E allora noi siamo della stessa
materia di cui sono fatte le
nostre storie, e per noi stessi e per gli altri siamo quello che
in qualche
maniera riusciamo a raccontare.
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Se in principio fu il Verbo, una parola universale, allora tutto
cominciò con un racconto. Quando Egli disse sia fatta la
luce e sia fatto il buio, quando fece le stelle e il sole e la luna,
creò tutto dal nulla come dal nulla si crea tutto in un racconto.
La meraviglia, lo stupore, cominciarono da lì; le verità
e i misteri del cielo e della terra si generarono in quellistante
delleternità, dopo una parola pronunciata in chissà
quale lingua, forse nella lingua della memoria senza tempo, della
finitudine e dellinfinito, quella in cui parlano le cose mute,
uno sguardo daddio o un battito di cuore, quella lingua senza
parole della natura e dellemozione, di una dimensione profonda,
abissale, che forse nessuna ragione e nessuna sapienza riuscirà
mai a scandagliare.
Luomo e la scienza hanno compreso molte cose. Altre restano
incomprese tuttora. Resteranno così per sempre, probabilmente.
Dice Mustafà al figlio Simba nella notte blu della Savana
di cartone nel Re Leone della Disney: lascia che ti
dica una cosa che mio padre disse a me: guarda le stelle, i grandi
re del passato ci guardano da quelle stelle. Perciò quando
ti senti solo ricordati che quei re saranno sempre lì per
guidarti. Così dice il Re Leone.
Forse sono quelle stelle che racchiudono i racconti essenziali che
permettono a ciascuno di essere nel proprio tempo con la coscienza
di unorigine e una speranza ansiosa di eternità.

Stelle come racconti o racconti come stelle lumescenti che guidano
per le strade della notte, quando nessun altro segno indica la direzione
da seguire, quando nessunaltra luce dà conforto del
sentiero, quando il certo e lincerto aggrovigliano i pensieri,
quando uno si distrae al bivio e la rotta si confonde.
Stelle e racconti di marinai. Stelle e racconti di viandanti. Stelle
e racconti di re magi. Racconti e stelle dellinsonnia di uomini,
di donne, di bambini. Simboli inafferrabili, rappresentazioni dellirrappresentabile,
sineddoche del cosmo, desiderio inappagabile di arrivare al cielo,
di capire, di carpire alluniverso i suoi segreti. Oppure più
semplicemente (apparentemente più semplicemente) un tentativo
di scendere dentro la propria storia, nella propria vita, per rintracciare
il senso primordiale, la radice originaria, il lievito essenziale,
per poi dire tutto questo, raccontare a qualcuno (o sempre a se
stesso) tutto questo, o dire che tutto questo non si può
dire, raccontare che non si può raccontare, che resiste ad
ogni assalto di metafora, a qualsiasi seduzione di narrazione. Perché
le parole sono solo fiato, sono solo vapore, perché le parole,
come dice Eliot, si fendono, si spezzano sotto il peso, per la tensione,
incespicano, scivolano, si guastano, marciscono, non vogliono stare
a posto, non vogliono stare ferme, non riescono a rappresentare
la trama sempre più complessa, sempre più intricata
di passato, presente, futuro, ragioni e sentimenti, sogni ed emozioni.
Le storie a cui apparteniamo e che ci appartengono, le loro trame
e i loro intrecci, sono gli elementi che costruiscono la nostra
identità e che ci mettono in relazione con le storie e le
identità di tutte le esistenze che popolano il nostro mondo,
la nostra vita, che ci accompagnano lungo le strade conosciute e
lungo quelle sconosciute.
E allora noi siamo della stessa materia di cui sono fatte le nostre
storie, e per noi stessi e per gli altri siamo quello che in qualche
maniera riusciamo a raccontare.
La grazia indefinibile, a volte di una scrittura è
data dalla forma che lavvolge; anche la disgrazia di una scrittura
può essere causata dalla stessa forma. E una sorta
di destino che si impossessa della scrittura quando essa vuole farsi
espressione darte, quando pretende di tentare gli argini frananti
della perfezione.
