I Paesi più lenti sono quelli
con un apparato
burocratico più
sviluppato e con
la legislazione più incisiva di tutela
del posto di lavoro.
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Quale sistema economico è in grado di garantire meglio i
beni primari e la qualità della vita? Senza alcun dubbio,
il sistema capitalistico, che tuttavia in certi Paesi (ad esempio
in Italia, in Germania, in Austria) presenta caratteri di corporativismo
e di scarsa flessibilità che ne frenano le capacità
di stare al passo con le grandi svolte globali, come londa
di innovazione tecnologica degli ultimi anni. Tra le ripercussioni
negative, una produttività più bassa e un tasso di
disoccupazione più alto.
La qualità della vita lavorativa di una persona è
dimportanza fondamentale. La gente ha bisogno di un coinvolgimento
intellettivo e di unoccupazione stabile per rilevare il proprio
talento, per sfruttare appieno le proprie capacità e per
essere stimolata da nuovi problemi da risolvere. Vuole quella crescita
interiore che deriva dal lavoro a contatto con gli altri. E per
molti è importante unattività economica che
li faccia sentire nel cuore dello sviluppo sociale. Non ultima,
viene una buona remunerazione del proprio lavoro. Per questi motivi,
non solo la disponibilità, ma anche la qualità dei
posti di lavoro in un Paese, così come il livello dei salari
e quindi la produttività, sono tra i beni primari dellesistenza.

Questo porta a un problema di fondo: quali strutture istituzionali
economiche possono meglio garantire questi beni primari? In altre
parole, il capitalismo è il sistema migliore dal punto di
vista dei lavoratori? Negli anni Cinquanta, quando ero studente
di Economia, ci si poteva porre questa domanda. Il capitalismo era
ritenuto superiore, anche se non nettamente, al comunismo e al fascismo.
Il capitalismo stimolava la produttività, ma era più
instabile; alcuni Paesi potevano rifiutarsi di adottarlo, e qualcuno
dubitava che fosse un sistema più dinamico. Milton Friedman
difendeva il capitalismo come indispensabile per assicurare anche
le libertà politiche. Henry Wallich scriveva che le economie
comuniste potevano tenere il passo, ma che le libertà individuali
offerte dal capitalismo erano senza prezzo.
In ogni caso, prima degli anni Novanta è diventato chiaro
il fallimento delle economie comuniste e a socialismo di mercato
nellEuropa centro-orientale. In quegli anni, lavorando alla
Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, sono partito dallipotesi
che la diffusione della proprietà privata andasse di pari
passo con laumento della produttività, ipotesi poi
confermata dallanalisi incrociata di 40 economie nazionali.
Ma non basta la proprietà privata, sono fondamentali anche
le istituzioni economiche di base e il livello dei beni primari
che forniscono. È importante, anzi cruciale, vedere come
i proprietari possono utilizzare le loro disponibilità.
Un fattore chiave, ad esempio, è la libertà per il
capitale privato di entrare o uscire da unindustria, senza
particolari vincoli da parte dello Stato. Un altro è il diritto
degli azionisti di estromettere il management inadeguato. In generale,
in un sistema capitalistico ben funzionante gli imprenditori devono
avere accesso al capitale di rischio, e questultimo necessita
di un mercato azionario ben sviluppato. Agli imprenditori vanno
affiancati manager qualificati, che a loro volta hanno bisogno di
una formazione adeguata.
A metà degli anni Novanta ho iniziato ad analizzare le istituzioni
economiche caratteristiche dellItalia e di altri Stati dellEuropa
occidentale, come la Germania e lAustria. Questi Paesi presentano
sistemi economici relativamente bloccati, con alcune grandi società
e forti sindacati, con Governi interventisti e rapporti stretti
con grandi banche, un sistema che ho definito corporativismo.
Le economie molto corporative mostrano elevati costi di entrata
e di uscita nei vari settori. Naturalmente, ogni economia di mercato
è un insieme di istituzioni, alcune genuinamente capitaliste,
e altre più corporative. E le distinzioni a volte non sono
così nette: un sistema molto capitalista può anche
presentare un esteso apparato di welfare e necessita allora di regole
per mantenere un buon funzionamento; e uneconomia molto corporativa
può anche avere una scarsa inclinazione per elevate spese
sociali.
Ma quali sono le istituzioni in grado di fornire meglio i beni primari,
e quali invece le peggiori? In Italia, almeno in passato, lelevata
disoccupazione e la scarsa partecipazione della forza lavoro sono
derivate dallassenza di alcune istituzioni capitalistiche
e dalla presenza di altre più corporative, con un conseguente
abbassamento della produttività e una minore creazione di
buoni posti di lavoro.
Questo ha frenato la diffusione della straordinaria esperienza che
ha caratterizzato la seconda metà degli anni Novanta: il
boom di investimenti strutturali creato dallesplosione di
Internet e dalle parallele innovazioni nellindustria delle
telecomunicazioni. Un fenomeno di queste proporzioni non si verificava
dagli anni Venti negli Stati Uniti e dagli ultimi decenni dellOttocento
in Europa. Loccupazione e la produttività hanno ricevuto
una forte spinta, senza alimentare linflazione.
Il boom degli investimenti ha coinvolto soprattutto alcune economie,
inizialmente Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Canada, poi Olanda
e Svezia, mentre ha avuto molte più difficoltà a diffondersi
in Paesi come Germania, Italia, Francia, Belgio, Spagna e Austria.
La prima impressione è che le economie più dinamiche
e con le istituzioni più adeguate siano anche quelle più
capitalistiche, mentre le altre sarebbero state frenate dal corporativismo.
Una conferma viene da unanalisi comparata di 12 Paesi dellOcse,
tra i quali i più lenti sono quelli con un apparato burocratico
più sviluppato e con la legislazione più incisiva
di tutela del posto di lavoro.
Un altro indice è dato dallo sviluppo della Borsa, essenziale
per la raccolta del capitale di rischio e per il finanziamento delle
imprese start-up. In generale, i Paesi a forte crescita hanno una
capitalizzazione di Borsa elevata in rapporto al Prodotto interno
lordo.
Inoltre, sono anche quelli in testa alle classifiche dellistruzione
universitaria, fattore chiave per la preparazione dei manager. Naturalmente,
un altro discorso andrebbe poi fatto su come, e in quanto tempo
i Paesi meno dinamici riescono a colmare il gap iniziale, e anche
qui il ruolo fondamentale è il tipo di struttura economica,
più o meno capitalistico o corporativo.
Si apre, in ogni caso, una fase molto stimolante degli studi economici,
in cui il centro dellanalisi si sposta dal comportamento dei
vari mercati allinfluenza delle istituzioni economiche sul
business. Un po come la differenza che passa tra Ricardo e
Schumpeter.
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