Per quanto possa sembrare strano, sono in corso
due fenomeni decisivi per la misura del mondo in questi nostri tempi:
in campo economico e in campo spirituale.
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Per una ragione o per unaltra, lAsia fa sempre paura.
Non è ancora rientrato il panico per la crescita record della
Cina e dellIndia, che già si lancia lallarme
opposto: occhi aperti, le potenze asiatiche non crescono abbastanza,
almeno non quanto servirebbe per proteggere leconomia mondiale
dalla recessione in atto negli Stati Uniti. Chi aveva riposto speranze
nel decoupling, letteralmente disaccoppiamento, cioè
nella possibilità che nel 2008 la Cina, lIndia e le
altre economie emergenti diventassero il motore delleconomia
globale, staccandosi dagli Stati Uniti, al cospetto dei nuovi numeri
si deve ricredere. Uno studio incredibilmente poco noto del Fondo
monetario internazionale, datato dicembre 2007, ridimensiona drasticamente
limpatto dei Paesi asiatici sulleconomia globale, e
ancora di più rispetto a quella dellOccidente.

Secondo i dati Fmi, in base alla banale correzione della parità
di potere dacquisto, nel 2005 il Pil cinese è stato
di quasi il 40 per cento inferiore rispetto alle stime ufficiali,
e quello indiano del 38 per cento. Nel resto del pianeta, invece,
la correzione è molto più leggera (8 per cento in
meno), mentre in Europa, Nord America e Australia (tre aree che
fanno capo allOcse) il dato resta quasi invariato: un calo
di appena l1 per cento.
Se poi si aggiunge il fatto che molte economie emergenti dipendono
dallexport americano (la Cina deve il 36,6 per cento del Pil
alle esportazioni, per il 20 per cento dirette negli Usa), le speranze
del disaccoppiamento sono ancora più flebili; e se gli americani
smettono di consumare, leconomia cinese rischia il collasso.
Risultato: oltre alla recessione americana, che secondo Deutsche
Bank «è già un fatto», potrebbe innescarsi
anche una recessione asiatica (dellordine di uno o due punti
percentuali negativi, secondo leconomista Mario Deaglio),
che verosimilmente determinerebbe una stagflazione europea.
Previsioni nerissime per il 2008, dunque. Con una notizia buona
e una cattiva. La buona: con il dollaro a picco, leuro si
sta consolidando come moneta globale; nei Paesi esportatori di greggio,
poi, leconomia continua a tirare, e soprattutto nel Golfo
Persico cè un boom edilizio: solo in Arabia Saudita
sono sei le nuove città in costruzione, e le commesse sono
quasi tutte in euro.
E la cattiva: perdurano i conflitti etnici, o nazionalistici, allinterno
di Russia, India e Cina, col rischio di deflagrazioni che possono
far divampare lemisfero, e non solo questo; con una situazione
particolarmente preoccupante in quel ventre molle asiatico che è
il Tibet, dove la Cina, richiamando alla memoria i giorni di Tian
an-Men, ancora una volta ha mostrato i muscoli di potenza imperiale,
soffocando nel sangue una rivolta scoppiata alla vigilia della primavera.
Dal punto di vista formale, il Tibet storico è stato una
provincia cinese dal 1720: faceva parte della cintura di sicurezza
esterna del Celeste Impero insieme con la Manciuria, con la Mongolia
interna e con il Sinkiang, regioni con antichi fermenti autonomistici.
A differenza delle altre regioni-cuscinetto, però, il Tibet
non aveva una popolazione a maggioranza cinese; inoltre, il clero
buddista vi ha sempre goduto di unimmensa autorità
morale, che è stata alla base di una potente forza di identità
nazionale. E per questo è stato teatro di rivolte particolarmente
temute da Pechino. Dal 1965 è Regione autonoma della Repubblica
popolare cinese. Sono passati infatti 57 anni dallinvasione
da parte del cosiddetto esercito di liberazione popolare di Mao,
e quasi 50 (17 marzo 1959) da quando il Dalai Lama abbandonò
la propria residenza e riparò in India, dove costituì
il governo in esilio, con sede a Dharamsala, subito dichiarato illegale
dalla Cina.
La cultura tibetana, serbatoio prezioso di spiritualità per
lumanità intera, rischia continuamente di essere dissolta.
Il paesaggio naturale e urbano è inquinato. La popolazione
indigena, ridotta a circa sei milioni di persone, è già
superata dagli oltre sette milioni di abitanti non tibetani trasferiti
in gran parte dal governo di Pechino per cinesizzare
larea, grazie anche alluso di una ferrovia arditissima,
quella del Quingzang, che unisce la capitale cinese a Lhasa, favorendo
la permeabilità del territorio tibetano.
