Può ancora
la poesia fissare per sempre la
memoria di un luogo? Sì, almeno nel nostro
immaginario, perché spetta
a noi ricordare che Lecce è di Bodini, Trieste è di
Saba, Genova e il
Levante sono di Montale e Pescara è di DAnnunzio...
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Era capitato questo: che una docente di Letteratura italiana, avendo
deciso di leggere una poesia a settimana, nel tentativo di far riscoprire
agli allievi quel che i programmi del Ministero competente quasi
del tutto trascuravano, stava proponendo un componimento di Vittorio
Bodini, quando, assalita da una legittima quanto perfida suspicione,
chiese: «Ma voi sapete dovè Lecce, vero?».
Avendosi in cambio le risposte più insospettabili e strampalate:
il capoluogo salentino, secondo gli alunni, era in Calabria, o in
Sicilia, o in Abruzzo, o in Sardegna, o in casa del diavolo. Ovunque,
meno che in fondo alla Puglia, luogo dal quale non si era eradicato
dai secoli dei secoli, per trasferirsi in qualche altro angolo della
Penisola.
La vicenda, in realtà, risale a un po di anni addietro.
Oggi, probabilmente, capiterebbe di peggio, ascoltando alunni che
frequentano scuole che sperimentano, che fanno
didattica, che si interessano di educazione stradale, di educazione
(?!) sessuale, e di chissà che altro, ma che non insegnano,
e soprattutto non insegnano con passione. Perché cè
una minoranza di docenti che crede strenuamente nella geografia
della poesia, nella ricerca dei luoghi nei quali la poesia ha lasciato
unimpronta di sé; e nel possibile coinvolgimento dei
giovani, che sanno tutto dei cantautori, dei gruppi musicali, delle
soap, dei grandi e piccoli fratelli, delle squadre di calcio e dei
gossip amorosi dei calciatori, ma che non hanno mai mandato a memoria
qualche verso, e non sono in grado di collocare al posto giusto
le città italiane.
Poesie legate ai luoghi: una parte indispensabile, una volta, del
più ampio gruppo di versi da ricordare, comè
capitato alla nostra generazione, che si è formata certamente
sullAtlante, ma molto di più proprio sulla poesia.
Recanati era il Leopardi; così come San Mauro di Romagna,
Castelvecchio e Barga erano il Pascoli. E sarà stata pure
non facile la poesia del Carducci, ma quel pullulare di luoghi vivificati
dal poeta-vate ci ha fatto fare, letteralmente, il giro
dItalia, da Courmayeur al Busento.
Così come al liceo ci fu per noi la scoperta della veemenza
onomastico-geografica di Dante, non solo nelle invettive contro
le città rivali, Pisa (Ahi Pisa, vituperio de le genti /
del bel paese là dove l sì suona, / poi che
i vicini a te punir son lenti, / muovasi la Capraia e la Gorgonia,
/ e faccian siepe ad Arno in su la foce, / sì chelli
anneghi in te ogne persona!), Lucca, Pistoia, Siena, ma anche negli
autentici pezzi di bravura delle aperture paesistiche. Basti ricordare
la Ravenna del canto di Francesca (Siede la terra dove nata fui
/ su la marina dove l Po discende / per aver pace co
seguaci sui). O i magnifici cortocircuiti di un solo verso (Siena
mi fe, disfecemi Maremma), (Pia dei Tolomei).

Può ancora la poesia (e non solo quella grande; si pensi
a Voze, che sciacqui al sole la miseria, che Camillo Sbarbaro dedica
al microscopico paese sopra Noli, nel Ponente ligure; oppure alla
Spigolatrice di Sapri, del poeta risorgimentale Luigi
Mercantini) fissare per sempre la memoria di un luogo? Certamente,
almeno nel nostro immaginario. Perché spetta a noi ricordare
che Lecce è di Bodini, come Trieste è di Saba, Genova
e il Levante sono di Montale, e Pescara è di DAnnunzio.
