Perché
tu mi dici: poeta? Io non sono
un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho
che le lagrime da
offrire al Silenzio. Perché
tu mi dici: poeta?
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L’artista non ha legami soffocanti, ha bisogno di creare in piena libertà e non fa grandi sforzi per cercare. Picasso: «Io non cerco, trovo». Mario Luzi: «Come avviene nella natura, proprio nella sua determinazione il poeta trova la sua libertà». La sensibilità appartiene ad ogni essere umano, ma non tutti diventano artisti, anche se chi lavora con materiale “interiore” si presuppone abbia particolari attitudini, qualità prossime a quelle dell’artista: infatti, nella maggior parte dei casi costui usa un altro linguaggio, che fa tornare alla luce parti di sé rimaste nell’ombra. Allora, se non si può essere artisti, comunque si deve «creare se stessi» (Jung).
Memorie del sottosuolo di Feodor Dostoevskij è stato un romanzo che ha rappresentato un mutamento profondo nella narrativa europea dell’Ottocento. Non era più la vita sociale documentata che si descriveva, era “l’uomo del sottosuolo”, dello scavo interiore, cioè l’uomo dei sotterranei dell’anima. Questo viaggio scopriva spesso zone vergini, selvagge, di oscurità e di dolore, e il nuovo percorso coincideva con la solitudine. Emily Dickinson, chiusa nella sua stanza, scriveva: «C’è una solitudine dello spazio / una solitudine del mare /
una solitudine della morte, ma /
sono tutte compagnia/ paragonate a quell’altro spazio più nel fondo. /
Un’anima sola con se stessa /
finita infinità...».
Sebbene vasta, incommensurabile, quell’immagine di solitudine ha una straordinaria intensità, trasla il dolore, diviene incontro di sentimenti con gli altri, trasformazione estetica che da terribile diventa a suo modo gradita. Si fa catarsi. È questo il primato dell’arte.
Amore sensuale
SUL FIUME
Le giovinette così nude e umane senza maglia sul fiume, con che miti membra, presso le pietre acri e l’odore stupefatto dell’acqua, aprono inviti taciturni nel sangue! Mentre il sole scalda le loro dolci reni e l’aria ha l’agrezza dei corpi, io in che parole fuggo – perché m’esilio a una contraria vita, dove quei teneri sudori, sciolti da pori vergini, non hanno che il respiro d’un nome?... Dagli afrori leggeri dei capelli nacque il danno che il mio cuore ora sconta. E ai bei madori terrestri, ecco che oppongo: oh versi! oh danno!
Giorgio Caproni
ELLA NEMMENO SA
Ella nemmeno sa quanto poco somiglia a come agli altri appare
se nel bacio si fa tra le mie braccia al mare della felicità
silenziosa conchiglia.
Siro Angeli
NUDA COME UNA NUVOLA
Nuda come una nuvola, muovevi verso il bacio con un passo d’acrobata, assorta, e il riso della pelle t’era mantello e fuoco. Del celeste rito torna talvolta un lampo, e si dischiude la festa del tepore: era velluto la sera alla campagna, e nella stanza dolce sorgeva e impetuosa la danza delle carezze. Il grido della perdita e del ritrovamento navigava nel cielo senza tempo dell’amore...
Antonio Prete
Amore popolaresco
FIOR DI MORTELLA
“Fior di mortella, lo damo mio che ha fatto il marinaro dice che son del mondo la più bella!”
Rimboccata la gonna di lanetta, sui bei fianchi che oscillan sotto il passo cadenzato pei viottoli scoscesi, bilanciava sul cercine la stia… Le belle forme, erette come un fiore, scendevan la stradetta dirupata, traendo seco come fior profumo…
Mortella verde, profumato timo, lentigginosa scopa, e foglie secche…
Enrico Pea
MADONNA DELLE GRAZIE
Madonna delle Grazie, le feste del luglio, tornando al paese: al cominciare del mese il vespro nella grande piazza agreste.
Profumo di vacche e spiganardo, nel cielo la luna falcata, i lumi da un’altra inferriata, lumini accesi e un prete tardo.
La coda dei fedeli si pigia sulla via nazionale: autisti del nord passano e rallentano davanti al mistico baccanale.
Sono costretti a cambiare marcia ora che approdano nel sud: noti la gente che sobbalza, rumori di clacson. Nulla più.
Ottaviano Giannangeli
LE MANI DELL’OPERAIO
Dice il Signore a chi batte alle porte del suo Regno: – Fammi vedere le mani. Saprò io se ne sei degno.
L’operaio fa vedere le sue mani dure di calli: han toccato tutta la vita ferro fuoco metalli.
Sono vuote d’ogni ricchezza, nere stanche pesanti. Dice il Signore: – Che bellezza! Così sono le mani dei santi.
Renzo Pezzani
Amore crepuscolare
DI MAGGIO
Sotto il pensoso, nuvoloso maggio un violino, giù in strada, geme. Oh se in quest’ora priva di coraggio fossimo insieme!
Per le velate case e la collina, tenera snoda una campana il canto. Saprò se in questa povera mattina, amore, hai pianto.
Francesco Gaeta
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Pablo Picasso, “Donna con ventaglio”, 1908. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage. - Archivio BPP |
CAMPANE A SERA
O arcana campana lontana,
che in questo silenzio de’ campi t’effondi con dondi gementi, soavi, profondi, e i sensi d’ignara mestizia confondi;
o arcana campana lontana,
qual onda di sogni, d’amari rimpianti, tu al core mi mandi, ma incerti, ma erranti, ma solo all’umana tua voce balzanti!
O arcana campana lontana,
è l’ora che l’ombre si fanno maggiori, e affiocano i trilli de’ grilli sonori; è l’ora che han tregua nel sonno i dolori.
