I rischi maggiori non li corrono
gli Stati Uniti,
ma lEuropa
occidentale,
che è ormai sede stabile di una vasta comunità musulmana
in
rapido aumento.
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Bernard Lewis è senza dubbio il maggiore studioso del Vicino
Oriente e della religione islamica. Di recente ha pubblicato The
Crisis of Islam, edizione che ha ampliato un lungo saggio già
apparso sulla rivista americana New Yorker. Lautore spiega
in modo sintetico quali sono i motivi per cui gli estremisti islamici
si propongono di distruggere il nostro modo di vivere, che ritengono
offensivo dei princìpi fondamentali, morali e religiosi,
propri delluomo. Identificandoci con Satana, dunque con lanti-Dio,
siamo oggetto di conquista dellIslam o, in alternativa, oggetto
di distruzione, di assoggettamento militare e di dominio finalizzato
alla purificazione, che ovviamente è proiezione dello stile
di vita islamico.
Intanto, lIslam si considera unico depositario della verità
di Dio. La divinità stessa ha affidato allIslam il
compito preciso di diffondere la sua parola scritta nel Corano
tra gli infedeli. È tutto qui il significato del termine
jihad: sforzo di conquista spirituale, predicazione,
tensione verso il proprio e laltrui miglioramento; ed è
qui anche lequivoco interpretativo dello stesso termine, inteso
come spinta bellica, conquista con le armi di uomini e terre che
non intendano assoggettarsi allIslam.
È stata in particolare questa comunità islamica a
subire una serie di sconfitte sia militari che politiche. A partire
dallazione del XV secolo (la reconquista, lespulsione
dei mori dalla Spagna) fino al più recente colonialismo,
passando per le disastrose disfatte di Lepanto e sotto le mura di
Vienna, considerata la porta dingresso verso lEuropa.
Nelletà medioevale la civiltà islamica era la
più opulenta, la più creativa e la più potente
del mondo. Questo grande passato, questa sorta di età delloro
è ancora oggi rimpianta. Nei Paesi musulmani è ancora
viva la memoria del Califfato arabo, nelle diverse successioni dinastiche
persiane, siriane, ottomane.

Limperialismo europeo dei secoli XIX e XX ha portato alla
successiva spartizione del mondo arabo e turco (o turcofono). Algeria,
Tunisia e Marocco erano francesi. Egitto e aree del Golfo Persico
erano inglesi. Quando si concluse la prima Guerra mondiale non caddero
soltanto lImpero Germanico e quello Austro-Ungarico, ma anche
quello Ottomano: sicché Siria e Libano vennero amministrati
dalla Francia, mentre la Palestina toccò alla Gran Bretagna.
Scrive Lewis che limperialismo europeo portò anche
frutti positivi: Egitto e Algeria, ad esempio, hanno goduto non
solo di infrastrutture civili, di servizi pubblici e di sistemi
educativi, ma anche di mutamenti sociali come limmediata abolizione
della schiavitù, che in Arabia Saudita, Paese che non aveva
mai perso lindipendenza, sarebbe stata soppressa soltanto
nel 1962!
Un secondo motivo di frustrazione è nel fatto che ogni tentativo
di porre fine alla decadenza islamica si è rivelato inadeguato.
Imputato alla politica occidentale, il fallimento ha alimentato
il rancore. È stato scritto che il mondo islamico è
rimasto indietro dal punto di vista economico e tecnologico, e oggi
subisce anche una formidabile umiliazione da parte delle tigri
dellOriente, dellIndia e della Cina, seguite dalla Corea,
da Taiwan e da Singapore. I mezzi di comunicazione hanno reso i
muslim consapevoli dei propri ritardi civili, che imputano ai propri
governanti, i quali, a loro volta, li girano e li dirottano sullOccidente
cinico e sfruttatore: dunque, su Satana, immagine esorcizzatrice
di tutte le frustrazioni delluniverso musulmano.
