Odissea a Fano.
Ripescato in mare,
l'Atleta di Lisippo
finì dapprima
in un sottoscala,
poi fu interrato
in un campo di
cavoli, passò nelle
mani di antiquari
di Gubbio e
di Milano, per
approdare infine
al Getty Museum
di Malibu.
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Si è arrivati sul filo di lana, ma si è arrivati.
Dei seicento pezzi che la casa d’aste londinese
Bonhams stava per battere, dieci non
avrebbero potuto avere alcuna offerta, perché
dopo le operazioni di ricerca dei carabinieri,
coordinati con l’Interpol, si è stati costretti
a ritirarle, nel rispetto delle procedure
che vengono applicate quando la provenienzaè messa in dubbio.
La vicenda ha dato luogo anche a un giallo,
dal momento che l’operazione britannica di
recupero dei pezzi d’arte rubati nel nostro
Paese si riteneva riguardasse la celebre collezione
Symes, raccolta nella quale sono
presenti nove opere trafugate in Italia. Solo
dopo si è appurato che le dieci opere bloccate
alla Bonhams (fra le quali spicca un
vaso apulo di notevoli dimensioni e di cospicuo
valore) non hanno nulla a che fare
con l’affaire Symes.
Si tratta di altri reperti, anch’essi di conclamato
valore artistico, e dunque di rilevante
interesse per l’Italia. Una volta che saranno
state concluse le operazioni di verifica e di
(eventuale) recupero, conosceremo provenienza,
itinerari clandestini seguiti, forse
anche personaggi coinvolti negli scavi e nella
catena carsica che riguarda i traffici illeciti
delle opere d’arte.
Uno dei paradossi del settore, allo stato attuale,è questo: gli scavi abusivi, nel corso
degli ultimi anni, sono aumentati, mentre i
furti d’arte continuano a diminuire, così come
sta calando sensibilmente la quantità di
beni trafugati. Si tratta di un bilancio che
indica senza dubbio i successi del Nucleo
dei carabinieri per la tutela del patrimonio
artistico. Gli ultimi dati, riferiti ai primi nove
mesi di quest’anno, infatti, confermano
che sono tornate in mani lecite opere d’arte
per 126 milioni di euro.
Nelle colonne del dare e dell’avere, queste
le cifre, alla stessa data: 784 furti denunciati,
13.403 beni culturali trafugati, in calo rispetto
all’anno precedente, e 53 nuovi scavi
clandestini scoperti. C’è, specularmente, un
notevole aumento dei recuperi nel settore
archeologico, con sequestri in Italia e all’estero.
Complessivamente, i recuperi in questo
settore sono stati 48.262. Per la prima
volta, tra questi recuperi, il settore della paleontologia
(1.187), una leggera crescita dei
ritrovamenti di oggetti trafugati dalle chiese
(305) e di sculture (152), mentre sono in evidente
flessione i recuperi di beni librari e archivistici.
Della collezione Symes fanno parte ben 17
mila oggetti, tutti di provenienza accertata,
vale a dire da scavi illegali, con i quali ha
continuato a rifornire il Getty Museum. Robin
Symes, dunque, è il depositario di segreti,
di gialli archeologici intriganti. Come
quello della Venere di Morgantina – che abbiamo
citato in un precedente articolo – la
statua predata alla Sicilia e finita in California.
Caso tuttavia risolto grazie a un compromesso:
la statua tornerà nel nostro Paese nel 2010, dal momento che i giudici hanno
dato torto agli americani, e il nostro ministero
dei Beni Culturali ha fatto la voce grossa,
pretendendo la restituzione. È poco probabile,
per questo splendido reperto, che gli
Stati Uniti possano fare un passo indietro.
