Quellentusiasmo reciproco nasceva dal fatto
che i due uomini si erano
riconosciuti come artisti tedeschi, anzi, come artisti della nuova
Germania.
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Addio, Asino
Arpista
Ritenendosi dimenticato, aveva messo le mani avanti: lamentava
scarsi contatti scritti con chi aveva considerato amico; si lagnava
per la mancata pubblicazione di articoli che spediva senza soluzione
di continuità a tutti i giornali e le riviste che gli capitavano
a tiro; reclamava risposte precise e chiarificatrici dai suoi interlocutori,
senza svicolamenti: insomma, in un sol colpo invitava tutti a non
dimenticarlo, dopo quella sorta di anabasi che lo aveva riportato
in terra natìa, avendo lasciato (insalutato ospite) «la
polvere del Salento» alle spalle. Voleva fermamente restare
al centro dellinteresse degli amici e degli estimatori della
sua scrittura, anche perché da Massa avrebbe continuato a
scrivere, a farsi sentire presente, a comunicare con i lettori...
Dimprovviso, la sua scomparsa. Florio Santini lAsino
Arpista che si storicizzava con racconti densi di memorie e di vicende
vissute nel suo vagare per il mondo è trasmigrato
sullaltra riva, forse colto di sorpresa lui stesso, certamente
lasciando in noi lamaro in bocca di un ultimo dialogo venuto
meno, di un saluto mancato, e del silenzio (forse incolpevole) sceso
dopo la sua decisione di lasciare Casamassella e la dimora che fu
di De Viti De Marco, dove aveva trascorso tanta parte della sua
vita di memorialista, di autore creativo assetato di amicizia e
di relazione.
Sarebbe comunque rimasta incompiuta, la sua opera di rievocazione
autobiografica, perché sempre viva, felice, originale era
la materia prima che scaturiva dalla sua penna, e sempre preliminare
ad altre narrazioni si rivelava ogni suo scritto: questo era il
suo segreto, il grimaldello che innescava il versamento della sua
inesauribile vena, nel desiderio inconfessato ma palese
di rapportarsi agli altri, di confrontarsi, di non interrompere
il filo di un discorso (anche didascalico) iniziato da gran tempo
e poliedricamente dispiegato in Salento e simultaneamente nella
sua indimenticata Lucchesia.
Ci mancherà, lAsino Arpista, questo prezioso collaboratore
che pretendeva affettuosamente gli spazi in Apulia,
nelle Giravolte, che amava anche come testata di rubrica.
Ci resta, bel patrimonio intellettuale, il corpus dei suoi articoli:
una lezione di narrativa sobria, limpidamente redatta, di cospicua
sintassi etica. a.b.
Il tempo delleclissi
Diciamola tutta. Chi legge oggi leditto del Patriarca Polyeueto
del 968? E chi, oltre gli addetti ai lavori, legge gli atti del
IV Concilio Lateranense (1215) o la lettera Sub catholica
professione inviata dal papa Innocenzo IV al vescovo di Frascati?
E Bruno Pellegrino, Angelo Antonio Spagnoletti, Vittorio Peri, Mario
Scaduto, Roberto Rusconi, Giorgio Ravegnani? Nel suo lavoro di ricerca
storica, riprodotto nel volume La normalizzazione della Chiesa Latina
su quella di rito greco in Terra dOtranto fra il XVI ed il
XVII secolo, Rocco Emanuele Grippa fa rivivere personaggi dimenticati,
ricostruendo valori e momenti significativi della società
salentina. Senza retorica e senza censura.

Riaffiora il sommerso, il ricordo di una follia mistica
che attraversò il Salento, trasformando il suo isolamento
in una vorticosa girandola di eventi dal respiro europeo. Attraverso
il monologo-dialogo degli attori più rappresentativi Grippa
aggiunge tasselli illuminanti alla naturale aspirazione a capire
le vicende del passato, i meccanismi sedimentati nel subconscio
che influenzano il nostro modo di vivere, ragionare, amare.
