È necessario uno scatto politico
a livello mondiale, europeo e dei
singoli Paesi. Senza questo scatto, è
sconsolatamente facile prevedere uneconomia
mondiale alla
deriva.
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Un giorno le Borse europee e asiatiche potrebbero correggere un
poco i pessimi risultati del giorno precedente, ma una vera inversione
di tendenza pare più una chimera che una speranza fondata.
Le cadute dei listini, che si susseguono dallinizio dellanno
a ritmo sempre più intenso e accelerato, sono il risultato
di una crisi del sistema. In discussione ci sono almeno tre punti
fermi che riguardano la struttura entro la quale si sono mosse le
varie componenti delleconomia mondiale da almeno ventanni
e in alcuni caso da almeno mezzo secolo.

Il primo punto posto in discussione è la capacità
del dollaro di continuare ad essere il solo punto di riferimento
di un sistema finanziario mondiale sempre più variegato e
articolato (e che del dollaro fa un uso ancora prevalente, ma sicuramente
decrescente); il secondo è la capacità delleconomia
americana di fare ancora da traino alleconomia mondiale, dal
momento che, nellultimo quinquennio, più della metà
della produzione aggiuntiva del pianeta proviene dallAsia
orientale e sud-orientale, e meno di un quinto dagli Stati Uniti;
il terzo punto è leffettiva possibilità dei
mercati finanziari di operare scelte economiche efficienti, di essere,
come vogliono i sostenitori più accaniti dei loro meriti,
il principale o unico meccanismo regolatore delleconomia del
pianeta.
Questi interrogativi di lungo periodo costituiscono lo sfondo contro
cui si staglia la recessione delleconomia degli Stati Uniti,
ormai pressoché inevitabile, anche perché affrontata
troppo tardi, e con mezzi inadeguati, dal governo di quel Paese.
Si può però forse ancora evitare che questo pilastro,
con il suo indebolimento, faccia franare come un castello di carte
il complesso delleconomia mondiale; bisogna far sì
che la probabile contrazione delleconomia americana non provochi
da un lato larresto dellespansione della Germania, il
Paese europeo che maggiormente dipende dal mercato americano
esportando così la recessione allEuropa e dallaltro
freni sensibilmente le economie asiatiche, mettendo in ginocchio
la crescita mondiale.
Per quanto riguarda lItalia, è appena il caso di ricordare
che, proprio nel giorno in cui sembrava essersi sfaldata la maggioranza
del governo di centro-sinistra, la caduta delle Borse ha sfaldato
limpianto di base della legge finanziaria, allora ancora fresca
dinchiostro; già autorevoli proiezioni avevano ridimensionato
la crescita prevista delleconomia italiana, ora sappiamo che
potrebbe non crescere affatto. Minore crescita significa gettito
fiscale inferiore al previsto, e per conseguenza, necessità
di modificare lintero assetto dei conti pubblici. Queste modifiche
dovrebbero, peraltro, essere effettuate nel generale interesse del
Paese e cè da sperare che facciano premio sui giochi
politici.
Per lItalia e per lEuropa, il tempo per far qualcosa
si misura in pochi mesi probabilmente da tre a sei
dopo di che la recessione potrebbe installarsi in tutte le maggiori
economie del mondo e rimanervi non si sa per quanto.

In queste condizioni non aiuta il proposito della Banca centrale
europea di essere pronta ad alzare il costo del denaro, mentre lesigenza
di evitare una recessione consiglierebbe di abbassarlo, anche in
presenza di uninflazione importata. La Banca centrale europea
guarda con attenzione ossessiva allalbero dellinflazione
e non si accorge che tutta la foresta è in movimento. Fa
onestamente il proprio mestiere di governo dei flussi monetari,
ma non sta mostrando vere doti di leadership (che non le competono,
ma sarebbero necessarie in questi frangenti).
Le cose, insomma, non si aggiusteranno tanto facilmente da sé,
come credono molti ottimisti di professione. È invece necessario
uno scatto politico a livello mondiale, europeo e dei
singoli Paesi. Senza questo scatto, è sconsolatamente facile
prevedere uneconomia mondiale alla deriva.
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