Il concetto di
risorsa non è
definito dalla
natura, come gli ambientalisti
vorrebbero far
credere, ma dalla creatività e dalla scienza umana.
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I tratti tipici dellideologia ecologista, quali la totale
avversità alla crescita demografica indicata come la causa
di tutti i mali ambientali; lopposizione radicale allo sviluppo,
considerato il veleno diffuso dalla tradizione culturale occidentale;
la concezione nichilista delluomo e della natura ci stanno
portando verso una nuova forma di statalismo globale
che non può non generare preoccupazione e inquietudine in
chi considera la libertà delluomo un pilastro irrinunciabile
della civiltà.
Lopposizione a questa deriva non si basa su considerazioni
ideologiche, ma è fondata sulla realtà: per potersi
affermare, infatti, questo statalismo globale è obbligato
a truccare le carte, a fornire notizie sbagliate o parziali per
assicurarsi grazie al sistema mass-mediatico un consenso
della società civile. Due volumi (Le bugie degli ambientalisti
e Le bugie degli ambientalisti 2, editi dalla Piemme) si son posto
lobiettivo di smascherare i trucchi e di rivelare i traguardi
politici ed economici che si sono prefissi. Questa produzione, fra
laltro, è suffragata dal lavoro del Centro europeo
di studi sulla popolazione (Cespas).
Vediamo di prendere in esame alcuni aspetti decisivi, per giudicare
lambientalismo.
Popolazione e ambiente. La questione delle
risorse. Esplicitamente o implicitamente, tutte le principali
battaglie ambientaliste implicano la necessità di ridurre
la presenza umana sulla terra, sia quantitativamente che qualitativamente.
Affronteremo laspetto qualitativo più avanti, per il
momento fermiamoci al primo, cioè alla presunta sovrappopolazione.
Si sostiene che siamo troppi, anche se il mito della bomba demografica
è ormai definitivamente tramontato e la popolazione mondiale
con ogni probabilità si stabilizzerà attorno ai 9
miliardi per il 2050. Troppi già ora, si dice, per le capacità
di sostentamento della terra (carryng capacity). In realtà,
il concetto di carryng capacity è mutuato dallecologia,
dove viene genericamente definito come «il numero di individui,
in una popolazione, che può essere sostenuto dalle risorse
di un habitat». Fatta propria dalle agenzie dellOnu,
questa è diventata la principale chiave di lettura del fenomeno
del sottosviluppo: sovrappopolazione uguale povertà. Ma la
realtà ci dice che dei 21 Paesi più poveri al mondo
soltanto 7 hanno una densità superiore ai 100 abitanti per
km quadrato, mentre fra i 21 Paesi più ricchi ben 12 superano
questa densità. A un esame più approfondito ci rendiamo
conto che il sottosviluppo è dovuto in realtà a fattori
politici ed economici, oltre che culturali.
Stesso discorso vale per lambiente: la realtà dimostra
che i maggiori problemi ambientali nascono nei Paesi sottosviluppati
che, oltre tutto, sono anche quelli meno abitati. È il caso,
ad esempio, della deforestazione, che contrariamente a ciò
che si crede non è affatto un fenomeno globale, tuttaltro:
nellultimo mezzo secolo la superficie terrestre coperta dalle
foreste è aumentata, passando da 3,5 milioni di ettari del
1949 agli attuali circa 4 milioni. In questo quadro positivo, troviamo
però situazioni locali di deforestazione legate, ad esempio,
a unagricoltura ancora primitiva (come in molti Paesi africani)
o a situazioni di guerra (si veda il Myanmar, ex Birmania), o infine
alla corruzione. Dunque, non cè un legame diretto tra
popolazione e degrado dellambiente.

Negli ultimi anni, per sostenere la tesi della sovrappopolazione,
si è aggiunto il concetto di carryng capacity, ovvero «la
capacità umana di migliorare il benessere e di ridurre la
povertà». Tutto ruota attorno al concetto di risorse.