O arcana campana lontana,
divina è la pace che piove da’ cieli: s’inclinano i fiori su gli umili steli, e òrano in coro le rame fedeli.
O arcana campana lontana,
ma erede d’oscuri misfatti che sento nel petto echeggiarmi con lungo lamento, io solo, se t’odo, più cupo divento,
o vana campana che muori nel vento.
Giovanni Alfredo Cesareo
AUTUNNO
L’autunno di ramo in ramo si raccoglie come un uccello al vento: e un lamento di foglie mesce con un richiamo di piogge, di fontane e d’ombre. Il pianto vaga in aria a lontane solitudini, oscilla di villa in villa, e scolora ogni fronda.
Ceccardo Roccatagliata Ceccardi
Amore raffrontato
MONGOLFIERA
Pigra la terra si fa tutto dorare, io non mi stanco di guardare i monti che vanno insieme come persone: balena la rondine sui rossi tetti, a valle è autunno, augurio di pioppi. Qui presto farà notte il mio richiamo, ma dentro l’aria che ti tiene tu sali felice mongolfiera: io resto in sogno una lacera figura.
Libero De Libero
COME IL PANE
… Gli occhi al cielo stupore incanta: occhi e luna hanno un solo albore. Batte l’astro sul labbro schiuso sopra i denti sostanza-di-luna.
Come il bimbo nel seno materno chiuso è il silenzio ma vivo. Lievita il grembo, lievita l’aria tutto il mondo fa il pane di vita.
Francesco Flora
DOPOPRANZO
Dopopranzo è già scuro. Piove non dal cielo, scola dai tetti. Anche il tempo volge a dispetti, eterno che non si muove.
E di dove mai questi gatti per amore gridano rabbia! Non so neanch’io che cos’abbia a scegliermi i suoni; infatti
altri non ne ascolto, ed ecco stanno dentro me, non fuori. Rumori come malumori, li voglio perché mi ci secco.
Tu invece, che cosa ti prende? Proprio ora mi cerchi la mano; mi assicuri, tanto ci amiamo, mica è acqua, è sole che splende.
Scene! Scolorano all’uso. Figure di un dramma a fumetti. Non so davvero che aspetti a farmi il muso, se ho il muso.
Eurialo De Michelis
STUPORE, PERCHé MAI…
Fui sempre, come ora, adolescente ambiguo; turbamento di mestizie musicali, – erbe che una notte indugi a blandire e confondere… Il giovinetto amava centellinarti, amara sera e dolce, presso ruine tacite e bianche. Ma un frùscio nel sentiero, di foglia o di fanciulla, nel cuore sobbalzante insinuava un sogno di gettarsi – di darsi in regalo per nulla.
Tenui ombre impallidite oscillano nel luogo deserto e qualche fiore ne sospira. I ricordi mi tangono; il passato abita qui ancora; il luogo intorno compone un regno pieno di bisbigli…
Aldo Capasso
LA MELAGRANA
Dio così ricco, così vivo, come una melagrana aperta: e i chicchi sono gli uomini, compatto sangue che brilla di color rubino. Dio terrestre, colore del mattino, sangue puro, entusiasta, che ribolle serrato in te nelle tue brevi ampolle, sangue, color del vino!
Lino Curci
L’AMBIGUA SORTE
Nato sulla Pescara e sul Sangro a uno sprazzo dal mare e nel cuore delle montagne
(il catino di nevi alte muraglie lo specchio d’acqua azzurro diaspro)
l’infanzia nei due mondi tra nostalgie perenni
(tra indicibili scontri di libertà-oppressioni)
per fronte un filo di macerie poi
(perennemente noi sulle due parti della barricata)
studioso d’algebra e di poesie
(l’immaginario reale nel determinante quotidiano i punti all’infinito di una irrealtà reale)
e questo porto infine dove non approda
(l’ambigua sorte d’essere ciò che non si è mai).
Pasquale Scarpitti
ALLA FIGLIA DEL TRAINANTE
Io non so più viverti accanto qualcuno mi lega la voce nel petto sei la figlia del trainante che mi toglie il respiro sulla bocca. Perché qui sotto di noi nella stalla i muli si muovono nel sonno perché tuo padre sbuffa a noi vicino e non ancora va alto sul carro a scacciare le stelle con la frusta.
Rocco Scotellaro
Amore nell’arte poetica
ALLA “GROTTA DELLA POESIA”
DI ROCA VECCHIA
Se mi siedo sul ciglio di questa voragine scavata nei sassi, se m’affaccio a guardare nel piccolo specchio d’acqua del fondo, e mi metto ad ascoltare il tonfo del mare, e sento tra le dita la grana antica di questa terra, comprendo che siamo rimasti noi soli e i pallidi voli di qualche gabbiano. Antica “Poesia”, poesia dimenticata, la tua voce rimane inascoltata come la mia. Mi calo nel tuo fondo e canto, tanto non ci ascolta nessuno, perché diciamo le stesse cose, perché abbiamo la stessa voce antica e triste del passato.
Rina Durante
IL NOME CHE TI DO
Hai il nome che ogni altro nome precede sei la Parola che cuce il giorno alla notte. quando lemure s’alzi o che al deserto scoglio il vento porti polline di grida (s’alzano gli albatri e tagliano il buio marino lungi dai nidi attratti da remoti naufragi) allora vienimi incontro Parola muovi il silenzio prometti l’alba fammi la strada andiamo.