Fuor di dubbio: le città non saranno più, oggi, le
stesse dei poeti, quelle dun tempo, e le vie e le piazze
allo stesso modo saranno diverse da allora. Lungherese
Via Pal, che incantò milioni di giovanissimi lettori dogni
angolo del pianeta, ora è irriconoscibile, e non poteva essere
che così, perché la forma di una città o di
una via, ahinoi, cambia più in fretta del cuore delluomo.
Ma è bene ricordare che non viviamo in un eterno presente.
E che custodire dei versi nella memoria è, per chi li apprende,
un bene prezioso.
LItalia, intanto. Che in alcune componenti regionali collegate
allEuropa e al Mar Mediterraneo è citata da Cielo (o
Ciullo) dAlcamo, (Cercataio Calabria / Toscana e Lombardia,
/ Puglia, Costantinopoli, / Genoa, Pisa e Sorìa, / Lamagna
e Babilonia (e) tutta Barberia: / donna non (ci) trovai tanto
cortese, / per che sovrana di meve te prese). O che stimola lafflato
poetico di un Luciano Folgore (Italia: / parola azzurra / bisbigliata
sullinfinito / da questa razza adolescente, / chha sempre
/ una poesia nuova da costruire / una gloria nuova da conquistare.
// Italia: / primavera di sillabe / fiorite come le rose dei giardini
/ peninsulari, / stellata come i firmamenti del Sud / fatti con
immense arcate blu. // Italia: / nome nostro e dei nostri figli
/ via maestra del nostro amore / rifugio odoroso dei nostri pensieri,
/ ultimo bacio sulle nostre palpebre / nel giorno che la morte /
serenamente verrà); o quello più lirico
di Sibilla Aleramo (Ulivi e pioppi dargento / e frumento /
nel sole / il mare abbaglia / alto il monte serge /
e rude verso lazzurro, / marmorea cima / di marmi un
carro scende / bianco, / bianco abbagliante passa / tra gli ulivi
e i pioppi dargento / e il frumento, / nel sole...).
Mentre alla visione idilliaca di Luigi Orsini (O Patria, parola
sì breve, / sì grande tra tante parole, / che brilli
di foco e di neve, / e odori di scogli e di aiuole; / che stringi
in fervido accordo / le genti vicine e lontane, / e chiami alla
prece e al ricordo / con voce di mille campane; / o Patria sii tu
benedetta / per ogni remota contrada
) si contrappone il canto
disperato di Giacomo Leopardi (O patria mia, vedo le mura e gli
archi / e le colonne e i simulacri e lerme / torri degli avi
nostri, / ma la gloria non vedo, / non vedo il lauro e il ferro
onderan carchi / i nostri padri antichi. Or fatta inerme,
/ nuda la fronte e nudo il petto mostri...).
E culmina il Canto damore per la nostra terra
madre con i versi del poeta-vate, Giosuè Carducci (Da i vichi
umbri che foschi tra le gole / de lAppennino samano
appiattare; / da le tirrene acropoli che sole / stan su i fioriti
clivi a contemplare; // da i campi onde tra larmi e lossa
arate / la sventura di Roma ancor minaccia; / da le rocche tedesche
appollaiate / sì come falchi a meditar la caccia; // da i
palagi del popol che sfidando / surgon neri e turriti incontro a
lor; / da le chiese che al ciel da lunghe levando / marmoree braccia
pregano il Signor; // da i borghi che saffrettan di salire
/ allegri verso la cittade oscura, / come villani channo da
partire / un buon raccolto dopo mietitura; // da i conventi tra
i borghi e le cittadi / cupi sedenti al suon de le campane, / come
cucùli tra gli alberi radi / cantanti noie ed allegrezze
strane; // da le vie, da le piazze gloriose, / ove, come del maggio
ilare a i dì / boschi di querce e cespiti di rose, / la libera
de padri arte fiorì; // per le tenere verdi messi al
piano, / pe vigneti su lerte arrampicati; / pe
laghi e fiumi argentei lontano, / pe boschi sopra i
vertici nevati, // pe casolari al sol lieti fumanti / fra
stridor di mulini e di gualchiere, / sale un cantico solo in mille
canti, / un inno in voce di mille preghiere: // Salute, o
genti umane affaticate! / tutto trapassa e nulla può morir.