La forma non è mai solo costrutto, non è mai solo
ornamento, solo maniera, riverbero di luce che sinfiltra tra
gli oggetti di una soffitta penombrosa.
Non questo, no. La forma è beatitudine ed è dannazione,
allo stesso tempo, in tempi differenti. Talvolta si posa leggera
sulla carta bianca quasi stessa cosa dellombra della mano;
talvolta invece costringe a provare e riprovare, è lossessione
di una sillaba che non sincatena, di un verso che non quadra,
del giro di una frase che non si annoda bene con quella scritta
prima, del ritmo che non viene come una perfetta pulsazione. La
forma appartiene alla indispensabile condizione della ricerca, della
sperimentazione, ma anche a quella forse altrettanto indispensabile
del caso.
La forma è il modo con cui il linguaggio si realizza nella
sua compiutezza. E il linguaggio tenta, con quella disperazione
che è propria di ogni condizione simbolica che vuole stringere
il dicibile e lindicibile del mondo, di ricomporre in unità
la disgregazione di significati o la loro babelica confusione, di
restituire alla parola la pregnanza di senso di cui è stata
deprivata per uso improprio o per abuso.
Così la forma diventa sostanza: materia con cui costruire
universi di possibile riferimento, sistema organico e organizzato,
coerente e coeso entro i limiti del quale e sullo specchio del quale
misurare e confrontare le forme spesso disorganiche, incoerenti
e scomposte dellesperienza dellessere, dellesistere,
del comprendere, dellignorare.
Il contrario della forma consiste nellinforme. E lartista
si oppone allinforme anche a costo del parossismo, dellossessione,
della follia di soffiare nella creta un alito di vita, come fosse
Dio.
Cè unopera di Pirandello che esprime lesplosione
di questa condizione mentale, esistenziale, poetica, etica, innaturale
(ma larte non è natura: è proiezione, mimesi,
distruzione e ricreazione della natura): Diana e la Tuda.
Per rendere irripetibili le forme di una statua di Diana a cui sta
lavorando, Sirio Dossi costringe la modella Tuda allimmobilità
della posa, per ore e ore. Perché una forma di pietra deve
nutrirsi di vita concreta: respiro, voce, angoscia, sudore, amore
soffocato. Per impedire questa mortificazione della carne e del
pensiero di Tuda, il vecchio scultore Nono Giuncano in un istante
di cieca follia uccide Sirio.
Il dualismo di vita e forma, il contrasto tra la bellezza della
natura e larte che pretende di impossessarsene per fare in
modo che quella bellezza non muoia mai, si manifesta nei suoi aspetti
tragici, paradossali, folli.
La scrittura è la stralucenza di uno specchio o è
lopacità di una rifrazione? E acqua di fonte
limpida che riflette lillusione di un Narciso o è il
ristagno di una pozzanghera, uno scorrere torbido che rimanda immagini
confuse di un sé e di un altro da sé che si contrastano,
che combattono per conquistarsi unidentità, anche se
provvisoria, incerta, indefinita?
E il racconto è lunica realtà possibile, la
sola testimonianza certa di un esistere, oppure è la maschera
per la messinscena di una commedia tragica, una costante finzione,
la moltiplicazione di tutte le possibili finzioni?
E poi: il soggetto che scrive, che narra, è lanonimo
copista che trascrive i codici di quella realtà o di quella
finzione oppure è lo spavaldo giocatore che azzarda una rappresentazione
del mondo con carte truccate? E ancora: oppure il trucco sta tutto
nel mondo che pensiamo come concreta esistenza mentre esistono solamente
rappresentazioni di esso che, in quanto rappresentazioni, sono una
mistione di realtà e di finzione, di verità e di menzogna?