Gino De Sanctis
ME NE STO
Me ne sto dentro la parola per riemergere intatto e puro sul fare d’un giorno che mi vedrà solitario camminare in un giardino d’illusioni, ma pur sempre vivo di sillabe che nutrono suoni d’arpe mai uditi. La parola avrà cura d’insinuarsi nella carne teneramente col garbo e la violenza di una donna vissuta e ammaliante e costruirà la bara su cui navigare all’infinito. La poesia è un viaggio inconsueto che esce ed entra nel dubbio della morte, una radura di dissensi che si fa luce e si consuma al primo chiarore dell’alba.
Dante Maffia
Amore trasfuso dall’arte
PER UN PAESAGGIO DI CIARDO
Leuca d’un’ansia (o un’ala) si contiene fremida al bordo sonnacchioso – e i morti, nel corvo sbatacchiato, sono morti ieri?... Vedrai blandirli le Sirene.
O gli olivi. Ed allora, azzurre vene scoppiano, roccia e mare, e lampi assorti le confidano all’ocra, ove tu porti voglie d’estasi antiche (cantilene…)
– antiche. Oh Leuca! Nel riquadro l’oro si scialba, e solo un cuore fa cornice alla tela di sonno che ti finge… E abbiamo noi, rigurgito canoro, le Sirene negli occhi – èsca felice ai morti, al sogno d’una nostra Sfinge.
Vittorio Pagano
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Particolare della “Famiglia di contadini a mensa” di Giandomenico Tiepolo. Foresteria di Villa Valmarana, Vicenza. |
BAROCCO D’ANGELI
Meridionalità, stella polare, aratro abbandonato, oliva nera, rosario appeso a un chiodo d’oltremare, alte foglie di tabacco e Barocco, barocco d’angeli per nascondere il pianto silenzioso dei Morti di scirocco fra il manto di pietra.
Ercole Ugo D’Andrea
LECCE
Il giogo del calcinaccio nella pietra porosa. La brusca decisione dei Cristi nelle chiese. L’invito soffocato delle braccia bloccate del teatro.
Il triste soliloquio del santo nella piazza ed il continuo mescere le frasi dei contadini in beghe nel tuo foro. Il limite di vigne e di contrade spaccate dalle preci di donne nere e gonfie.
E le vocianti truppe dei sapienti guerrieri espugnano e violentano la tua fertilità e ti allontanano sterile e secca nel tuo alibi.
Un lento accordo di pietra e di divino, di tabernacoli gonfi di sospetti/ nelle silenti strade che menano a quel Refe che ti lega indissolubilmente ti stringe contro il petto del sole.
Un sole che ti lascia strana, mentre vorace, sui tuoi carmi continua a banchettare.
Claudia Ruggeri
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Edouard Manet, “Nana” (“Ragazza allo specchio e uomo seduto”), 1877. Il quadro fu considerato scandaloso e oltraggioso della morale. - Archivio BPP |
MASACCIO
Colori delle stelle, pace inquieta di lumi, come, a mezzanotte, spira lungo il Valdarno un vento di mestizia.
È l’ora delle tenebre, che asciuga le gole ai cani, e che le nubi fa mute, quando, tra le torri, l’ultimo rintocco si fa nero.
Ritorna allora, ogni notte, rilucendo d’acqua, tra le giuncaie urlando la larva eternamente di Masaccio in fiamme…
Corpo pieno di sangue che scuriva abbandonato sopra l’erba nera, seppi i colori delle stelle, per l’ultima volta gli odorosi colori della notte e, in quel bianco sogno, il rosso del geranio, il quadrifoglio, il riso della donna, l’incarnato, il bianco della neve, il gelsomino, il nero della mora, il bruno argento, l’azzurro del cielo, l’Arno chiaro, il raggio della luna, il rame lucido, i capelli del bimbo, l’oro puro, il chiarore dell’alba, il sole intero…
Enzo Fabiani
TEMPLI DI AGRIGENTO
Rovine, non più vive di canti, di danze, di preci, d’incensi ai piedi dei propizi numi,
eppure eterne. Tutto trascorso è nel mondo: la gloria di capitani insigni, di Empedocle e Terone;
perfino gli dèi sono svaniti per sempre. Soltanto l’opera eretta a gara con Dio resta, sì, rotta e frantumata, ma tuttora in cospetto del mare, baciata dalla luce, carezzata dal vento.
Federico De Maria
Amore trasfuso dalla Storia
CAERE
Soavi donne di Caere belle donne intorno alla Necropoli! alla fiorita Necropoli etrusca, alla fiorita di rose stupende (aperte e bianche quali ali di colomba, altre chiuse, a bocciuoli, rosse e nere il cui profumo a pieno respirai!). Oh Cerveteri etrusca, venni, da Roma, molte volte a ritrovarti! (I tuoi lauri immensi, le tue mimose chiomatissime, le ghirlande di edere, intorno alle nere occhiaie dei loculi vuoti).
Fiori fragranti crescono agli orli delle tombe convesse; a cupole vaste come i cieli…
Salve, in ispecie a te, cimitero degli Etruschi. Le strade solcate dai funerei aurighi sono piene d’aria buona risplendono al sole e sono ricche di fiori. Oh le dolci, a percorrere, strade dei morti antichi, con piede lento meditando sopra il loro che fu il più sereno esistere! Scavarono, gli Etruschi, tumuli a diagonale fra Terra e Cielo. Oh il desiderio del trapasso gradito nella necropoli di Caere! Morire in mezzo a voi, padri antichi!...
Luigi Bartolini
SPARTA
Tanta gloria fu pianto alle Termopili, nella stessa Platea. Di quei prodi non altare, ma polvere che il vento consegna sui cipressi e sulle case di questa Sparta che ne usurpa il nome in faccia all’Eurota. Così il tempo devastando si vendica e tacendo. Non c’è gloria nel pianto, né potenza che non lasci nel vento le sue tombe.