Questa Venere, del V secolo avanti Cristo,
alta più di due metri, attribuita a un discepolo
di Fidia, fu ritrovata negli anni Ottanta
dalle parti di Enna. A grandi linee, questa
la storia: venne ricettata da Renzo Canavesi,
un ticinese ottantenne, che successivamente
la vendette per 400 mila dollari alla
società londinese di Symes, che nell’86 la
girò al Getty Museum di Malibu, ricavandone
10 milioni di dollari. Canavesi venne
condannato dal tribunale del capoluogo siciliano
nel 2001: di qui, la svolta per la restituzione
del magnifico reperto all’Italia.
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All’interno del Museo del Convento di S. Antonio a Fulgenzio, a Lecce. - Arturo Caprioli |
Niente da fare invece, almeno fino a questo
momento, per l’Atleta di Lisippo, che il
Getty Museum si ostina a negarci. Il bronzo
ellenistico si impigliò nel 1964 nella rete di
pescatori al largo di Fano: ebbe inizio da
qui l’odissea che portò questo preziosissimo
reperto dapprima in un sottoscala della
città marchigiana, poi nientemeno che in
una buca in un campo di cavoli, poi ancora
presso un antiquario di Gubbio che la comprò
per tre milioni e mezzo di lire. Successivamente,
passò in una canonica, e in seguito
ancora nelle stanze di un antiquario milanese,
in quelle di Heinz Herzer, e, nel
1977, nel Getty Museum, che la acquistò
per tre milioni e 890 mila dollari. Il direttore
del museo americano, Michael Brand, ha
dichiarato di non avere alcuna intenzione di
restituire il Lisippo all’Italia, perché, obietta
furbescamente, è ancora in corso il procedimento
giudiziario, presso la Procura di
Pesaro, al termine del quale dovrà essere
stabilito se il reperto sia stato “pescato” in acque italiane oppure in acque internazionali. Ma la Procura pesarese ne ha già chiesto
la confisca per contrabbando e per
esportazione clandestina.
Due storie, queste, in qualche modo parallele,
ma soprattutto note. Invece resta fitto
il mistero sul Caravaggio di Palermo, la “Natività” trafugata nel 1969 dall’oratorio
di San Lorenzo, che resta l’ossessione di
tutti gli investigatori della Penisola. Finita
in mano a una cosca mafiosa, (stando almeno
a quanto ebbe ad accennare un celebre pentito appartenente al crimine organizzato
siciliano, Francesco Marino Mannoia), potrebbe
aver fatto una brutta fine: l’ex mafioso
parlò di una tela “arrotolata e poi distrutta”,
senza tuttavia saper specificare di
quale opera si trattasse. Sicché le ipotesi sono
due: il Caravaggio è in mani private, in
possesso di un qualche personaggio danaroso
che si guarda bene dal rivelare il rifugio;
oppure è proprio l’opera d’arte di cui ha
parlato Mannoia, dunque una tela perduta
per sempre. Il mistero resta fittissimo.
Come fitto resta il destino del Bambinello
dell’Ara Coeli, che era ricoperto di ex voto
d’oro, segni di gratitudine dei romani (ma
non solo) per le guarigioni dei bambini.
Venne rubato ai francescani capitolini nel
febbraio 1994, e non se ne è saputo più nulla.
Secondo un’ipotesi degli investigatori,
sarebbe finito nella spazzatura, dopo essere
stato spogliato delle sue vesti preziose e degli
ex voto che vi erano appuntati.
Forse proprio riferendosi alla vicenda del
Caravaggio e di Mannoia, Vittorio Sgarbi,
alludendo a un «drammatico mercato sommerso
che investe milioni di pezzi», ha sostenuto
che c’è bisogno «di una stagione nuova
in cui saranno i pentiti a parlare». Il ministero
dei Beni Culturali – chiarisce lo studioso– deve patrocinare una legge per la rilevazione
del sommerso che dia la possibilità alla
gente di dire che cosa possiede, anche
opere d’arte di provenienza illecita, «senza
per questo essere denunciata o arrestata»,
ma, al contrario, tutelata. Le opere importanti
lo Stato le compera, ribadisce Sgarbi,
mentre quelle meno rilevanti le vincola, e
quelle meno pregiate le cataloga. Inoltre,
viene proposta una «carta di identità per le
opere che hanno più di mezzo secolo».