Secondo Lewis, altro motivo di scontro è una sorta di orgoglio
ritrovato alla fine del secolo scorso. Nel 1973 i Paesi arabi produttori
di greggio appoggiarono lEgitto nella guerra contro Israele,
agendo sulle forniture e sul prezzo del petrolio, e orchestrando
una crisi che ebbe conseguenze devastanti sulleconomia europea
e occidentale. Per la prima volta il petrolio si rivelò non
solo una fonte di ricchezza, ma anche unefficace arma di ritorsione
e di ricatto, e diede ai musulmani la sensazione che la riscossa
fosse realisticamente realizzabile.
Il mondo islamico ritrovò lantico orgoglio e tornò
a coltivare la fiducia in se stesso. Fino a che non dovette prendere
atto che lOccidente aveva trovato i mezzi per superare la
crisi e per venir fuori dalliniziale depressione.
Altro motivo di profondo risentimento: per i muslim, lOccidente
è degenerato e corrotto. Gli Stati Uniti dAmerica sono
il massimo esempio di immoralità. I nostri costumi, che esportiamo
con lodiatissima globalizzazione, rischiano di corrompere
la società musulmana. Sayyd Qutb, ideologo dei Fratelli Musulmani,
dopo un viaggio negli Usa descrive così una sala da ballo:
«Un vortice di cosce, braccia che circondano fianchi, labbra
che sfiorano seni, e laria è satura di lussuria».
Noi, figli di Satana, siamo dunque dissoluti, promiscui, materialisti,
e in quanto tali destinatari potenziali di attentati (nei club,
nelle discoteche, nei luoghi dincontro dei giovani).
I musulmani ritengono lArabia la Terra Santa per antonomasia:
qui era nato e vissuto il profeta Maometto, qui avevano agito i
suoi immediati successori, vale a dire i Califfi, autorità
supreme della Umma, la Comunità dei Credenti. Anche lIraq
è un luogo sacro, anche se di secondo grado. La sua capitale,
Baghdad, era stata sede del Califfato per cinquecento anni. Il concetto
di sacralità territoriale è comunque esclusivo e imperforabile.
Sul letto di morte, Maometto aveva detto: «Che non ci siano
due religioni in Arabia». Lo si è interpretato alla
lettera.

I non-muslim possono visitare il Regno Saudita, ma non possono
ottenere la residenza. È vietato praticarvi la propria religione.
Per i fondamentalisti, la presenza attuale di un esercito occidentale
nella regione è un gravissimo crimine. Nella Penisola Araba
gli americani hanno importanti basi strategiche, il che non aggrada
a Osama bin Laden, il quale ha scritto nel 1998: «Uccidere
gli americani e i loro alleati sia civili sia militari è
un dovere individuale di ciascun musulmano in grado di farlo, in
ogni Paese dove ciò sia possibile, finché la moschea
di al-Aqsa (Gerusalemme) e la moschea di Haram (La Mecca) non siano
liberate dalle loro grinfie e finché i loro eserciti, disfatti
e stremati, non abbandonino tutte le terre dellIslam e non
possano più minacciare nessun musulmano».
Sesta ragione dellodio, la parola del Libro. Maometto non
fu soltanto un profeta, ma anche un soldato e uno statista. Uno
dei compiti di fondo lasciati in eredità ai muslim è
il jihad. Ambiguissima parola, che può simultaneamente significare
impegno, sforzo, lotta, battaglia. Nel Corano il significato militare
del termine è inequivocabile, come dimostra la sura 4.95:
«Quei credenti che restano a casa, e non sono invalidi, non
sono uguali a quelli che lottano sul sentiero di Dio con i loro
beni e con la loro persona [...]. Dio premia quelli che combattono,
rispetto a quelli che restano a casa, con una ricompensa maggiore».
La Guerra Santa contro gli Infedeli e gli apostati, gli atei e i
politeisti, è un dovere religioso per chiunque sia fisicamente
valido.
E chi mette sullo stesso piano jihad e crociate compie un errore.
Scrive Lewis: «Nella lunga lotta fra lIslam e la Cristianità,
la crociata fu un episodio tardivo, limitato e di durata relativamente
breve. Il jihad è presente fin dallinizio della storia
islamica: nelle Scritture, nella vita del Profeta e nelle azioni
dei suoi compagni e immediati successori. È rimasto durante
tutta la storia islamica, e ancora oggi conserva il suo richiamo».
