In Europa le
politiche antitrust sono già state
fortemente
influenzate
dalla moderna economia della concorrenza.
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Quali sono le regole da applicare ai comportamenti delle aziende
in posizione dominante? Questo interrogativo attualmente è
al centro di un grande dibattito lanciato dalla Commissione europea,
un dibattito che riveste una rilevante importanza per le imprese,
per i consumatori e per landamento futuro delleconomia
europea.
Largomento in discussione è il ruolo della scienza
economica nel diritto della concorrenza, che fornisce regole che
sono tra i fondamenti delleconomia di mercato. Nel corso dellultimo
decennio, specialmente quando Mario Monti ha ricoperto la carica
di commissario alla Concorrenza nella Commissione europea, abbiamo
assistito a importanti riforme su due dei tre principali elementi
del diritto della concorrenza.
Innanzitutto, a partire dalla fine degli anni Novanta, è
stata adottata una linea nei confronti degli accordi lesivi della
concorrenza più attenta ai dettami della scienza economica,
con azioni più incisive contro gli accordi di cartello e
meccanismi di clemenza per incoraggiare le aziende a rivelare questi
accordi alle autorità.
Queste politiche hanno registrato ottimi risultati contro il male
supremo della collusione tra aziende a danno degli interessi
dei consumatori. Contemporaneamente, i policymaker hanno riconosciuto
che molti accordi stipulati in precedenza per fronteggiare il problema
dellincertezza giuridica in materia di concorrenza erano innocui:
ad esempio, tranne qualche eccezione, gli accordi tra produttori
e commercianti al dettaglio in settori con un buon livello di concorrenza.

Il passo successivo è stata la riforma, spronata anche dalle
sentenze del Tribunale del Lussemburgo nel 2002, della normativa
sulle fusioni nellUnione europea. Anche in questo caso, nel
2004, è stata adottata una linea più attenta ai dettami
della scienza economica. Adesso lapproccio alle fusioni, in
termini di politica della concorrenza, è in gran parte omogeneo
sulle due rive dellAtlantico e nel resto del mondo.
La Commissione europea ha successivamente lanciato un dibattito
di ampio respiro sul terzo elemento principale del diritto e della
politica della concorrenza, la normativa contro labuso di
posizione dominante (di recente, il caso più importante in
questo ambito è stato quello di Microsoft).
Questo dibattito ruota attorno a un interrogativo di fondo: qual
è il punto oltre il quale il comportamento commerciale di
una società che gode di potere di mercato cessa di essere
concorrenza aggressiva e diviene lesivo della concorrenza? Ad esempio,
qual è il punto oltre il quale occorre intervenire, fermando
e sanzionando lazienda dominante che vende i suoi prodotti
a prezzi bassi o che offre sconti a quei clienti che comprano grandi
quantità di prodotto? Altri importanti interrogativi al riguardo
sono quelli relativi ai criteri per definire dominante
unazienda. Ad esempio, una quota di mercato del 40 per cento
rappresenta una posizione dominante, e, ancora più a monte,
in che modo devessere definito un mercato?
A uno degli estremi della gamma di possibili approcci allinterrogativo
su quali siano le condizioni che permettono di parlare di abuso
di posizione dominante cè la visione formale, secondo
la quale un determinato tipo di comportamento, se praticato da una
società che dispone di una sostanziosa quota di mercato,
(per esempio, dal 40 per cento in su), è da giudicarsi illecito.
Può rientrare in questo tipo di comportamenti lofferta
di sconti ai clienti che acquistano quantità di prodotti
superiori a una determinata soglia, in base al principio che si
tratta di strategie fidelizzanti, e pertanto intrinsecamente
lesive della concorrenza.
I sostenitori della visione economica affermano che è un
errore affidarsi alla forma del comportamento come criterio dirimente
per stabilire se si tratti di comportamento lecito o meno. Osserviamo
che una determinata forma o tipologia di comportamento può
favorire o danneggiare la concorrenza a seconda delle circostanze
di mercato, e quelle circostanze devono essere adeguatamente valutate
dal punto di vista economico, (sottolineiamo anche i rischi di trarre
conclusioni troppo affrettate sulleffettivo potere di mercato
di unazienda, basandosi sulle cifre delle quote di mercato).