/ Noi troppo odiammo e sofferimmo. Amate. / Il mondo è bello
e santo è lavvenir...).
Dalle Alpi alle Piramidi, / dal Manzanarre al Reno
:
la corona di monti come confine naturale della Penisola, oltre la
visione manzoniana, nei versi di Giovanni Bertacchi (La catena dellAlpi
in ampio giro / variata di nevi e di pinete / in vallate profonde,
ecco, sadima. // E vagabonda duna ad altra cima, / solca
una nube limmortal quiete / della nitida volta di zaffiro
).
E al Carducci si deve tornare, per i versi che dedica alle due regioni
sentinelle occidentali della Penisola un suo canto fitto di nomi
di città (...Salve, Piemonte! A te con melodia / mesta da
lungi risonante, come / gli epici canti del tuo popol bravo, / scendono
i fiumi. // Scendono pieni, rapidi gagliardi, / come i tuoi cento
battaglioni, e a valle / cercan le deste a ragionar di gloria /
ville e cittadi: // la vecchia Aosta di cesaree mura / ammantellata,
che nel varco alpino / éleva sopra i barbari manieri / larco
di Augusto: // Ivrea la bella che le rosse torri / specchia sognando
a la cerulea Dora / nel largo seno, fosca intorno è lombra
/ di re Arduino: // Biella tra l monte e il verdeggiar de
piani / lieta guardante lubere convalle, / charmi ed
aratri e a lopera fumanti / camini ostenta: // Cuneo possente
e paziente, e al vago / declivio il dolce Mondovì ridente,
/ e lesultante di castella e vigne / suol dAleramo;
// e de la Superga nel festante coro / de le grandi Alpi la regal
Torino / incoronata di vittoria, ed Asti / repubblicana. // Fiera
di strage gotica e de lira / di Federico, dal sonante fiume
/ ella, o Piemonte, ti donava il carme / novo dAlfieri. //
Venne quel grande, come il grande augello / ondebbe nome;
e a lumile paese / sopra volando, fulvo, irrequieto, /
Italia, Italia // egli gridava a dissueti orecchi,
/ a i pigri cuori, a gli animi giacenti: / Italia, Italia
rispondeano lurne / dArquà e Ravenna:
// Sotto / il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto / di Cuneo l
nerbo e limpeto dAosta / sparve il nemico. // Languido
l tuon de lultimo cannone / dietro la fuga austriaca
moria: / il re a cavallo discendeva contra / il sol cadente; //
a gli accorrenti cavalieri in mezzo, / di fumo e polve e di vittoria
allegri, / trasse, ed un foglio dispiegato, disse / resa Peschiera
// E lo aspettava la brumal Novara / e a tristi errori meta
ultima Oporto...).
Città-simbolo dellindustria, Torino. Eppure capace
di ispirare versi su versi, da quelli di Cesare Pavese (Fin che
ci saran nuvole sopra Torino / sarà bella la vita. Sollevo
la testa / e un gran gioco si svolge lassù sotto il sole.
/ Masse bianche durissime e il vento vi circola / tutto azzurro
talvolta le disfa / e ne fa grandi veli impregnati di luce.
/ Sopra i tetti, a migliaia nuvole bianche / copron tutto, la folla,
le pietre e il frastuono
) a quelli di Guido Gozzano (Come
una stampa antica bavarese / vedo al tramonto il cielo subalpino
/ Da Palazzo Madama al Valentino / ardono lAlpi tra le nubi
accese... / È questa lora antica torinese, / è
questa lora vera di Torino...).
Ancora dei versi di Pavese sul capoluogo piemontese (Le colline
e le rive del Po sono un giallo bruciato / e noi siamo saliti quassù
a maturarci nel sole... / Si respira un sentore di terra e, di là
dalle piante, / a Torino, a questora, lavorano tutti in prigione...