Con i suoi personaggi ha viaggiato tra conflitti di fede e conflitti
tra fede e cultura laica, senza scivolare in estremismi valutativi,
assenti in ogni passaggio di scena. Svincolato da ogni dovere di
obbedienza, parla della fede dei lumini e della fede
delle icone, disegnando un caleidoscopio di eventi che
raffigurano in embrione nuove forme di statualità. Tra gli
annoiati dallafa salentina prevalgono i diversi,
gli scismatici, mentre timidamente si affacciano sulla
scena sociale i concetti di classe, popolo, nazione, come sogno
aggregante che plasma nuove società missionarie.
Con etica e politiche di potenza in ferrea commistione con religione
e fede. Nascono nuove domande e si cercano risposte che non si trovano
nei libri e nella cultura dellortodossia.
Di questa realtà magmatica Grippa riporta dialoghi reali,
interrotti, falliti, faide di poteri minuscoli e maiuscoli attraverso
le quali prendono forma i primi scampoli di unumanità
devota alla Chiesa latina.
Tutto rigorosamente documentato.
Leffetto della normalizzazione non è indolore. Una
fitta rete di nuove tutele e curatele si sovrappone ad abitudini
e sentimenti stratificati, allevando generazioni che dovranno faticare
molto per acquisire consapevolezza e dare forza ai propri diritti
civili.
La prosa lineare e semplice è priva di tentazioni ecumeniche
che adesso costituiscono facile richiamo commerciale. Prevale invece
il linguaggio conviviale e un ego capace di mettersi in gioco senza
fare crociate, restando volutamente a metà strada tra cronaca
e storia. Con uno stile incline al racconto, lautore ci rende
partecipi delle emozioni di un mondo in ebollizione, con specifico
riferimento alla società salentina, che alla creatività
artigiana ha affidato le espressioni più semplici dei moti
dellanima e al fatalismo impalpabile i turbamenti e le ombre
della coscienza. Stati danimo che guidano linconscio
in presenza di vuoti di sistema, di poteri in decomposizione, mentre
verità emergenti non trovano ancora decisa affermazione.

Loriginalità del lavoro di Grippa sta nellapproccio
al tema, come egli stesso sottolinea nella Nota dellAutore.
Essendo mosso dalla curiosità di indagare tra le ambiguità
di un passato fecondo, ha voluto «verificare de visu quanto
affermato tramite lapplicazione di alcune teorie sociologiche».
Ciò gli ha permesso di effettuare percorsi di studio autonomi
e di maturare convinzioni non convenzionali.
Ci possono essere voci di dissenso, ma non è possibile togliere
a Grippa il merito di aver fatto rivivere vicende sepolte in cimiteri
sbranati da città cementificate, strade, autostrade, centri
commerciali che hanno tolto allantico rispetto, respiro, memoria.
La sua forza sta nel dare voce ad un mondo di precari che diventano
riformatori, al mormorio discreto del silenzio che accompagna questa
metamorfosi, alla dignità di una fetta importante della nostra
storia, sopraffatta dalla polvere del tempo e dei bulldozer. Val
la pena ricordare che in Terra dOtranto misticismo, sangue
e fuoco non sono forzature simboliche, ma elementi di una cultura
popolare legati alla sopravvivenza di tradizioni animistiche. Il
nuovo è stato sempre digerito senza mai rinnegare
il passato, fattore tenuto in grande considerazione anche dallintervento
discreto della Chiesa latina.
È difficile attuare una rivoluzione esistenziale, ma è
ancora più difficile raccontarla, andando alla scoperta dei
luoghi dellanima, tra pratiche devozionali e ritualità
civili e religiose in movimento.
50 anni di ricerca dello sciamano
Marrocco
Sintesi degli interventi, coordinati da Aldo Bello, giornalista
e scrittore, direttore
di Apulia, allincontro del 29 settembre nella
Sala Conferenze del Padiglione
Fieristico di Galatina. Allincontro hanno preso parte il professor
Lucio Galante,
Direttore del Dipartimento dei Beni delle Arti e della Storia, Ordinario
di Storia
dellArte Moderna presso lUniversità di Lecce;
il professor Antonio Cassiano,
Direttore del Museo Provinciale Castromediano di Lecce;
larchitetto Rosario Scrimieri; il giornalista-antropologo
culturale e docente di Scienze delle
Comunicazioni alla Sapienza di Roma, Stefano Rizzelli;
il critico darte e
docente di Storia della Scultura Contemporanea presso lAccademia
di Belle Arti
di Lecce, Toti Carpentieri.