Altro motivo conflittuale: lOccidente, in particolare lAmerica,
protegge Israele, cioè il Piccolo Satana. Lo Stato sionista
è uno dei punti (Nigeria, Sudan, Bosnia, Kosovo, Macedonia,
Cecenia, Kashmir, Timor, ecc.) in cui si scontrano gli universi
islamico e non-islamico. Gerusalemme è fra i luoghi sacri
dei muslim. Lì è la Cupola della Roccia, il più
antico edificio religioso musulmano ancora esistente fuori dellArabia
(691 d.C.). Venne costruita sulla sede di un tempio ebraico, nelle
immediate vicinanze del Santo Sepolcro e della Chiesa dellAscensione.
Il suo innalzamento, dunque, è stato una sfida a cristiani
ed ebrei.
Ma la questione palestinese ha assunto importanza strategica per
altre ragioni: «In realtà chiarisce Lewis
Israele serve da utile surrogato della protesta per le privazioni
economiche e la repressione politica in cui molti uomini musulmani
vivono, e come sistema per dirottare la collera che ne consegue».
Israele alla stregua di un vero e proprio parafulmine. Il fatto,
poi, che sia lunica democrazia dellarea, complica le
cose, non solo perché è un esempio pericoloso, ma
anche perché linformazione è libera e la società
è aperta. Gli errori (del governo, dellesercito, dei
coloni, di chiunque) non sono censurati, ma fanno addirittura il
giro del pianeta. «La maggior parte degli antagonisti di Israele
nota ironicamente Lewis non soffre di una simile difficoltà
nei rapporti con la pubblica opinione». Lantisemitismo
muslin è anche uneredità ricevuta dal Vecchio
Continente. I Paesi arabi erano buoni alleati di Hitler, in chiave
anti-inglese e anti-francese. Il pensiero nazista ebbe quindi vasta
risonanza nel Vicino Oriente negli anni Trenta e Quaranta, e influenzò
i circoli nazionalisti arabi, in particolare il partito Bath
siriano e iracheno (ne sarà leader Saddam Hussein).
E i musulmani moderati? Anchessi hanno qualcosa da rimproverarci,
ad esempio la mancanza di democrazia in casa propria. La nostra
opinione pubblica è accusata di ignorare «le più
flagranti violazioni dei diritti civili, della libertà politica
e perfino della dignità umana» (Lewis). Insomma, lOccidente
non è credibile, perché, se il tiranno è compiacente
non ci dà fastidio, non è oggetto di alcuna ritorsione
o sanzione economica. I governi di Siria, dAlgeria, del Sudan,
del Niger, e via dicendo, massacrarono i propri cittadini e massacrarono
con particolare predilezione i cristiani, ma noi li invitiamo al
tavolo della Commissione Onu per i diritti umani!
Ancora, la rete saudita. Muhammad ibnAbd al-Wahhab (1703-1792)
era un teologo arabo che predicava il ritorno allIslam autentico,
duro e puro. Il wahhabismo è lideologia ufficiale del
regime saudita, a parole alleato dellOccidente. In numerosi
Paesi musulmani listruzione è del tutto in mani wahhabite,
con docenti locali sovvenzionati dai regnanti dellArabia Saudita,
gli stessi che diffondono milioni di copie del Corano allanno
in tutto il mondo e che finanziano la costruzione di moschee nei
cinque continenti. In questo modo il fondamentalismo si spande a
macchia dolio, perché le scuole islamiche di questo
tipo sono ovunque e, secondo Lewis, «sono nella maggioranza
centri di indottrinamento al fanatismo e alla violenza».
Infine, il disprezzo della democrazia. Dice bin Laden: se i muslim
sparano nel mucchio, se uccidono indiscriminatamente anche donne
e bambini, è colpa della democrazia. Chiosa Lewis: «Lespressione
libere elezioni significa che il popolo sceglie liberamente
i suoi governanti e quindi può essere considerato responsabile
e punibile per i misfatti di quei governanti: in altri termini,
non ci sono civili innocenti». Per i terroristi
non esistono danni collaterali, tutti quanti noi meritiamo
la morte. La nostra cultura e la nostra civiltà si sono macchiate
di un reato collettivo incancellabile: la separazione fra Stato
e Chiesa. Abbiamo creato leggi a nostro arbitrio. «Voi separate
la religione dalla politica dice bin Laden contraddicendo
lordine che attribuisce autorità assoluta al vostro
Signore e Creatore». Perciò conclude
«siete la civiltà peggiore che si sia mai vista nella
storia dellumanità».