/ Tanto bella sarebbe Torino poterla godere / solamente
poter respirare. Le piazze e le strade / han lo stesso profumo di
tiepido sole / che cè qui tra le piante. Ritorni al
paese. / Ma Torino è il più bello di tutti i paesi...).
E altri di Gozzano su unaltra città emblematica dellindustria
(un giorno) allavanguardia (E Ivrea rivedo e la cerulea Dora
/ e quel dolce paese che non dico). Mentre Sergio Solmi dedica il
canto alla città delle risaie, Vercelli (Ora sbiancata e
inutile, cristallo / vano di mezzogiorno, in cui deambulo / sotto
gli enormi alberi violetti / portando in giro unombra stanca,
ora / della mia vita...).
Domodossola, infine. Cantata con vividi accenti da Severino Ferrari
(Cantò il gallo; andò la voce / a ripercuotere la
valle; / vi risposero sul Toce / strisce bianche, strisce gialle,
/ fischi, fruste, bussi e crocchi
// Sorge il sole e lodorosa
/ Domo in braccio ei tosto accoglie. / Domo è il giallo duna
rosa / di cui lAlpi son le foglie. // Nella tiepida carezza
/ del ricordo, o Domo bella, / il tuo seno fulge e olezza / fiore
spada incenso e stella).

Dai massicci montani, al mare. Ed è subito Liguria, terra
di Vincenzo Cardarelli (È la Liguria una terra leggiadra.
/ Il sasso ardente, largilla pulita, / savvivano di
pampini al sole. / È gigante lulivo. A primavera /
appar dovunque la mimosa effimera. / Ombra e sole salternano
/ per quelle fonde valli / che si celano al mare
/ O chiese
di Liguria, come navi / disposte a esser varate! / O aperti ai venti
e allonde / liguri cimiteri! / Una rosea tristezza vi colora
/ quando di sera, simile a un fiore / che marcisce, la grande luce
/ si va sfacendo e muore). Mentre alla terra savonese dedica unelegante
lirica Aldo Capasso (Se dalloscuro nido / io maffaccio,
mi perdo. Su la nera / coppa di questa terra mormorante / un fluido
globo turchino contiene / sciami di stelle; creature acquatili,
/ si levano e sabbassano nel liquido / cielo e le più
remote / sono un tremito chiaro. Questi fruscii / secretissimi giungono
dagli astri / che nuotano tranquilli? Pe miei occhi / la visione
marina della notte / nel cuore entra e lo colma di frescura / come
le grotte brune / dove sè insinuata la marea).
Genova del Carducci, poi (Qual da gli aridi scogli erma su l
mare / Genova sta, marmoreo gigante). E quella delle folgoranti
immagini di Giorgio Caproni (Mia Genova difesa e proprietaria. /
Ardesia mia. Arenaria... // Genova mia di sasso. Iride. Aria...).
Angiolo Silvio Novaro distilla versi romantici per il suo paese
natale, Diano Marina (Freschezza azzurra, / effusa chiarità,
/ luce infinita / da non so quale / miracolo esplosa, / silenzio
/ a pace / si sposa. // Un veliero / su le tremule / acque senzorme
/ con lali aperte / incantato / dorme. // Né foglia
né fiore / nel bosco / si move...). Bellissima, poi, la visione
delladriatico (e salentino delezione) Giovanni Bernardini
(Dalle Apuane alla Liguria / una celeste chiarità dellaria,
/ il Magra increspa mille scaglie dargento / intorno a una
canoa solitaria / e corre con le sue lunghe dita / a toccare / il
mare). Da ultimo, Portovenere, sempre appartenuta ai poeti, da Byron
e da Shelley a Montale, che la ricorda in Ossi di seppia
(Là fuoriesce il tritone / dai flutti che lambiscono / le
soglie dun cristiano tempio, / ed ogni ora prossima è
antica. / Ogni dubbiezza / si conduce per mano / come una fanciulletta
amica...).
