Anche il clima
lavora per
cancellare la
storia:
i monumenti
col passare del tempo rischiano
di diventare
memoria, anchessi porti sepolti,
se non si corre
ai ripari.
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Una volta erano, per gli uomini del mare, laltro capo, il
punto darrivo dei desideri e delle rotte; invece oggi, «se
tu cercassi le città dellAcaia Erice e Buri, le troveresti
sottacqua». Un giorno vi approdavano tutti i velieri,
adesso semmai «vi arriva il poeta / e poi torna
alla luce con i suoi canti / e li disperde
». Devono
avere comunque un particolare fascino poetico, i porti sepolti:
non per nulla Giuseppe Ungaretti dedicò la sua prima raccolta
di poesie proprio a «quel nulla / di inesauribile segreto»
che lo aveva colpito sedicenne mentre seguiva due
archeologi alla ricerca dellapprodo ormai sommerso di Alessandria
dEgitto.
Prima di lui, Ovidio ne aveva enumerato diversi come esempio palese
di Metamorfosi, mentre ben più vicino ai nostri giorni
Italo Calvino aveva accolto nel suo elenco di Città
invisibili un approdo decaduto di nome Berenice: senza alcun dubbio
alludendo al porto omonimo (citato anche da Jorge Luis Borges) che
fino allarrivo dellIslam e più tardi
al taglio del Canale di Suez era stato il maggiore scalo egiziano
sul Mar Rosso, la celeberrima Porta del Levante, il
collegamento delle spezie tra lOceano Indiano e il Nilo.
Cè tuttavia un sistema più burocratico, freddo,
per occuparsi dei «siti di esaurimento delle funzioni portuali»
proprio così ha catalogato il geografo Riccardo Friolo
in un numero monografico della Rivista Marittima dedicato, appunto,
a I porti scomparsi ed enumerare le 7-cause-7
che possono determinare la morte delle darsene, peraltro in sostanza
riducibili a due: decadenza per invecchiamento naturale (è
il caso delle basi provvisorie per lesplorazione polare, o
degli scali temporanei su rotte abbandonate, dei capisaldi di flussi
demografici ormai conclusi dal commercio degli schiavi agli
imbarchi degli emigranti e delle stazioni baleniere disertate,
degli attracchi abbinati a miniere esaurite, degli impianti industriali
desueti), oppure decesso improvviso, esempio lictus di un
maremoto, uno tsunami, un ingolfamento infartuale come colesterolo
nelle vene delle sabbie trasportate da un fiume
Ma, proprio al modo di un corpo, il porto non sparisce nemmeno
dopo labbandono più definitivo: rimane in qualche modo
fantasma, traluce cioè attraverso le onde se è stato
sommerso dallinnalzamento delle acque, ovvero continua a rivelare
interrato anche a cospicua distanza dal mare labbraccio
dei suoi moli, un tempo protesi a riparo delle onde. In ultima analisi,
è uno strano genere di ghost town, di città
sepolta; e chissà se il suo particolare fascino è
dovuto agli scheletri dellattività frenetica che vi
si svolse in passato (non si dice porto di mare a vanvera)
o invece allevoluzione brutale che ne ha trasformato lorganismo
da anfibio e salmastro a terragno, solido, asciutto.
Gli esempi più classici sono esattamente quelli dei porti
interrati: leterna meraviglia di chi, visitando Pisa, la sente
citare quale Repubblica marinara e inutilmente vi cercherebbe
un approdo navale almeno se non si reca, poco discosto da
Piazza dei Miracoli, nellarea archeologica del porto etrusco-romano,
dove più o meno una decina di anni fa furono rinvenuti venti
scafi. È vero: Pisa non fu mai realmente città costiera,
e le imbarcazioni la raggiungevano semmai per via fluviale; ma anche
il suo è un porto sepolto. E ancora più
celebre è Ravenna, nel suo sito di Classe (classis era la
flotta, in latino) aveva ormeggio la marina militare della Città
Eterna per il Mediterraneo orientale: una forza forte di 250 triremi
e di diecimila marinai.
Non molti sanno però che la Capitale imperiale ebbe anche
un altro scalo, quello commerciale di Spina, posto allimbocco
del fiume Po; esso, di origine greca (fungeva da trait dunion
fra Atene e gli Etruschi) conobbe la massima espansione nel VI secolo
prima di Cristo, ma linsabbiamento del delta ne decretò
la morte già allinizio dellèra volgare;
allo stato attuale i suoi resti si trovano a ben cinque chilometri
dal mare. Sorte analoga a quella di Mileto, città turca che
il fiume Meandro ha progressivamente sospinto lontano dal mare grazie
a un tipico fenomeno di interramento, chiamato appunto
meandreggio; e pensare che fin dal XIV secolo prima
di Cristo il suo golfo ospitava le navi micenee che prendevano parte
alla guerra di Troia, e che i traffici con ben 90 colonie le garantivano
una floridezza tale da permetterle di ospitare le più alte
scuole scientifiche e filosofiche del tempo.