Luigi Fiorentino
BERLINO EST
Piove a Berlino. I corvi volano bassi fra gli alberi. Passano le formiche sotto la Bahnhof fra grattacieli di carta e antichi casamenti murati sulla bocca.
Che vuoi di più? La cattedrale nero-barocca risana giorno dopo giorno le sue ferite, gli operai sono liberi: bevono acquavite e badano jeder tage al gute Bilanz.
Tutto scorre: la stagione, la tua vita la mia, tutto è in regola. Eppure questa, della terra, è una profonda ferita.
Aldo De Jaco
VOI CHE VIVETE SICURI
Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna senza capelli e senza nome senza più forza per ricordare vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi; ripetetele ai vostri figli. O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi
Amore per Calliope
LA SPERANZA
(SUL TORRENTE NOTTURNO)
Per l’amor dei poeti principessa dei sogni segreti nell’ali dei vivi pensieri ripeti ripeti principessa i tuoi canti: o tu chiomata di muti canti pallido amor degli erranti soffoca gli inestinti pianti da’ tregua agli amori segreti: chi le taciturne porte guarda che la Notte ha aperte sull’infinito? Chinan l’ore: col sogno vanito china la pallida Sorte… Per l’amor dei poeti, porte aperte de la morte su l’infinito! Per l’amor dei poeti principessa il mio sogno vanito nei gorghi de la Sorte!
Dino Campana
DIARIETTO INVECCHIANDO - VII
Tu, poesia, come serpe in letargo tardi a destarti, quando siamo vecchi, e non si sa se son sogni le gemme che invece ributtano dal cuore secco, e non si sa se anche questo non sia già come l’ombra di un ramo fiorito: o tu che fai compagnia all’età che s’attarda e s’arrotola freddolosa e incredula, e che in desiderio e spavento sei sempre più sola, poesia e patimento.
Carlo Betocchi
ARTE POETICA
Sospirata parola, che alla fine mi sei giunta, m’hai colto in un momento di disattenzione, e ti vuoi improvvisa, non cercata, sfuggente al gesto raro, alla misura esorbitante. D’una riga t’orli di mare, gonfi in nube, ti dibatti come colomba, sorgi in cima al semplice respiro della voce, all’indolente mano che ti scandisce, ed urgi – trepida cosa tra cose – a collocarti in questa calda, iridata, precisa esistenza.
Sergio Solmi
IL POETA ATTESO IN PARADISO
(Sergio Corazzini)
… Egli è come un artefice di minio, che dipinse nel giorno una Madonna, e molto azzurro accolse su la gonna, diede alle labbra un tocco di carminio,
e a sera addormentandosi soave, vide nella sua cella di lavoro, come in un tempio fulgido e canoro, Maria che sorrideva dolce e grave…
Canta il poeta la serenità né si ricorda più quanto ebbe pianto… Domani all’alba, e forse a mezzo il canto, per non destarsi più s’addormirà…
Fausto Maria Martini
Amore per la musica
SERENATA
O dei grilli in cadenza solitaria ai poggi senza stelle dentro il bagnato alitare dell’aria tenui serenatelle!
Cos’è la vita con sue rabbie a voi persi nei solchi fuori all’ombra inerte, o di silenzi a noi dolcissimi cantori?
Anima, intona la tua voce e nulla non domandare più: càntati la canzone della culla mentre declini giù.
Clemente Rebora
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Particolare delle “Figlie di Lot”, di Carlo Carrà, 1919. Rovereto, Museo di Arte Moderna. |
Amore mistico
CILICIO
Notte che pari, così serena d’ombre, affresco di cenobio, in te mi chiudo e prego come in una cella, tra lo scampanio dei convolvoli di seta, nel curvo giardino, ove una stella era caduta, una volta, ai richiami del poeta. – Signore d’Assisi, se pure il mio male, che germina occulto, potessi domare; ma quale ricchezza donare? Talvolta non ebbi nemmeno quel pane ch’ha sempre chi chiede e chi impreca.
O mio Francesco, intriso di rugiada che pare sangue, e di ferite acceso, un cilicio ho trovato per la strada e lo porto sul cuore, e non ha peso.
Salvatore Quasimodo
VULTUM TUUM DOMINE REQUIRAM!
Quando verrà, Signore, quel beato giorno che d’ogni vana cosa su me l’oblio disceso alfine, soli resteremo Signore, Voi ed io?
Così come, spariti all’orizzonte del vespero i fallaci miraggi ed i mutevoli splendori, nell’improvvisa pace soli a fronte stan cielo e terra, e a poco a poco inchina il cielo, e suoni e palpiti e colori nel suo seno compone austeramente, in un’immensa tacita armonia.
Maria Barbara Tosatti
TERRA
Dio con l’occhio cieco e fisso guarda le tenebre e l’abisso. Ora sorge fino a lui preghiera. La mano di Dio cala giù nei regni bui, cala verso quel ronzio. Dio con la sua mano ghiaccia tocca la terra come una faccia.
Riconosce mari, deserti. Riconosce rupi, rive, la dolcezza dell’acque vive; ondeggiare sente le selve, formicolare uomini e belve; nella calda umida terra ficca l’unghia sua superba, riconosce ogni filo d’erba.
Allora tutta la terra freme come ventre per amore, l’onda si gonfia come un cuore, come un cuore si gonfia il seme. Splendono rupi ed altari tuonano i mari.
Ma con gli occhi ciechi e fissi Dio sta curvo sugli abissi ove la terra un dì ghiacciata dalla sua mano sarà scagliata.
Ugo Betti
PREGHIERA
Qui o là, Signore, non so dove mi dirai di posare.
Ma è tutto un ponte sopra il mare e non ci sono due lingue e due isole.
È unica la vita, la parola, la morte.
È unica la voce degli uccelli, e il gracile cantare per le tue verdi isole sul mare.