Secondo il pensiero dominante, neo-malthusiano, le risorse infatti
andrebbero esaurendosi per via della pressione demografica. Questa
tesi presuppone che le risorse siano un dato fisso, immutabile e
conosciuto. Ma nessuna di queste cose è vera. Nessuno sa,
ad esempio, quanto petrolio esista ancora di fatto sotto la crosta
terrestre, e lo stesso vale per tutte le altre risorse. Quello che
si conosce è sempre meno di quel che in realtà esiste:
soltanto il bisogno spinge a cercare nuove risorse. Un esempio emblematico
è quello del gas: la sua produzione è aumentata di
12 volte dalla fine del Secondo conflitto mondiale, e con la crescita
della produzione si sono moltiplicate anche le riserve: nel 1973
cera disponibile gas per i successivi 47 anni, nel 1999 cera
gas per i successivi 60 anni. Analogo discorso per il piombo: le
40 mila tonnellate a disposizione nel 1950 erano sufficienti per
la popolazione dellepoca; averne prodotto di più sarebbe
stato economicamente controproducente, perché avrebbe fatto
crollare i prezzi a danno degli stessi Paesi produttori. Ma con
la crescita della domanda non cè stato alcun problema
ad arrivare, ventanni dopo, a una produzione di 86 mila tonnellate.
Inoltre, nella storia le risorse sono andate sempre aumentando e
diversificandosi, dallintroduzione della patata nellagricoltura
alluso del carbone, dai fertilizzanti allenergia atomica,
tutte risorse che luomo ha conosciuto e poi sfruttato progredendo
e usando nuove tecnologie.
Questo discorso vale anche per le risorse non rinnovabili, come
lacqua: nessuno di noi oggi si disseta andando direttamente
alla sorgente. La possibilità di soddisfare le esigenze idriche
della popolazione sta invece nella tecnologia, che ha consentito
di potabilizzare acqua che in natura non sarebbe bevibile, e nella
costruzione di acquedotti che portano lacqua direttamente
nelle case. Allora è possibile pensare che nei prossimi decenni
avremo a disposizione risorse oggi neanche immaginabili.
(Per quel che ci riguarda da vicino, a proposito di mutazioni climatiche
e di siccità, si afferma che i grandi laghi prealpini sono
sotto i livelli storici, e i bacini montani anche. Dio solo sa da
che cosa si ricavano queste notizie allarmistiche. Il livello del
lago di Como, prima delle attuali piogge!, non soltanto non è
stato sotto la norma, ma addirittura ha leggermente superato i livelli
standard. Stesso discorso per i laghi Maggiore e dIseo. Per
quel che riguarda poi i bacini montani artificiali, essi si sono
riempiti nei mesi di maggio e giugno, come normalmente avviene da
sempre).

Tutto ciò vuol dire solo una cosa: il concetto di risorsa
non è definito dalla natura come gli ambientalisti
vorrebbero far credere ma dalla creatività e dalla
scienza umana che rende sfruttabile un dato componente della natura.
Prima e fondamentale risorsa è dunque luomo, con la
sua capacità di adattarsi e di rispondere alle mutate esigenze.
Luomo è la soluzione, non il problema. Eliminare uomini
non risolve i problemi. Li aggrava.
Sviluppo è ambiente. Dicevamo
che lobiettivo degli ambientalisti è quello di ridurre
la presenza delluomo sulla terra, anche dal punto di vista
qualitativo. In questo senso, sotto accusa è soprattutto
la rivoluzione industriale, e i provvedimenti che vengono attualmente
invocati più o meno esplicitamente si riferiscono
alla necessità di fermare leconomia occidentale. Il
celebre Protocollo di Kyoto, con il suo drastico obiettivo di riduzione
delle emissioni, ne è un clamoroso esempio. Ma è tutta
la dottrina sui cambiamenti climatici che punta a questo
obiettivo: sotto accusa sono le emissioni di gas serra prodotti
dalluomo, ma in particolare lemissione di anidride carbonica,
il cui aumento esponenziale dipenderebbe proprio dalla Rivoluzione
industriale.
In effetti, la lieve tendenza allaumento della temperatura
globale che si registra da 120 anni (+0,6 °C) non è stata
affatto lineare: gli aumenti ci sono stati dal 1910 al 1945, e di
nuovo dopo il 1975. Il periodo 1945-1975 ha visto invece un calo
delle temperature, tanto che negli anni Settanta gli scienziati
lanciavano allarmi su una imminente glaciazione (e alcuni erano
gli stessi che oggi gridano al riscaldamento globale). Ebbene, anche
nel periodo di raffreddamento la concentrazione di anidride
carbonica è andata aumentando. Ma lideologia non ha
bisogno della realtà per essere confermata. Così ogni
occasione è buona per prendersela con lo sviluppo. Esempio
eclatante è stato quello dello tsunami che ha colpito il
Sud-Est asiatico il 26 dicembre 2005: i media ci hanno bombardato
con il messaggio secondo cui la gravità dei danni e delle
perdite era dovuta agli interventi umani che avevano reso più
vulnerabili quei territori, la colpa era soprattutto dello sfruttamento
economico delle coste. In realtà, le località turistiche
rappresentano una minima parte delle aree colpite, e sono quelle
che registrano minori perdite umane: alle Maldive sono morte 82
persone, nella Thailandia meridionale la somma tra morti e dispersi
arriva a 9 mila (di cui molti occidentali). Molti di più
sono i morti in India (circa 20 mila), nello Sri Lanka (35 mila,
di cui solo una parte nel sud turistico) e soprattutto
in Indonesia (circa 200 mila tra morti e dispersi nella provincia
di Aceh). Aceh e le aree tamil dello Sri Lanka sono zone dove imperversa
la guerra da anni, vi si trovano a malapena delle strade, figurarsi
se si può parlare di sfruttamento turistico ed economico
da parte delluomo.
