Il passato qui non è mai indifferente:
può essere buono
o cattivo, può
provocare
una memoria
felice o dolorosa, può essere una
ferita mai guarita o una scalfittura. Ma non è mai
indifferente.
|
|
A volte così prossimo, a volte così remoto. A volte
così chiaro, nitido. A volte nebuloso. A volte accerchiante,
incombente, a volte sospeso, leggero.
Il passato di una terra è come quello di un uomo. Ha forme,
sostanze, linguaggi, orizzonti, opacità, trasparenze, concretezze,
astrazioni, echi, richiami, sensi affioranti o profondi, racconti
e silenzi. Metafore. Simboli.
A volte è un passato buio, a volte luminoso, oppure è
un chiaroscuro. A volte è un passato pieno, a volte invece
è vuoto (o almeno così sembra), a volte concentrato,
a volte dilatato, slargato allinfinito.
Ma come che sia è un significato radicale, un passaggio obbligato,
un varco che si attraversa in continuazione, un ponte che congiunge
le due sponde dellessere stato in un modo e dellessere
in un altro, forse differente, forse somigliante. Certo non uguale.
Il passato è la condizione con cui comunque fa il conto ogni
uomo, ogni luogo. Consciamente o inconsciamente, con un progetto
o per occasione, con inquietudine o con serenità.
Non esiste identità senza passato. Oppure, se esiste, è
unidentità lacerata: cè stato un punto
in cui si è verificato uno strappo, si è aperta una
frattura, è maturato un rifiuto, un abbandono, una diserzione.
Unidentità senza passato è una negazione del
tempo che è appartenuto ad un uomo o a una terra.
Un identità che si pone in una relazione dinamica con
il passato, sviluppa una capacità di decifrazione e interpretazione
dei segni del presente che spesso costituiscono prefigurazioni di
futuro e quindi consentono sia di essere ad agio nel tempo che si
vive, sia di essere pronto ad accogliere con consapevolezza il tempo
a venire.
Il passato del Salento è composito, complesso, connotato
da una fisionomia meticcia, da elementi ibridi, da una rete di interferenze
che agiscono talvolta in funzione propulsiva, talaltra in
maniera negativa, da una stratificazione di incognite e di storie
in qualche caso ancora non concluse.
Magna Grecia. «Qui / Pitagora dedusse il numero: / principio
e fine / dogni congiunzione di pensieri, / luce di fede /
e musica / di navigati mappamondi», scrive Bruno Epifani.
Dalle contrade del Salento è passata gente dogni razza;
ha lasciato tombe, parole, misteri, mestieri, piante, riti, poesia,
cattedrali, dolmen, menhir, vizi che ormai si confondono con le
virtù.
È una storia così fonda, così intricata, così
refrattaria ad ogni sistematizzazione e ad ogni delimitazione certa,
da sconfinare nella non-storia, a volte, perché, come diceva
Carmelo Bene in unintervista rilasciata ad Aldo Bello per
Amare contee, «quando tante storie confluiscono, fanno un
gran casino e non si dà storia alcuna».
Come ogni passato non è mai incoerente. Ogni fatto ha le
sue cause e ogni causa ha le sue ragioni: comprensibili o incomprensibili.
Poi il fatto produce un effetto che può essere accettato
o rifiutato, condiviso o contrastato. Ma non è mai incoerente.

Venne Ernesto De Martino, in Salento, e disse di una terra del
rimorso, di «una terra del cattivo passato che torna e opprime
col suo rigurgito».
Era la fine degli anni Cinquanta e De Martino pensava che le coscienze
fossero percosse «dal cattivo passato individuale e collettivo»,
ma al tempo stesso vedeva nella vigile memoria del passato un soccorso
forse lunico soccorso possibile alla vita.
Ma la coscienza del passato talvolta è tramata da uno squarcio
profondo: come una crepa che attraversa il tempo e lascia intravedere
il magma che scorre nelle profondità.
Lo ha detto Vittorio Bodini che al suo paese del Sud ogni attimo
del passato somiglia a quei terribili polsi di morti che ogni volta
rispuntano dalle zolle.
Allora il senso della relazione che il Salento consuma con il suo
passato forse è, ad un tempo, quello di un legame viscerale
e di un istinto di rimozione, di rifiuto.
Non è una contraddizione. È la dimensione di questa
passione. Ed è proprio questa dimensione che mantiene costantemente
vivo il passato, oppure lo rinnova, continuamente, che provoca o
pretende lincontro con le sue forme, i suoi simboli, le sue
decifrate o indecifrate epifanie.
In ogni espressione di stagione nuova, nella elaborazione di un
nuovo pensiero, nelle mutazioni antropologiche che vive, nelle transizioni
delle sue culture, nella progettazione del futuro, il Salento si
ritrova a confrontarsi con quello che è stato, con la sua
storia e la sua tradizione, con i suoi rituali e la sua letteratura,
con la genialità e la depressione, con le accademie di monaci
sapientissimi e il morso meschino della taranta, con lincantesimo
delle chiese bizantine e la fatica che la terra ha preteso ma anche
con labbandono che poi la stessa terra ha subìto.
Con tutto. Consapevolmente o inconsapevolmente. Comunque con quella
passione. Quindi con lesclusione assoluta di qualsiasi indifferenza.