Il Nord occidentale è in tanta parte memoria risorgimentale,
come forte memoria storica evoca la Lombardia. Marzo 1821
del Manzoni ha un largo afflato geografico, oltre che poetico (Soffermati
sullarida sponda, / volti i guardi al varcato Ticino, / tutti
assorti nel nuovo destino, / han giurato: non fia che questonda
/ scorra più tra due rive straniere; / non fia loco ove sorgan
barriere / tra lItalia e lItalia, mai più!...
// Chi potrà della gemina Dora, / della Bormida al Tanaro
sposa, / del Ticino e dellOrba selvosa / scerner londe
confuse del Po; / chi stornargli del rapido Mella / e dellOglio
le miste correnti, / chi ritogliergli i mille torrenti / che la
foce dellAdda versò...). Tema del giuramento ricorrente
in Giovanni Berchet (Lhan giurato. Gli ho visti in Pontida
/ convenuti dal monte, dal piano. / Lhan giurato, e si strinser
la mano / cittadini di venti città...).
E Milano è lemblema dellItalia moderna, città
che dà alla Penisola una voce per parlare al mondo contemporaneo,
fucina di idee e di ciminiere, come ci ricorda Elio Pagliarani (La
civiltà si è trasferita al nord / come è nata
nel sud, per via del clima, / quante energie distilla alla mattina
/ il tempo di febbraio, qui in città?... // È questo
cielo contemporaneo / in alto, tira su la schiena, in alto ma non
tanto / questo cielo colore di lamiera // sulla piazza a Sesto a
Cinisello alla Bovisa / sopra tutti i tranvieri ai capolinea / non
prolunga allinfinito / i fianchi le guglie i grattacieli i
capannoni Pirelli / coperti di lamiera? // È nostro questo
cielo dacciaio che non finge / Eden e non concede smarrimenti
/ è nostro ed è morale il cielo / che non promette
scampo dalla terra / proprio perché sulla terra non cè
/ scampo da noi nella vita).
La Lombardia di Clemente Rebora (Campagna di Lombardia, / voce tua,
voce mia, / voce voce che vai via / e non dai malinconia...). E
quella di Salvatore Quasimodo nella celebre Ora che sale il
giorno ( Finita è la notte e la luna / si scioglie
lenta nel sereno, / tramonta nei canali. / È così
vivo settembre in questa terra / come nelle valli del Sud a primavera...).
Come quella dellAdda, cantata da Sergio Solmi (E lAdda
riccioluta di spume, carica / di case attonite, di bianchi ponti
/ nel gonfio lume di luna: dallerma / pergola i fiati della
notte, i baci, / il vino, le liete parole...). E quella dei laghi:
il Lago Maggiore, a Luino, di Vittorio Sereni (Sotto i miei occhi
portata dalla corsa / la costa va formandosi immutata / da sempre
e non la muta il mio rumore / né, più in fondo, quel
repentino vento che la turba / e alla prossima svolta, forse, finirà:
/ E io potrò per ciò che muta disperarmi / portare
attorno il capo bruciante di dolore... / ma lopaca trafila
delle cose / che là dietro indovino: la carrucola nel pozzo,
/ la spola della teleferica nei boschi, / i minimi atti, i poveri
/ strumenti umani avvinti alla catena / della necessità,
la lenza / buttata a vuoto nei secoli, / le scarse vite che allocchio
di chi torna / e trova che nulla nulla è veramente mutato
/ si ripetono identiche, / quelle agitate braccia che presto ricadranno,
/ quelle inutilmente fresche mani / che si tendono a me...); lo
stesso lago, sempre di Vittorio Sereni (Ti distendi e respiri nei
colori. / Nel golfo irrequieto, / nei cumuli di carbone irti al
sole / sfavilla e sabbandona / lestremità del
borgo. / Colgo il tuo cuore / se nellalto silenzio mi commuove
/ un bisbiglio di gente per le strade. / Morto in tramonti nebbiosi
daltri cieli / sopravvivo alle tue sere celesti, / ai radi
battelli... // Fuggirò quando il vento / investirà
le tue rive; / sa la gente del porto quantè vana /
la difesa dei limpidi giorni. / Di notte il paese è frugato
dai fari, / vaganti nella campagna, / un fioco tumulto di lontane
/ locomotive verso la frontiera...); e quello di Eupili, il Lago
di Pusiano, presso Bosisio, luogo natale di Giuseppe Parini (Oh
beato terreno / del vago Eupili mio, / ecco al fin nel tuo seno
/ maccogli; e del natio / aere mi circondi; / e il petto avido
inondi
// Però chaustro scortese / qui suoi vapor
non mena: / e guarda il bel paese / alta di monti schiena / cui
sormontar non vale / borea con rigidale. // Né qui
giaccion paludi / che da lo impuro letto / mandino a i capi ignudi
/ nuvol di morbi infetto: / e il meriggio a bei colli / asciuga
i dorsi molli. // Pera colui che primo / a le tristi oziose / acque
e al fetido limo / la mia cittade espose; / e per lucro ebbe a vile
/ la salute civile...).