La realtà dimostra invece che laddove cè lo
sviluppo anche lambiente migliora. Prima abbiamo parlato delle
foreste, ma anche per linquinamento atmosferico questo è
vero. Secondo il Rapporto Ocse 2002, in tutti i Paesi industrializzati
si registrano riduzioni significative nelle emissioni
e si prevede che questa tendenza si rafforzerà fino al 2020.
Secondo calcoli basati sui costi sociali dellinquinamento
dellaria, si può affermare che nel suo insieme nei
Paesi occidentali esso è diminuito del 70 per cento in quarantanni.
Il dato è ulteriormente confermato dalle rilevazioni portate
a termine in Italia dallArpa, ossia dalle Agenzie regionali
per la protezione dellambiente.
Anche se parliamo di rifiuti, il discorso non cambia: non è
affatto vera laffermazione che indica luomo moderno,
che consuma di più, come produttore di maggiori quantità
di rifiuti. Allinizio del 1900 la città di New York
era molto meno popolata di oggi, ma essendo i trasporti strettamente
dipendenti dalluso dei cavalli, utilizzava un numero di equini
pari a un milione e 200 mila. Calcolando che ogni giorno un cavallo
produceva (e produce) almeno 9 kg. tra escrementi e urine, la massima
parte dei quali in strada, si capisce benissimo quanti e quali problemi
di raccolta e trattamento rifiuti avesse la sola metropoli americana.
Ma per lItalia basterebbe citare la poesia di Giuseppe Parini,
La salubrità dellaria, scritta nel 1759
cioè prima della Rivoluzione industriale per
capire che la Milano di oggi, per quanto inquinata, è senza
paragoni in condizioni ambientali di gran lunga migliori rispetto
ad allora.
Stesso discorso per tutti gli indicatori ambientali. Il XX secolo,
di fatto, ha visto la più grande crescita della ricchezza,
della produttività, della salute, delle condizioni e delle
aspettative di vita: la popolazione mondiale è aumentata
di 4 volte, ma il Pil mondiale è cresciuto di 17 volte. Lumanità
è riuscita ad incrementare e non impoverire come sostengono
strumentalmente gli ideologi verdi la carryng capacity, la
capacità di carico del pianeta. E grazie allo sviluppo si
è avuta la possibilità di fare ricerca, ciò
che ha favorito lintroduzione e luso di nuove tecnologie.
Per questo è necessario un maggiore (e non un minore) sviluppo,
se si vuole migliorare ulteriormente lambiente. Soprattutto
va accelerata la crescita dei Paesi poveri, perché è
lì che si trovano le situazioni ambientali più difficili.
Il rischio dellecototalitarismo.
È significativo che linvocazione per politiche ambientali
più severe oltre che puntare a frenare lo sviluppo
vadano nella direzione di creare uno statalismo globale.
Lo si vede nel Protocollo di Kyoto, che è stato a suo tempo
salutato con entusiasmo dai suoi sostenitori non tanto per gli effetti
positivi che avrà sul clima che in effetti sono nulli
ma per il fatto che per la prima volta si impone una legislazione
globale. Significativo anche il fatto che la proposta politica
più importante scaturita dalla presentazione ai politici
della sintesi del Rapporto sui cambiamenti climatici dellIpcc
(Intergovernmental panel on climate change), allinizio dello
scorso febbraio, a Parigi, sia stata quella di creare una sorta
di Onu dellambiente. La richiesta è stata
firmata da 46 Paesi, tra i quali lItalia. In realtà,
unAgenzia dellOnu per lAmbiente esiste già
lUnep ma si vorrebbe trasformare questo organismo
in un vero e proprio strumento di governo mondiale. Si comprende
perciò come la questione del riscaldamento globale
le cui basi scientifiche sono peraltro discutibili e molto discusse
sia di fatto soltanto un pretesto per fare avanzare unagenda
politica ben precisa.
