Bisogna che tutti, non solo le
imprese ma anche i cittadini,
recuperino il gusto di orizzonti più ampi, di strategie d’impresa
e di piani di vita che vadano al di là
di un periodo
di pochi mesi.
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Pareri, giudizi, sentenze, divinazioni: tutti si rivolgono agli
economisti chiedendo loro una divinazione qualsiasi, purché
positiva. Al bisogno “tecnico” di impostare la propria
attività sull’arco dell’anno solare, alla voglia
di “fare il punto”, si aggiunge un desiderio scaramantico
di scacciare i demoni dell’incertezza: il pubblico non si
accontenta che gli economisti indossino l’abito dello sciamano
ed estraggano dalla borsa una sfera di cristallo. Pretende anche
che la sfera sia colorata di rosa, anche se, dati i tempi, non può
che trattarsi di un rosa molto pallido.

In realtà gli economisti non conoscono il futuro, non sono
degli sciamani, non dispongono di sfere di cristallo, più
o meno colorate, e, il più delle volte, fanno previsioni
– che preferiscono chiamare proiezioni – solo perché
tirati per i capelli, ben sapendo che sono debolissime. Non è
un caso che organismi internazionali illustri, come Banca Mondiale
e Fondo Monetario Internazionale, abbiano sbagliato alla grande
le loro previsioni degli ultimi 4-5 anni, soprattutto per l’instabilità
del quadro politico mondiale che ha tolto punti fermi sui quali
impostare qualsiasi ragionamento sul futuro.
In realtà, l'economista non si chiede «che cosa succederà?»,
un interrogativo al quale la sua risposta vale all’incirca
quella di un comune mortale, ma «che cosa succederebbe se
non ci fossero imprevisti?». Il suo è un esercizio
di logica, non un vaticinio, esercizio particolarmente faticoso
in anni in cui gli imprevisti sono diventati la regola, e le statistiche
risultano sempre meno buone. Il deterioramento della qualità
delle cifre deriva dal rapido mutamento delle strutture produttive
e degli stili di vita, e dall’estendersi di fenomeni, come
l’economia irregolare e quella criminale, che non si riescono
a misurare in maniera soddisfacente e talvolta anche dal taglio
delle risorse con cui fare indagini serie.
Va aggiunto che, in un quadro economico poco dinamico, com’è
quello attuale dell’economia italiana ed europea, tutte le
previsioni si “schiacciano”, differiscono tra loro di
pochi decimali; e che, data l’imprecisione statistica, prevedere
una crescita del prodotto lordo all’1,2 oppure all’1,5
per cento è praticamente la stessa cosa: significa semplicemente
crescita moderata, appena un po’ sopra la stagnazione.
Il meglio che si può fare è quindi elencare ordinatamente
i fattori di incertezza e provare a formulare qualche ipotesi sugli
effetti che avrà sull’economia italiana un’evoluzione
probabile delle variabili più note, il che non è un
esercizio inutile, visto che l’affanno nazionale sulla legge
finanziaria ci ha indotto a dimenticare fattori ben più importanti
che incideranno sulla crescita italiana.
Assai più che dagli sgravi fiscali e dagli incentivi alle
imprese, infatti, l’andamento dell’economia italiana
dipenderà da tre lontani fattori internazionali che, nell’ordine,
sono la congiuntura cinese, il cambio euro/dollaro, il prezzo del
petrolio. Come dire che, per determinare come andranno le cose in
Italia nel 2005, il premier cinese è importante almeno quanto
il nostro ministro dell’Economia, e l’Opec almeno quanto
i nostri sindacati. Ed è un frutto del nostro provincialismo
che si parli molto del nostro ministro e dei nostri sindacati, e
molto meno del premier cinese e dell’Opec.
L’importanza della congiuntura economica cinese è evidente
se si considera che all’incirca un terzo di tutta la crescita
mondiale del 2004 ha avuto luogo in quello che una volta si chiamava
il Celeste Impero e che proprio la Cina, con il suo dinamismo economico,
è stata il vero motore dell’economia mondiale. Alla
domanda diretta cinese di prodotti si aggiungono cospicui effetti
indiretti, in quanto tutta l’Asia Orientale, Giappone compreso,
ha ricevuto uno stimolo assai importante dalla domanda cinese e
questo stimolo ha coinvolto anche l’Italia che pure deve fare
i conti con gli effetti negativi di un’aumentata concorrenza
asiatica, soprattutto nel settore tessile.
La crescita cinese è destinata a rallentare nel 2005. Rendendo
più caro il costo del denaro, le autorità di Pechino
si sono giustamente preoccupate di ridurre la velocità di
espansione, ora assolutamente folle, e non c’è dubbio
che una simile politica avrà effetti frenanti sulla crescita
mondiale; non sappiamo però né quale sarà l’entità
di un simile rallentamento né quanto peserà sugli
altri Paesi. Si può comunque ritenere che se la riduzione
della crescita si manterrà nell’ordine di 1-2 punti
percentuale – ossia se la crescita del prodotto lordo cinese
passerà dal 10 all’8 per cento circa – non dovremmo
risentirne più di tanto e potremmo anche esser favoriti dall’autolimitazione
delle esportazioni tessili cinesi (proprio per far piacere all’Europa,
Pechino ha imposto dazi alle proprie esportazioni tessili). Se la
crescita dovesse abbassarsi in maniera più sensibile, ne
soffriranno le molte imprese italiane che, dopo un ritardo iniziale,
hanno intrapreso con entusiasmo un’avventura cinese.
Oltre che alle cifre della crescita cinese, l’attenzione italiana
dovrebbe essere rivolta al costo del denaro americano, previsto
in graduale ma sensibile risalita nel corso del 2005. Tale risalita
dovrebbe per lo meno frenare la caduta del dollaro e dare un po’
di fiato a un euro troppo alto che taglia le ali agli esportatori
italiani, e non solo a quelli che esportano verso l’America
ma a tutti quelli che si trovano in concorrenza con Paesi le cui
produzioni sono espresse in dollari. Certo, con il denaro più
caro, gli Stati Uniti dovrebbero crescere meno, ma si può
ritenere che questo freno sia più che compensato dagli effetti
espansivi sulle esportazioni negli Usa e altrove. Si può
ritenere che una stabilizzazione del cambio al livello di 1,3 dollari
per un euro rappresenterebbe un livello ottimale.

