Con chi ce lha?
Quasi senza dubbio con Mameli.
Che il professore non accusa
apertamente
del furto per pietà cristiana.
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Proprio niente da fare: neanche la sedicesima legislatura italiana
ha messo un sigillo sullinno ufficiale. Quello di Mameli era
e rimane un inno provvisorio. Infatti, adottato come puro e semplice
inno militare, in sostituzione della Marcia reale sabauda
il 12 ottobre 1946, vale a dire quattro mesi dopo la partenza del
re Umberto II per lesilio in terra portoghese, da un provvedimento
durgenza del governo di Alcide De Gasperi, linno era
rimasto per circa mezzo secolo di storia repubblicana senza un ruolo
e senza una precisa definizione istituzionale. Al punto che, nel
settembre 2002, alcuni deputati della maggioranza del tempo presentarono
una proposta di legge di un unico articolo: La Repubblica
Italiana riconosce lInno di Mameli quale inno ufficiale della
Nazione. La formulazione era leggermente infelice, dal momento
che un inno non è mai della Nazione, ma dello
Stato. Comunque, era tuttaltro che difficile porre rimedio
allo svarione.
I proponenti ritenevano di avere il vento in poppa e di poter procedere
celermente, anche perché dallelezione alla presidenza
della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi stava spendendo tutto se stesso
per rivalutare il Risorgimento e i simboli dellUnità
del Paese e dello Stato italiano: altare della Patria, bandiera
tricolore e, appunto, il nostro inno. Sicché il 10 gennaio
2003 un parlamentare presentò alla stampa lo stringato disegno
di legge, sicuro di andare immediatamente in porto con decisione
unanime (o comunque con stragrande maggioranza) e con la benedizione
del Colle.

E invece no. Soltanto il 17 novembre 2005 un altro parlamentare
lo illustrò alla Commissione Affari Costituzionali del Senato.
Dopo di che, calma piatta. La discussione del disegno di legge comparve
nellordine del giorno del Senato alla vigilia dello scioglimento
delle Camere, il 10 febbraio. Ma altri provvedimenti erano ritenuti
più urgenti, e lInno di Mameli rimase al palo. Con
una serie di conseguenze per lo meno curiose, a partire dal mondo
sportivo. Ad esempio, gli azzurri premiati alle Olimpiadi di Torino
non solo non sapevano di cantare, sul podio, un inno che era rimasto
provvisorio, ma ignoravano persino che, con ogni probabilità,
lautore non è per nulla quello che avevano imparato
a conoscere (se avevano studiato la lezione) sui banchi di scuola.
Tradizione vuole che linno sia stato scritto nellautunno
1847 da Goffredo Mameli. Ma chi era costui? Di famiglia nobile,
nacque a Genova il 5 settembre 1827. Il nonno, il cagliaritano don
Antonio Vincenzo, nato nel Palazzo di Corte il 7 maggio 1784, venne
riconosciuto cavaliere e nobile da Vittorio Amedeo III, re di Sardegna.
Intrapresi gli studi nel collegio genovese dei Padri Scolopi (le
scuole pie fondate dallo spagnolo San Giuseppe Calasanzio), Goffredo
progredì regolarmente fino ai 15 anni. Il 29 giugno 1843
venne alle mani con il diciottenne Giuseppe Lullin, sicché
fu sospeso dagli studi. Li riprese il 15 novembre di due anni dopo.
Nellagosto 1846 fu ammesso al primo anno di Legge.
E a questo punto veniamo a conoscenza del primo dato interessante.
Cioè a un dettaglio stranamente taciuto da tutti i suoi biografi,
da Anton Giulio Barrili (che per primo ne pubblicò le poesie)
a Giosuè Carducci e a Giulio Cesare Abba: a metà del
mese di settembre del 1846 Goffredo fu condotto da padre Raffaele
Ameri al collegio scolopio di Carcare, presso Cairo Montenotte (in
quel di Savona). Carcare ebbe allievi illustri, dalleconomista
Piero Sbarbaro a Luigi Einaudi, poi presidente della Repubblica.
Si ambientò presto e bene, come lo stesso padre Ameri ebbe
occasione di scrivere al confratello Muraglia. E Goffredo stesso,
il 9 settembre 1846, lo confermò a Giuseppe Canale. Proprio
a Carcare Mameli frequentò padre Atanasio Canata (1811-1867),
un intellettuale di grande spessore culturale, sul quale vale la
pena di soffermarsi un po.
