporre
di una rete di contatti fra tutte le figure professionali e le strutture
daiuto che interagiscono con quella situazione: dal servizio
sociale comunale, al consultorio, al SerT, la scuola, il volontariato
sociale, ecc. Ma ciò richiede come indispensabile un superamento
del concetto rigoroso di segreto professionale. Se ogni servizio
o figura ritenesse inconciliabile il comunicare ad altri, compresi
coloro che in altri servizi interagiscono con quel problema, allora
viene meno ogni possibile discorso di sostenere in maniera adeguata
quel carico problematico, e ogni possibilità di imprimergli
eventualmente unimpronta pur minimamente risolutiva.

Rispettare il segreto professionale significa anzitutto interagire
in maniera onesta col problema col quale sinteragisce. Ad
iniziare da come lo si vive con se stessi. Ho visto talvolta qualche
operatore, durante incontri déquipe, che nel parlare
di un problema, nellevidenziare qualche tratto particolarmente
grave sotteso alla situazione narrata, facilmente sorridono.
Ci sarebbe in realtà da piangere per quellevento grave,
ma quel sorriso interviene come meccanismo difensivo, per evitare
un coinvolgimento che potrebbe risultare eccessivamente foriero
dansia. Il sorriso, nel frangente, può apparire una
modalità per sentirsi superiore alla situazione problematica
di cui ci si sta interessando. Guai, forse, se non ci si sentisse
superiori; immedesimarsi in quella situazione potrebbe rappresentare
un annientamento di sé. Ma alla fine questa difesa che si
erge per non farsi invadere dallangoscia potrebbe diventare
lostacolo per una sana e proficua interazione col problema.
Inizia da qui il rispetto del segreto professionale: non sorridere
di un certo problema altrui, parlarne in maniera consapevole, allinterno
di una revisione déquipe.
E poi occorre trovare il modo per iniziare ad aprire degli spiragli
allorquando si affronta fra servizi diversi la stessa situazione,
per uno o più problemi che essa presenta. Occorre sfatare
la convinzione che rispetto del segreto professionale significhi
semplicemente non parlare con nessuno di quanto ci si trova ad affrontare
in quella data situazione. Evidentemente, tale rispetto implica
immediatamente il non parlare di argomenti riservati in ambiti indebiti.
Rispettare il segreto professionale significa anche non utilizzare
argomenti riservati per le relazioni di carattere personale; non
farli cioè diventare usualmente argomenti di conversazione
con dei familiari. Aprire anche qui degli sprazzi esperenziali può
risultare utile ad un ampliamento del confronto su quanto giunge
ad interessarci come dimensione umana nellattività
professionale.
[Esp. - 21] Realtà di immigrati
Fra gli sconvolgimenti attuali che interessano la società
e la famiglia, uno va assumendo unimportanza alquanto rilevante.
E quello attinente alla situazione delle famiglie immigrate.
Abbiamo invitato un bambino di dieci anni, e con lui i suoi genitori,
provenienti dal Marocco. Problemi: varie segnalazioni di atti di
microcriminalità compiuti dal piccolo e la sua inadempienza
scolastica.
Al colloquio vengono la madre e il figlio. Il padre sta in Marocco;
viene in Italia in primavera e ci resta anche in estate. Lautunno
e linverno se ne torna al suo paese natale. Lì ha unaltra
moglie e unaltra famiglia. Non cè da fare affidamento
su un suo coinvolgimento per il problema del figlio. La madre accenna
a questa situazione molto di sfuggita.
Parlo del motivo per cui li abbiamo convocati (cè con
me anche lAssistente sociale, che si era recata in casa per
invitare la famiglia al colloquio). Madre e figlio sembrano cadere
dalle nuvole su quanto vengo loro ad esporre. In realtà emerge
il problema della lingua: a momenti sembrano non capire, ma non
è chiaro se sia un problema di tipo linguistico, ovvero relativo
alla comprensione di talune parole; oppure se è, come a momenti
sembra, un non capire come noi possiamo affermare quelle cose relative
ai comportamenti del bambino, e che in effetti non capiscono perché
per loro non sono attinenti al vero.
Nel cercare di far presenti le segnalazioni che lo riguardano
provenienti sopratutto dai vigili urbani che le hanno raccolte da
alcuni cittadini, e che loro hanno anche verificato , il piccolo
salza e se ne va. Lo chiamo, e vado fuori per raggiungerlo,
ma è svanito.
Non sembra poter nascere alcun discorso. La madre continua a negare
ogni responsabilità del figlio. Lei è costretta ad
alzarsi prestissimo al mattino per andare nei campi; lascia da soli
i suoi quattro figli per tutto il giorno.
Il colloquio non ha molte prospettive; e nel volgere di qualche
raccomandazione generica che rivolgiamo alla madre, a prendersi
maggiormente cura dei suoi figli, si conclude.