Alla resa dei conti: i rischi maggiori non li corrono gli Stati
Uniti, li corre lEuropa, «e in particolare lEuropa
occidentale scrive Lewis che è ormai sede stabile
di una vasta comunità musulmana in rapido aumento»,
mentre «molti europei cominciano a sentire la sua presenza
come un problema, altri come una minaccia». Strategia dei
fondamentalisti: conquistare il potere con la democrazia, poi abolirla
e instaurare una teocrazia islamica. È la prospettiva dellEurabia.
Cioè della morte dellEuropa e della sua identità
cristiana.
I cristiani secondo lIslam
Alcune sure del Corano parlano dei
cristiani, che sono innanzitutto inseriti fra la Gente del
Libro e in un secondo momento sono considerati quali seguaci
di Cristo. La sura 29.46 così si rivolge a loro: «Noi
crediamo in ciò che è stato mandato dallalto
a voi. Il nostro Dio e il vostro Dio è uno solo, e noi gli
siamo totalmente dediti». Il Libro sacro dellIslam considera
Gesù uno dei profeti: «Egli [Iddio] ha prescritto a
voi, della religione, ciò che abbiamo ordinato a Noè.
E ciò che abbiamo rivelato a te [Maometto] e ordinato ad
Abramo, a Mosè e a Gesù». E ancora: «Sulle
loro [dei profeti] orme facemmo seguire Gesù, figlio di Maria,
confermatore della Torah che lo aveva preceduto, guida e consiglio
dei timorati» (5.46).
Come la Torah, anche il Vangelo fornisce direzione e luce ai credenti.
Ciò è tanto vero che a Maometto viene detto: «Se
hai qualche dubbio intorno a ciò che ti abbiamo mandato dallalto,
interroga coloro che leggono le Scritture a te anteriori»
(10.94). «Per i cristiani timorati il Vangelo
è guida e consiglio. Ma purtroppo non tutti i cristiani sono
timorati. Non pochi di essi, anzi, si affiancano ai miscredenti
sostenendo che Iddio non è Uno ma è Tre: miscredenti
sono invero coloro i quali dicono: Iddio è il terzo
dei Tre» (5.73). A costoro il Corano dà questo
ammonimento: «Credete in Dio e nei suoi inviati e non dite:
Tre. Desistetene, sarà meglio per voi. Iddio
non è che un Dio solo» (4.171).
Il Corano considera ignoranti del Vangelo i cristiani che affermano:
«Iddio si è preso dei figli» (2.116), oppure:
«Dio è il Messia, figlio di Maria, quando [invece]
il Messia disse: O figli di Israele, adorate Iddio, Signor
mio e Signor vostro» (5.72). Nella sura 5.116-117 è
scritto: «Ricorda quando Dio disse: O Gesù figlio
di Maria, sei tu che hai detto agli uomini: Prendete me e
mia madre come dèi, accanto a Dio? . Gloria a
Te, risponde Gesù, non posso dire ciò
che non ho il diritto di dire. Se lavessi detto, tu lo sapresti
perché tu sai quello che è nellanima mia, mentre
io non so quello che è nellanima tua [...]. Non ho
detto loro se non ciò che tu mi hai ordinato di dire, e cioè:
Adorate Dio, Signore mio e vostro, e finché sono
stato fra di loro, sono stato testimone a loro riguardo; Il
Messia, figlio di Maria, non è altro che un Inviato, come
ce ne sono stati prima di lui. Sua madre era semplicemente una giusta.
Entrambi prendevano cibo» (5.75).
Secondo il Corano, pochi cristiani hanno accolto le esortazioni
a non eccedere (5.77). Gli altri, invece, hanno subìto il
castigo di Dio perché divisi da discordie e accesi da odio
reciproco. Così afferma testualmente il Libro dellIslam:
«Anche da coloro che dicono di essere cristiani riceveremmo
giuramento, ma anchessi hanno dimenticato una parte di ciò
che fu loro detto. Poiché abbiamo suscitato fra di loro inimicizie
e odio».