Giovanni Raboni vede Milano dallalto (Queste strade che salgono
alle mura / non hanno orizzonte, vedi: urtano un cielo / bianco
e netto, senzalberi, come un fiume che volta... / però
più giù, nel / fondo della città / divisa in
quadrati (puoi contarli) e dolce / come un catino
e poco più
avanti / la cattedrale, di cinque ordini sovrapposti: e proseguendo
/ a destra, in diagonale, per altri / trenta o quaranta passi
una spanna: continua a leggere / come in una mappa imbrocchi in
pieno lasse della / piazza / costruita sulle rocciose fondamenta
del circo / romano / grigia ellisse quieta dove / dormono o si trascinano
enormi, obesi, ingrassati / come capponi, rimpinzati a volontà
/ di carni e Borgogna purché non escano dalla piazza! i /
poveri / della città. A metà tra i due fuochi / lì,
tra quattrocento anni / impiantano la ghigliottina).
Mentre Antonio Porta la vede dal basso (dalla città lasfalto
lievita / diventa ancora più impermeabile / sopra ci battono
le suole di ferro le gambe di legno / le pareti si avvicinano si
richiudono a libro / rimangono passaggi sottili che il vento tiene
aperti / sbucano le canne delle pistole). È orizzonte provvisorio
per lemigrato Lucio Romano (Né il giorno è mio,
né lora / né lattimo della metropoli.
/ Vedo fiumane danime / ogni ora con volti di nebbia / scarpe
stanche di fughe / fiumane danime senzanima / come mare
seccato / involucro vuoto. // La mia anima è fatta galleria:
/ per questo se passa qualcuno / odo solo un lamento). Ed è
nostalgia per i versi raffinati di Sandro Penna (Di febbraio a Milano
/ non cerano le nebbie. / Ma numerosi sciami di ciclisti /
andavano nel sole silenziosi. / E li fermava come in una gara /
sospesa il suonatore siciliano).
Pavia, città di viva cultura, baricentro dellattività
della lombardo-salentina Maria Corti. E luogo delezione della
poesia di Toti Scialoja (Nei vapori del parco di Pavia / i pallidi
pavoni si allontanano / a passo di pavana e vanno via...). Mentre
è Lento Goffi a cantare una Brescia ricca e decadente (Tutto
è come allora o poco mutato: / qualche crepa come ruga /
nei muri delle case; / più logori i selciati; / annerite
le pietre dei portali / ove mostri perpetuano lagguato; /
eguale lo scatto e il volo / dei colombi, se voce o passo incrina
/ la calma del meriggio...).