Introduzione
aldo bello
Cinquantanni di vita artistica. Mezzo secolo di ricerca di
uno scultore, Armando Marrocco, amico di tanti di noi, ritratti
in un testo splendido, stupendo, redatto da Raffaele Gemma. Consanguineo
dellautore. Prima cosa da sottolineare, il titolo Artecontemporanea,
tutto unito: non è un refuso, lo stacco manca per una scelta
volta a sottolineare la continuità della ricerca di un Marrocco
passato attraverso molteplici esperienze. Cito quasi testualmente
Gemma: «Unattività che lo ha visto attraversare
uno dei periodi più complessi della storia dellarte
planetaria, per il fervore culturale, per leterogeneità
delle tendenze, per gli intrecci, gli incroci, le contaminazioni:
sono gli anni 60, quelli dellarte concettuale, con tutte
le espressioni correlate che gravitano attorno a questorbita
».
Lasciare Galatina, storia comune a tanti di noi; lasciarla allepoca
resa celebre da unespressione nata su un giornale di Lecce,
poi ripresa dai quotidiani di tutto il mondo: lasciarla sui treni
della speranza, che io ho poi chiamato treni della disperazione,
quelli che trasferivano non solo braccia ma anche cervelli, tonnellate
di materia grigia, nostra, che andava ad arricchire altre terre
e altre genti. Partire, ma senza rinnegare le radici, è stata
storia comune a molti di noi, e chi ha scritto questa storia fatta
di mille storie, Armando tra gli altri, rende oggi orgogliosi quelli
che sono rimasti a presidiare il nostro territorio, senza dimenticare
vincoli, sodalizi intellettuali e artistici, e il colore del sangue,
il colore del paesaggio, il profilo dei nostri paesi, e la vita
nelle strade, a cominciare da quella di Vico Freddo, da dove Armando
venne fuori per raggiungere quella che era una città tentacolare
ricca di fermenti artistici forse anche più di Roma, vale
a dire Milano.
Autore del testo, denso e informato, Raffaele Gemma, innamorato
della storia dellarte, accanto ad Armando da una vita, rapsodo
e nello stesso tempo attento critico e osservatore dei passaggi,
delle attività, degli snodi creativi dello scultore.
Presentazione del testo
lucio galante
Grazie allautore del libro, che mi ha evidentemente ritenuto
degno di questa responsabilità della presentazione, di non
poco conto. Un libro è frutto di un lavoro, di una ricerca,
e compito di chi presenta è anche valutarne i risultati,
il metodo con cui questo lavoro è stato condotto. Ora, si
dà il caso che lautore non sia un accademico, è
un medico, con una passione per larte e in particolare per
questo artista, col rischio di non avere sufficiente distacco.
Ma devo dire che ciò non ha pesato più di tanto. Del
resto, lautore ha un retroterra culturale di non poco conto,
viene dagli studi classici, ha una formazione umanistica, e ciò
lo ha aiutato; si aggiungano una conoscenza e una cultura nel campo
dellarte contemporanea.
Gemma si dice impegnato nella divulgazione dellopera dellartista,
e parte dalle esperienze giovanili di Marrocco, grazie alle quali
lartista ha posto le basi degli sviluppi futuri. Poi si pone
un problema di carattere generale, e individua due categorie di
artisti: quelli che raggiungono un obiettivo e si mantengono fedeli
ad esso per sempre, e quelli che scelgono di fare sperimentazione
per tutta la vita.
Marrocco è stato ed è tuttora uno sperimentatore,
ha fatto sperimentazione per mezzo secolo, ha attraversato molte
tendenze artistiche, a partire dal concettuale, con in più
unottica di totale apertura allinternazionalità.
Poi lautore specifica che ha dovuto selezionare, nella ricca
produzione dellartista, un numero di opere che ha ritenuto
significative per rappresentare il suo percorso. Allora si capisce
che limpostazione del libro è il frutto di un lavoro
consistente, con difficoltà oggettive legate alla specificità
dellitinerario artistico e alla lunghezza dei tempi di sperimentazione
di Marrocco.