Antonio Barolini
QUESTA L’ECLISSE
Questa l’eclisse che abbiam vista insieme. L’altra ci attende ad uno ad uno: non sarà divulgata dai giornali o trasmessa dalla televisione,
non vi saranno scienziati in subbuglio né telescopi puntati a spiarla, e nemmeno il commento degli uccelli, la loro gioia dopo l’ansia.
Prevederla è impossibile. Una creatura, sola, avanzerà sull’orlo della tenebra e fisserà l’orrore d’un sole che si spegne.
E su lei sola poi verrà la piena della luce stupenda, in un ritorno mille volte più intenso – ma non più in questo mondo.
Margherita Guidacci
OGGI, SENZA CAMPANE
Oggi, senza campane, è risorto il Signore al mio paese. I superstiti non hanno più chiese e solo il vento raccoglie gli olivi.
Forse i poveri morti rassegnati, sepolti quattro palmi sotto il grano, potranno udire il coro di campane dei campanili diroccati.
(Nell’alito d’aprile, sul sagrato fioriscono le prime margherite ma nessun passo le calpesta più).
Sopra la nostra amarezza di vivi Gesù sei ritornato:
ora cammini sulle macerie – scalzo.
Luciano Luisi
PREGHIERA DEI PASTORI
DI SARDEGNA
Puoi udirci, Signore? Non sappiamo pregare! Non troviamo parole, leggère come fiori, quali Ti salgono dalle labbra dei preti, e i nostri volti, saldati dalle pene, fanno timore, non portano al perdono! Odoriamo di capra, di denso concime, pensiamo solo all’erba, al cacio, alla lana, sogniamo l’acquavite, balli sui sagrati, l’amore cantiamo, e imprese di banditi. Non possiamo elevarti le lodi delle Chiese, non sappiamo pensare alle cose dei Santi! Però, se torni, anche in carestia, gli agnelli uccidiamo, per farTi la cena. O Dio del cielo, Ti tendiamo le mani: Tu non guardarle, sono tanto scure… Siamo pastori, non sappiamo pregare!
Tonino Ledda
BEATO IL CONTADINO
Beato il contadino, lui lavora il campo che brilla, nel cielo che fa festa; beato il navigante, lui tranquillo aspetta sulla prua che il delfino innocente si avvicini. Beato chi vive come il fiume secondo che dice natura. Beato chi semplice vive felice per un cibo profumato dopo la fatica del giorno. Beato l’umile che sorride per un’altra sera che gli è dato vedere, e la notte immensa l’avvolge e l’inonda di serena speranza.
Mario Tobino
CIMITERO DI KOSSEN
Oasi antica di pace e di memorie è un cimitero sui selvaggi monti. A Kossen la morte è un paradiso d’uccelli, uno svariare di colori sulle lapidi nere, incise d’oro. Se i paesi or mi tornano leggeri come un affresco dissepolto, imparo una preghiera inventata dal vento sul cangiante velluto delle valli. La terra è un fresco di rugiada, Cristo è un silenzio di lacrime, pietosa neve sul rosso strazio delle folgori.
Alberto Frattini
Amore patriottico
MIO POPOLO
Eh eh, ragazzi, la vita non è poi così preziosa. Biglietto d’ingresso pagato: arginare, scassare, murare, fucinare, fresare, montare. Combattuto col piccone mai perso callo alla mano. Ferite: due dita di meno. Nostro letto abituati a portarlo lontano.
Eh eh ragazzi, la vita non è poi così preziosa: sentite le condizioni: tribolare, emigrare, ammalare, ospedali, camorre, prigioni.
Ehi, ragazzi, la guerra sapete non è poi tanto cattiva: almeno nelle antiche storie alla fine si moriva. Quanto alla nostra grande Patria la nostra parte di terra nativa nel sacco, spatriando, c’è sempre entrata. A spalla è tanto che la portiamo. Nello zaino non la perderemo.
Noi della guerra di tutti i giorni quando ci leviamo un momento a cambiare le armi e partiamo.
Piero Jahier
Amore universale
IGNORABIMUS
Certo un mistero altissimo e più forte dei nostri umani sogni gemebondi governa il ritmo d’infiniti mondi, gli enimmi della Vita e della Morte.
Ma ohimè, fratelli, giova che s’affondi lo sguardo nella notte della sorte? Volere un Dio? Irrompere alle porte siccome prigionieri furibondi?
Amare giova! Sulle nostre teste par che la falce sibilando avverta d’una legge di pace e di perdono:
“Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse a voi fatto!” Nella notte incerta ben questo è certo: che l’amarsi è buono!
Guido Gozzano
Amore per la vita
IL DESTINO DEGLI UOMINI
E dissi al fiume: – lasciami passare! Rispose il fiume: – e per andare dove? Anche di là uomini e donne… – Il bove mugghia ugualmente e pungon le zanzare.
Che speri?... L’istesse acque, dolci, amare, lungo l’altro mio margine! E un dì piove, un dì fa bello. E la stessa aria muove la favolosa selva che ti pare.
Sempre sull’altra sponda il ben che agogni, uomo: il bene perduto o invano atteso. Io freddo in mezzo, tra il sognante e i sogni…
Sempre, sopra la testa alto sospeso il tuo fato, se vai, se stai. Per ogni strada, da trascinar, sempre, il tuo peso.
Francesco Chiesa
Amore e violenza
LA MADRE DI ORGOSOLO
La madre cerca il figlioletto ucciso: era una palma, un fiore di narciso!
E aspettandolo, in pianti s’addormenta: un vento di vendetta fuori venta.
Sognando cerca tutta la campagna, la valle il piano il bosco la montagna.
E cerca e cerca lo ritrova in cielo, con la mandra, in un campo d’asfodelo.