Non è difficile, dietro a queste spinte, individuare la regia
di un radicalismo orfano del socialismo reale che si è buttato
sulle battaglie ambientali, che fino a quel momento aveva sostanzialmente
ignorato. A ciò ha con molta probabilità contribuito
il fatto che lambiente è un bene per sua natura indivisibile,
comunque non gestibile in modo privato: quindi, in linea di principio,
si presta allapplicazione di dottrine politiche di tipo comunistico
che invece in sede socio-economica risultano ormai obsolete e inapplicabili.
Non per niente un grande osservatore britannico, Charles Moore,
così descriveva tempo fa questa comunistizzazione dellambientalismo:
«Una volta linquinamento era qualcosa che la Sinistra
fondamentalmente approvava. Nuove dighe e fabbriche e miniere davano
più potere alla classe operaia organizzata, e dovevano essere
portate avanti in fretta per rimpiazzare le società feudali
rovesciate dal socialismo. Il controllo operaio dei mezzi di produzione
era ritenuta cosa buona; perciò anche la produzione in sé
era buona, e linquinamento era ignorato più o meno
sulla base del principio che non puoi fare una frittata senza
rompere le uova».
Negli anni Ottanta fu Margaret Thatcher ad essere attratta dalla
teoria del riscaldamento globale, perché ci vedeva la giustificazione
per lo sviluppo dellenergia nucleare. La sua esperienza con
la crisi petrolifera degli anni Settanta e gli scioperi nelle miniere
negli anni Settanta e Ottanta la rendevano entusiasta di unalternativa
ai combustibili fossili.
Ma con la fine della Guerra Fredda, e perciò con il collasso
dellindustria pesante socialista, la Sinistra cominciò
a trovare negli argomenti verdi un nuovo tema unificante. Se i lavoratori
non potevano prendere possesso dei mezzi di produzione, la teoria
doveva essere corretta. Adesso erano quei mezzi di produzione ad
essere cattivi. Era deciso: lavidità capitalistica,
specialmente lavidità americana, stava distruggendo
il pianeta. Una volta che si era deciso su cosa fosse cattivo, il
radicalismo nostrano poteva avanzare unaltra delle sue battaglie:
la necessità per il governo di assumere il controllo del
privato, e per linternazionale di schiacciare il nazionale.
E il bello di questo è che tutto passava e continua a passare
sotto la voce salvare il pianeta! Che si parli di limiti
di velocità o di pannolini usa e getta o di voli economici
o di vecchi frigoriferi o di quanti figli avere, ti può essere
terroristicamente detto di non fare ciò che stai facendo.
E se ti lamenti, puoi essere bollato come un nemico dellumanità.
Per coloro che adorano lidea di uno Stato che può controllare
tutto, deve essere stata una costante fonte di irritazione il fatto
che il tempo (meteorologico) non possa essere soggetto a piani quinquennali
e a obiettivi di governo. Ma se tu accetti le teorie sui cambiamenti
climatici, può esserlo: anzi, deve esserlo. Senza unazione
governativa globale insegna la dottrina tutti noi
periremo.

A questo punto, limpulso religioso forma una più che
mai santa alleanza con la politica. In ogni età, le religioni
hanno avuto la tendenza a collegare gli estremi del clima con il
peccato. Dal momento che gli uomini erano cattivi Dio mandò
il diluvio sulla terra, e fu perché Noè era un uomo
giusto che gli fu permesso di costruire unArca e di accogliere
a bordo i principali esponenti della Creazione. Oggi, i livelli
del mare si innalzano per punire la nostra avidità e il nostro
egoismo, ci dicono a muso duro gli ideologi verdi. Impauriti da
questo genere di cose, uomini ricchi con coscienze poco pulite,
che nel Medioevo avrebbero fatto cospicue donazioni ai monasteri,
oggi spendono fortune in sacrifici alla Dea Gaia. Johan Eliasch,
i cui successi nella vita (vendendo equipaggiamenti sportivi) sono
dipesi dallattività, dal movimento e dalla velocità,
ha acquistato 400 mila acri di foresta pluviale con lintenzione
di non farne niente.
Equivalente moderno dellArca è la Conferenza di Kyoto,
con tutto quel che ne è conseguito. Contrastare le degenerazioni
dellambientalismo va dunque oltre le dispute scientifiche.
È piuttosto una battaglia per la libertà che va combattuta
prima che sia troppo tardi.