Se qualcosa manca, è la presentazione della fortuna critica,
anche con il catalogo delle opere, visto che Marrocco ha goduto
di una costante attenzione degli addetti ai lavori. A merito della
ricostruzione va ascritta la capacità di analisi, che ha
saputo cogliere i rapporti con il contenuto contemporaneo, sia quello
prettamente artistico sia quello sociale, politico e culturale,
insieme con le congiunture che hanno favorito la crescita dellartista,
grazie ai contatti con Lucio Fontana, Pierre Restany, Guido Le Noci,
Piero Manzoni, e alla conoscenza con Yves Klein, e soprattutto al
sodalizio con Rosario Scrimieri.
Insomma, Gemma si è trovato di fronte unesperienza
oltremodo ricca, che ha ritenuto frutto di una disposizione di Marrocco
ad aprirsi a varie forme di espressione del linguaggio artistico,
tanto da ricondurla alla categoria dellinterdisciplinarità:
termine a mio avviso improprio, perché più esatta
è una parola più moderna, adatta a sottolineare che
lartista ha avuto delle esperienze di tipo sinestetico, che
è come dire una particolare apertura a campi diversi, dalla
musica alla performance, con lesito ben descritto da Gemma,
quando sostiene: «Così Marrocco ha continuamente interagito
con il mondo dellarchitettura, mettendo al servizio di essa
la sua esperienza progettuale, ha indagato la possibilità
del mezzo fotografico e filmico, realizzando film dartista
e riprese di sue azioni e performances, ha esplorato le potenzialità
del suono e della musica, ha realizzato libri dartista, ha
operato sulla natura e sul corpo, ha sconfinato in ambito parascientifico
in una severa indagine dei rapporti tra arte e scienza».
Lautore sente la necessità di interpretare lopera
dellartista, e quella che fa è una scelta felice, perché
le tematiche che egli ha individuato sono di natura interpretativa.
Gemma è convinto di trovare un filo rosso nellopera
di Marrocco, e lo dice in modo puntuale: «Ciò che alla
fine lartista intende indagare è sempre e solo luomo».
La verità del lungo percorso è proprio qui, e credo
che questa osservazione vada colta in tutto il suo valore. Sicché
il volume di Gemma costituisce una ricca miniera per ulteriori approfondimenti,
a riscontro della complessità dellopera di Marrocco,
i cui riconoscimenti critici sono tali da rendere inutile ogni rivendicazione
campanilistica, richiedendo ora un classico e canonico lavoro monografico.
La scultura di Marrocco
nei monumenti storici
antonio cassiano
Agli inizi degli anni Novanta invitai Marrocco a realizzare, insieme
con altri artisti operanti a Milano, una fontana allinterno
della Biennale dello scolpire allaperto, di Martano.
Facemmo un primo incontro per individuare gli spazi, e Marrocco
si innamorò subito di quello antistante il Palazzo del Comune
e la chiesa del Rosario, dove alcuni scavi avevano fatto emergere
dei contenitori in pietra leccese, detti Angeli, un
tempo destinati alla raccolta dellolio nei frantoi ipogei.
Marrocco li assemblò e incise una frase che richiamava in
modo allegorico la creazione delluomo. Fui colpito da questo
fatto, perché ignoravo che da tempo Marrocco avesse avviato
una sua attività singolare, qualitativamente di pregio, nellambito
dellarte sacra, e scoprire che lopera di Marrocco potesse
chiamarsi Fontana degli Angeli mi meravigliò,
anche perché proprio in quei giorni appresi che questo artista
aveva fatto il suo esordio a Cascia, accanto a colui che allepoca
era ritenuto il mostro sacro di quel genere di arte, cioè
Manzù. Devo dire che Marrocco ha saputo crearsi quasi una
doppia personalità, perché operando nellarte
sacra sa di fare qualcosa di diverso, sa di dover rispondere a una
committenza, allora diventa quasi un artista tradizionale, antico.
La differenza sta nella capacità di interpretare ciò
che si deve fare, non nellessere devoto. Del resto, molti
grandi autori di arte sacra erano addirittura atei. Da un pezzo,
inoltre, era in corso un dibattito su come intervenire allinterno
delle chiese, visto che nel tempo gli interventi degli artisti allinterno
di quelle storiche si erano stratificati: in una chiesa romanica
o gotica, infatti, troviamo interventi di età rinascimentale,
o barocca, o neoclassica. Lartista, dunque, non deve rinnegare
se stesso. Oltre tutto, sul finire degli anni 60 cera
stato lintervento di Paolo VI, che con la celebre Lettera
agli artisti li aveva sollecitati a confluire nellarte sacra,
dopo che se ne erano allontanati. E proprio allepoca venne
aggiunta ai Musei Vaticani la Pinacoteca di Arte Sacra Contemporanea.
