È la riemersione
di antiche ruggini, sopravvissute
sottopelle, dure a morire, con le quali si vuole
instaurare un clima di tensione tra Nord e Sud.
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Una ricchissima e ormai negletta letteratura meridionalistica ci
aveva consegnato limmagine di unItalia irrimediabilmente
duale: di là, quella imprenditrice, prodotto di una cultura
individualistica che, sfidando il rischio, creava lavoro e ricchezza;
di qua, quella protetta, prodotto di una cultura statalista che,
consentendo sicurezza del lavoro a basso reddito e con conseguenti
bassi consumi, determinava, nel precario equilibrio delleconomia
del Paese, il perpetuarsi di una problematica questione
sociale, che gli indirizzi di politica generale dellItalia
hanno semmai tenuto sotto controllo, senza mai portare ad una soluzione
positiva. Perciò è accaduto che non siano più
ritenute depresse, ma in fatto e in diritto recuperate allo sviluppo
generale, le antiche aree povere della Germania, dellInghilterra,
della Francia, del Belgio, dellIrlanda, mentre per il Mezzogiorno
dItalia larretratezza è rimasta una costante
negativa di identità.
In questo senso, è venuta meno da noi la capacità
di realizzare una rivoluzione nello stesso tempo pacifica e aggressiva:
tirar fuori le regioni meridionali ai tempi del Regno di
Napoli pari in povertà ad altre del Centro-Nord dal
baratro in cui erano state gettate dal militarismo del Piemonte,
dallannessione e dalla successiva guerra civile, significava
attuare interventi bilanciati in unItalia e nellaltra,
e non protezionismi interni, privilegi geo-politici, discriminazioni
economiche-finanziarie, torchiature fiscali.
Storia e storie più che note. E tuttavia passate in dimenticatoio
da alcuni anni a questa parte, perché, comè
stato detto strumentalmente, la vecchia questione rientrava
ormai nel quadro della nuova politica, quella della Comunità
europea: altro inganno, e neanche più sofisticato rispetto
ai precedenti, visto che di europeo ci sarebbe stata soltanto una
serie di finanziamenti che non dovevano essere sostitutivi, bensì
aggiuntivi, a quelli nazionali. La cancellazione, o quantomeno la
radicale riduzione dello squilibrio, poteva essere a portata di
mano. Ma ancora una volta le scelte sono state altre. E mentre il
Sud faticosamente sta facendo da sé, spunta unaltra
teoria, che, a meno di correttivi in corso dopera, si interroga
sul rischio di emarginazione che corrono le regioni meridionali.

Luca Ricolfi è, al modo di Piero Ostellino, uno studioso
che si sente culturalmente più figlio dellIlluminismo
scozzese, empirico, scettico e tollerante delle virtù
sociali i cui prodromi già erano aleggiati sulla
gloriosa rivoluzione inglese del 1688, e che avrebbe
poi accompagnato la nascita degli Stati Uniti nel 1776 (lo stesso
anno della pubblicazione della Ricchezza delle nazioni di Adam Smith)
che dellIlluminismo razionalista francese, ideologico,
dogmatico, degenerato poi nel Terrore e nei totalitarismi del Novecento.
Ricolfi è autore di uno studio, Le tre società. È
ancora possibile salvare lunità dItalia? Le tre
società sono: 1) quella delle garanzie (di cui fanno parte
i pensionati, i dipendenti pubblici, gli operai e gli impiegati
delle grandi imprese; tanto per intenderci, gli italiani scarsamente
esposti ai rischi del mercato e protetti dalle organizzazioni sindacali);
2) quella del rischio (di cui fanno parte gli artigiani, i commercianti,
i piccoli imprenditori, i dipendenti di questi ultimi, gli occupati
atipici, i lavoratori irregolari e i disoccupati); ancora per intenderci,
gli italiani esposti sia agli alti e bassi del mercato sia alle
vessazioni dello Stato; 3) quella della forza (fondata sul controllo
delleconomia e del territorio da parte della criminalità
organizzata e sulle clientele, gli abusi e i favori della politica
locale); e qui cè poco da discutere, si individua fin
troppo facilmente di quale tipo di società e di quali luoghi
stanziali si tratta.