Alcune riflessioni di fondo: nel nostro lavoro possiamo aiutare
solo chi desidera essere aiutato. Ci si può imbattere talvolta
in problematiche che hanno come rilevanti aspetti di carattere diverso
da quello che siamo adusi praticare professionalmente, ovvero, in
questo caso, nel prendersi cura di una famiglia ci simbatte
in problemi di ordine diverso da quelli strettamente psicologici
o relazionali, quale ad esempio il problema della microcriminalità:
come connettere insieme gli aspetti che i vari ordini di problemi
implicano?
Sono questi i casi che il più delle volte rimangono senza
soluzione, abbandonati a se stessi, o per i quali si interviene
con linserimento del bambino presso una casa famiglia. Cè
un crescendo di case famiglia per linfanzia che sorgono da
noi. Di fronte allemergenza infanzia sono una soluzione, ma
lo possono essere anche sul lungo periodo?
[Esp. - 25] Squiggle
Lo squiggle scarabocchio Winnicott lo utilizza per
lo studio della psicologia infantile e al contempo come prezioso
veicolo per favorire linterazione nel colloquio terapeutico.
La sua caratteristica attiene essenzialmente alla possibilità
che il terapeuta partecipi a pieno titolo alla creazione del disegno,
insieme allutente, con propri tratti grafici. La creatività
sottesa a tale metodo è veramente notevole. In un suo lavoro,
Winnicott descrive: «Nel mio disegno tracciai la forma di
un bambino sul pavimento domandandomi come Bob avrebbe affrontato
langoscia arcaica associata al cadere per sempre». Egli
cioè porge il suo messaggio attraverso una forma grafica
e offre allutente la possibilità di esternare commenti
e fantasie su quanto osserva, e ancora, di rispondere a quanto osservato
mediante delle figure che aggiunge nello stesso disegno o facendone
un altro.
Winnicott valorizza quindi lopportunità dellinterpretazione
psicoanalitica delle componenti dei disegni degli utenti, comunicandola
nel dialogo, alloccorrenza, o trasformandole in quesiti che
molto spesso diventano a loro volta altri spunti grafici a cui lutente
è chiamato nuovamente a dire la sua con le parole o il disegno.
Ecco il dialogo che cresce, da qui la conoscenza e lopportunità
dellintervento adeguato per sostenere il soggetto per il problema
apportato.
Cogliamo, mediante ciò che affiora alla superficie di un
dialogo, i segni di quanto è nascosto allinterno della
personalità di un soggetto. Occorre perciò vivificarlo
quel dialogo mediante spunti discorsivi a cui può corrispondere
unopportuna risposta. La creatività e la fantasia rappresentano
elementi di notevole trasporto emotivo. Esse vanno adeguatamente
coniugate col dato reale, i racconti di eventi e ricordi, losservazione
dei fatti, ove reale diventa persino il racconto di un sogno.
Ove può nascere il trasporto creativo nella relazione terapeutica?
Allorquando sullo spunto di un racconto onirico o di una creazione
fantastica, quale il disegno, si susciti un ampliamento di quel
dato attuale con lapporto di nuovi elementi fantastici.
In un sogno, un uomo è caduto in una botola. Il ricordo,
di per sé, non contemplerebbe altro. Nel dialogo terapeutico
questo può invece continuare ancora: Cosa può
succedere ora? Tu cosa vorresti far succedere?. Ci potrebbe
essere la salvezza: una porticina o un lume; o, dopo quel primo,
esserci altri precipizi ancora, si potrebbero realizzare degli incontri
o restare in solitudine.
Ad incastro va colta lemozione che scaturisce dallesperienza
apportata: Come stai mentre racconti questa esperienza?.
Cosa provoca in te questo sogno, o fantasia?. In Ggestalt-terapia
tale raccordo va costantemente operato sia sulle esperienze tratte
dal reale che su quelle oniriche e fantastiche. In tal modo si rende
operante il cambiamento, mediante la consapevolezza di quanto avviene
al ricordo-racconto-creazione di un evento.
Altrettanto produttivo, come la narrazione, può risultare
lagire creativo mediante il disegno. Da considerare che questo,
soprattutto con i bambini, risulta uno dei metodi più efficaci
per favorire il dialogo. Ciò perché il bambino tende
costantemente a collocare ogni dato reale sul parapetto fantastico,
facendolo per lo più andar oltre con macchine volanti di
vario genere.
Qui hai trovato le tue grandi paure, i tuoi terribili sogni,
la tua disperazione, il tuo suicidio e lidea che se il diavolo
venisse quando sei sveglio, tu saresti indifeso. Disse: Vado
a vedere, papà? Gli risposi: Sì, ma non rimanere
a lungo. Disse: Sì, per favore.
luciano provenzano
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