Il Corano insegna come giungere ritualmente alla purità:
«O credenti. Quando vi accingete alla preghiera lavatevi la
faccia e le mani fino ai cubiti, e i piedi fino ai malleoli, con
una passata sulla testa e se siete in stato di polluzione, purificatevi.
Se siete malati o in viaggio, o di ritorno dalla latrina, o avete
toccato donne, e non trovate acqua, cercate della polvere pulita
e passatevela sulla faccia e sulle mani. Iddio non vi vuole dar
fastidio, ma vi vuole semplicemente purificare e completare la grazia
che vi ha concessa» (5.6).
Se limpurità è grave, si deve provvedere allabluzione
di tutto il corpo. Essa è accompagnata dalla recitazione
di preghiere con le quali si chiede ad Allah il suo aiuto e il perdono
dei peccati. Gli islamici sono testimoni di Dio. La
loro comunità è sorta animata e sospinta da questo
spirito. Essa mira ad estendersi su tutta la terra. Il Corano è
la parola di Allah diretta a tutti gli uomini. Esso è stato
dettato dallarcangelo Gabriele al Profeta. È composto,
infatti, da un insieme costante di esortazioni, insegnamenti, rievocazioni,
suggerimenti, parole di conforto, rampogne, lodi, sentenze, ordini,
anatemi, stimoli nel nome di Dio Clemente e Misericordioso.
Il Corano parla agli uomini in «limpida lingua araba».
Ogni volta che lo cita, il musulmano afferma e pronuncia a se stesso,
ai credenti e ai non credenti, la parola definitiva dettata da Allah
alla comunità intera degli uomini. Essa è composta
da due gruppi. Il primo comprende gli islamici, il secondo i non-musulmani.
Questi ultimi si distinguono in due categorie: una rappresentata
da politeisti e miscredenti, laltra composta da coloro che,
avendo ricevuto prima del Corano la parola di Dio e avendola conservata,
formano la Gente del Libro.
Nei rapporti con i politeisti e con i miscredenti (kafiruna) lislamico
procede in ordine discendente: dalla proclamazione del Corano, rammentando
il patto che lega luomo a Dio sin dal principio, allammonimento,
allanatema, fino allesecrazione e allavvertimento
pieno di minaccia. Un esempio chiarissimo è fornito dalla
sura 27. Essa narra che Salomone, il sapiente re-profeta, essendogli
stato riferito che la regina di Saba e il suo popolo adoravano il
Sole, non già lunico Dio, utilizzando come messaggero
unupupa inviò alla sovrana una lettera, per ammonirla
così: «Nel nome di Dio Clemente e Misericordioso. Non
vinsuperbite contro di me e venite a me abbandonandovi pienamente
[quali nuovi musulmani]» (27.31). La regina, dopo essere stata
testimone di episodi miracolosi, si convertì, pronunciando
queste parole: «Signore mio, ho fatto torto a me stessa. Mi
dedicherò totalmente, insieme con Salomone, al Re dei Mondi»
(27.44).
Se non si accoglie il messaggio del Corano, giunge dalla parola
di Dio un avvertimento: «Iddio non perdona che gli si diano
degli associati, mentre perdona, a chi vuole, ciò che è
al di sotto di questo. Chi dà associati a Dio è profondamente
traviato» (4.116). Lammonizione ha un duplice significato:
concerne una punizione immediata, terribile, che piomba sulla terra,
e una punizione eterna che sarà inflitta il giorno del giudizio:
«Essi avranno come ospizio la Geenna e non troveranno modo
di evitarla» (4.21). Se le minacce non hanno effetto, il dialogo
va troncato. Se poi gli infedeli rispondono con la violenza, saranno
usate le armi: «Fate guerra, per la causa di Dio, a coloro
che vi fanno guerra, ma non siate aggressori. Iddio non ama chi
aggredisce. Uccideteli ovunque li incontrate» (2.190-191).

Riferendosi alla Gente del Libro, la sura 21 afferma: «Questa
è la vostra comunità: una comunità unica, e
io sono il vostro Signore. Servitemi, dunque. Invece si sono divisi!