Come entra Marrocco in tutto questo? Naturalmente, perché
opera dentro il contesto sacro, ma anche perché in qualunque
luogo vada, Martano, o Lecce, o Cascia, o Acerenza, si chiede quale
sia il ruolo della richiesta della committenza, e quale quello dei
fedeli. Lintervento deve rispondere a queste diverse domande.
La committenza, daltronde, non chiede allopera un discorso
solo funzionale, altrimenti si rivolgerebbe a un architetto, per
riarredare gli spazi interni, comè accaduto per S.
Antonio a Fulgenzio.
Perciò Marrocco interviene coniugando la sua tendenza alla
concettualità con lesigenza di caricare lopera
di un forte valore simbolico. Il simbolo diventa il contenuto che
fa riferimento alla figura e alla capacità che possono avere
la linea, il volume, la tecnica, per dare allimmagine unulteriore
carica di emozionalità. In questo contesto, lincontro
con Scrimieri fu determinante, anche se già nel 74
lartista aveva partecipato a una rassegna Sacra
di opere dimpronta, appunto, sacrale, o biblico-religiosa,
ma a committenza non ecclesiale.

Anche nella descrizione del portone della Cattedrale di Lecce egli
esprime i motivi che lo hanno condotto a quella realizzazione: «Nel
passaggio al Terzo Millennio sento lesigenza di incidere nel
bronzo levento pasquale: in quella notte, notte unica, Cristo
Risorto sconfigge la morte e realizza il passaggio dalle tenebre
alla luce: è la notte della luce, di Cristo luce del mondo».
E pensiamo alla statua di S. Filippo Smaldone, cui Marrocco ha conferito
unimpronta a forte equilibrio compositivo; o agli arredi sacri
in candido marmo al Fulgenzio, il cui simbolismo vuole esprimere
il significato dellEucarestia
A Lecce sono state fatte tante realizzazioni, anche importanti,
e nessuno ne ha parlato; ma quando si fa una questione di gusto,
tutti intervengono: così le opere di Marrocco hanno suscitato
un gran clamore, che ha avuto comunque il merito di ricordare che,
sì, Lecce è la città del barocco, ma il ruolo
della stratificazione artistica allinterno dei luoghi è
una peculiarità dellarte italiana. E siamo felici che
coraggiosi artisti contemporanei si inseriscano, senza snaturarsi,
allinterno di monumenti storici e siano capaci di dialogare
con lantico, conferendo ai luoghi dei nuovi e attraenti significati.
Progettista-artista nellarte
sacra
di Marrocco
rosario scrimieri
I cinquantanni di Marrocco in campo artistico sono anche
i miei, perché con Armando abbiamo condiviso amarezze, delusioni,
ma anche gioie, soddisfazioni, fino a ieri a mezzogiorno, momento
dellultima consegna di un lavoro svolto insieme. Quindi sarò
costretto a parlare anche di me, di un percorso parallelo nel quale
ci siamo incrociati, creando opere uniche.
Intanto, vorrei smentire un luogo comune. Non è vero che
tutto ciò che Armando ha fatto con me è di natura
sacra. Poi vorrei mettere in risalto una caratteristica fondamentale
di questo artista: nel momento in cui egli pensa a unopera,
non prescinde in alcun modo dal ruolo dello spazio nel quale quellopera
stessa andrà a inserirsi. Quindi non si può valutare
oggettivamente senza tener presente il suo approccio mentale con
lo spazio. Il rapporto con lo spazio è sempre presente, anche
quando in apparenza non sembra emergere.
Ricordo gli anni 1957-59. Si andava a scuola, non cerano
libri, non cera disponibilità di immagini,; riviste
darte, neanche a parlarne. Ancora oggi mi chiedo come facesse
Armando a sapere che in Italia molti artisti praticassero lastrattismo.
Evidentemente, aveva le antenne ben tese, aveva una predisposizione
particolare.