In Salento il passato non è mai indifferente. Può
essere buono o cattivo passato, può provocare una memoria
felice o dolorosa, può essere una ferita mai guarita oppure
il segno quasi invisibile di una scalfittura. Ma non è mai
indifferente.
Nellultimo libro di Carmelo Bene, che si intitola l
mal de fiori (Bompiani, 2000) poema di un plurilinguismo
ribollente, di una tensione parossistica, di un ritmo fastoso e
straripante di forme e di espressioni di ogni tempo cè
una parte scritta in lingua salentina, un dialetto e un idioletto
fantasioso. Qui il senso del passato è una voce di follia:
una vecchia donna che invoca medicamenti allo straniamento, alla
disperazione del presente, allabbrutimento del corpo e ai
deragliamenti del pensiero, al vuoto che cresce tuttintorno.
Alla fine del secolo scorso il respiro del passato diventa più
forte, potente. Quanto più si allontana e quanto più
si fanno prossime le nuove configurazioni del tempo, tanto più
si avverte il pericolo dellestraneità a se stessi e
alla propria radice, ad un sentimento di appartenenza.
A quel punto si verifica il fenomeno di riappropriazione del passato
attraverso le espressioni dellarte. Larte è lunica
condizione che consente di riabitare la casa del padre, di riavvolgere
fili dipanati, di cui spesso si sono perse lorigine e la natura.
Un uomo ha il ricordo e la rete di ricordi che costituiscono la
sua memoria. Per un uomo il passato è una dimensione esclusivamente
interiore, a volte consegnata al silenzio, sprofondata in quel pozzo
dellesistenza che custodisce i segreti più intimi,
essenziali.

Non è importante forse è irrilevante
che il passato di un uomo si manifesti, si metta in relazione con
il presente che appartiene al sé e con il passato che appartiene
allaltro. Per una terra, invece, il passato esiste in quanto
e fin quando ha possibilità di ripresentarsi, di riproporsi
attraverso sistemi di simboli o proiezioni di metafore. Larte
si realizza per sistemi di simboli e proiezioni di metafore.
Così per tutto il Novecento, larte del Salento ha scavato
alla ricerca del proprio passato e ha costruito forme di rappresentazione
di esso.
Prima, più o meno fino a tutti gli anni Cinquanta, esclusivamente
attraverso la letteratura e in una qualche misura anche attraverso
larte figurativa.
Dopo, per tutta la seconda metà del Novecento, con una convergenza
sapiente di forme espressive molteplici e diverse nei loro metodi
e nei loro esiti, anche se identici erano i presupposti, i motivi,
i moventi, le finalità, gli obiettivi.
Intorno alla letteratura, che è rimasta il riferimento insostituibile,
si è sviluppato un movimento creativo che ha generato un
fenomeno di costruzione del passato. Quel passato del Salento a
cui noi facciamo riferimento, che proponiamo come simbolo, paradigma,
modello, è una costruzione realizzata dallarte.
Tutte le cose che larte realizza sono il risultato di una
combinazione di vero e di falso, di realtà e di finzione,
di storia e invenzione. Anche le immagini del passato vulgate e
frequenti appartengono, quindi, a questa natura.
Il passato del Salento che si deposita o si espande nel nostro immaginario
individuale e collettivo è una figurazione che solo in minima
parte risponde a caratteri di realtà.
Per molti elementi e per molte espressioni si presenta sotto forme
fantastiche, con quelle connotazioni del meraviglioso che sono proprie
dellimmaginazione, con quellinsistenza su alcune formule
che spesso ha dato origine ad un cliché che come ogni cliché
è falso, o comunque storicamente inautentico, quindi semanticamente
inattendibile. Così noi facciamo esperienza di un incontro
con un passato un po vero e un po falso, qualche volta
storicamente inautentico, quindi semanticamente inattendibile, che
in quanto tale trasmette segnali veri, falsi, inattendibili, che
non hanno un carattere che interagisce e si esauriscono nel tempo
e nello spazio del motivo o del pretesto che li ha generati.
Ma senza unarte il Salento non avrebbe avuto immagini del
passato, forme con cui confrontare il proprio presente; non avrebbe
avuto nemmeno la possibilità di assicurare al passato una
sorta di infinita esistenza.
Lassedio di Otranto nellanno 1480, per esempio, sarebbe
rimasto probabilmente un fatto di storia minore confinato nelle
pagine di ricerca locale se Lora di tutti di Maria Corti non
avesse trasformato in metafora il nome di quel luogo. Il contributo
che il romanzo ha dato allimmagine del passato del Salento
ha una valenza culturale straordinaria.
Ma quel romanzo ha realizzato unoperazione di trasmutazione
della storia in mito. Il tempo narrativo ha annullato il tempo cronologico.
Ha costruito una realtà simbolica. Ha trasformato una vicenda
storica in un artificio dellimmaginazione.
Ecco, dunque, il passato un po vero e un po falso, in
qualche modo inautentico, comunque semanticamente inattendibile.
Però è questo passato che ha determinato limmaginario
diffuso e trasversale.
È questo il tempo che passa e ripassa sul volto del Salento
apparendo un po come un ombreggiamento che confonde e un po
come uno splendore misterioso e lontano.
|