“O mamma, t’aspettavo e sei venuta: ma come piangi, come sei sparuta!
Oh rimanti con me! Ecco, è l’aurora e il padre, il padre mio non viene ancora”.
“Babbo non viene ancora a queste parti, è rimasto laggiù per vendicarti!”.
Sebastiano Satta
IL RAMO NUDO
Il vecchio tronco del ciliegio apre braccia fiorite tutta espande la sua anima bianca.
Anche la quercia è desta sul ciglio serenato del torrente.
Quale albero ha scorza tanto dura da non muovere gemma a primavera?
L’uomo mantiene nudo per l’ampia terra il ramo di Caino.
Giuseppe Gerini
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Gino Severini, “Maternità”, 1916. Cortona, Museo dell’Accademia Etrusca. - Archivio BPP |
Amore per la testimonianza
SICCITà
Visi cotti riversi contro il cielo, mani deformi al legno della vanga, cupa speranza di contorti piedi sulla terra riarsa ove il grano declina, sciacquare torbido del fiume come ossa bianco di sassi, l’ululo del cane che patisce il sole immoto, le bestie fiaccate altro cielo agognano di nubi, e muggiscono lontane, le mammelle vuote quasi oscene sacche di dolore. Occhi secchi, piagati dall’arsura sotto la fronte la cui pelle cede fatta vecchia anzitempo. Fianchi senza forma delle donne stanche, sfiniti i bimbi e pietosi di sé, privi di sogni. E il nulla ovunque, ovunque l’orrore di un palpabile nulla. Accosciati gli uomini alle porte, indifferente disperazione dettano spietati sguardi – atroci di fame e patimenti antichi – al tramonto che è alba polverosa.
Alberto Mondadori
Amore erratico
Forse è la vita vera. Il carro dipinto, i cavalli selvatici e docili, ebbri di vento, le belle figlie in cenci, la mensa a bivacco furtiva sotto gli astri, la strada bianca del mondo. Io tornerò nella prigione potente dove comando e sono comandato: io sfrenerò, di rabbia, i miei puledri ideali sulla pista del sogno, a cuore morto, a stanca sera: e per l’amore mendicherò la mendicante mia a qualche buio di strada. Io pago la carne con mano che sembra chiedere anzi donare elemosina. E la mia via è una rete di fogne dove altro non luce che l’occhio del sorcio. O Zingari, scoiatemi vivo, allo spiedo arrostitemi fra due tronchi di selva! Sono un poverissimo figlio di civili che adora la barbarie.
Paolo Buzzi
FORESTIERO IN OGNI LUOGO
Forestiero sono stato in ogni luogo più del lucchesino in Brasile che vende re di scagliola. Sono andato di paese in paese come il piccolo calabrese astrologo e ombrellaio ho risparmiato e sprecato. Sono stato più paziente del muratore che attraversa il mare per alzare un muro in Australia.
Raffaele Carrieri
RAGAZZA DEI MARINAI
Nella bruma del molo dormirai mentre sul filo del Tropico i pesci ballano e nel Nord s’invetrano i ghiacciai. Noi sporchi di fuoco di sale di carbone viaggeremo col cuore scucito come un portafogli, ti indicheranno le dita rugose gli aghi sicuri delle bussole pazze ad altri vagabondi dolorosi a quelli che cercano il fioco fanale una tiepida immagine, la tua mano per non vedere la folla verde e amara di alghe, in questo mare.
Bartolo Cattafi
LE FOCI DEL TRONTO
Non raccontarmi più favole lunghe di lucerne, demòni e ripostigli dentro stanze annerite da millenni: quando il giorno sarà precipitato tra quei colli e le frange dei ciliegi, rapido guaderò, senza bagnarmi, le foci del Tronto – già gonfie di nevi.
Giammario Sgattoni
Amore per il bozzetto
TRE GIOVANI FIORENTINE
Ondulava sul passo verginale ondulava la chioma musicale nello splendore del tiepido sole. Eran tre vergini e una grazia sola. Ondulava sul passo verginale crespa e nera la chioma musicale. Eran tre vergini e una grazia sola e sei piedini in marcia militare.
Dino Campana
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Felice Casorati, “Giubbetto rosso”, 1939. Mart, Collezione L.F., Rovereto. - Archivio BPP |
PACE INCERTA
Sotto il cielo di aprile la mia pace è incerta. I verdi chiari ora si muovono sotto il vento a capriccio. Ancora dormono l’acque ma, sembra, come ad occhi aperti.
Ragazzi corrono sull’erba, e pare che li disperda il vento. Ma disperso solo è il mio cuore cui rimane un lampo vivido (oh giovinezza) delle loro bianche camicie stampate sul verde.
Sandro Penna
LA GRANDE JEANNE
La Grande Jeanne non faceva distinzioni tra inglesi e francesi purché avessero le mani fatte come diceva lei abitava il porto, suo fratello lavorava con me nel 1943. Quando mi vide a Losanna dove passavo in abito estivo disse che io potevo salvarla e che il suo mondo era lì, nelle mie mani e nei miei denti che avevano mangiato lepre in alta montagna.
In fondo avrebbe voluto la Grande Jeanne diventare una signora per bene aveva già un cappello blu, largo, e con tre giri di tulle.
Luciano Erba
LA VALLETTA DI TEMPE
Sui magri prati s’inarcava il marmo dell’acquedotto ed era soglia immensa al tuo bianco apparire.
I giovinetti nel fiume nudi una rosata ridda erano e antica, risplendeva amore tra le canne esiliato: s’attendeva la ruota ferma del mulino, l’erba fredda, il cielo incrinato da un segnale
di ciminiere sopra l’altipiano.