Arnaldo Fusinato non ha più ragione di alzare al cielo il
suo lamento per il destino di Venezia (È fosco laere
/ il cielo è muto, / ed io sul tacito / veron seduto, / in
solitaria malinconia / ti guardo e lacrimo / Venezia mia). Altre
città sono tornate irredente: mezza Gorizia, e Pola, Capodistria,
Fiume
Può cantare Venezia con la consueta sincerità
Diego Valeri (Avviluppata in un roseo velo, / sta con sue chiese,
palazzi, giardini, / tutta sospesa tra due turchini, / quello del
mare, quello del cielo. // e stanco, / dun chiuso lume
come la perla; // ma nei tramonti rossi, affocati, / è unarca
doro, ardente, raggiante, / nave immensa veleggiante / a lontani
lidi incantati...). Possono cantarla Antonio Porta (La città
è solo sfiorata dai gabbiani / virano a distanza e si tuffano
allindietro / ma è la sua luce interna e esterna a
sorreggerla / insieme alle acque che la cinturano e la penetrano
/ mai utero fu così intestinale e intestino / così
uterino alla luce del sole nuovo della sua vecchiezza / sta per
cancellarsi e dei vuoti palazzi sopra gli specchi / rimangono scaglie
di marmo che il vento soffia via...); e Costantino Nigra (Lenta
su lauree cupole / posa la mesta luna; / è muta la
laguna, / è senza vele il mar. // ... in riva allAdria
/ povera, ignuda, esangue / geme Venezia e langue, / ma è
viva... e aspetta ancor); e Vincenzo Cardarelli (Lalito freddo
e umido massale / di Venezia autunnale. / Adesso che lestate,
/ sudaticcia e sciroccosa, / dincanto se nè andata,
/ una rigida luna settembrina / risplende, piena di funesti presagi,
/ sulla città dacqua e di pietre / che rivela il suo
volto di medusa / contagiosa e malefica
// Qui non i venti
impetuosi e funebri / del settembre montanino, / non odor di vendemmia,
non lavacri / di piogge lacrimose, / non fragore di foglie che cadono.
/ Un ciuffo derba che ingiallisce e muore / su un davanzale
/ è tutto lautunno veneziano. / Così a Venezia
le stagioni delirano...). E infine la città lagunare di Ercole
Ugo DAndrea (Dì una parola per lacqua, / per
le fioriere ed i colombi / che ci nutrirono i passi / e i remi bassi
nei crepuscoli / bruni dellonda, / dì una parola per
loro / quintessenziato di quella città, / per il pulviscolo
doro sulle acque / bronzee per il suono degli scafi...).
Zanzotto alza gli occhi su Padova (E cera il ronzio dunacqua
sporca / prossima, e duna sporca fabbrica: / stupende nel
silenzio. / Perché era notte...) e sulla natia trevigiana
Soligo (Dove ultima delle mie pene / Soligo fosca si cimenta / al
suo monte sdegnato dal cielo, / dove il fiume sussulta / e tenta
col vano meandro / liberarsi dal melmoso autunno, / più vicino
al tuo volto / al tuo corpo embrione aspro del sole: / là
mi riscuoto, là rovescio la vita / mia, sonno infetto di
terra, / là sei, vera pietra e vera terra / che arresta e
stringe al muro i paesaggi; / e la fuliggine delle alluvioni / invola
contro monte il mezzodì). Senza che manchi la voce del migrato
da una terra che non conosce i fiumi, Salvatore Toma al cospetto
dello storico corso dacqua (Dolce come poggiando al suolo
/ la colomba che volava nel sole / sulle falde di Castelvecchio
/ e come un sogno / si lasciava cadere. / Laccoglieva lAdige
intanto / nel primo fresco del mattino. / E come unonda /
lagitava al canto).
Città martire, Trento è regina delle Alpi, luna
e le altre presenti nei versi incantati di Alfonso Gatto (Bei monti
della sera / azzurra è già lItalia... // Così
la chiara spera / dei monti a lungo ammalia / nei pascoli la sera...).
E, al capo opposto, ma sul mare, Trieste, la città che si
identifica con Umberto Saba (Trieste ha una scontrosa / grazia.