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Di ambito veneziano, particolare della
“Vergine del Carmine”, tempera su tela, XV secolo ca. Lecce, Museo Diocesano d’Arte Sacra. - Archivio BPP |
Ce la farà mai lo Stato italiano a realizzare
un programma del genere? Pensiamo alla
pura e semplice catalogazione delle opere
d’arte messapiche esistenti in casa Colosso,
in quel di Ugento: un’operazione che ha richiesto
tempi lunghissimi. E figuriamoci,
con i mezzi finanziari disponibili abitualmente
e decurtati oggi per via della crisi che
investe l’economia pubblica italiana, quanti secoli occorrerebbero per avviare, eseguire
e concludere un progetto come quello –
comunque ottimale – proposto da Sgarbi!
Più realistica la proposta del ministero:
cooperazione internazionale, per il recupero
delle opere trafugate, prima di tutto. E
maggiori mezzi al Nucleo dei carabinieri
specializzati nel settore: «La nostra Arma è
un modello per gli altri Paesi ed è in prima
linea nella battaglia al traffico illecito anche
in campo internazionale». E si rammenta
che la Romania sta istituendo un corpo di
polizia, predisposto a questa attività, che si
ispira ai nostri Carabinieri; esempio, questo
romeno, seguito anche dalla Gran Bretagna,
dalla Spagna, dalla Russia e dalla Repubblica
Ceca. Dalla capitale italiana, dunque,
parte un progetto globale contro i traffici
illeciti. Una bella soddisfazione per il
nostro Paese, spesso accusato di non esercitare
alcuna influenza, in quasi nessun campo,
oltre i confini nazionali!
Cooperazione internazionale anche negli
investimenti. Non più soltanto quattrini tirati
fuori dallo Stato. A dare man forte ai
progetti degli oltre quattromila musei italiani
dovrebbero arrivare anche i finanziamenti
dei privati, sia di casa nostra che
d’oltreconfine. Si pensa, in particolare,
agli americani e agli arabi. Il piano per
la creazione di una grande rete italiana
di musei e di siti archeologici dovrebbe
partire ai primi mesi del 2009,
con investitori pubblici, ma anche con i privati (soprattutto
Fondazioni bancarie).
Intanto, dopo una visita a undici musei
statunitensi, gli esperti dei Beni Culturali
stanno mettendo a punto nuovi progetti,
finalizzati alla creazione di rapporti che
dovrebbero risolversi in una serie di accordi
bilaterali. I musei stranieri cercano opere
da esporre, ma anche collaborazione
scientifica e know how, tanto che il Louvre
ha chiesto aiuto all’Italia per formare, ad
esempio, un primo gruppo di restauratori
francesi. Tra le alleanze possibili, c’è quella
con il museo americano di Atlanta, ma
ci sono moltissimi altri musei, ad esempio
in Texas, nel Missouri, a Philadelphia, in
California, che desiderano avere prestiti,
incontri e accordi con l’Italia.
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Statua dell’Indovino, dal frontone est del
Tempio di Zeus, ad Olimpia, tra i più mirabili esempi dell’arte scultorea greca. Museo Archeologico di Olimpia. |
Fra l’altro, si sta lavorando a un programma
di primissimo ordine, grazie al quale
Pompei potrebbe beneficiare di un cospicuo
investimento: il magnate americano
Packard, che nel 2004 aveva versato 12 milioni
di euro per interventi di restauro ad
Ercolano, potrebbe staccare un altro assegno
per la maggiore città campana distrutta
dal Vesuvio. La diplomazia dei Beni Culturali è al lavoro. Per i risultati,
c’è ottimismo.
Che non
guasta mai.
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