Beniamino Dal Fabbro
STAZIONE DI PAESE
Il treno ansò, fischiò. Con un fragore cupo di ferri trasalì, si scosse; poi, fumido e grondante nel chiarore del primo Sole, palpitando mosse.
E la stazione, col suo tetto afflitto, ammalata di tedio e di malaria, col tiglio dietro e un nome in fronte scritto. si rannicchiò più triste e solitaria.
Si rannicchiò, dopo la brusca sveglia, presso le sue rotaie. Come scialle, per l’ozio lungo del suo dormiveglia, l’ombra del tiglio aveva sulle spalle.
E ancora lungo i fili e nelle tazze ronzava l’eco della lontananza e della vita. – Oh quante corse pazze – diceva il tiglio – dietro la speranza –.
E rimase soltanto il suo fruscio sul tetto giallo, mentre un negro velo di fumo aliava ancor fra il tremolio dei rami, in alto, e si perdeva in cielo.
Nicola Vernieri
L’UOMO DI PAGLIA
Immoto giace, nel vestito nero, come parato ad ultimo convito, l’uomo di paglia che non ha pensiero.
Ferve la vita intorno alla sua morte: su gialle stoppie s’alzano i covoni; egli non sa l’altrui né la sua sorte!
Pure per tanti giorni egli difese con fiero gesto la granita spiga ed agli uccelli il chicco ne contese.
Pur negli effluvi lenti delle sere, quando son rosse le tenaci glebe o le voci s’effondono in preghiere
e vanisce nell’aria ogni sussurro, ogni tremulo fiato ed ogni raggio, stemperandosi il bosco nell’azzurro,
ebbe l’eguale gesto di minaccia, nell’eguale sembiante corrucciato. Or giace al suolo con aperte braccia!
Fra risa e canti un braccio nuovo scaglia il suo tesoro nella ferrea trebbia: egli inutile giace, arida paglia!
Edvige Pesce Gorini
Amore per il paradosso
CHI SONO?
Son forse un poeta? No, certo. Non scrive che una parola, ben strana, la penna dell’anima mia: “follìa”. Son dunque un pittore? Neanche. Non ha che un colore la tavolozza dell’anima mia: “malinconia”. Un musico, allora? Nemmeno. Non c’è che una nota nella tastiera dell’anima mia: “nostalgia”. Son dunque… che cosa? Io metto una lente davanti al mio cuore per farlo vedere alla gente. Chi sono? Il saltimbanco dell’anima mia.
Aldo Palazzeschi
PERCHé
Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta?
Sergio Corazzini
VESPRO
Vespro: un cielo che, senza colore, si confonde con un mare senza onde;
e la scialba parvenza d’una vela inquieta che va, senza aver meta.
Vespro: una sonnolenza indefinita che forse è senza perché;
ed un sogno che va peregrinando, senza mutarsi in realtà.
Mario Venditti
Amore per i versi giocosi
E VATTENE…
E vattene, sei troppo innamorevole! Sei troppa seta per questa plastica rotta, troppi smeraldi, fibbie con cinghiali, e quando ti carezzi lo sguardo con le ciglia io Ravenna e Pisa su un sedile non so da dove cominciare a ammirarle, né so guidare con un Tiziano accanto che di sbieco e lontano tra alberelli mostra come un segreto un’acqua azzurra ma di un azzurro che non è che un’idea, l’idea del fondo che sta di là del fondo di un labirinto come te di bellezza, che dall’avorio ti porta alle perle e dalle perle alla schiuma del mare e dalla schiuma… Scendi da questa macchina, sei troppo interamente seducente!
J. Rodolfo Wilcock
CITTà FERMA
(Sciopero generale)
Stagni di piazze, con chiazze d’uomini fermi, con vermi di cani adiposi. Paludi di verdi giardini, mobili ninfee di bambini, e canne leggere d’agghindate cameriere.
Canali di scie: malinconie d’onde morte, di donne sulle porte, di fanciulli sui cantoni, accovacciati. Persiane semichiuse, e pupille buttate a mezza via, nella ricerca d’una sagoma d’uomo, o d’una fortuna di pane. Fame. Fame. Fame.
Lentezza di cose, tra i palazzi più immobili, quasi stanchi, coi cestelli-balconi, che porgono l’offerta di capelli di fiori.
Là, nel quadrivio più grande, casacche di bitume, fiume d’abbandonato lavoro, urtante l’oro, scivolante tra l’argento delle borse signorili, e il vento motteggiatore, che buffa le odorose signore sulla faccia dell’aspro popolano.
Qualche solitaria vettura che sguiscia, che striscia con gomme; qualche nobile automobile veloce, con la voce unica, stridente, nella densità dell’inerzia, e in fretta, che sgambetta, il campanello rapido d’una lunga-lunga bicicletta.
Non lotta. Non fervore. Stupore di gente. Pesantezza. Gravità di rabbie chiuse. Mare di calma. Oceano d’ossessionante tranquillità. Stupidità di fumaioli anneriti (illividiti giocolieri del fumo) e fabbriche condannate a morte. Spranghe alle metalliche porte…
Luciano Folgore
SCHERZO…
Vidi mutarsi il vecchio della panca in una statua senza base. Gli alberi puntare le radici e sollevarsi. Volavano gli anemoni e le rose come farfalle, e un angelo di pietra lasciò una chiesa e si posò sull’erba. Se guardavo, lontano, camminare gli uomini, mi parevano i lor gesti come un volare di foglie che il vento a fior dell’erba scherzando sparpaglia. Libere e snelle fuggivano ruote. Mi si staccò dal petto il mio pensiero e innanzi a me lo vidi andar correndo somigliante alla donna che ho nel cuore.