Come nel 1956 e nel 1959, il Tibet è riesploso con questanno
bisesto. Al modo della Polonia del 1980, della Lituania del 1988,
dellAfghanistan del 1989, della Birmania del 2007, si sono
chieste libertà religiosa e democrazia. Infatti, che coshanno
in comune questi scenari, fra di loro molto diversi dal punto di
vista culturale? La forza della religione che scende in piazza,
un vigore che rende interi popoli disposti a battersi e a morire
per una libertà che non è un residuo di tempi passati,
ma un valore incrollabile, una testimonianza perenne del martirio
dei credenti, che un brutale pugno di ferro può soffocare
nel sangue, ma non può far venir meno né cancellare.
Del resto, è storia nota anche da noi. Dei 70 milioni di
martiri cristiani nel corso di duemila anni di Cristianesimo, ben
45 milioni sono da ascriversi al XX secolo: una cifra impressionante,
che riassume in sé lo scandalo di una persecuzione nel mondo
che oggi riguarda in varie forme almeno il 10 per cento delle centinaia
e centinaia di milioni di uomini e donne che professano la religione
cristiana. Secondo i dati più recenti, nella tragica classifica
degli Stati che attuano sistemi di repressione è in testa
lArabia Saudita, seguita dallIndonesia e dal Sudan.
In Iraq i cristiani parlano da sempre di rischio sopravvivenza,
mentre in Libano, di fatto lunico Paese mediorientale in cui
risieda tuttora una consistente comunità di fede cristiana,
i cristiani sono passati da maggioranza a circa un terzo della popolazione:
alle persecuzioni, infatti, si sono aggiunte le guerre, che hanno
indotto oltre 250 mila fedeli di Cristo ad abbandonare il Paese
dei Cedri per mettersi in salvo. Fenomeni analoghi nei Paesi dellex
Urss: la caduta di un regime che aveva distrutto migliaia di edifici
cristiani e costretto i fedeli a una vita catacombale non ha messo
fine alle vessazioni compiute contro i cristiani. Lemergenza
riguarda anche le Città Sante. A Betlemme i cristiani sono
oggi solo il 12 per cento della popolazione, mentre a Gerusalemme
dal 53 per cento del 1922 si è precipitati al 2 per cento;
e persecuzioni sono in atto in Siria, in Algeria, in Pakistan, in
Somalia, in Nigeria

Allorigine degli sconvolgimenti che stanno caratterizzando
la vita planetaria odierna, dunque, ci sono leconomia (con
il complemento del possesso delle materie prime e delle attività
produttive sostenute dai regimi dei costi interni del lavoro) e
le componenti spirituali (cultura, lingua, arte, religione) dei
popoli. Per quanto possa sembrare strano, sono in corso due fenomeni
decisivi per la misura del mondo in questi nostri tempi:
in campo economico, il ridimensionamento degli impatti che le economie
emergenti possono avere sul resto del globo, con la rivalutazione
dei vincoli di reciproca dipendenza già emersi, in nuce,
alla fine del secolo e millennio scorsi; in campo spirituale una
decisa desecolarizzazione, con il potente ritorno sugli scenari
planetari delle componenti religiose che hanno tradizionalmente
informato di sé le civiltà di tutte le latitudini.
Certo, le nuove entità produttive sono aggressive quanto
basta per conquistare sempre nuove fonti di approvvigionamento di
materie prime e nuovi mercati: il che significa che la geografia
economica muterà in qualche modo, ma meno incisivamente di
quanto fosse dato credere fino a poco fa. Sullaltro versante,
il riemergere di componenti solo in apparenza astratte, come i patrimoni
spirituali dei popoli, insieme con la richiesta di crescenti diritti
umani, (chi non rispetta i diritti umani non ha diritti, sostiene
un efficace slogan adottato da tutte le comunità non libere),
sta ricompattando saldandole vecchie e nuove generazioni.
Il fenomeno è ancora in parte sottotraccia, ma è innegabile.
Gli avvenimenti del Tibet, la testimonianza resa dai martiri in
nome della fede, (come quella di monsignor Faraj Rahho, arcivescovo
di Mosul, trucidato dai musulmani; o quella dei monaci che si sono
fatti massacrare a Lhasa nel nome della propria libertà),
come le folle accorse nellimmenso ovale del Bernini, in San
Pietro, a dare al mondo persino limmagine visivamente concreta
della solidarietà a un Pontefice offeso da un pugno di laicisti
in ritardo, dal balbettamento dei politici e dal complice silenzio
degli intellettuali, sono i sintomi di una rinascita che non è
soltanto aspirazione al benessere materiale: è molto di più
e di più creativo, perché coinvolge ragione, menti
e coscienze delle persone, e perché è contro un pensiero
arcaico secondo il quale la scienza è lunica forma
di sapere e tutto il resto, salvo forse leconomia, (cioè
arte, religione, filosofia), è forma varia di superstizione,
concetto spazzato dallepistemologia contemporanea, da Popper
a Kuhn e ad Habermas.
Il 2008 si presenta così, sorprendendo chi riteneva che tutto
fosse stato già scritto nel libro del destino degli anni
immediatamente precedenti. Da qui a poco, il bisestile scoprirà
molte delle sue carte, mettendoci di fronte a scenari che ci costringeranno
a muoverci non al passo, ma al trotto con i tempi.
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