La Finanziaria continua ad essere affetta dal
tradizionale
strabismo
di trascurare
la specificità delle medie imprese
italiane.
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La politica industriale italiana ha sempre sofferto di un particolare
strabismo: da una parte ha cercato di proteggere con aiuti finanziari
diretti e indiretti la grande impresa, e dallaltra ha tentato
di sostenere, più con larte della retorica che con
fatti concreti, la piccola impresa. I risultati sono noti. La prima
si è ridotta al lumicino, mentre la seconda sta attraversando
una grave crisi. Ciò che è mancato in questi anni
è stato il guardare in mezzo, al 40 per cento
del valore aggiunto industriale, vale a dire al settore della media
impresa.
Come è stato evidenziato nel rapporto di Mediobanca-Unioncamere,
il settore delle medie imprese industriali (da cinquanta a cinquecento
dipendenti) ha registrato dal 1996 al 2003 buone performance economiche
(se le paragoniamo a quelle delle grandi imprese): +42,8 per cento
il fatturato, contro il +26,4 per cento; +51,7 per cento lexport,
contro il +31,2 per cento; +33,3 per cento il valore aggiunto, contro
il +11,9 per cento; +18,0 per cento loccupazione, contro il
decremento del 10,2 per cento nelle grandi imprese.

Che cosa contraddistingue la maggior parte delle medie imprese
italiane? Sono ben radicate localmente, spesso allinterno
dei distretti industriali. Sono sviluppate globalmente, non soltanto
con la delocalizzazione delle fasi a maggiore intensità di
lavoro, ma anche con la crescita sui mercati esteri. Hanno la velocità
decisionale e la capacità reattiva delle piccole imprese
con, nello stesso tempo, le risorse di conoscenze, di capitale umano
e finanziario delle grandi. Ciò consente loro, spesso, di
innovare rispetto alle nicchie esistenti sul mercato, creandone
di nuove. In tal modo sono in grado di spiazzare la concorrenza
da parte delle multinazionali e diventare, così, leader internazionali
nelle nuove nicchie di mercato.
Questo tipo di impresa post-chandleriana in Italia presenta
però delle debolezze. Innanzitutto, per il 41 per cento è
composta da produzione di beni per le persone, per la casa e alimentari,
il cosiddetto made in Italy. Se, fino al 2003, il quadro macroeconomico,
contrassegnato da euro debole e dollaro forte, ha facilitato lexport
extraeuropeo di questo tipo di beni, ora, con il rafforzamento della
moneta unica esso diventa più vulnerabile alla crescente
concorrenza dei Paesi a basso costo di lavoro. Questa debolezza
può in alcuni casi essere contrastata con linnovazione
di prodotto. In altri casi, invece, è necessario puntare
sulla verticalizzazione delle filiere del made in Italy che unisca
innovazione di prodotto nei beni strumentali, con conseguente innovazione
di processo nella produzione del bene finale. Come è accaduto
nel distretto calzaturiero di Vigevano, dove si è passati
dalla produzione di scarpe a quella di macchine per la loro produzione.
In casi di questo genere, possono aumentare la competitività
e lexport sia delle macchine sia dei beni finali.

Se la media impresa manifatturiera rappresenta una buona fetta
del futuro del nostro Paese, che cosa dovrebbero fare le nostre
istituzioni governative per sostenerla? Infrastrutture efficienti
e a basso costo, a partire dallenergia; formazione di capitale
umano che abbia la flessibilità e ladattabilità
cognitiva per inserirsi nel nuovo modello di impresa creativa ad
apprendimento organizzativo continuo e diffuso; incentivazione alle
innovazioni a maggior tasso di ricerca che può venire soltanto
da un nuovo rapporto con il mondo delluniversità e
della ricerca pubblica; sostegno alla crescita e sviluppo sui mercati
esteri, attraverso adeguate forme di assicurazione e di credito
agevolato, ma soprattutto attraverso lazione incisiva delle
rappresentanze diplomatiche e commerciali nel sostegno e nella difesa
degli standard tecnologici e dei marchi italiani.
La Finanziaria continua invece ad essere affetta dal tradizionale
strabismo di trascurare la specificità delle medie imprese
italiane. Tre soltanto le misure degne di nota che vanno a sostegno
dello sviluppo distrettuale e metadistrettuale delle medie imprese
del nostro Paese. Attraverso lintroduzione della nuova configurazione
giuridica della rete dimpresa, si permette alle
aziende che partecipano a una filiera distrettuale di aggregarsi,
al fine di far valere il loro maggior peso per un migliore accesso
al credito, al marketing e alla consulenza aziendale integrata.
Attraverso lintroduzione di un credito dimposta automatico
pari al 15 per cento per i costi derivanti da contratti con luniversità
e con i centri di ricerca pubblica si cerca di favorire la collaborazione
con il mondo accademico (per un valore massimo globale di 600 milioni
di euro).
Infine, nellambito dei progetti di innovazione industriale,
saranno privilegiati quelli presentati in modo congiunto da grandi
imprese e Pmi, al fine di consolidare i rapporti di filiera. Ancora
troppo poco, per le difficili sfide che ci attendono.
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