A Finibusterrae
si recano pellegrini in un mattino
di marzo; ancora aspettano il
miraggio delle
mutate di cielo per conoscere i destini che saranno.
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Finibusterrae è terra del rimorso: del passato che non fu
scelto, che «torna e rigurgita e opprime col suo rigurgito»,
del ballo che sfrena, che ossessiona, del rito che guarisce, che
arrovella.
Alla fine del suo viaggio nella Terra del Rimorso, Ernesto De Martino
marcava il senso di confine o di ultima Thule che «imprime
nellanimo del visitatore» la terra salentina con le
sue memorie, «ultimo lembo dItalia che corre verso le
asprezze del Capo di S. Maria di Leuca, verso il Santuario nel quale
si raccoglievano i Crociati in preghiera o riparava la folla allo
sbarco dei Saraceni».
Diceva ancora: «Per quasi nove secoli lincubo che veniva
dal mare gravò sugli animi, e ne lasciò traccia nelle
mutate di cielo, cioè in un ricorrente miraggio
per cui tra Otranto e il Monte Gargano gli abitanti della costa
vedevano a specchio nelle nuvole lavvicinarsi della flotta
turca».
Così De Martino rivelava unulteriore condizione di
Finibusterrae, un senso che si manifesta lungo il tracciato del
confine tra la terra e il mare: la conoscenza attraverso il fenomeno
del riflesso, lesperienza del miraggio che prefigura una realtà.
La leggerezza delle nuvole che si fa carico del dolore della storia.
Lo specchio del cielo che riflette il drammatico movimento che accade
sul mare.
La terra che attende quello che sul mare matura e il cielo proietta.
Luomo quello che arriva dal mare e che è annunciato
dal cielo.
Ma perché possa accadere la proiezione della Storia nello
speculum del cielo, occorrono nuvole chiare, nuvole trasparenti;
il cielo scuro, denso, impedisce il rispecchiamento, non permette
il delinearsi delle forme del disegno; il cielo nero preclude la
profezia del destino.
Allora a Finibusterrae regna un tempo alterato, che non è
presente e non è passato; è una costante condizione
di prefigurazione, di premonizione.
A Finibusterrae il tempo è un prolungato presagio.
Il vicino e il lontano, il presente e il futuro, si congiungono
nellastrazione del cielo, nella rappresentazione che le nuvole
fanno di un accadere nella realtà.
Finibusterrae conosce il futuro attraverso la ricorrenza di un miraggio.
Forse è il privilegio o la sventura che appartiene
alla posizione della costa, che consente allo sguardo di scontornare
il paesaggio, di oltrepassare la misura, di possedere con una sola
visione cielo terra mare, senza la discontinuità delle azioni,
senza il mutamento della posizione, senza la frattura dei tempi.
Delle mutazioni o mutate, di apparizioni
di città, castelli e torri, di sembianze o idoli di altre
cose che si manifestavano dal nulla, aveva già parlato, con
dovizia di scienza e disincantato argomentare, Antonio Galateo nel
De situ Iapygiae.
Poi Girolamo Marciano ne riprese il tema nel suo poderoso studio
intitolato Descrizione, origini e successi della Provincia dOtranto.
Anche Marciano riferiva dicerie di visioni, di forme di fantasmi
e di apparenze che si producono da vapori, da diverse misture di
esalazioni.
Ma è Antonio Galateo che analizzando questi fenomeni riesce
a disvelare la natura di Finibusterrae. Dice: «I fenomeni
ottici del tipo a cui ho accennato spesso fuorviano il senso visivo
del viandante, il quale ritiene di essere vicinissimo alla città,
mentre in realtà ne è assai lontano».
Ancora una volta Finibusterrae appare come luogo della probabilità
ma non della certezza, della parvenza, dellillusione ottica,
delloscillazione tra levento di unapparizione
e quello di una sparizione, del disorientamento, della distanza
incalcolabile e della vicinanza fantastica.
Si diceva: Finibusterrae è il luogo dove non si arriva mai.
Perché Finibusterrae si slarga, si prolunga, si divide tra
fisicità e poeticità, tra coordinate geografiche e
direzioni fantastiche. Finibusterrae, allora, annulla le distanze,
ripristina una reciprocità tra conoscenza e natura.
A Finibusterrae diventa possibile il ritorno quasi a quella primitiva
«sapienza poetica» di cui parlava Giambattista Vico:
quella conoscenza per intuizione, meraviglia, stupore, fascinazione,
sbalordimento.