Malgrado ciò, oggi i suoi due porti sono pianura, identico
destino toccato a Velia, nel Cilento, sopra Capo Palinuro: glorioso
tra i greci col nome di Elea (vi nacquero Parmenide e Zenone), il
duplice scalo ebbe sede sui due versanti di un promontorio presto
insabbiato dai corsi dacqua a carattere torrentizio che vi
sfociavano trascinando terra e detriti. Per non parlare di Portus
Augusti, il colossale bacino di interscambio marino-fluviale fatto
scavare dallimperatore Claudio alle foci del Tevere e attualmente
annegato nella campagna poco fuori Fiumicino. O del Portus Julius,
che era stato realizzato nel 37 prima di Cristo durante la guerra
civile tra Ottaviano e Sesto Pompeo: lo stratega Marco Vipsanio
Agrippa mise su una grandiosa struttura portuale, adibita ad arsenale
della flotta di Misero, collegando con un canale navigabile il lago
dAverno, il lago Lucrino e il mare; per effetto del bradisismo
discendente, buona parte del porto è oggi sommersa, anche
se tra Baia e Pozzuoli si snodano imponenti tracce delle strutture
portuali e di alcuni vici suburbani. O di altri siti campani, primo
fra tutti Pozzuoli (Puteoli = Piccoli pozzi), emporio della potente
Cuma, che con larrivo dei fuggiaschi di Samo, 530 anni prima
di Cristo, con il nome augurale di Dicearchia (= Giusto governo)
divenne lapprodo più importante del Mediterraneo, tanto
da essere appellata Delus minor o Litora mundi
hospita.
Le arti del vetro, della ceramica, dei profumi, dei tessili, dei
colori e del ferro vi trovarono larga diffusione, per la presenza
di maestranze locali educate a tradizioni fenicie, ellenistiche
ed egiziane. Attraverso il suo porto, Puteoli assimilò anche
i segni di altre civiltà e religioni. Infatti è storicamente
accertata la sosta per sette giorni di San Paolo che, nel 61, vi
trovò già una comunità di cristiani. La città
prosperò fino a quando il porto corrispose alle esigenze
del commercio romano, ma subì un duro colpo con lapertura
di quello di Ostia. Con laccentuazione del bradisismo discendente,
che sommerse le strutture portuali, e poi con la caduta di Roma,
divenne un piccolo centro di pescatori. O infine Baia, che si affaccia
su una splendida insenatura, e il cui nome è legato al leggendario
viaggio di Ulisse, che qui seppellì il suo compagno Bajos.
Approdo della potente Cuma, fu il luogo flegreo più decantato
e più frequentato per le sue delizie ambientali, oltre che
per le rinomate sorgenti termali, tanto che Orazio poté esclamare:
«Nullus in orbe sinus Bais praelucet amoenis». Per effetto
del bradisismo, oggi gran parte della città è sommersa
dal mare.

Ha fragile costituzione, un porto. È sufficiente un mutamento
anche positivo, umanamente parlando dellambiente
che lo circonda a determinare il suo stato di salute. La costruzione
di un ponte, ad esempio, facilita la vita agli automobilisti, però
può condannare a morte un approdo fino allora fiorente. Qanà
lattuale yemenita Bir Alì, citata anche da Ezechiele
nella Bibbia e attualmente oggetto di una missione archeologica
subacquea deve la sua decadenza al
Cristianesimo, o
meglio, allimperatore Teodosio, il quale, mettendo al bando
il culto degli idoli, inflisse un colpo mortale al commercio dellincenso
che nel golfo di Aden faceva tappa dobbligo per i rifornimenti.
Allopposto, alla Tortuga il rifugio caraibico dei filibustieri
e dei corsari di una lunga epoca soltanto i resti dei cannoni
ci segnalano quello che fu per settantanni del XVII secolo
un insediamento di almeno diecimila persone. E proprio per repentine
evoluzioni di questo tipo Friolo propone di usare gli scali come
indicatori ambientali privilegiati: «Negli ambiti geografici
confinati (porti, isole, oasi) scrive è possibile
verificare quanto sia illusorio il modello della crescita illimitata,
perché più rapido è il consumo delle risorse
e quindi più breve si fa la parabola storico-evolutiva».
Non è necessaria nemmeno la distruzione con lo spargimento
del sale come accadde a Cartagine, possente approdo punico però
definitivamente decaduto con gli arabi; basta il prelievo indiscriminato
di acque per lirrigazione, come è successo a Mujnak,
sul lago dAral, un tempo prospero attracco per pescherecci
e mercantili, e attualmente con i moli a ben quaranta chilometri
dalla nuova riva.
