Fu una stagione vitale per lo stormo di Via
Ammirati, un gran nugolo di giovani liberali, cattolici, marxisti
che nel settimanale di Bonea aprirono
dibattiti
anticipatori.
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Era cominciato quasi per gioco, a Palazzo Mascoli, il giorno di
San Giuseppe del 58. A Totò Vergari, investito della
scommessa di tradurre in un settimanale lidea frullata in
testa ad Ennio Bonea, furono consegnate una Olivetti 22
e una lampada da cento candele. Larredamento consisteva soltanto
in un tavolo con panno verde. Sarebbero giunti un bel po di
tempo dopo alcuni altri mobili (procurati da Vergari) e un magnetofono.
Bonea registrava e Vergari sbobinava lettere da inviare ai potenziali
collaboratori. La Tribuna del Salento nacque alcuni mesi dopo, nel
59, e quando raggiunse lincredibile numero di duemila
abbonati aveva uno stuolo di collaboratori, parecchi fissi, altri
saltuari, eppure tutti entusiasti, che in quella nave scuola del
giornalismo provinciale (ma non solo provinciale) avrebbero maturato
lesercizio iniziatico di percorsi professionali di primissimo
ordine.

Molto lungo lelenco, e dunque alto il rischio di dimenticare
qualche nome. Ferrea vestale del pensatoio creativo, spirito aggregatore,
factotum nel vero senso della parola, e reale responsabile del giornale
fino al giorno in cui passò alla direzione del personale
della Fiat-Allis, restò sempre Totò, pubblicista e
dice lui bozzettista, in limitazione volontaristica
del termine scrittore, e forse meglio ancora diarista. E, insieme
con lui, Salvatore Affinito, che trattava anticipandoli di
qualche decennio alcuni temi fondamentali dellEuropa
comunitaria; Domenico Faivre (in seguito capo della redazione leccese
della Gazzetta del Mezzogiorno), che insieme al coltissimo Mario
Proto (poi docente universitario), a Remo Aiello, al sottoscritto
e ad Antonio Maglio (futuro vicedirettore del Quotidiano, prima
di emigrare in Canada), sarebbe stato direttore responsabile del
settimanale; gli scrittori e poeti Enzo Panareo, Dino Ascalone,
Ercole Ugo DAndrea, Bruno Lucrezi, Elio Filippo Accrocca e
il drammaturgo Italo De Ponte; gli economisti Ennio Gatto (autore,
fra laltro, di una documentatissima inchiesta sulla Borsa)
e Claudio Alemanno (poi nello staff dirigente di quelle che oggi
si chiamano Risorse Umane allItalsider di Genova, oltre che
ricercatore oltre confine e saggista su problematiche planetarie);
gli esteristi Aldo Rizzo (che firmava con sigla, essendo da tempo
esclusivo fondista de La Stampa), Arturo Foscarini e Gigi De Mitri
(che sarebbe approdato allAnsa, diventando lunico corrispondente
occidentale da Tripoli); Mimmo Pugliese (in seguito entrato nella
redazione di un quotidiano cittadino del Nord), Francesco Metrangolo
(poi al Corriere della Sera); Giuseppe Rampino, lelegante
redattore dellinchiesta sui Treni della speranza,
espressione saccheggiata da chiunque in tempi successivi si occupò
di emigrazione meridionale, senza la citazione dellautore;
il polemicissimo Enzo Rossi-Ròiss, che condusse fra laltro
unindagine sui Santi di cartapesta; Domenico De
Rossi, accanito spulciatore di archivi pubblici; Mario Congedo,
diventato cospicuo editore; Toti Carpentieri, fine critico darte;
Antonio Serrano, altrettanto fine critico musicale; Mario De Nitto
Personè, esperto di problemi agricoli; il corsivista Nino
De Giorgi; il saggista Vittorio Zacchino; gli sportivi Tommaso Corallo
e Gino Lisi; e poi Paolo Guadagno, Massimo De Masi, Vittorio Barbati
(specialista in problemi dello Stato), Paolo Zeppa; il già
celebre saggista e costituzionalista Sabino Cassese; e il gruppo
di Taranto, con poeti e scrittori, da Nerio Tebano ad Angelo
Lippo, insieme con Piero Mandrillo e Giuseppe Barbalucca, (ma in
tutta la sua non breve esistenza La Tribuna pubblicò una
sola poesia, di Vittorio Pagano, in occasione dellalluvione
di Firenze)