Nel 59 cominciò ad occuparsi della materia, della ceramica,
dellalluminio, e via dicendo. Allepoca, nelle scuole
si faceva veramente accademia, si dava importanza soltanto al classicismo,
e si guardava con scetticismo alla sperimentazione, tantè
che il sottoscritto ebbe una delusione in tal senso proprio allesame
di maturità, dove avevo presentato delle opere un po
fuori dagli schemi, e in quella circostanza fui criticato negativamente
da tutti i docenti, ma fui difeso strenuamente dal solo Marrocco,
che in commissione mi aiutò a superare per un pelo lesame,
sottolineando il coraggio che avevo avuto presentando opere espressive
e davanguardia. Dopo qualche tempo appurai che Armando aveva
deciso di lasciare linsegnamento e di trasferirsi a Milano.
Probabilmente, anche quellepisodio che mi riguardava, emblematico
della staticità dei rinnovamenti culturali e artistici, aveva
influito sulle motivazioni che lo avevano portato a quella scelta.
Marrocco aveva fatto esperienza di scultura nel laboratorio di un
artista locale, Marra, ma trascorreva più tempo in uno studio
di ingegneria, quello delling. Stasi, dove affinava la sua
tecnica di disegno, ovviamente non quella progettuale. Fu nel capoluogo
lombardo che cominciò a frequentare gli studi di architettura,
sviluppando le capacità progettuali, lavorando contemporaneamente
agli Intrecci, alle Vertebre, ai Multispazi
illusori, alle Città 1.
Laureatomi a Roma nel 70, fui raggiunto da Armando, che fra
laltro mi aveva aiutato nella stesura di alcuni progetti che
facevano parte della prova di laurea. E in seguito venne spesso
nella Capitale, in occasione di qualche concorso o di qualche progettazione
importante; vi si fermava per quindici o venti giorni, così
si lavorava insieme. Allinizio di quel decennio, fra laltro,
partecipammo a due importanti progetti: Sistemazione del Parco del
Ticino (1971) e Concorso per il Nuovo Cimitero di Modena (1972).
In quelloccasione ci ponemmo volontariamente fuori concorso,
per poterci esprimere liberamente. Il primo progetto aveva rilevanza
nel contesto ambientale, anti-inquinamento: il pretesto era dato
dalla presenza, allinterno, di una raffineria.
I vapori e i fumi, opportunamente depurati, venivano manipolati
anche cromaticamente, per essere poi emessi dalle ciminiere sotto
forma di immagini programmate, visibili a distanza. Con questo progetto
vincemmo il secondo premio. Laltro, invece, aveva rilevanza
nellambito sociologico: riguardava la sovrappopolazione. E
lo sviluppammo chiaramente in senso provocatorio: anche in questo
caso veniva data importanza alla manipolazione dei fumi di cremazione,
che assumevano forma di figure danzanti, a segnalare la gioia con
cui veniva accolto il decesso di qualche volontario nelle camere
apposite allestite per la morte programmata. Naturalmente, si trattava
di un discorso in chiave fortemente ironica, nel quale Marrocco
si era inserito progettando la sua camera per il suicidio, dove
una serie di spade affilate mettevano fine alla corsa del volontario
di turno che vi si scagliava dentro, mentre una serie di amplificatori
diffondevano nella città il suo urlo di dolore.
Dopo questa parentesi venne Cascia, dove lo scultore ebbe il merito
di inserirsi in modo originale in uno spazio difficile sia con le
vetrate che con i seggi, al fianco di uno scultore scontroso
ma poi conquistato nella stima artistica e umana come Manzù.
E poi la Nuova Penitenzieria, dove non si contano le realizzazioni
di Marrocco: lì gli spazi architettonici li abbiamo progettati
insieme. E il Figliol prodigo che vi è presente
è di una bellezza incomparabile, con quellidea del
tralcio di vite ad arco che richiama lingresso delle case
dei nostri contadini.
E infine, altro episodio significativo, lallestimento della
tomba del Beato Simone Fidati. Al momento del montaggio ci accorgemmo
che il masso che conteneva il reliquiario risultava troppo grande
rispetto allambiente. E dal momento che il giorno seguente
doveva esserci linaugurazione, ci guardammo negli occhi e
fugammo ogni dubbio: procuratici gli attrezzi del mestiere, chiusi
in un recinto per non essere visti, lavorammo per tutta la notte,
sbozzammo il masso, lo portammo alle dimensioni giuste. Stanchi
e felici, consegnammo lopera a giorno fatto.
