Detta in soldoni, abbiamo troppi debiti in America
e troppo risparmio in Asia: uno
squilibrio
di cui dovrebbero preoccuparsi
i Paesi delleuro.
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Anche il viaggio più lungo incomincia con un passo. Questo
antico motto birmano sembra perfettamente assimilato da un espansionismo
asiatico senza confini. Il pressing del nuovo capitalismo sta producendo
inediti scenari nelle relazioni internazionali. Silenzi e veleni
si moltiplicano facendo esplodere a raffica situazioni di crisi
riconducibili a percorsi di globalizzazione senza regole. Il capitalismo
made by Cindia (il corsivo è il titolo di un recente volume
pubblicato per larea Economia e Management di Sperling &
Kupfer) sta cambiando il corso degli eventi che orientano lo sviluppo.
Oggi nel cuore del sistema cè la tecnologia di trasmissione
delle informazioni e delle comunicazioni, settore in cui la regione
Asia-Pacifico sta producendo forti impulsi innovativi, che possono
compromettere il primato occidentale della ricerca. Cindia è
una crasi voluta per sottolineare la competizione poco armoniosa
con cui le economie asiatiche (India e Cina, in primo piano) stanno
portando significative correzioni alle rotte tradizionali dello
sviluppo.
La partita è di dimensioni mondiali e si gioca a tutto campo.
Nella società globale i nuovi individualisti
(non ancora completamente sdoganati dal collettivismo di casta o
di partito) cercano con ossessione spazi di potere in economia e
nel costume. Un fine perseguito con luso spregiudicato della
politica interna e internazionale, utilizzando al meglio le smagliature
del sistema in nome di un modello che identifica lo sviluppo con
unassimilazione veloce delle dinamiche occidentali. Una sorta
di road map convenzionale che sta amplificando la monotonia corale
della società di massa.
Tuttavia le tematiche sociologiche che emergono dallaffermazione
del nuovo capitalismo per creare storia devono percorrere un lungo
cammino di governo delle intemperanze prodotte dallera dellammirazione
per i grandi cambiamenti che nei Paesi asiatici non coincidono con
il crollo dellancien régime. Sono scomparse le oligarchie
obsolete, ma il potere si esprime con una continuità caratterizzata
da forti spinte evolutive che non intaccano il fascino della leadership
personalizzata. Sul fronte occidentale invece si fa uso e abuso
di un lessico di autocompiacimento per avere creato con le aperture
economiche (WTO, in particolare) nuovi sentieri di democrazia che
finora, sotto la coltre della retorica e dellideologia, hanno
prodotto solo preoccupanti fattori di disturbo negli equilibri internazionali.

La nuova Cina ha ereditato dal confucianesimo e dalla cultura marxista
lagire pragmatico. Conserva ancora un potere centralizzato
e non ha sindacati (almeno quelli da noi conosciuti), né
diritto di sciopero. La nuova India si regge sempre sul potere delle
caste, ma ha istituzionalizzato princìpi e valori democratici.
Ha poteri bilanciati, sindacati e diritto di sciopero e continua
a sollecitare regole per accrescere la fruibilità dei diritti
civili. Una fitta rete normativa regola comportamenti filtrati e
benedetti dal viatico induista. Lex colonia britannica si
sta prendendo una grossa rivincita offrendo sostanziali contributi
alla formazione manageriale inglese.
La Judge Business School (Università di Cambridge) ha inserito
nella sua struttura il Cambridge Centre for Indian Business. Una
nuova cattedra per approfondire lo studio dei modelli di business
utilizzati in India, con specifico riferimento allinnovazione
tecnologica, alle interconnessioni su scala globale tra sviluppo,
economia e imprenditorialità.
Lantico fascino dei Milord appare in chiaro declino. Sorprende
comunque che Cina e India, mondi così diversi e lontani,
siano diventate improvvisamente vicine, alleate in aree importanti
di ricerca e sviluppo pericolosamente competitive per le economie
occidentali.
Si fa sempre più strada il dubbio di vivere una realtà
meno brillante di quanto siamo indotti a credere, mettendo in discussione
le virtù terapeutiche della globalizzazione. Merci e mercati
continuano a inanellare situazioni di azzardo etico. Di fronte a
tanti elementi di criticità stupisce lassenza di iniziativa
politica. Domina la voglia di blandire le new entry dei salotti
buoni passando sotto silenzio le ombre che sovrastano i valori occidentali
e i fattori di rischio che le nuove modalità dello sviluppo
introducono nei settori della finanza, del commercio, dellapprovvigionamento
energetico, delle tematiche ambientali.
Un esempio per tutti. Segnali preoccupanti vengono dalleconomia
americana, epicentro del pensiero globale. Lintreccio
tra debito pubblico, passivo del commercio estero e interventi monetari
di sostegno della Banca centrale cinese creano circuiti poco ortodossi
sul terreno delle libertà economiche in versione liberal.
Per le regioni asiatiche il mercato è una novità che
va sfruttata in termini di potenza politica ed economica. La liberalizzazione
finanziaria ha un rapporto privilegiato con la politica. Finché
questa viaggia lungo i binari market friendly, senza correttivi
di governo globale, la correzione degli squilibri resta affidata
alla responsabilità esclusiva della politica monetaria, sostanzialmente
allazione calmieratrice del cambio. Ciò determina frequenti
stress di allineamento che si ripercuotono negativamente sulla crescita,
rendendo lo strumento monetario un ulteriore fattore di squilibrio.
Va calmierata la politica di potenza anche nel settore commerciale.
Non è accettabile lidea permissiva che consente di
vendere tutto quello che si produce senza filtri necessari per assicurare
al consumatore globale le necessarie garanzie di sicurezza. Un problema
che investe gli standard di produzione, non solo limportazione
e le barriere doganali. Auctoritas, non veritas, facit legem (Hobbes).

Dare governo al mercato internazionale presuppone il rispetto delle
norme e dellattuale organizzazione, ma anche laccettazione
di Autorità di controllo che al momento non ci sono. In questa
direzione la comunità occidentale dovrebbe lavorare con maggiore
determinazione, dovrebbe immaginare un pluralismo statuale capace
di esprimersi con voci concertate, per sviluppare un soft power
in grado di acquisire carattere di polo di riferimento certo e univoco
nelle trattative internazionali.
Si potrebbe iniziare da cose semplici, come listituzionalizzazione
di un circuito formativo tra le Banche centrali per assicurare stabilità
finanziaria e una progressiva integrazione tra gli intermediari
e i mercati. Come linserimento di Cina e India nel G7 e nellAssociazione
internazionale per lEnergia. Il nucleare spaventa ancora.
Il suo rallentamento, secondo dati ONU, ha prodotto in mezzo mondo
quattromila vittime, molto meno delle persone che ogni anno muoiono
nelle miniere di carbone cinesi.
Detta in soldoni, abbiamo troppi debiti in America e troppo risparmio
in Asia. Uno squilibrio di cui dovrebbero preoccuparsi anche i Paesi
delleuro. Se India e Cina non fanno la loro parte favorendo
i consumi interni o modificando il cambio, la crescita europea sarà
penalizzata dalla concorrenza internazionale. Diventa essenziale
muoversi tra monopoli e corporazioni, multinazionali e centri di
ricerca assicurando nuovi standard ai valori dellequità
e della solidarietà. Purtroppo è difficile movimentare
idee e progetti oltre i confini della corte. «Gli Apostoli
diventano rari, sono tutti Padreterni», usava ripetere spesso
lo scrittore francese Alphonse Karr.
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