Infine, il prezzo del petrolio. La condizione migliore per l’Italia
e per tutta l’Europa sarebbe quella in cui, dopo le fiammate
speculative degli scorsi mesi, esso si assestasse tra i 35 e i 40
dollari al barile. A questo prezzo, i Paesi produttori sono in grado
di aumentare consumi e investimenti e quindi la loro domanda di
prodotti italiani segnerà una buona crescita e, al tempo
stesso, gli effetti frenanti del caro-petrolio risultano sopportabili.

Crescita cinese all’8 per cento, euro a 1,3 dollari, petrolio
a 35-40 dollari: ecco tre cifre di riferimento che il lettore potrà
usare nel corso del 2005 per un sommario esame delle condizioni
esterne dell’economia italiana. Se la prima cifra si dovesse
abbassare e le altre due dovessero alzarsi sensibilmente, il lettore
saprà che siamo fuori rotta; solo se invece ci sarà
buon vento e queste “stelle polari” rimarranno nei limiti
indicati, le misure previste dalla legge finanziaria avranno veramente
rilevanza.
Come sappiamo, queste misure non sono le migliori possibili per
stimolare la crescita, in quanto sarebbe stato a breve termine più
efficace aumentare la spesa pubblica anziché ridurre le imposte
e, in subordine, ridurre le imposte prevalentemente per i contribuenti
delle fasce basse di reddito. Questo discostarsi delle scelte ottimali
di breve periodo è il risultato di una precisa decisione
politica; all’economista non rimane che prenderne atto e registrare
la probabilità che da quella legge finanziaria derivi comunque
uno stimolo all’espansione, anche se più modesto di
quello che altrimenti si sarebbe potuto ottenere.
Tutto questo lungo discorso ci porta alle conclusioni, generalmente
condivise, di una crescita compresa nel 2005 tra l’1 (o forse
l’1,2; ma, come spiegato sopra, quest’accanimento sui
decimali non è significativo) e l’1,5 per cento, con
la possibilità di un profilo in moderata salita nel corso
dell’anno dal tasso annuo dello 0,8-1 per cento del primo
trimestre a quello dell’1,8-2,2 dell’ultimo trimestre.
Un simile scenario è vulnerabile, oltre che al discostarsi
delle variabili estere dai livelli sopra indicati, anche a due evoluzioni
interne: l’andamento della finanza locale e la tenuta del
sistema delle imprese.
La legge finanziaria, infatti, scarica una parte delle proprie tensioni
sugli enti locali e scommette quindi sulla loro capacità
di contenere la spesa (strutturalmente crescente a tassi piuttosto
elevati) senza ridurre eccessivamente la qualità dei servizi
resi ai cittadini. Se tale scommessa dovesse essere persa, gli equilibri
della legge finanziaria sarebbero rimessi in discussione; l’area
più sensibile è rappresentata dalla spesa sanitaria,
dove l’effetto dei tagli sarebbe più immediatamente
percepito dal cittadino-utente. Le amministrazioni locali, quindi,
devono “tenere”, ossia impostare in modo nuovo la propria
attività.
Contemporaneamente devono “tenere” anche le imprese,
sottoposte alle tensioni del caro-euro e del basso costo delle importazioni
dai Paesi emergenti. E’ interessante notare, a questo proposito,
che quasi tutti i grandi gruppi italiani pubblici e privati hanno
effettuato nel corso del 2004 manovre incisive di ristrutturazione,
fusione, rinnovo dei vertici e delle strategie. Vedremo nel 2005
se queste operazioni porteranno davvero frutto.
In conclusione, più che la quantità della crescita,
comunque scarsa, conterà la qualità: la salita del
prodotto lordo potrà infatti derivare in maniera prevalente
da un “rimbalzo” congiunturale oppure dall’inizio
di un cambiamento strutturale, dal tentativo di risolvere davvero,
sia a livello pubblico sia a livello privato, i nodi dei trasporti
e dell’energia, dell’istruzione e della ricerca. E bisogna
che tutti, non solo le imprese ma anche i cittadini, recuperino
il gusto di orizzonti più ampi, di strategie d’impresa
e di piani di vita che vadano al di là di un periodo di pochi
mesi.
E così la proiezione-previsione rischia di trasformarsi in
predica-speranza. Tanto vale allora chiuderla con una citazione
di Leopardi che, nel Dialogo di un venditore di almanacchi e
di un passeggero, afferma in maniera ironica: «... il
caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male... Coll’anno
nuovo, il caso comincerà a trattar bene voi e me e tutti
gli altri, e si principierà la vita felice».
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