Marrocco: arte-comunicazione
stefano rizzelli
Io sono un antropologo culturale, un autore tv, e le mie ricerche
negli ultimi tempi hanno avuto un centro comune, ovvero le opere
darte, che io uso, stravolgo, quasi violento, piegandole alla
mia volontà narrativa. Ogni opera darte è una
parola, un segno semantico, unemozione del cuore. Può
incuriosire, stupire, scioccare, nei suoi confronti si può
provare imbarazzo, rabbia, stordimento, spaesamento, coinvolgimento,
complicità. Insomma, ogni opera darte è unentità
che permette di stabilire delle correlazioni significative. Quindi,
dopo averlo fatto con altri, è imbarazzante farlo con un
artista che è lì, davanti a me, ma è questo
il percorso che ho voluto tentare, un percorso attuale, ovvero radicato
nelloggi, un percorso con uso di Marrocco.
Commento al video
Ci siamo, siamo arrivati al momento in cui scienza e fede si fronteggiano,
al momento in cui la forza della ragione e quella della fede trovano
un necessario e forse inevitabile palcoscenico dove esercitare la
propria conflittualità problematica. Da una parte il calore
del sole, la sua energia, nel suo enigmatico rimando alle cose ultime
ed essenziali delluniverso, dallaltra la scienza, la
sua fredda razionalità, la sua sintomatica capacità
e necessità di proiettare luomo in un futuro roseo.
Si direbbe, da una parte Dio, dallaltra luomo, da una
parte la natura, dallaltra la cultura.
Cosa deve fare lartista di fronte a questo dilemma? Inserirsi
come un grimaldello, un perno nelle coscienze, uno stimolo per la
ragione, un interrogativo per la fede, un avvertimento per la superstizione,
un monito per luomo, un richiamo ancestrale per le coscienze
assopite, nella cultura del tutto possibile, del tutto lecito, del
tutto ottenibile. Qui lartista trova pane per i suoi denti,
problemi e misteri per la sua ricerca. Qui si fissa lattenzione
del genio creativo. Qui, in questo ambito, in questo anfratto della
coscienza, a mio avviso, si trova Armando Marrocco. Da qui inizia,
qui arriva attraverso un percorso [
]. Cera una
volta luomo, ci dice Armando Marrocco, forse questo
è il suggerimento, luomo inteso nella sua essenzialità,
luomo visto attraverso la sua fisionomica, luomo in
grado di esprimere valori, luomo maschera, maschera di un
sentimento, luomo e gli uomini. È necessario riprendere
in mano il gioco, sembra avvertirci lartista: e allora è
necessario ritornare alle origini, ritrovare il gusto delle pietre
che odorano, dei materiali che parlano, delle porte che non si aprono,
degli angoli che atterriscono, degli scorci che esalano ferite e
sentimenti. E qui, questa è Galatina, ha vissuto Armando
Marrocco, non so se unora, un giorno, un anno, una vita, non
lo so, lo potrei sapere, ma cosa importa? Qui, a contatto con i
rumori del vento che trafiggono le trame del tufo, con i colori
del muschio che inorgoglisce le pietre, con il sapore di una terra
di confine [
]. Marrocco esercita la sua creatività
in maniera probabilmente più lenta, più ricercata,
più duratura. Perché il problema della nostra epoca
è non comprendere il tempo, la durata del tempo, il tempo
immobile della ricerca, il tempo lungo della riflessione, il tempo
eterno della domanda che tenta di raggiungere la verità.
[
]. A noi non spetta il compito di immaginare il futuro, allartista
spetta quel compito, e questo per lui è una galera, una maledizione
[
]. Allartista noi chiediamo lumi sul futuro prossimo.
Marrocco risponde così. Ed eccoci a chiedere aiuto perché
il futuro spaventa, inorgoglisce ma quasi mai rassicura. E qui noi
abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno di stregoni, di maghi,
di scienziati, di preti, di profeti, di artisti, possiamo scegliere
[
]. Che cosa vuol dire sacro per Marrocco? Ecco alcune opere
che non voglio commentare, perché voglio arrivare alla fine
del nostro percorso, sostanzialmente da dove siamo partiti. Luomo
alla ricerca di Dio, luomo con i suoi tentativi di guardare
in alto verso il cielo per scrutarlo, analizzarlo, violentarlo.