Né occorre la forza degli elementi, come linnalzamento
delle acque marine o lo speculare abbassamento della costa, per
mettere a rischio aree urbane (come Pozzuoli) o intere zone fino
ad allora frequentate da un gran numero di persone, come Capo Lacinio,
nel Crotonese, dove una nobile colonna si alza ancora oggi al cospetto
del mare, con recenti e incompleti scavi alle spalle, ma con fasce
archeologiche di gran rilievo (saccheggiate da gran tempo) proprio
sulla costa, sotto un mare calabrese che aveva custodito, fra laltro
i celeberrimi Bronzi di Riace: erano due soltanto, oppure tre, i
bronzi? E che fine hanno fatto alcune pupille, le lance, almeno
uno scudo, che oggi possiamo soltanto immaginare? E che cosaltro
cera insieme con loro, o attorno a loro, in quella miniera
archeologica subacquea che ha dato nuovo e più possente lustro
allarte delle civiltà mediterranee?
E nemmeno occorre la congiunta furia degli elementi che ha praticamente
ridotto a zero gli insediamenti provvisori delle esplorazioni artiche,
come il porto di ghiaccio di Barents (fine del secolo
XVI) nella Nuova Zemlja, oppure lavamposto di Virgohamna,
nelle Isole Svalbard, dove oltre a Hudson, Pike e Nobile
si fermavano i balenieri danesi a cuocere il grasso di cetaceo
con cui impastavano persino i mattoni; è bastata la piccola
glaciazione dei secoli XIII e XIV per indurre allabbandono
di Gardar, in Groenlandia, la diocesi cattolica più settentrionale
del Medioevo, nonché centro di commercio marittimo di pellicce
e di zanne di tricheco.
Ma con tutta probabilità la parabola più repentina
è stata quella di Dyea, approdo della corsa alloro
nellAlaska: da piccola base stagionale dei pescatori, in due
anni soltanto, dal 1896 al 1897, si trasformò in una vera
e propria boom town da ventottomila abitanti in più al mese,
per poi ripiombare nellabbandono più completo entro
il 1906. Un porto morto e sepolto da adolescente.
Il più splendido approdo, tuttavia, appartiene alla città
che ospitò una delle sette meraviglie del mondo antico, Alessandria
dEgitto, il centro del sapere del tempo, con la sua fantastica
mega-biblioteca, con le strutture urbane di cui si favoleggiava
già allepoca, con il celebre faro che indicava la via,
visibile da gran distanza, ai marinai che solcavano le acque di
quellimportante scacchiere marino. Sommovimenti della terra,
una furibonda rabbia tellurica, i crolli, gli incendi, la strage,
il bradisismo selvaggio che ne seguì, con laffondamento
della piattaforma e dei monumenti che vi erano stati eretti, (templi
con maestose colonne, centri di studio con i testi dello scibile
umano in misura sconosciuta presso qualsiasi altro centro di raccolta
di opere del mondo contemporaneo, luoghi della politica, della socialità,
delle relazioni umane, uffici pubblici e insediamenti civili
),
tutto contribuì a cancellare per secoli una metropoli che
soltanto da pochi anni va riemergendo, grazie ad accurate ricerche
e a importanti quanto faticosi recuperi di materiali strappati al
mare e al silenzio del tempo.
E per il futuro? Esiste un porto predestinato a sparire: Banjul,
capitale dello Stato africano del Gambia, sarà sommersa entro
mezzo secolo. La città sorge su unisola, alla foce
del fiume Gambia, ed è esposta tanto allinnalzamento
delle acque, quanto alla loro erosione: proprio per questo, secondo
gli studiosi, è in cima alla classifica delle località
condannate. E in questa poco invidiabile graduatoria seguono città
di terra, come Detroit, (spopolata per la crisi dellindustria
dellauto), e Ivanovo, (città tessile dellex Unione
Sovietica); oppure Timbuctu, nel Mali, minacciata dalle sabbie.
Tra i porti, va segnalata San Francisco, che attende il big
one che potrebbe sconvolgerla. Ma sono presenti anche due
antiche città di mare italiane: Venezia, abbassatasi di 24
centimetri nellultimo secolo, e Napoli, su cui incomberebbe
uneruzione del Vesuvio.