Tutto quello che accade, tutto quello che viene e che va, gli amori,
i dolori, i ricordi e i colori delle stagioni, tutte le ansie del
futuro e i resoconti dei sogni e delle azioni, si caricano di un
senso nuovo solo se si trasformano in scrittura, in un universo
generato da un caos di parole, in un racconto di esperienza e di
avventura, di viaggi, di occasioni, di emozioni, di fughe, diserzioni,
di ritorni. Perché nella scrittura tutto o quasi tutto
ritorna: come unombra sul cuore, come una visione del
sogno, come riflessione del pensiero, fantasma del tempo. Le parole
si riprendono i giorni perduti, disorientano il caso, contaminano,
falsificano, richiamano, seducono, illudono, strabiliano, affatturano.
Raccontano verità irrilevanti e inutili, fantastiche finzioni
e indispensabili menzogne che forse aiutano a salvarsi la vita.
Oppure si estraniano, si separano dal mondo, seguono percorsi della
mente che portano al deragliamento del pensiero, sono attratte dai
labirinti della vita, dal groviglio delle passioni, dalle profondità
della memoria, dalle zone dombra della storia.
Forse il motivo delle storie che corrono in ogni narrazione, forse
il motivo dellansia che hanno dentro, tutte le continue domande
che si portano dietro, forse, in fondo, vengono tutte da una sola
ragione, da una pacata ossessione, da una passione per lo svelamento
degli innumerevoli volti che la vita nasconde.
Un giorno o laltro arriva sempre il tempo di fare i conti
con la propria vita. A quattrocchi. Senza finzioni. Senza
mediazioni. Ad armi pari. Evitarlo è difficile, forse impossibile.
Per chiunque. Chi ha una vita impastata di scrittura un giorno o
laltro si ritrova a fare il conto attraverso le parole, la
scrittura. Quel giorno, a quel punto, le parole devono essere assolute,
definitive, essenziali. Quelle parole che sono state favola e mestiere,
sofferenza e fascinazione, a quel punto diventano il macigno di
una confessione, inequivocabili come carta di notaio, precise come
testamento.
La narrazione ha sempre lo sguardo rivolto allindietro. E
un ritorno allesperienza che il tempo ha macinato e trasformato
in conoscenza, in sapienza forse. E la conoscenza, o la sapienza,
possono portare a due cose, solo a due cose: al silenzio o al racconto.
Il percorso non è mai orizzontale; è verticale, interiore,
discende, scava, sprofonda.
La narrazione riavvolge lesistenza, riporta allorigine
ma non ripropone lorigine. Piuttosto la ricostruisce, la riconfigura.
Il motivo o il movente del raccontare è tutto nel tentativo
di coprire una distanza di tempo e di spazio, di gettare un ponte
tra sé e il mondo, tra interno ed esterno, tra la propria
storia e quella degli altri, di ricongiungere esistenze, di maturare
coscienze dei fatti, degli accadimenti, delle storie che si ripetono,
dei destini che si diramano, di ricomporre le fratture, rendere
meno laceranti le lontananze. La memoria si sgomitola nel racconto
con una modalità discontinua, frammentaria, perché
discontinuo e frammentario è il flusso di coscienza.
Non cè non ci può essere mai, forse
una coincidenza del tempo della memoria e del tempo del racconto,
perché il racconto si costituisce come riflesso, come indagine
su quegli oggetti e su quei soggetti che emergono dal fondo, ritornano
e domandano di essere detti, esposti, messi in scena da una identità
narrante che li ritrova, li riconosce e li ricrea.
In questo processo, il pensiero memorante seleziona, rielabora,
distingue la materia da destinare alla narrazione in base alla significatività
emozionale degli eventi. Si chiede quali siano state le creature
e le cose rimaste sulla pelle, nella mente, come una ferita, chi
e cosa abbia dato una direzione diversa alla vita che poi volente
o nolente uno ha dovuto seguire, si chiede chi o cosa lo porta qui,
ora, a narrare.
Queste sono le domande. Mancano le risposte. Perché le risposte
le custodisce tutte il grande libro dellEterno Narratore che
scrive istante per istante le storie di ogni vita.
Noi facciamo solo il lavoro dello scriba.
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