Luomo che alza il naso oltre la sua testa, arrogante tentativo
di vincere linsondabile, oppure lartista con la sua
necessità concreta di incontrare Dio su questa terra. Marrocco
è qui seduto davanti a noi. A lui, ai poeti, agli artisti,
ai coraggiosi il compito di profetizzare sullesistenza e di
sanare le nostre piaghe dovute a paura, stordimento, incertezza;
perché sappia, lui e gli altri come lui, sedare le angosce
di unumanità ancora e sempre più in cerca di
identità.
Dallarte concettuale
al recupero della materia
toti carpentieri
In questa sorta di esame autoptico della creatività di Marrocco,
ai limiti del rischio, cosa dire? Mi voglio soffermare ancora sul
tentativo di risolvere il dilemma: Marrocco artista eclettico o
non eclettico. Se dobbiamo dare una definizione, dovremmo definirlo
un artista anticipatore. Un esempio per tutti: recentemente, sulla
scena artistica internazionale si sta affermando una tendenza, la
nan-art, con un aggancio del termine alle nanotecnologie.
Marrocco già negli anni 70 aveva partecipato ad una
mostra dal titolo Blow-up, in cui si affrontava larte
dal punto di vista infinitesimale. Nel corso degli anni, Marrocco
ha dimostrato questa sua scommessa sul futuro, questa sua proiezione
nel futuro: e chiaramente il presente e il futuro, ma anche il passato,
si fondano sulla materia. Ecco un altro suo aspetto fondamentale:
la materia. Ricordiamo che proprio su questo tema era stata scritta
una tesi di laurea: Armando Marrocco: i materiali, le idee,
la creatività. Marrocco, infatti, ha interagito con
tutti i materiali, arrivando alla sublimazione di questi e di se
stesso, del suo corpo inteso come materiale, cosa diversa dalla
Body Art, da Gina Pane a Urs Luthi, eccetera. Per Armando il corpo
è la materia, e sulla materia ha basato tutta la sua operazione.
E poi, nel gioco degli opposti, alla materia si contrappone lidea,
la concettualità, ed è questo anche il percorso che
lo ha visto protagonista, identificando non solo la sua attività
con una serie di annotazioni anticipatrici, ma giocando anche allinterno
di quella che è stata definita Narrative Art,
molto prima che se ne parlasse in Italia, grazie anche a personaggi
come Guido Le Noci e Pierre Restany. Mi riferisco a Calendario.
Quando abbiamo fatto Calendario, loperatività
di Marrocco non solo funzionava come pretesto, ma come linea conduttrice
di un percorso che diventava prodotto, cioè diventava contemporaneamente
prodotto e idea
Già sul finire degli anni Sessanta Marrocco si imponeva sulla
scena nazionale; basti ricordare il premio Silvestro Lega, del 67,
dove lui era accanto a Nigro e a Nannucci, dove Nigro e Nannucci
erano ancora legati alla pittura, mentre Armando aveva già
superato quella dimensione, anche della scultura che veniva vista
in unimpaginazione progettuale, come architettura, e virtuale
al tempo stesso: gli specchi di Pistoletto sarebbero venuti dopo.
Ecco quindi la definizione giusta di Marrocco: un anticipatore che
giocava simultaneamente con lidea e con la materia, con le
manifestazioni dellidea e con le manifestazioni della materia.
Ciò voleva dire elaborare testi, e Marrocco ne ha scritti
tanti, anche sul bronzo, dunque in maniera manuale, materia, e nel
cielo, quando con il laser ha unito Santa Caterina e Gallipoli,
quando nell87 con Scrimieri si son fatti i fuochi dartificio
dartista, e nella musica con le note di Fernando Sulpizi.
Armando è testimone di un tempo in cui luomo gioca
sulla creatività, sullintelligenza, il che vuol dire
muoversi nel tempo e con il tempo, anticipare il tempo. E alla fine
questa è anche lideologia di fluxus, di
Maciunas: lideologia di chi verrà anche dopo di noi.
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