Per il nucleare - Contro il nucleare. La situazione è questa:
dopo lincidente di Chernobyl, lItalia ha rinunciato
al suo nucleare; chiuse le centrali di Caorso, Trino e Latina, stop
a Montalto di Castro; oggi si dice che parteciperemo agli studi
e alle ricerche per la quarta generazione di centrali, senza però
che questo significhi un ritorno al nucleare.
La Francia ha attualmente in funzione ben 59 impianti nucleari;
la produzione è pari a 428.700 Gw/h.
La Germania ha lasciato latomo nel 2000, ma ha ancora attivi,
oggi, 17 impianti, dopo averne chiusi 19; tuttavia, il governo intende
ristudiare il dossier.
Il Regno Unito ha in funzione 19 impianti nucleari, che coprono
il 20 per cento della produzione; il governo intende incrementare
al più presto luso dellatomo.
In Italia, dibattito aperto. Di recente, confronto fra loncologo
Umberto Veronesi e il Nobel per la Fisica Carlo Rubbia. Per il primo,
il governo deve costruire dieci centrali nucleari nei prossimi dieci
anni. Per laltro, non è così che si troverà
un equilibrio tra la produzione di energia e i mutamenti climatici.
Veronesi affronta il problema di petto: «Ho firmato una lettera
dellAssociazione Galileo 2001 destinata al Capo dello Stato,
con la quale una parte della comunità scientifica italiana
si dichiara preoccupata per la decisione del Parlamento di ratificare
il Protocollo di Kyoto... Credo che sia il momento di mettere da
parte le posizioni preconcette, le paure e le emozioni. Dobbiamo
aprire gli occhi. È vero, la fonte ottimale di energia in
termini di produzione, efficienza, sostenibilità per lambiente
e per luomo non labbiamo ancora trovata, ma oggi il
nucleare va considerato concretamente e subito. In Francia cè
un gran numero di centrali, anche la Spagna ne ha 9, altri impianti
sono ai nostri confini, in Svizzera in particolare. Si tratta di
una fonte potente, per la quale già disponiamo della tecnologia
di sfruttamento e che non comporta rischi per la salute e per lambiente.
Purtroppo la parola nucleare spaventa più degli
incidenti che potrebbe causare. Fobie popolari, timori irrazionali
e retaggi storici fanno ancora di più dellallarme cancro
e i suoi morti causati dai derivati del petrolio. Allora io dico:
basta con il panico da primitivi spaventati dal fuoco».
Sostiene Rubbia: «Anche se non cè forma di energia
senza pericoli, (basta pensare alla tragedia del Vajont), quelli
associati a una diffusione planetaria del nucleare non sono da sottovalutare
e vanno affrontati di concerto tra politica, scienza e opinione
pubblica. Ecco il motivo per cui io sono prudente. Vedo una soluzione
soltanto, si chiama ricerca e sviluppo. Il mondo sta lavorando.
In Cina, in Corea cè un grande fermento culturale e
scientifico. In Europa la Germania, la Finlandia, la Svezia e anche
lInghilterra stanno facendo molto bene sia dentro le università
sia a livello politico. LItalia non ha neppure un piano energetico
e investe nello studio di nuove fonti di energia una quota irrisoria
del Pil».
Veronesi: «La piaga della ricerca italiana è profonda
perché nasce da una cultura scientifica temuta e dimenticata.
Una cultura che si trasforma in atti di sfiducia della politica
nella capacità degli scienziati di contribuire a risolvere
i grandi problemi sociali».
Rubbia: «Ciò che inchioda questo Paese è limmobilismo.
Dovremmo domandare ai nostri figli che cosa vogliono per il loro
futuro. Perché nessuno lo fa?... È un preciso dovere
del mondo politico ed economico creare le premesse per dare alle
giovani generazioni questa possibilità di esprimersi».
Veronesi: «Non dobbiamo entrare nella spirale dellansia
da inquinamento. Altrimenti non dovremmo respirare allaperto
per le polveri sottili, non fiatare in casa per la formaldeide e
linquinamento domestico, non coltivare la frutta per i pesticidi,
non mangiare per le sostanze tossiche, non produrre beni di consumo
per le sostanze chimiche, non telefonare con i cellulari per le
radiazioni al cervello... Dobbiamo rinunciare a esistere? Credo
sia inutile sparare ad alzo zero».
Rubbia: «Entro la fine di questo secolo la temperatura della
terra non dovrà aumentare più di due gradi. Ci salveremo
solo se cambieremo il nostro modo di produrre energia».
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