Loro nero ha
più che mai, in
assenza di energie alternative, una forza di pressione che può
rasentare la violenza.
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Cerano una volta le Sette Sorelle del greggio,
nate dalla frammentazione di Standard Oil. Enrico Mattei ne criticava
lo strapotere, ma anche loro erano un simbolo del dominio dellOccidente
al quale lItalia apparteneva. Ai nostri giorni, invece, mentre
il costo di un barile di petrolio sale ora dopo ora, probabilmente
neanche Mattei riconoscerebbe più la geografia dei suoi nemici.
E le eredi di Standard Oil Exxon Mobil, Royal Dutch Shell
o Bp appaiono malleabili di fronte alla politica di potenza
delle nuove Sorelle russe o cinesi.
Per capire quanto velocemente sia cambiata la mappa, è sufficiente
incrociare landamento del prezzo del petrolio dal 2003 con
le classifiche delle più grandi imprese al mondo, stilate
sulla base del valore di Borsa. Perché la notizia non è
che il numero di compagnie della Top ten dellenergia sia salito
dalle due del 2003 alle cinque della fine del 2007, mentre le quotazioni
del barile triplicavano da 30 a oltre 90 dollari, con sfondamento
dei 100 dollari alla fine del primo trimestre 2008. In fondo, tutto
questo era prevedibile, per unindustria che ha costi di produzione
del barile non molto sopra i due dollari in condizioni normali.

È piuttosto la gerarchia fra le supermajor che
segnala la rivoluzione intorno agli idrocarburi. La prova più
smagliante viene da PetroChina e da China Petroleum (Sinopec), due
delle Tre Sorelle nate nel 1982 dallo spacchettamento
per regioni dellindustria di Stato dellenergia deciso
da Pechino. Proprio nel terzo trimestre del 2008 PetroChina ha collocato
a Shanghai un altro segmento di capitale, per un valore di circa
9 miliardi di dollari, con una domanda che è risultata cinquanta
volte sopra lofferta dei titoli.
Eppure la scalata di PetroChina (il cui braccio operativo è
Cnpc) è già stata senza precedenti: a metà
2005, con il petrolio a 60 dollari, era la quinta più grande
supermajor al mondo, con un valore di Borsa di 132 miliardi
di dollari e con la presenza sui listini a New York e a Hong Kong.
Nel precedente mese di aprile (con il barile di petrolio a 70 dollari
circa), era tredicesima con 205 miliardi di dollari, mentre a metà
marzo 2008 era seconda e capitalizzava circa 430 miliardi: dietro
PetroChina si ritrovava tutta laristocrazia industriale e
tecnologica americana, da Microsoft a General Electric, mentre davanti
resisteva soltanto Exxon Mobil.
Analoga lascesa di China Petroleum-Sinopec, la seconda Sorella
cinese votata a coprire il fianco meridionale della Repubblica popolare.
Era 45esima al mondo per valore nellaprile 2007, a 116 miliardi
di dollari. Nel successivo mese di ottobre, con il greggio a 87
dollari al barile, era già nona e valeva 265 miliardi (più
di At&T, quasi quanto Royal Dutch Shell) e da allora tiene la
posizione.
Per le vecchie Sette Sorelle, quelle contro le quali
si ribellava lEni di Mattei (al fondatore del gruppo italiano
si attribuisce anche la paternità della definizione), sul
valore di Borsa incidevano riserve, produzione, il bacino dei consumatori,
lo stesso prezzo del greggio. Le nuove Sorelle cinesi
rispondono alle stesse leggi, ma hanno dalla loro parte anche altre
spinte. Quella del governo, azionista di controllo delluna
e dellaltra, prende mille forme nella sua caccia alle risorse
per alimentare la crescita cinese. A Sinopec Pechino versa sussidi
per indennizzarla delle perdite nella raffinazione imposte dal prezzo
politico della benzina nel territorio cinese. PetroChina riesce
a produrre in Africa greggio a prezzi insostenibili per gli occidentali
ed è oggetto di sospetti per il ricorso al lavoro forzato:
in pochi si stupiscono che le sue offerte per nuove concessioni,
per esempio in Angola, siano su livelli imbattibili.
Ma anche i nuovi protagonisti russi in fondo inseguono un modello
di successo: con il sostegno del proprio governo-azionista di maggioranza
alla politica di espansione e di revisione dei prezzi. Gazprom è
cresciuta in Borsa da 70 a oltre 280 miliardi di dollari in due
anni. Ha inglobato altri pezzi dellindustria petrolifera ex
sovietica, ha messo lEuropa occidentale alle sue dipendenze
per il gas e ha tessuto rapporti che vanno dallAlgeria al
Venezuela.

Da posizioni marginali fino al 2005, Rosneft ha invece beneficiato
della liquidazione di Yukos, e ora rivaleggia con la nostra Eni
quanto a capitalizzazione. E i prossimi cospicui aumenti delle quotazioni
avranno probabilmente un effetto sorprendente: la nuova generazione
di squali autoritari dellenergia avrà mascelle
abbastanza vaste per inglobare i pesci di media dimensione sul mercato.
Acquisti di 30 o 40 miliardi di dollari in azioni, per le nuove
Sorelle, sembrano quasi una spesa di poco conto.
Cina e Russia, da ultimo, usano la potenza delle loro grandi società
dellenergia per condizionare, oltre che allestero, anche
allinterno e sui propri confini la vita politico-economica
di altre regioni. Valga, a pochi mesi dallapertura a Pechino
delle Olimpiadi, quel che è accaduto nel martoriato Tibet;
e valgano i ricatti di Mosca sulle Repubbliche ex sovietiche che
non intendono lasciarsi influenzare dal Cremlino e reclamano la
libertà di accostarsi allEuropa comunitaria. Loro
nero ha più che mai, in assenza di energie alternative, una
forza di pressione che può rasentare la violenza, mentre
il resto del mondo resta muto per ragioni di convenienza.
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