Nativo di Lerici, in provincia di La Spezia, Canata aveva temperamento
focoso. Autore di prose e tragedie, scrisse anche poesie, nel 1889
raccolte in due volumi.
I suoi versi grondavano Cristianesimo liberale e amor di patria.
Ispirato da Vincenzo Gioberti e dallideologia guelfa, Canata
scommetteva sullindipendenza e sullunione degli italiani.
Infatti, nei suoi componimenti ricorrono tutti i materiali che troveremo
presenti nel canto nazionale (attribuito a Mameli) e che fa riferimento
ai fatti del 1846: la sanguinosa repressione austriaca dei polacchi
in Galizia e il festeggiamento di Balilla a Genova (settembre 1846).
Torniamo a Mameli. Il 10 novembre 1847, il baldo studente mandò
il canto nazionale allamico compositore Michele Novaro, che
lo ebbe mentre era a Torino, in casa del democratico Lorenzo Valerio.
Con il cuore in tumulto, Novaro si precipitò a musicarlo.
Corse a casa, scrisse le note di quello che dovrebbe di conseguenza
essere l Inno di Novaro. Concitatissimo, versò
la lucerna, danneggiando irrimediabilmente il foglio dellamico,
perduto per sempre.
Del canto abbiamo un paio di versioni. Esaminate senza paraocchi
apologetici, risultano copie di un originale non pervenuto. La prima,
conservata al Museo del Risorgimento di Genova, inizia: Evviva
lItalia, lItalia sè desta.... Nella
seconda copia (al Museo del Risorgimento di Torino), si legge invece
a sinistra Fratelli dItalia
e, a destra,
nella stessa pagina, Evviva lItalia, dal sonno sè
desta
. Fra le prime edizioni a stampa, (Modena, 1848),
quella della tipografia Andrea Rossi precisa: «Parole di Mammelli,
musica del Maestro Novella (Piemontesi)».
In attesa della visita di leva, da Novi Ligure, il 15 ottobre 1847,
cioè proprio quando avrebbe scritto il canto nazionale, Goffredo
spiegò alla madre il suo ideale di vita: «Io mangio
per quattro, dormo molto, non faccio nulla, penso meno». Rifiutò
larruolamento e si fece surrogare. Poi partì volontario,
accorse a Roma. Nella difesa della Repubblica il 3 giugno 1849 venne
colpito da un commilitone alla gamba sinistra (mai chiarito se con
baionetta o proiettile). La ferita suppurò. Giuseppe Mazzini
benedicente, larto venne amputato. Il 4 luglio i francesi
entrarono in Roma. Il 6 Goffredo morì. Padre Ameri gli impartì
il viatico e ne curò la sepoltura. Il Risorgimento era e
rimaneva cristiano.
È a questo punto che dobbiamo tornare a padre Canata. Infatti,
a leggere la sua opera più importante, Inferno, Purgatorio
e Paradiso dItalia, ci si accorge che il poeta lamenta un
duplice disinganno: la rottura dellunità dazione
di papisti e patrioti, e il furto di una poesia. Parlando di sé
in terza persona, scrisse: A destar quellalme imbelli
/ meditò robusto un canto, / ma venali menestrelli / si rapina
dellarpe il vanto: / sulla sorte dei fratelli / non profuse
allor che pianto, / e aspettando nel suo cuore / si rinchiuse il
pio cantore. Il testo è chiaro: Canata accusa venali
menestrelli di avergli rubato il testo del canto. Con chi
ce lha?
Quasi senza dubbio con Mameli. Che il professore non accusa apertamente
del furto per pietà cristiana e per rendere omaggio al conforto
religioso chiesto dal giovane nel momento della morte, visto che
il patriota veniva dipinto come massone anticlericale. Del resto,
dovette pensare Canata, linno parla da sé. Esprime
un pensiero adulto: Uniamoci, amiamoci; / lunione e
lamore / rivelano ai popoli / le vie del Signore. Parole
di pedagogo. Nella versione conservata alla Società economica
di Chiavari, il canto inizia: Oh, Figli dItalia
.
Non è voce di un ventenne scapestrato e sgrammaticato, comera
Mameli. La vera storia dellinno resta dunque ancora tutta
da scrivere.
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