Tesi di fondo dello studio: «È difficile pensare a
uno sviluppo del sistema Italia che continui a ignorare, eludere,
sacrificare o penalizzare le richieste liberiste della seconda società,
se non altro perché essa è una delle colonne portanti
del nostro modo di produrre [
]. Nello stesso tempo è
difficile che i territori in cui la seconda società è
più radicata, a cominciare da molte regioni del Nord, accettino
in eterno linvadenza e linefficienza degli apparati
pubblici: tanta burocrazia, tantissime tasse, servizi mediocri,
giustizia lenta, infrastrutture inadeguate».
Insomma, la politica italiana persevera nel dividere il Paese: blocca
la Tav, confisca il Tfr; è generosa con gli impiegati pubblici
e avara con gli operai e con gli impiegati privati; è sensibilissima
«a ogni stormir di sindacalista», ma indifferente «al
popolo dei Cipputi»; è attenta agli equilibri dei salotti
buoni, ma lontana dalla moltitudine delle partite Iva. Insomma,
la Sinistra come la Destra, in questo nostro Paese: con politici
supponenti, paternalistici, ubiqui, onnipresenti in ogni più
piccolo recesso della vita economica.

Tirando le somme: delle tre società, accettabili sono solo
le prime due. La terza è da rigettare. E poiché la
società e lItalia della criminalità organizzata
sono quelle del Mezzogiorno, è ovvio che lunità
della Penisola, se messa in discussione, non può che comportare
lesclusione del Sud. Il ragionamento sembrerebbe non fare
una piega. Solo che corre lobbligo di avanzare per lo meno
due obiezioni.
La prima: il Sud ha fatto passi da gigante, malgrado labbandono
da parte dello Stato; un abbandono che ha significato, per fortuna,
anche la fine dellideologia dissipatrice, clientelare e in
ultima analisi devastante rappresentata dal cosiddetto intervento
straordinario.
La seconda: i cartelli del crimine organizzato prosperano nelle
aree in cui si manifesta una ricchezza; le mafie sono cresciute
nel Sud che trasformava la propria economia da esclusivamente agraria
a edilizia, industriale, terziaria, e persino imprenditrice, senza
che lo Stato abbia fatto opera simultanea di prevenzione e di repressione,
cioè senza che sia stato attuato un progetto radicale e costante
di controllo del territorio, con interventi coordinati di polizia,
magistratura e istituzioni civili, che semmai hanno subìto,
insieme con la gente comune, la tracotanza di cosche, ndrine,
famiglie, paranze, e altri e fantasiosi ma sempre sanguinari
gruppi criminali, che continuano a condizionare, anche con
collusioni amministrative e politiche, la vita e leconomia
del Sud.
Ora, dopo troppi anni di silenzio, si torna a parlare di problemi
del Mezzogiorno. Di un Mezzogiorno che solo la Lega ha ricordato,
e non per gratitudine o per memoria devota (i finanziamenti in favore
del Sud, dal 1950 in poi, sono stati intascati sostanzialmente dalle
imprese, dagli imprenditori e persino dai banditi in doppiopetto
del Nord, oltre che da quelli in gilè del Sud). E lo si fa
rinnovando la storia del fisco amico, vale a dire della
fiscalità di vantaggio che dovrebbe riguardare non si sa
quali zone franche delle regioni meridionali. Come se
questo potesse bastare a risolvere problemi che definire secolari
sta diventando ormai una sorta di edulcorato eufemismo.
Dunque, attenzione alle facili illusioni (e nuovi inganni connessi).
Lesperienza internazionale dei territori che utilizzano le
regole fiscali e finanziarie come strumento di privilegio competitivo
mostrano che il successo è legato alla presenza contemporanea
di altre condizioni: assenza di criminalità, stabilità
di governi locali, regole sensibili ai princìpi di mercato.
Lesatto contrario superfluo dirlo della situazione
in quasi tutto il Sud. Il rischio? Peggiorare la situazione.