Ma tutti ritorneranno a noi» (21.92-93). Ciò significa
che: a) la Gente del Libro e gli islamici sono destinati a formare
ununica comunità; b) purtroppo ebrei, cristiani e musulmani
sono divisi e vivono in discordia tra di loro; c) un giorno, tuttavia,
formeranno quellunità che è nella mente di Dio.
Consideriamo inoltre le espressioni di benevolenza rivolte dal Corano
agli ebrei e ai cristiani: «O figli di Israele, ricordate
i benefici che vi ho elargito e il fatto che vi ho preferiti alluniverso
intero (2.122); noi ponemmo nei cuori dei suoi discendenti (di Gesù)
mitezza e misericordia» (57.27). Estremamente significativa
è, quindi, laffermazione secondo la quale alcuni ebrei
e cristiani erano musulmani prima di conoscere il Corano. «Coloro
ai quali avevano dato in passato una scrittura, credono nella presente
e, quando essa viene loro letta, esclamano: Ci crediamo .
È la verità che viene dal nostro Signore. Eravamo
musulmani già fin da prima» (23.52-53).
Il Corano aggiunge: «Non disputate con i Possessori della
Scrittura se non nella maniera migliore, tranne con quelli che agiscono
ingiustamente» (5.51). In questo passo il Corano consente
al musulmano di disputare sul piano dottrinario con la Gente del
Libro, ma a condizione che la disputa avvenga nel modo migliore
e che gli interlocutori non siano persone che agiscono ingiustamente.
Manca tuttavia unesplicita spiegazione di cosa sia il modo
migliore e chi siano le persone che agiscono ingiustamente. Questi
concetti vanno dedotti dallinsegnamento coranico letto nel
suo complesso. Questo compito è affidato ai dottori di Kalam,
coloro che in Occidente sono definiti erroneamente teologi
dellIslam.
È noto che il pensiero spirituale e religioso dellIslam
è espresso da scuole autonome e talvolta in contrasto fra
di loro, perché nellIslam non esiste una scuola di
carattere universale che possa esercitare il suo magistero sullintera
Comunità dei credenti. Lunica garanzia di unità
dottrinale che supera divisioni e conflitti teorici è lijma,
che trae la sua legittimazione da un hadith del Profeta, secondo
cui la Umma (comunità dei credenti) non potrà mai
cadere in errore. Carattere peculiare dellijma è la
sua immediatezza, da un lato, e dallaltro la sua notevole
lentezza nellelaborazione dei princìpi dottrinali mediante
una lunga sedimentazione. Questa ruminatio opera leliminazione
di ciò che non è più attuale e la sostituzione
con il nuovo e con lutile.
Il dialogo con i non-islamici si svolge, secondo linterpretazione
dei maestri, nel modo migliore solo rispettando rigorosamente
la Parola di Allah affermata nel Corano. Questa Parola si trovava
già nel Pentateuco, nei Salmi e nel Vangelo. Lislamico
reputa, invero, che tali Libri non siano più integri, essendo
andati perduti gli originali prima della venuta di Maometto. Soltanto
nel secolo XIX esponenti del pensiero riformista, quali Jamal al-Din
al-Afghana, hanno accolto i moderni metodi filologici.
La generalità degli islamici è tenuta a diffidare
delle discussioni e dispute sollevate da ebrei e da cristiani perché
costoro, come osserva il Corano, intendono imporre i loro errori:
«Gli ebrei e i cristiani non saranno contenti di te finché
non avrai abbracciato la loro religione. Dì loro:
La direzione di Allah è la direzione ». «Se
tu seguissi i loro errori pur avendo ricevuto la Scienza [divina],
non avresti nei confronti di Allah alcun patrono o protettore»
(5.120). La maniera migliore di disputare, sempre che
sia opportuno, con Gente del Libro è attenersi rigorosamente
al testo coranico che rappresenta la direzione di Dio,
la Scienza per eccellenza. Luomo dellIslam
non accetterà mai di disputare con gli appartenenti alla
Gente del Libro che agiscano ingiustamente.
Peraltro, il Corano non fa una distinzione fra giusto e ingiusto.