Ma quali dovrebbero essere i princìpi di base per questa
valutazione economica? Sarebbe assurdo adottare una politica che,
deliberatamente o accidentalmente, prendesse come parametro per
individuare un comportamento lesivo della concorrenza il danno arrecato
ai concorrenti, perché una concorrenza sana, auspicabile,
a vantaggio dei consumatori spesso va contro gli interessi delle
aziende rivali, e può determinare lesclusione di alcune
di queste aziende dal mercato. Dobbiamo tracciare il confine tra
concorrenza nel merito e comportamento lesivo della
concorrenza, in modo da non compromettere lincentivo per le
aziende a competere in modo aggressivo per offrire ai consumatori
condizioni più vantaggiose.

Ciò suggerisce che lelemento-chiave per definire un
reale comportamento lesivo della concorrenza dovrebbe essere il
danno arrecato al consumatore. Alcuni sostengono che non si può
parlare di abuso se non viene dimostrata la plausibilità
di un danno di questo tipo. Unopinione strettamente collegata
a queste è che ci si dovrebbe preoccupare dellesclusione
di rivali dal mercato solo quando ad essere escluse sono aziende
altrettanto efficienti, o più efficienti, in termini di servizi
offerti ai clienti, dellazienda dominante. Parte della giurisprudenza
esistente concorda con questo concetto. Ad esempio, il test-chiave
per determinare se si è in presenza di pratiche di predatory
pricing consiste nello stabilire se il prezzo praticato è
inferiore al costo variabile dellazienda dominante, e il principale
test per individuare pratiche di compressione dei margini
da parte di aziende dominanti con integrazione verticale consiste
nellappurare se aziende rivali con lo stesso grado di efficienza
rischiano di essere estromesse dal mercato.
Come fare per mettere in pratica questi princìpi? Negli anni
Settanta, gli approcci tradizionali in materia di diritto della
concorrenza negli Stati Uniti furono oggetto di violente critiche
da parte di esponenti della Scuola di Chicago, come
Bork e Posner. Da allora, leconomia della concorrenza, partendo
dagli sviluppi della teoria dei giochi e della teoria dei contratti,
ha fatto grandi passi in avanti. Alcuni elementi delle critiche
avanzate dalla Scuola di Chicago sono stati accettati, e nello stesso
tempo ne sono stati messi in luce i limiti. Ora siamo arrivati,
nellanalisi economica, a quella che è stata definita
una sintesi post-Chicago: in parole povere, una nuova
economia dellanticoncorrenza.
Di per sé, questa teoria economica non è in grado
di dirimere i singoli casi, perché le decisioni vanno prese
basandosi sui fatti. Ma può servire a mettere in luce le
problematiche più rilevanti. Ad esempio, se il presupposto
è che gli sconti su acquisti di elevati volumi di prodotto
influenzano il mercato in senso contrario alla concorrenza, lanalisi
economica può contribuire a individuare in quali condizioni
di mercato sconti del genere sono effettivamente suscettibili di
estromettere rivali più efficienti, e in quali condizioni
invece questi sconti sono efficienti e favoriscono i consumatori.
In Europa le politiche antitrust su accordi e fusioni lesivi della
concorrenza sono già state fortemente influenzate
in bene dalla moderna economia della concorrenza. Se lo stesso
succederà nel caso delle leggi e delle politiche nei confronti
dellabuso di posizione dominante è cosa che ancora
resta da vedere, (su questa stessa materia è in corso un
acceso dibattito politico negli Usa, con una controversia legale
arrivata fino alla Corte Suprema). A Bruxelles, la Commissione europea,
fortemente incoraggiata da una serie di Autorità antitrust
nazionali per la concorrenza, sta rivedendo la sua politica in questarea,
e le decisioni che prenderà sui casi in esame negli anni
a venire la metteranno nelle migliori condizioni per fare da leader.
Queste decisioni saranno naturalmente soggette a revisione da parte
delle Corti di Giustizia europee, di cui si attende ansiosamente
la sentenza su diverse decisioni importanti prese in passato.
Per concludere, non è sufficiente usare il pugno di ferro
contro gli abusi (correttamente individuati) di posizione dominante.
I Governi devono saper usare il pugno di ferro anche nei confronti
di quelle condizioni non necessarie che determinano situazioni di
potere di mercato, come il protezionismo e i sussidi in favore di
operatori esistenti. Lapertura dei mercati europei alla concorrenza
e alla libertà di scelta dei consumatori è stata realizzata
pienamente in alcuni settori e in alcuni Stati membri, ma certamente
non in tutti. E i Governi, perciò, oltre ad applicare unefficace
politica della concorrenza contro gli abusi di posizione dominante,
non dovranno mancare di eliminare i vincoli alla concorrenza, permettendo
alla libertà di scelta del consumatore di dispiegare tutta
la sua forza.
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