È stato sottolineato che le proposte di disegnare le cosiddette
zone franche stanno diventando sempre più frequenti
e numerose, proprio (nel senso di soprattutto) quando si parla di
aree meridionali. Ci si rende conto e non è una novità
che vincere la sfida del dualismo territoriale costituirebbe
finalmente un autentico trampolino per la crescita di medio-lungo
periodo di tutto il Paese. Nello stesso tempo e anche questa
non è una novità non si può nascondere
che esistono dei gap strutturali di dimensioni e complessità
ragguardevoli: si pensi, appunto, ai cartelli del crimine presenti
e pervasivi, come ad infrastrutture deficitarie e inefficienti.
E allora si cerca la scorciatoia della fiscalità, del vantaggio
fiscale. Il ragionamento, in parole povere, sembra essere questo:
per far sorgere imprese e far nascere imprenditori in un ambiente
che non offre né sicurezza né servizi, è necessario
offrire robusti incentivi sul versante fiscale, in modo da far pendere
lanalisi costi-benefici nella direzione giusta.

Se questa è la linea di pensiero, purtroppo non può
portare molto lontano. Lo sviluppo di un tessuto dimpresa
sano e duraturo in un dato territorio presuppone una condizione
necessaria, anche se non del tutto sufficiente: garanzia ampia e
stabile di avere tutelati i diritti della persona e della proprietà.
La logica è semplice: quanto più sono sicuro che i
miei diritti sono tutelati e che devo a mia volta rispettare ladempimento
dei miei doveri, senza che nessuno me compreso possa
sfruttare ingiustificate posizioni di rendita, tanto più
sarò incentivato ad assumermi rischi per migliorare il mio
stato. Traduzione: per avere (autentici) imprenditori e (autentiche)
imprese, occorre uno Stato che sappia offrire infrastrutture invisibili
(legalità, stabilità, pari opportunità) e visibili.
In caso contrario, ogni scorciatoia, fiscale e finanziaria, finisce
per produrre sviluppi effimeri, e magari danni permanenti.
Che le scorciatoie fiscali e finanziarie abbiano lorizzonte
corto lo dimostrano perfino le esperienze di quei Paesi e territori
che hanno scelto larma della competizione regolamentare non
tanto per creare un sistema industriale e commerciale, ma (almeno)
per attirare stabilmente capitali esteri. Ci stiamo riferendo ai
famosi (famigerati?) Paesi e territori off shore. Contarli non è
semplice, anche perché spesso a definire questi centri sono
linsieme più o meno grande, a seconda dei casi
dei Paesi che vengono danneggiati dalle politiche di altri
Paesi; per non parlare delle iniziative unilaterali, che sempre
più di frequente si registrano.
Prendiamo allora i Paesi che si autodefiniscono centri off shore:
sono una quarantina, dispersi per latitudine, longitudine, storia
e cultura. Se proviamo ad esaminarli con le tecniche dellanalisi
economica, per individuare eventuali fattori che hanno in comune,
scopriamo che regole fiscali e finanziarie più aggressive
producono reddito, a patto che a metterle in atto sia un territorio
caratterizzato da stabilità politica, assenza di criminalità
organizzata e di terrorismo, legislazione rispettosa dei princìpi
del mercato. Poi il territorio può essere oppure no una ex
colonia, e non è detto che la lingua ufficiale sia linglese,
come pure non è strettamente indispensabile essere ubicati
nei Caraibi, nel Pacifico o nellEuropa centrale. Quello che
conta è garantire ai capitali stabilità, integrità,
mercato. Poi, la scelta di disegnare politiche delle regole aggressive
ha dei costi sui Paesi che aggressivi o lassisti non
sono.
Ma quel che qui conta è che perfino chi gioca tutto sullappetibilità
dei propri regimi fiscali e finanziari deve poter contare sulle
infrastrutture invisibili e visibili per avere probabilità
di successo. Figurarsi allora se le zone franche possono essere
concepite in territori lasciati assolutamente in ritardo in termini
di presidi della sicurezza, della stabilità e del mercato.
Il rischio reale è quello di creare invece nuovi incubatori
di inefficienza e di corruzione.
È stato Goffredo Fofi a notare che in campo letterario i
maggiori critici militanti si mostrano quasi insofferenti, se non
proprio infastiditi, nei confronti della produzione narrativa meridionale,
e ciò soprattutto perché i giovani scrittori del Sud
propongono opere che rispecchiano realtà leggibili,
a differenza di quelli del Nord, che sembrano poco propensi a rivelare
il loro mondo, astratto e comunque ovattato, perciò meno
convincente, e meno coinvolgente rispetto allaltro.
