È difficile
immaginare unEuropa
economica senza
il contributo del made in Italy,
che significa stile, qualità,
innovatività.
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UnEuropa con la Germania di turno alla presidenza della Commissione.
Con Bulgaria e Romania che hanno portato a 27 i Paesi membri. Con
la Slovenia tredicesimo Paese ad avere adottato leuro. Sullo
sfondo, la necessità di dare al Vecchio Continente una maggiore
incisività istituzionale e geopolitica e una forte spinta
alla crescita. È in questa prospettiva che nel 2007 saranno
celebrati i 50 anni dei Trattati di Roma, unoccasione irripetibile
per interrogarsi sul ruolo del nostro Paese.
LItalia è stata un importante protagonista politico
in tutta levoluzione della costruzione continentale. Diffusa
è lopinione che abbia avuto un ruolo federatore
per la sua capacità di aggregare visioni ideali e soluzioni
pragmatiche, da una parte evitando intonazioni arroganti o rivendicative
come Stato membro, e dallaltra servendo con dignità
e con professionalità le istituzioni europee con il contributo
determinante di personalità di rilievo.
Limitandoci agli ultimi sei anni, rilevante è il ruolo svolto
da Carlo Azeglio Ciampi nel suo volere unEuropa quale Unione
di popoli e di Stati che affiancasse allidentità economica,
rafforzata dalleuro, anche una più solida identità
politica con la Costituzione. Nella Convenzione europea va rilevato
il ruolo di Giuliano Amato, che ne è stato vice-presidente,
con apporto di competenza giuridico-istituzionale, e di Gianfranco
Fini, che ne è stato membro fattivo.

Nella Commissione, la guida italiana ha governato con concretezza
alcuni passaggi fondamentali quali leuro, lallargamento,
il varo della Strategia di Lisbona. A sua volta, Mario Monti, nella
sua qualità di Commissario alla Concorrenza, ha impresso
una svolta, intra ed extra europea, per mercati più liberi
e ordinati. Attualmente Franco Frattini, vicepresidente della Commissione
europea e responsabile di Giustizia, libertà e sicurezza,
svolge con unanime apprezzamento una funzione delicatissima.
LItalia ha avuto anche un importante ruolo economico in questo
mezzo secolo di costruzione europea. Il nostro Paese genera il 17,7
per cento del Prodotto interno lordo della Ue-12, e il 13 per cento
della Ue-25. In altri termini, il Pil italiano (in parità
di potere dacquisto) pesa poco meno della somma di quelli
di sei economie come Olanda, Belgio, Grecia, Portogallo, Danimarca
e Irlanda.
Una lunga serie di indicatori economici, in particolare quelli riferiti
al settore manifatturiero, mette in evidenza una forza basata soprattutto
sulle piccole e medie imprese (tra cui non poche multinazionali)
che adesso vengono riscoperte anche dai più convinti terziarizzatori.
Oltre tutto, è estremamente difficile immaginare unEuropa
economica senza il contributo del made in Italy, che significa stile,
qualità, innovatività.
Per questo anche gli imprenditori italiani hanno contribuito alla
costruzione europea. Sorprende il fatto che poco si riconosca questo
contributo, spesso considerando le imprese come soggetti meramente
rivendicativi. Bene ha fatto, perciò, il Capo dello Stato
a sottolineare nel discorso di fine anno che lItalia «ha
già ripreso a crescere, col contributo determinante di imprenditori
che hanno imboccato la strada della innovazione e del rischio nel
mercato globale; e, insieme, di tecnici e lavoratori qualificati
e aperti al cambiamento, consapevoli che è il momento di
premiare il merito».
Queste valutazioni potrebbero portare a concludere che lItalia
va bene ed è ben posizionata in Europa. Purtroppo, tutti
sappiamo che non è così. A tal fine è bene
conoscere innanzitutto lopinione pubblica italiana sulla Ue.
Secondo i dati forniti dallEurobarometro, la popolazione appare
in maggioranza europeista, ma con importanti distinguo. Gli italiani
sono molto favorevoli ad una politica comune di sicurezza (il 74
per cento, in linea con il dato europeo che si colloca al 75 per
cento) e anche di politica estera (il 70 per cento, contro il 68
per cento).

Minor convinzione, anche se pur sempre maggioritaria, gli italiani
hanno sullimmagine positiva dellUnione europea (il 56
per cento, contro il 46 per cento di media europea), nellapprezzamento
del Parlamento (56 per cento, contro 52 per cento) e di quello della
Commissione (52 per cento, contro il 48 per cento), nellopinione
che sia bene essere nella Ue (52 per cento, in linea con la media
continentale).
Infine gli apprezzamenti diventano minoritari, scendendo cioè
in Italia al di sotto del 50 per cento, sui benefici ottenuti quali
membri della Ue (47 per cento, contro 54 per cento), sulla disponibilità
a ulteriori allargamenti (47 per cento, contro 46 per cento), sulla
valutazione positiva delle attuali politiche di Bruxelles (29 per
cento, contro 33 per cento).
Anche sulla base di queste valutazioni si possono avanzare almeno
due commenti-proposta. Innanzitutto, attualmente fa bene lItalia
a spingere molto su una politica estera e della sicurezza italo-europea,
che ultimamente ha portato a cospicue convergenze, soprattutto sul
Libano. Ora è importante che la si sappia combinare con unestrema
prudenza nel sostenere ulteriori allargamenti, favorendo invece
le cooperazioni rafforzate soprattutto nella difesa e sicurezza.
Cè da sperare anche che lipotesi sulla semplificazione
del progetto di Costituzione possa attecchire. Sono direzioni positive
per lItalia e per lUnione.
In secondo luogo, invece, la politica economica non va nella stessa
direzione. LItalia non ha ancora ben digerito leuro,
al punto che una recente indagine dellEurobarometro rivela
che soltanto il 41 per cento degli italiani considera come la moneta
unica sia stata un vantaggio complessivo (a fronte del 48 per cento
dei cittadini della zona delleuro) e solo il 45 per cento
non abbia difficoltà ad usarla (contro il 59 per cento).
Troppe sono state dal 1999 le polemiche sulla nuova valuta, che
invece per il nostro Paese è stata salvifica. Purtroppo si
è lasciato spazio ad aumenti di prezzi ingiustificati in
mercati protetti. Inoltre, le politiche economiche non hanno ben
favorito gli aggiustamenti che la nostra economia doveva affrontare
non solo per il rigore di bilancio con tagli di spesa pubblica,
ma anche per liberalizzare i mercati e per favorire gli aumenti
di produttività e di competitività per la crescita.
In realtà, neanche la Finanziaria 2007 soddisfa queste esigenze
nel suo privilegiare unequità statica rispetto ad una
solidarietà dinamica che soltanto con più crescita
si può conseguire. Cè almeno da sperare che
gli italiani, posti di fronte alle maggiori tasse e alleventuale
minore crescita dellanno in corso, non ne addossino la responsabilità
allEuropa. Al di fuori dellUe non cè futuro
per noi e per i nostri figli.
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