Anche il clima lavora per cancellare la storia, cioè i monumenti
che col passare del tempo rischiano di diventare memoria, anchessi
porti sepolti, se non si corre ai ripari. I marmi del
Partenone corrosi dalle piogge acide; le cattedrali gotiche divorate
dallo stress termico, al modo di quelle romaniche che costellano
da nord a sud lintera regione pugliese; i templi di Agrigento
minacciati dallo sfarinamento delle pietre; le pale ignee daltare
mangiate dalle muffe: non saranno soltanto gli esseri umani e animali
a fare le spese degli sbalzi di temperatura, è minacciato
il ricordo stesso della nostra cultura. I monumenti che hanno sfidato
i millenni, le guerre e le invasioni, rischiano di venire umiliati
dalle insidie dei capricci atmosferici. Sono queste le conclusioni
cui perviene lAtlante delle Vulnerabilità, emanazione
del progetto Arca di Noè finanziato dallUe
e coordinato dal Cnr. La ricerca comprende le mappe che evidenziano
la progressione del rischio lungo tutto il secolo in corso.
Ad esempio, nellEuropa del Nord lerosione accelererà
fino a rubare ai marmi 35 micron (millesimi di millimetro) ogni
anno, e la corrosione del ferro, del bronzo e dello zinco utilizzato
nei tetti dei monumenti crescerà con il crescere degli inquinanti
e della temperatura media annuale, con massimi in corrispondenza
dei dieci gradi centigradi. Nel bacino del Mediterraneo leffetto
negativo della radiazione solare aumenterà, coinvolgendo
lItalia, la Spagna, il Portogallo, la Grecia e lArea
balcanica. E nellintera Europa si intensificherà il
fenomeno della cristallizzazione dei sali, particolarmente
dannoso per i materiali porosi: arenarie e mattoni saranno colpiti
da stress meccanici interni, che potranno portare alla loro completa
disgregazione. Sebbene la temperatura sia spesso considerata la
variabile principale dei cambiamenti climatici, se si considerano
i beni culturali prevale il ruolo non soltanto di eventi estremi
come precipitazioni intense, alluvioni e tempeste, ma anche di fenomeni
meno evidenti e più diffusi che creano danni strutturali
nei tetti, nelle guglie, nei pinnacoli, facendo perdere coesione
ai materiali. Lacqua, ad esempio, produrrà variazioni
di umidità responsabili della crescita di microrganismi,
in particolare su materiali lapidei e sul legno, e della formazione
di sali che degradano le superfici e accelerano i fenomeni di corrosione.
Nellarco del XXI secolo, dunque, i monumenti subiranno un
duplice assalto. Da una parte, la pressione crescente delle muffe,
che raggiungeranno i 30 milligrammi per centimetro quadrato in quattro
aree (Alpi, Balcani, Scandinavia e Islanda meridionale); dallaltra,
estati sempre più secche porteranno in larga parte del Vecchio
Continente a un inaridimento dei suoli che proteggono reperti archeologici
ancora non portati alla luce. Già cinque anni fa lIstituto
centrale per il restauro e lAgenzia protezione ambiente e
servizi tecnici avevano lanciato lallarme, ricordando che
la cura di bellezza per i monumenti è garantita
solo per tre anni. Poi, leffetto peeling svanisce,
le particelle nere cominciano di nuovo a creare una patina visibile
sulla superficie di chiese e di statue, e per tornare ad apprezzare
una facciata barocca o un arco di trionfo imperiale o un gruppo
marmoreo è necessaria labrasione di altri millimetri
di viva pietra, di vivo marmo, incidendo così profondamente
sullequilibrio delle opere darte.
È proprio di questi giorni lallarme per il gruppo del
Ratto delle Sabine, di Firenze, che dovrà essere
nuovamente restaurato, e speriamo conservato in museo,
lasciando allaperto solo una copia. Ma altri e numerosissimi
esempi non mancano. Nel Mar Baltico le rovine della chiesa
medioevale polacca di Trzesacz offrono una classica immagine di
monumenti antichi distrutti dallerosione della costa. Per
gli studiosi, la Torre di Londra è un ottimo esempio per
mostrare i danni da inquinamento sui monumenti. La Torre Eiffel,
a sua volta, è lesempio di un monumento in metallo
che rischia per laumento delle temperature medie e per lo
stesso inquinamento. La Torre de Oro, a Siviglia, costruita dagli
arabi nel 1220, è monumento emblematico del biodeterioramento.
Una terribile alluvione nel 1997 ha semidistrutto le pitture murali
conservate nella polacca Klodzko. Nellagosto di cinque anni
fa Praga, capitale ceca, venne investita da una violentissima alluvione,
con gravi danni ai monumenti. La chiesa maltese di Sannat, come
altri monumenti realizzati con materiali porosi, è a rischio
cristallizzazione. E per tornare a casa nostra: la fiorentina chiesa
di Santa Maria in Fiore presenta evidenti danni da inquinamento,
mentre nellagrigentina Valle dei Templi, a Selinunte, a Segesta,
a Pesto, a Metaponto, sempre più le radiazioni solari avranno
ripercussioni sulle strutture marmoree e calcaree.
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