Se piace, / è come un ragazzaccio aspro e vorace, / con gli
occhi azzurri e mani troppo grandi / per regalare un fiore; / come
un amore / con gelosia...).
E la regione fu terra dorigine degli Ungaretti, e dunque del
poeta nato ad Alessandria dEgitto, lermetico Giuseppe,
che enumerò i fiumi (LIsonzo scorrendo / mi levigava
/ come un suo sasso...), e rammentò i compagni caduti sul
Carso nella Grande Guerra (Di queste case / non è rimasto
/ che qualche / brandello di muro. // Di tanti / che mi corrispondevano
/ non è rimasto / neppure tanto. // Ma nel mio cuore / nessuna
croce manca. / È il mio cuore / il paese più straziato).
Poi, il confine estremo. Quello di Sergio Corazzini, a Dobbiaco,
(la chiama Toblack, dove fu in sanatorio): E quanto
vha Toblack dirraggiungibile / e di perduto è
in questa tua divina terra, in questo tuo sole inestinguibile, /
è nelle tue terribili campane, / è nelle tue monotone
fontane, / Vita che piange, Morte che cammina). Ed è quello
di Vittorio Locchi e della sua Gorizia finalmente conquistata (...Ancora
tre minuti, / due minuti, / uno: Alla baionetta!
/ E tutte le baionette / fioriscono sulle trincee. / Tutta la selva
di punte / ondeggia, si muove, / si butta sul monte, / travolgendo
gli Austriaci, / rigettandoli / oltre le cime, / scaraventandoli
giù, / a precipizio / dentro lIsonzo. / Sei
nostra! Sei nostra! / sembra gridare lassalto. / La
città è apparsa, / apparsa a tutti nel piano, / dalle
vette raggiunte, / e tende le braccia, / e chiama / lì, prossima,
/ tutta rivelata, / nuda e pura nel sole di ferragosto. / e libera!
libera! / sotto la cupola celeste / del cielo dItalia, / sotto
le Giulie, / lultime torri / smaglianti della Patria).
Fascia il sud del Nord lEmilia-Romagna. La doppia regione
ha Ferrara di Corrado Govoni (Altissimi, per laria, dai bastioni
/ capriolano fantastici aquiloni. // Le rondini bisbigliano nel
nido. / Un grillo dentro lorto fa il suo strido. // Il cielo
chiude nella rete doro / la terra come un insetto canoro)
e Parma di Attilio Bertolucci (Dalla finestra aperta / entran le
voci calme / del fiume, / i canti lontani / delle lavandaie / laggiù
fra i pioppi e gli ontani, / presso la pura corrente / che mormora
sì dolcemente / il fumo dei vapori / si confonde con quello
delle case / sotto il riso trionfale / del cielo).
Irrompono due voci. Quella di Giovanni Pascoli, della leggenda (Romagna
solatia, dolce paese, / cui regnarono Guidi e Malatesta, / cui tenne
pure il Passator cortese / re della strada, re della foresta...)
e dellintimismo (Al mio cantuccio, donde non sento / se non
le reste brusir del grano, / il suon dellore viene col vento
/ dal non veduto borgo montano: / suono che uguale, che blando cade,
/ come una voce che persuade. / Tu dici, È lora; tu
dici, È tardi, / voce che cadi blanda dal cielo...); e infine
quella di Giosuè Carducci, che canta la dotta Bologna (Surge
nel chiaro inverno la fosca turrita Bologna, / e il colle sopra
bianco di neve ride. // È lora soave che il sol morituro
saluta / le torri e l tempio, divo Petronio, tuo; // le torri
i cui merli tantala di secoli lambe, / e del solenne tempio
la solitaria cima. // Il cielo in freddo fulgore brilla; / e laer
come velo dargento giace // su l foro, lieve sfumando
a torno le moli / che levò cupe il braccio clipeato de gli
avi. // Su gli alti fastigi sindugia il sole guardando / con
un sorriso languido di viola, // che ne la bigia pietra nel fosco
vermiglio mattone / par che risvegli lanima de i secoli...).
(1 - continua)
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