Fu una stagione vitale per lo stormo di Via Ammirati, un gran nugolo
di giovani e meno giovani liberali, cattolici, marxisti che nel
settimanale di Bonea ebbero occasione di aprire dibattiti anticipatori
con una serie di pagine speciali (sulla pesca di frodo, sulla caccia,
sulla questione meridionale, sul comunismo internazionale, sulla
decolonizzazione dellAfrica, sui problemi della finanza, sulla
Costituzione, sulla Comunità economica europea, sul massiccio
spostamento di masse dal Sud verso il Triangolo industriale
e verso i Sei Paesi Cee, sullarte e sulle tradizioni popolari
)
in assoluta libertà di pensiero, senza alcun condizionamento
né reciproco né da parte delleditore. E vitale
si rivelò quellarco di tempo anche per lo stesso Bonea,
che fu dopo lesperienza di amministratore locale
parlamentare eletto due volte per il Pli al tempo di Malagodi, e
capo della corrente di Presenza Liberale, nella quale confluirono
gli spiriti più avanzati di quella forza politica.
La Tribuna sfumò, dopo aver contribuito a determinare una
moderna svolta culturale nella Sub-regione salentina,
nel 79. Precisò Bonea, rispondendo a Martino Brienza,
che lo intervistava per Critica meridionale, di Napoli: «La
Tribuna del Salento ha cessato la sua vita autonoma nel momento
in cui ha potuto ritrovarsi nel progetto del quotidiano al quale
pensavamo da anni. Non si tratta però di un processo genetico.
Il settimanale non ha generato il quotidiano; si è trattato
di una lenta, faticosa e fortunata crescita». La Tribuna era
nata esattamente nel marzo 59, e aveva cessato di vivere nel
maggio 79. Il Quotidiano di Lecce, Brindisi e Taranto vedeva
la luce nel giugno 79. Bonea fu presidente della società
editrice, oltre che co-finanziatore dellimpresa editoriale.
Negli anni seguenti, forse per inesorabile stratificazione, vennero
i giorni delle delusioni: Bonea dapprima si riservò il ruolo
di rubrichista, occupandosi settimanalmente di problematiche letterarie
e di recensioni, poi decise di gettare la spugna, troncando il cordone
onfalico che lo aveva legato a lungo al figlio Quotidiano.
Fu assorbito dagli studi e dallinsegnamento universitario.
Infine mollò gli ultimi ormeggi e si chiuse in una malinconica
insularità. Del resto, aveva sempre sostenuto che i grandi
spiriti meridionali erano stati caratterizzati dalla solitarietà,
nel senso della drammatica, incancellabile solitudine cui sono condannati
dalla loro antropologia umana e culturale, che, pur aperta allamicizia
e allaccoglienza, tuttavia nega con antica e quasi naturale
determinazione sodalizi duraturi e cooperative colleganze.

Quando venne meno del tutto la spinta vitalistica che aveva manifestato
per tanti anni e in tante intraprese, francamente ammise di vivere
«nel tempo ma fuori del tempo». Cioè nel momento
dellintrospezione, e dei bilanci che non so se fossero più
intrisi di schivo dolore o più improntati a una tragica lucidità.
A un amico calabrese, che gli aveva scritto nel marzo 2000, così
rispondeva fra laltro: «Ora avverto il significato dellessere
andato in pensione: essere fuori scadenza, lezioni,
appelli, esami, corsi monografici, letture dovute e programmate.
Ecco io sono fuori scadenza: sono libero di fare quel
che voglio, scegliendo ciò che posso rifiutarmi di fare,
per dire meglio. È la mia teoria per vivere bene [
].
Così non mi sento limitato. Evito i limiti e la mia è
una vecchiaia consapevole, senza rimpianti nonostante il completo
e chiaro ricordo di ciò che ho fatto. Il limite che non posso
evitare è quello di un futuro che si interromperà
con la morte».
«Non lodarmi la morte, splendido Odisseo!», esclama
un adirato Omero per bocca di Achille. E il Pelide-Bonea replica,
ribadendo: «Io ho odiato la morte come non ho mai odiato un
uomo o una donna; non ho mai odiato nessuno in verità, ma
si dice così per dire il massimo. Tra i tanti scrittori che
ho apprezzato, ne ho amato uno per il suo odio aperto, confessato,
denunziato della morte: Elias Canetti. Io ho scritto con lui il
disprezzo per questa strega che ci toglie il piacere di vivere le
piccole cose, il sapore di un cibo, il profumo di un fiore, la gioia
di un piccolo panorama, il conforto di un amico, un bello spettacolo;
zac, viene lei e tutto finisce [
]. Io ho imparato che cosa
sia, quando a sei anni persi mio padre che ne aveva ventotto e ho
iniziato ad odiarla quando intorno ai dieci anni mi ribellai a mia
madre che, più giovane di quattro anni del marito morto,
mi trascinava la domenica dinanzi alla sua tomba, per struggersi
in pianto. Mi rifiutai di seguirla e da allora non sono mai più
entrato in un cimitero; anche se in vecchiaia io rammento ancora
i fascinosi Sepolcri foscoliani, non sono mai riuscito a sentire
il sospiro che dal tumulo a noi manda natura [
]. Non è
paura, per carità, né della morte ormai avendo accettato
la condanna che tocca a tutti (più del come morire: meglio
spegnersi come una lampadina fusa); né del premio o della
condanna per una vita eterna a cui non credo. Se mai penso, come
Montale, per laldilà / un fischio, un segno di
riconoscimento, casomai capitasse di incontrare qualcuno dei
miei cari! [
]. Però devo dire che mi sto preparando
alla morte [
]. Sono così assillato dal problema del
prepararmi alla morte, che vivo pienamente dalla mattina alla sera
avendo sempre qualcosa da fare
».
Se è questo il nome dellinfelicità, voglio ricordare
lamico e il maestro, la guida critica, lamabile interlocutore,
lo stoico intellettuale prigioniero dellisola che per ciascuno
di noi cè, con linvocazione di Shakespeare: «Morire
per dormire. Nientaltro. E con quel sonno poter calmare i
dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è
erede la carne!... Morire per dormire. Dormire, forse sognare».
Lamletico forse. Come il rabelaisiano Grande forse,
che transita e naufraga dubbio e sfida umana fatali, ormai
vanamente intriganti nellestremo bagliore della vita.
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