Comunque, una volta accertata la presenza di entrambi i presupposti,
una volta che ci siamo avvalsi della maniera migliore
e dellosservanza del giusto, è possibile
avviare il dialogo. Alla maggioranza degli islamici, come già
detto, il Corano rivolge questo divieto: «Non solidarizzino
i Credenti con gli Infedeli invece che con i Credenti, perché
chi fa ciò non ha nulla a che fare con Allah, a meno che
non temiate qualcosa [un male] da parte loro» (3.28).
Gli islamici, in particolare gli sciiti, fondano su queste argomentazioni
la taqiyya, un modo di essere prudenti, opportunisti,
con una necessaria dose di ipocrisia che si rivela necessaria nelle
situazioni in cui il muslim intravede pericoli, o quanto meno, un
disagio notevole, se non addirittura insostenibile. Applicandola,
il muslim recita allinterno della coscienza la sua professione
di fede (shahada), sicché il dialogo con lInfedele
avviene solo in superficie e non scalfisce minimamente lintegrità
della fede del musulmano.
Il Corano afferma altresì: «O voi che credete, non
considerate i vostri padri e i vostri fratelli come vostri consorti
[destinati alla stessa sorte avvlijà], se essi preferiscono
la miscredenza alla fede. «Chi di voi li prende a propri consorti,
si comporta da iniquo» (9.23). Dopo aver stabilito come gli
islamici debbano comportarsi con i musulmani, il Libro Sacro in
realtà ingloba in ununica categoria, in una visione
complessiva la Gente del Libro, i miscredenti e i politeisti, sicché
lumanità va distinta in due parti separate: da un lato
gli islamici, dallaltro i non-muslim (Infedeli).
Il Corano contiene tuttavia esortazioni affinché gli islamici
tentino di trovare un accordo con la Gente del Libro. «Dì,
o Gente della Scrittura. Venite a una parola comune [cioè
a un accordo] fra noi e voi» (3.64). «Tale accordo consiste
nel non adorare se non Iddio e nel non associargli nessuno»
(3.64). Per conseguire questo risultato ci si deve richiamare alla
storia religiosa dellumanità, muovendo dalla comune
discendenza da Abramo, che non era ebreo né cristiano, bensì
monolatre (hanif) e musulmano (muslim) e nutriva quella
fede nel Dio unico che è impressa nel cuore di ciascun uomo
e che il Corano conferma. Il Corano insegna che lautentica
fede «non consiste nel voltare il viso verso Occidente o Oriente
[durante la preghiera]: più è chi crede in Dio, nellUltimo
Giorno, negli Angeli, nel Libro, nei Profeti» (2.177).
Se non si perviene a un accordo, la responsabilità è
esclusivamente degli ebrei e dei cristiani, cui il Corano si riferisce
con queste parole: «In maggioranza siete perversi» (5.99).
Essendo necessario che ebrei e cristiani si riconoscano in Abramo,
che non era né ebreo né cristiano, ma hanif (musulmano),
la Parola comune espressa dal Corano esige che ebrei
e cristiani cessino di differenziarsi dagli islamici (3.67). Nei
confronti dei politeisti e degli idolatri non solo non è
possibile alcun dialogo, ma vi deve essere una netta contrapposizione.
Se necessario, vi sarà uno scontro armato senza quartiere:
«Combatteteli, affinché Allah li punisca e li confonda
per mano vostra e vi faccia trionfare su di essi» (9.15).
I politeisti non meritano dialogo, vanno combattuti duramente: «Non
si addice al Profeta né ai Credenti implorare perdono a favore
dei politeisti, anche se congiunti, quando ormai hanno visto chiaro
che sono votati allInferno» (9.113). Combattere contro
i politeisti è un dovere per un muslim, morire combattendo
è lonore più alto: «Di coloro che sono
morti per la causa di Allah non dite che sono morti: essi sono vivi,
senza che voi ne siate consapevoli» (2.154).
Tra le prescrizioni rivolte alla Umma nella sua totalità,
il jihad, lo sforzo sul cammino di Allah definito dai
non-islamici guerra santa, è collocato al primo
posto; la Comunità islamica nella sua totalità ha
il dovere di lottare perché sulla terra si diffonda sempre
più losservanza rigorosa dei «diritti di Allah».
