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In uno dei giorni non lontani in cui era first lady,
la signora Franca in Ciampi aveva osato dire: «La gente del
Sud è più buona e più intelligente».
E subito lallora ministro leghista Calderoli, bergamasco chirurgo
maxillofacciale, le aveva dato della razzista, perché Frau
Ciampi avrebbe lasciato intendere che la gente del Nord è
per lo meno cattiva e scema. Altra colpa grave della signora, lavere
usato per ben due volte più, seguito da aggettivo.
Calderoli avrà immediatamente pensato: sono due comparativi
di maggioranza, dunque la first lady aveva messo a confronto
due gruppi, la gente del Sud e quella del Nord; dopo di che, avrebbe
collocato il primo gruppo sugli altari, e il secondo nella polvere
(qualcuno giunge perfidamente a dire: di polenta).
Ma pensava davvero, costei, alla gente del Nord? Ce laveva
in qualche modo con i padani? Certo, era abituata a stare a Roma
e a Livorno, che è la città del marito. Poi era andata
a Napoli in vacanza, e aveva visto che laggiù sono «più
buoni e più intelligenti», tacendo il secondo termine
di paragone, che sarà stato magari qualcosa come: rispetto
ai romani e ai livornesi.
Allora, che cosa centrava il Nord? Nulla, come al solito.
Il fatto è, a dirla tutta, che i leghisti non si rassegnano
di fronte alla realtà nuda e cruda, secondo la quale anche
le radici del Settentrione sono romane. Infatti, esso trae origine
dallespressione latina Septem triones: indicava
i sette buoi da lavoro (triones) con cui si identificavano
le sette stelle dellOrsa, cioè la costellazione che
indica il Nord. Da Septem triones è derivato
un aggettivo che in italiano ha preso la forma settentrionale.

Il latino aveva anche laggettivo meridionalis.
Era un derivato di meridies, che significava mezzogiorno:
veniva infatti dallincontro di medium con dies;
la prima d era poi divenuta r, per dissimilazione.
In italiano laggettivo è rimasto quasi uguale. Invece
meridies è continuato da meriggio,
che si usa raramente: si preferisce mezzogiorno, che
ripropone, aggiornata, la struttura originaria della voce latina.
In questa situazione, meridionale si sentiva discriminato:
cera la coppia settentrionale-settentrione, che
andava benone. La lingua trovò allora la soluzione: per analogia
con la coppia rivale, si creò il sostantivo meridione.
Questo sostantivo è dunque sorto per imitazione di settentrione,
che a sua volta deriva ripetiamo dal latino, lingua
di Roma.
La prima attestazione di meridionale è nel Vocabolario
di cinque mila vocaboli toschi del napoletano Fabrizio Luna, pubblicato
nel 1536. Il termine si trova solo nella prefazione, là dove
si elencano i punti cardinali: Levante, ponente, settentrione
e meridione. Secondo Aldo Gabrielli, si tratta di un vocabolo
di uso dialettale meridionale, rimasto per secoli nelluso
locale e diffusosi in tutta la Penisola dopo lunificazione,
«attraverso le scritture dei burocrati, e ripreso poi nelle
cronache dei giornalisti».

Ai puristi questa parola dispiaceva: preferivano Mezzogiorno.
Oggi, però, Meridione è accettato senza
riserve nei vocabolari. Tuttavia, i politici pare restino affezionati
alla purezza (ovviamente, della lingua): si parla di interventi
straordinari per il Mezzogiorno, e non per il
Meridione. Nel lessico presidenziale, invece, il Mezzogiorno
e il Meridione subiscono la concorrenza di Sud,
che la stessa signora Ciampi si era compiaciuta di impiegare. Chissà:
forse anche per fare un bel dispetto al marito livornese!
Livorno, appunto. Città assurta agli onori delle cronache,
(comprese quelle calcistiche), non solo fino a che Ciampi rimase
al Quirinale, ma oltre, per una polemica che la dice lunga sui luoghi
comuni che farciscono storie patrie e storie letterarie del cosiddetto
Bel Paese.
Ultima vicenda nota: in una commemorazione di Carlo Coccioli, fatta
da Mario Fortunato sul quotidiano La Stampa, si legge
che lo scrittore, emigrato da gran tempo in Messico, e saltuariamente
presente in Italia, «era livornese e per niente italiano».
E qualcuno, insieme con noi, si è sentito in dovere di chiedersi
che cosa possa mai significare essere livornesi e non essere italiani,
e che qualità abbiano mai i livornesi che sono fuori dalla
portata di chi è nato, ad esempio, in Messapia o nella Calabria
Ulteriore, a Girgenti o in Maremma, in Val di Sangro o in quel di
Chioggia, in Brianza piuttosto che nelle Langhe o nella Riviera
di Ponente... E, per contro, quali mai sono gli orrendi difetti
del restante popolo italico, da cui i soli livornesi sarebbero immuni.
Insomma: chi sono i livornesi, e chi sono gli italiani? (Domanda
che Sebastiano Vassalli trova ardua, e non priva di risvolti metafisici).
Il marito della signora Franca, cioè lex presidente
Carlo Azeglio Ciampi, ora senatore a vita, che è nato a Livorno,
e in quanto Capo di Stato e primo cittadino di questa Repubblica
aveva accettato di rappresentare tutti gli italiani anche allestero,
si sarebbe dovuto sentire una sorta di traditore della patria livornese
solo perché non era andato a vivere nel Messico e, oltre
che in italiano, non aveva scritto, come faceva Coccioli, anche
in francese e in spagnolo? E gli italiani che non sono nati a Livorno
non potranno mai aspirare a vivere almeno un metro sopra il limo
dei luoghi comuni che li affliggono, primo fra tutti quello del
localismo più becero e insensato?
(Recenti di cronaca: un ex ministro leghista ha scoperto che della
squadra italiana che ha vinto i campionati di calcio del mondo facevano
parte, purtroppo, dei «meridionali bravi», come Gattuso,
e addirittura il capitano della comitiva azzurra, Cannavaro! E ha
dovuto prendere atto che anche altri campioni, come Totti o Materazzi
o Grosso, proprio padani non erano, e che altri ancora un po
di sangue contaminato da avi di varia origine e di eccentrica etnia
regionale ce lavevano incorporato da una o due generazioni
di emigrati. Deduzione: niente Va pensiero, inno
adottato dalle tribù leghiste, ma lestraneo Fratelli
dItalia, che può accomunare tutti, meno gli adoratori
del dio Po e i seguaci delle orde di Obelix-Vercingetorige. Avrebbe
detto Totò, napoletano verace e cittadino del mondo: «Ma
mi faccia il piacere!»).
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