Può sembrare un altro capitolo della vecchia polemica fra
la produzione letteraria del Settentrione, condizionata dal fascino
del clima a suo modo romantico delle nebbie, e quella del Sud, a
sua volta tutta immersa nellafosità rovente del sole.
E certamente si tratta anche di questo. Ma non soltanto di questo.
Perché mai come ai nostri giorni ogni confronto fra diverse
o anche opposte espressioni, economiche o politiche o culturali,
ha assunto il carattere di scontro senza mediazioni, senza possibilità
di riconoscimento di una qualche posizione complementare.
Una specie di sordo furore manicheo sembra tornato a caratterizzare,
dopo un certo periodo di stasi, gli atteggiamenti di chi a malincuore,
se non proprio con rabbia malcelata, vede nella crescita del Sud
non un avanzamento di tutta la società italiana, ma una sconfitta
unilaterale, che penalizza lItalia opulenta, quella che, per
restare nel campo della letteratura, dispone delle più ricche
ed efficienti case editrici, di un numero più alto di università
e di politecnici, di centri di ricerca più avanzati.
È la riemersione, dicevamo, di antiche ruggini, sopravvissute
sottopelle, dure a morire, e soprattutto in grado di determinare
comportamenti di massa fondati sullegoismo geo-etnico e alimentati
dallignoranza e dal pregiudizio. Una riemersione che alla
fine travalica le coordinate delluniverso creativo della scrittura,
e si dispiega nel campo della politica: forse perché non
può essere diversamente, forse anche perché si tratta
di campagne combinate, che tendono parallelamente allo stesso fine,
cioè ad una prospettiva di secessione che esalta le anime
semplici delle pedemontane subalpine, convinte di essere protagoniste
di una rivoluzione catartica, e che serve da strumento di pressione
per le voraci camarille del Nord che produce e che lavora,
mentre simultaneamente pretende di prosciugare ogni risorsa disponibile
per lintera Penisola.
Un esempio emblematico del ritorno allantico è
dato dalle recenti prese di posizione di una certa stampa politica
settentrionale. La quale, scrivendo della decisione della provincia
di Crotone di varare un progetto per studiare la figura di Giovanni
Dionigi Galeni, un calabrese di Isola Capo Rizzuto che, catturato
dai turchi, venne convertito a forza e diventò con
il nome di Euldj Ali Pasha uno degli ammiragli del Sultano
presenti alla battaglia di Lepanto, ha sostenuto che «il Rinnegato,
per i calabresi, è un eroe», e che meglio sarebbe spendere
quei soldi per promuovere ricette tradizionali, come «i patati
e pipi friuti» o come la «cocuzza nataligna».
Ora, al di là degli strafalcioni evidenti (il Rinnegato ne
combinò abbastanza, senza che ci fosse il bisogno di rispolverare
la leggenda, falsa per gli storici, secondo la quale costui avrebbe
tagliato la gola alla madre), sta di fatto che si vuole instaurare
un nuovo clima di tensione tra Nord e Sud, con la rimessa in gioco
di un antimeridionalismo tattico, per fini ovviamente inconfessabili,
ma pur sempre noti, e pur sempre funzionali alla voracità
onnivora di cui parlavamo sopra.
Certamente, siamo lontani dai bei tempi andati, quando il leghista
Calderoli proponeva di «amputare la cancrena alto»,
piazzando le frontiere padane a Pesaro, e ammoniva i vescovi che
«i padani, oltre a mantenere lesercito di parassiti
del meridione, mantengono anche loro»; o quando lineffabile
Borghezio, alla domanda se fosse daccordo con un manifesto
leghista che denunciasse un complotto terrone, rispondeva:
«No, manca laggettivo schifoso: schifoso
complotto terrone»; o quando il capotribù Bossi, imprecando
per la sconfitta del ricandidato sindaco leghista a Milano, sparava
sui «terroni ingrati», i quali, «pur di non liberare
il Nord dalla schiavitù di Roma, avrebbero votato anche un
pezzo di merda».