Da alcuni anni abbiamo sperimentato nella maniera più drammatica
e luttuosa quanto il termine jihad sia stato inteso
in unaccezione totalizzante e sanguinosamente cruenta da gruppi
di fanatici integralisti animati da un odio pervasivo verso quelli
che considerano Infedeli. Come è lontana, purtroppo, lesegesi
in chiave spirituale che del jihad diede al-Ghazali: il pensatore
islamico di cultura persiana, basandosi su un hadit, affermò
che il primo grande jihad è quello che ogni credente deve
combattere spiritualmente contro gli istinti malvagi e le cattive
tendenze con una lotta interiore. Quello armato, secondo il grande
mistico islamico, è solo «un leggero soffio di vento
sul mare agitato».
Il Sudan, lIndonesia e altri Paesi continuano ad essere teatro
agghiacciante della realizzazione del principio di conquista religiosa
(ideologica) con centinaia di migliaia di cristiani e politeisti
uccisi, vittime di chi considera il jihad come dovere di un muslim
di sterminare gli Infedeli.
La figura dellInfedele nel Corano tende a dilatarsi, fino
ad assorbire in sé quella degli idolatri e della stessa Gente
del Libro. Il Corano, infatti, stabilisce innanzi tutto: «O
credenti, non fate lega con coloro che hanno preso la vostra religione
a scherno e a ludibrio, siano essi coloro che vi hanno preceduto
nel ricevere il Libro, siano invece i miscredenti» (5.57).
Pone, inoltre, il seguente perentorio divieto: «O voi che
credete. Non fate lega con i Giudei e con i Cristiani, che sono
in Lega gli uni con gli altri. Chi di voi fa lega con loro è
dei loro. Iddio non dirige gli iniqui» (5.51). Ordina poi
di combattere pure la Gente del Libro se non si sottomette allIslam:
«Combattete coloro che non credono in Dio e nellUltimo
Giorno, non dichiarano illecito quello che hanno dichiarato illecito
Iddio e il suo Inviato, e non professano la religione vera fra coloro
che hanno ricevuto la Scrittura finché, umilmente, non paghino
alla mano la gizya» (9.29). La gizya è limposta
che la Gente del Libro è tenuta a pagare per ottenere il
compenso (questo il suo significato etimologico) per
poter osservare la propria religione, ottenendo protezione dalla
comunità islamica. Questa imposta di capitazione è
stata abolita in molte nazioni musulmane. Ma la libertà religiosa
è comunque intesa dai muslim come abbandono nellerrore
in cui incorre chi vuole rimanerci ostinatamente.
Prescindendo dalle diverse tesi interpretative della nozione di
jihad, la comunità islamica nel volgere dei secoli ha avuto
e ha, in larga misura, ancora pregiudizi, remore, nei confronti
del non-muslim e gli ha sempre imposto restrizioni e divieti. Estremamente
duro, anche se sottovalutato dai non musulmani, è, ad esempio,
il divieto per i non-muslim di accedere ai santuari dellIslam.
Reciso è il Corano al riguardo: «Non è lecito
a politeisti stare nei templi [masagid] di Dio, confessando la propria
miscredenza» (9.18).
Quello della Mecca è il territorio più sacro che si
possa immaginare ed è assolutamente proibito (haram) non
solo al non-musulmano, ma anche allislamico che non si trova
in stato di purità legale (ihram). Il territorio vietato
è circoscritto da colonnine segnaletiche collocate sulle
arterie principali. Prima di superare questi confini, i pellegrini
islamici sono tenuti a conseguire la purità legale mediante
unabluzione e la recita della formula: «Eccomi a Te,
eccomi a Te, o Dio, che non hai compagno. Tua è la lode e
la grazia, Tuo il Regno. Eccomi a Te».
A chi non è muslim è vietato anche il territorio dellHigiaz.
Pertanto, il non-muslim non può visitare buona parte della
penisola arabica. Nel VII e VIII secolo d.C. alcuni califfi della
dinastia degli omniadi sospesero il divieto, per avvalersi dellopera
di artigiani cristiani, che avrebbero eseguito opere destinate ad
abbellire con nuovi ornamenti larea della Kaba. In condizioni
normali, chi non è islamico non potrà mai varcare
i confini dellharam. A memoria duomo, nessun cristiano
ha assistito allo svolgimento di un grande pellegrinaggio
islamico.
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