Allora Finibusterrae è un luogo del mito. Che come ogni
mito ha dentro di sé una forza capace di rigenerare costantemente
quelle stesse immagini che lo hanno generato.
Come ogni mito, esiste in quanto e fin quando riesce a provocare
una fantasia, una riscrittura, uninterpretazione ulteriore,
a muovere lintelligenza dellemozione, a sottrarsi alla
mannaia del tempo, a restare lontano dagli scenari che il tempo
disegna.
Come ogni mito, Finibusterrae si affranca dalla realtà. La
sua esistenza la sua sopravvivenza è dovuta
a questo affrancamento, alla lontananza dal tempo presente che la
rende sfumata, evanescente, leggibile senza essere mai completamente
decodificata, narrabile senza essere mai completamente svelata da
un racconto.
Perché, fisiologicamente, lettura e narrazione si arrestano
al punto dove di Finibusterrae si comincia a intravedere una forma
concreta, una sostanza che contrasta con lidea elaborata letterariamente.
La lettura e la narrazione di Finibusterrae ignorano intenzionalmente
tutto quello che intorno e dentro il territorio del mito può
minacciare i suoi caratteri e le sue figure.
Lungo i confini di Finibusterrae si alza un diaframma che la separa
e la difende dalle contaminazioni esterne, dalle corrosioni dei
mutamenti prodotti da miti stagionali e intrugli folcloristici.
Finibusterrae è una torre innalzata da una finzione, che
dalla sua sommità osserva il brulicare e lavvicendarsi
delle espressioni che appartengono al reale e che, a causa di questa
appartenenza, sono destinate a sparire e (spesso) a non lasciare
memoria.
Perché (spesso) delle cose reali paesaggi, uomini,
fatti non resta memoria; talvolta restano tracce, ma non
sempre una traccia si carica della valenza semantica di una memoria.
Forse si potrebbe dire che Finibusterrae ha la stessa conformazione
dellItaca di Omero, della Venezia di Thomas Mann. Si potrebbe
dire, probabilmente, ma sarebbe approssimativo.
Oppure si potrebbe dire che la sua natura è la stessa dei
luoghi fantastici di Italo Calvino, che tra le città invisibili
progettate e costruite con le parole manca Finibusterrae.

Anche questo si potrebbe dire; anche questo sarebbe approssimativo.
Poi ci sono tre versi di Dino Campana che sembrano rappresentare
plasticamente forse anche per la suggestione motivata dal
cromatismo di un aggettivo quel luogo che noi qui identifichiamo
come Finibusterrae: «In una baia tranquilla e profonda assai
più del cielo notturno / noi vedemmo sorgere nella luce incantata
/ una bianca città addormentata».
Ma i versi del ragazzo di Marradi non dicono di Leuca; dicono di
Montevideo: un altro luogo di scrittura che in quanto tale somiglia
a qualsiasi altro luogo di scrittura. (Lo avrebbe detto Borges che
Montevideo «si ascolta come un verso»).
Ancora unapprossimazione, dunque.
Perché probabilmente Finibusterrae è sempre soltanto
unapprossimazione: un costante avvicinarsi ad un luogo di
parole che rappresenta la condizione della leggerezza e della profondità,
dellopacità e della rilucenza, dellepifania e
del dissolvimento, dellimmutabilità e della mutevolezza,
del mythos e del logos, dellestremità e del punto di
confluenza.
Finibusterrae interseca la direzione semantica che traduce la condizione
di estremità con quella che conduce alla congiunzione di
elementi, rappresentando, ad un tempo solo, la fine, il confine,
il limite, il margine, il bordo e lapertura di ciascuno degli
elementi verso gli altri, la contaminazione, linterrelazione,
il completamento.
Come ogni luogo del mito, Finibusterrae richiama esistenze: storie
che sono anchesse confluenza di passioni e contrasti, confronti
fra realtà e fantasia, sovrapposizioni di occasioni e stagioni,
passaggio dal passato al futuro attraverso il limitare del presente
che si manifesta nella contraddizione tra la ferita di una conclusione
e il desiderio di una prosecuzione del viaggio.
Ancora una volta Finibusterrae congiunge mythos e pathos, limmaginario
poetico con la poetica di unesistenza, lartificio dellespressione
di una scrittura con lavventura della sospensione tra lincognita
del mare e la certezza della terraferma.
Ancora a Finibusterrae si recano pellegrini in un mattino di marzo;
ancora aspettano il miraggio delle mutate di cielo per conoscere
i destini che saranno.
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