Ma la tregua col Sud, che Maroni firmò nel 2000 con i leader
del centrodestra nella garibaldina Teano, è finita. A quel
tempo il Senatùr, deciso ad avere la mitica devoluscion,
aveva ordinato la cessazione delle ostilità nei confronti
dei terroni. Si ebbero parole sobrie dei colonnelli, dissensi
sì ma molto garbati per certi regalini finanziari
strappati in favore di alcune clientele elettorali del Sud (ammettiamo
pure più numerose di quelle del Nord), aplomb britannico
per i quattrini fatti pervenire alla Sicilia per le imminenti elezioni
e alla Calabria per la sua inaffondabile armata di forestali, scuse
per le scritte Forza Etna!, comizi nientemeno che a
Ceppaloni, dichiarazioni secondo le quali il ponte sullo Stretto
non era più considerato unopera «vergognosa e
dispendiosa», riconoscimento addirittura di
un Sud che si era «enormemente evoluto»
Referendum: e devoluscion vincente nel Lombardo-Veneto, ma sepolta
nel Sud da percentuali di voti bulgare. Commento della Lega, il
silenzio, attraverso la cui cortina passa il sibilo elegante di
Speroni: «LItalia fa schifo». Così le antiche
rabbie e i rigurgiti secessionisti riprendono vigore. Il nordismo
torna alla ribalta, a rotta mutata. Dalle cronache giornalistiche
ancora fresche dinchiostro: «Laumento delle tasse
lo sconterà il Settentrione, la riduzione del cuneo fiscale
andrà a vantaggio del Meridione (questa volta con liniziale
in maiuscolo, N.d.R.). Un doppio danno». E ancora: «Di
federalismo non si è neppure parlato, a meno che non confondano
il federalismo con lassistenzialismo». Per quel che
più da vicino ci riguarda, i rappresentanti del Molise e
della Puglia «non sono disposti a rinunciare per qualsiasi
ragione ai loro privilegi», mentre «Tonino vuol tenere
la Padania in coda, ma intanto promette nuove opere nel Meridione»:
per Tonino intendendo il ministro Di Pietro, che ha
definito «priorità delle priorità» la
Tav Napoli-Bari, «recentemente pensata da alcuni governatori
ulivisti del Meridione» per «collegare piacevolmente
con la città do sole e do mare ameni centri dellentroterra
campano e pugliese». Di più: unAlta Velocità
del tutto inutile, «con quindici stazioni».
E alla via così. «Sgravi fiscali al Sud. Che già
non paga le tasse». «Prodi si fa in quattro per il Mezzogiorno».
Oltre ai titoli, i commenti: «Sono due i motivi per i quali
al Sud lemergenza rifiuti non cessa mai: o sono incompetenti
o sono ladri. O tutti e due». E per finire, il direttore della
Padania, quotidiano leghista, ha pubblicato in prima pagina la foto
di un piatto di spaghetti con sopra una pistola (sai la brillante
novità?). Gran titolo: Il Nord con le imprese, il Sud
con la mafia. Commento testuale: «Ci diranno che siamo
i soliti. Invece, solito è un certo Sud che non ne vuole
sapere di cambiar pelle e di scrollarsi di dosso la simpatia con
la cultura mafiosa o camorristica che sia. A Napoli scippano un
turista e la gente che fa? Invece di inseguire i malviventi, mette
le mani addosso al povero cristo (sic!, N.d.R.) americano che voleva
riprendersi la telecamera. Sono episodi? No, miei cari. A Napoli
come a Palermo come a Reggio Calabria come a Bari cè
una larga fetta di popolazione che tifa per i clan e
sta con la criminalità e non ne vuole sapere
di cambiare».
Ma il Sud non si era «enormemente evoluto»? Contrordine,
popolo allobrogo? Vedremo fra non molto se, e perché mai.
(E intanto, a proposito di definizioni. Chi emula a gran distanza
di tempo un noto settimanale tedesco spaghetti con pistola,
sulla copertina per emblematizzare indiscriminatamente la
cultura e la civiltà del Sud e dei meridionali, non ci permettiamo
di definirlo il solito; più semplicemente lo
chiamiamo con un termine diverso, che la fantasia dei suoi soliti
e sodali può agevolmente individuare, prima di tirare la
catena. E una volta tanto, amen!).
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