La percezione
dell’Islam da parte dell’Occidente
rassomiglia alla vista di un iceberg da parte di un esploratore
polare.
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Il Vertice euro-mediterraneo ha commemorato l’anniversario
del Processo di Barcellona, a oltre un decennio da quel memorabile
avvenimento. Si è trattato di un summit che è servito
in particolar modo a delineare le grandi linee di azione per il
nuovo decennio, e ad organizzare una più valida cooperazione
tra le due rive del mare comune. Una prospettiva che guarda ad alcune
esigenze, già programmate nel 1995, ma mai giunte al traguardo;
e che mirano a salvare e ad applicare l’idea di una zona di
libero scambio, all’interno dello spazio euro-mediterraneo,
in una nuova scadenza datata 2010.
Una deadline abbastanza ravvicinata, questa, ma che si propone di
trasformare le aspettative sino ad oggi formulate in obiettivi e
realtà tangibili per un Barcellona 2. Questo, nonostante
le incognite del presente e il mutato contesto storico, politico
e sociale degli ultimi anni, contraddistinto da un complesso avvicendarsi
dei fattori di instabilità. Potrei associare le nuove sfide
a tre risposte, la prima delle quali riprende un vecchio adagio:
Euro-mediterraneo, un ponte che unisce o un muro che divide? Una
risposta di natura non meramente retorica. Ma che risulta drammaticamente
accentuata e rinnovata con il fallimento dei piani di lotta all’immigrazione
clandestina, con l’aggravarsi dei divari economico-sociali,
e con l’inadeguatezza dei due principali modelli di integrazione:
quello “comunitarista” di tipo anglosassone, e quello
“repubblicano” di tipo francese; così come dimostrano
paradossalmente gli attentati di Londra e la complessa vicenda della
banlieue parigina.
La seconda soluzione la si può individuare nello scontro
tra un esasperato “ripiego identitario” e lo “choc
della modernità”, la presa di coscienza di una realtà
trasformata a livello antropologico, culturale e politico.
Il terrorismo è un surrogato estremo e malvagio di questo
contrasto, a sua volta aggravato da una terza scelta, quest’ultima
rappresentata dal trionfo mondiale della globalizzazione e da un
liberismo senza regole che genera nuovi modelli economici e sociali,
particolarmente ardui da applicare, e la cui buona riuscita risulta
difficile persino per i Paesi ricchi della riva nord.
Nonostante i dinieghi dell’uno e dell’altro, lo spazio
euro-mediterraneo non potrà fare a meno di effettuare una
scelta tra la predica ormai universale di Samuel Huntington, quel
clash di civiltà, e la costruzione, seppur difficile, di
un vero e proprio dialogo tra culture, basato sul pieno riconoscimento
dell’altro nella sua diversità, non come un’estraneità
che mette paura, ma come una diversità desiderata in quanto
fonte di arricchimento. Uno “scontro di civiltà”,
mi preme precisare, che si rapporta ad una sola minoranza estremista
piuttosto che alla maggioranza normativa. Il contrasto esiste tra
alcuni gruppi sociali, e non tra le società nel loro insieme.
La percezione dell’Islam da parte dell’Occidente rassomiglia
alla vista di un iceberg da parte di un esploratore polare. La parte
visibile è solo una percentuale ridottissima dell’insieme
sommerso. Mentre la parte eruttiva, violenta e spettacolare, è
quella spesso enfatizzata dai media.
Certamente, nessuno vuole negare, né tanto meno minimizzare
una realtà talvolta cruenta. Ma come possiamo ridurre il
senso della mediterraneità, della sua fede, della cultura
e delle sue popolazioni che superano il miliardo di individui, solo
ad una visione così frammentata e quanto meno incompleta?
Oggi più che mai la società civile deve intervenire
per apportare il proprio contributo, e delineare l’orizzonte
dei prossimi dieci anni del Processo di Barcellona. Con l’avvio
di una serie di iniziative articolate sotto forma di riflessioni
e di azioni di natura politica, economica, scientifica e culturale,
con l’adozione di un sistema di partenariato e con l’intento
di unire la riflessione all’azione per ottenere il più
forte effetto moltiplicatore. L’Osservatorio del Mediterraneo,
in stretto e continuo coordinamento con le istituzioni nazionali
ed europee, si propone di contribuire all’impegno generale
che la società civile delle due rive del Mediterraneo deve
continuare a prodigare, ai fini dell’evoluzione del concetto
stesso di cooperazione: dall’assistenza al partenariato, e
dal partenariato allo sviluppo comune.

Concretamente, tutto questo si traduce, nei prossimi mesi, nell’idea
di riunire una volta all’anno un Parlamento Euro-mediterraneo
dei Giovani, come annunciato nel corso della Convenzione ufficiale
della Fondazione: un Parlamento sui generis, tutto giovanile, per
studiare insieme ai ragazzi del bacino l’insegnamento congiunto
della prassi democratica, così necessaria per lo sviluppo
armonioso delle nostre società, desiderose di ridurre le
incrinature che oscurano il nostro orizzonte.
Abbiamo dieci anni a nostra disposizione per far sbocciare i fiori
della nostra riaffermata solidarietà. Teniamoci pronti per
l’appuntamento del futuro.
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