Libero Bigiaretti
PER LA FINESTRA NUOVA
Bella la finestra del verde lungamente lungamente composto, sogno a sogno, orti o prati non so; ma quanta brina prima ch’io mi convinca, quanta neve.
Verde del grano che alzi il capo e irridi tra l’incerto oro e il vuoto: tu, mia finestra, e tu, cielo, che porti a me tra placidi astri gli squillanti satelliti
che il gioco umano ha lanciati, con lampi di fantascienza, a vagheggiare in orbite leggiere i colli, e li vede a piè fermo il bue sul campo arato e la vite e la luna.
O mia finestra, purezza inestinguibile. Per farti spesi tutto ciò che avevo. Ora, non lieto, in povertà completa, ancora tutti i tuoi doni non gusto.
Ma tra poco tutto mi darai quel che anelavo.
Andrea Zanzotto
SERA A BEDRETTO
Salva la Dama asciutta. Viene il Matto. Gridano i giuocatori di tarocchi. Dalle mani che pesano cade avido il Mondo, scivola innocua la Morte.
Le capre, giunte quasi sulla soglia dell’osteria, si guardano lunatiche e pietose negli occhi, si provano la fronte con urti sordi.
Giorgio Orelli
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Felice Casorati, “Silvana Cenni”, 1922. Collezione privata. - Archivio BPP |
Amore per la polemica
SALUTO AI POETI CREPUSCOLARI
... Ma voi non vedeste la vampa sul mondo, né potrete la vita futura cantare. Cadeste sul limitare del Tempo; moriste di sete lasciando alla stampa un breve sorriso di morte: la vostra sorte fu quella dell’onda che sciacqua lieve lieve sulla sabbia, non quella dell’ondata che si squassa sugli scogli con impeti di rabbia; foste la nuvola che passa; il vostro nome fu scritto sull’acqua…
Nino Oxilia
BUCOLICA
Come venuta l’estate è finita: solo un albero e non resta che lui riscuote successo e clamori, per tutto questo intonaco di muri un solo platano geme sotto l’allegro scompiglio dei voli. Dibattuta e convinta palmo a palmo offesa dalla giunta che delibera ridiscussa saccheggiata e arsa l’ingens silva longobarda tende a una fessura di magro verde tra il rame della cupola di Brera o con la forza del seme buca l’asfalto. La natura ha fatto il suo salto. Rumori, bei rumori bel nastro di cemento di spedali di giornali tribù di suoni!
Solo ai cani sbandati randagi recidono le corde vocali
– la sofferenza ha bisogno di quiete.
Nelo Risi
LA MAITRESSE
Uscite pure dalle tane disperdetevi seme indemoniato le mie bestemmie un giorno vi torneranno in mente come vezzeggiativi. Ha l’impronta ogni moneta ogni moneta ha un valore a voi monete fuori uso circolare tra i vivi è vietato.
Eraldo Miscia
NOI RESTIAMO A CANTARE
Quando questa vicenda finirà e noi saremo solo ombra di dubbio agli altri – essere stati vivi o non aver nutrito altro che un gonfio simulacro di vento – chiameranno ancora i contadini le bestie con nomi di fratello e dormiranno i sette figli del sarto-terrazziere, manovale a giornata nel cantiere, in una stanza sola.
La rivolta da Caio Gracco è stata rimandata al duemila, ogni tanto c’è qualcuno che la rigrida e cade. Anche Rocco Scotellaro se n’è andato, e lontana è l’alba. Noi restiamo a cantare la notte, i biondi vuoti che disegna la luna sui capelli degli amanti.
Giuseppe Rosato
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La cavallerizza, dal “Circo” di Fernando Botero. La monumentalità delle figure, per il tema circense che tanto appassionò Calder, Picasso, Légere e Chagall. - Archivio BPP |
Amore per il passato
LA SIGNORA LALLA
Quando l’anima è stanca e troppo sola e il cuor non basta a farle compagnia, si tornerebbe discoli per via, si tornerebbe scolaretti a scuola.
Ma sì, prendiamo la cartella scura, il calamaio in forma di barchetta, i pennini, la gomma, la cannetta, la storia sacra e il libro di lettura.
Andiamo dunque: il tema è messo in bella; andiamo, andiamo: il tema è messo in buona; Dio, com’è tardi! La campana suona, tra poco suonerà la campanella.
Ma che dico? È domenica, è vacanza! Non c’è scuola quest’oggi, solamente c’è da imparare un po’ di storia a mente soli, annoiati, nella propria stanza.
C’era una volta (ora mi viene a mente) la scuola della festa: era una scuola alla buona, così, con una sola maestra, vecchia, senza la patente.
Signora Lalla, dove sei? T’aggiri nella tua casa piena di panchetti e su un quaderno scrivi un 5 o metti un punto sopra un i con due sospiri?...
Marino Moretti
L’ALBERGO
Naufrago nella notte di Natale in una scialba camera d’albergo, dinanzi alla candela che guizza e fuma… E, mentre si consuma l’anima ad ascoltare il triste vento che schernisce sul tetto la magra pioggia, di là l’ostessa con la voce chioccia litiga in suo gergo maledetto.
Pace, ostessa! A quest’ora, nelle chiese del mio paese, s’inazzurra la messa di Natale, brulicano i lumini dei presepi. I Re Magi viaggiano lungo le siepi, dietro la stella di fili d’argento, verso la capannuccia di Gesù: brontola il vento e la neve vien giù.
Or dove mai sarà quel piccolo pastore che alla sua rammendata cornamusa appendeva il mio cuore? Dove, la stella di fili d’argento? Dove son io fanciullo? Il mio presepio è brullo, abbandonato, spento.
Tito Marrone
Amore per la sfida
I COLLARI DEL TEMPO
E DELLO SPAZIO
O Tempo! Mi scaglierò contro di te, e ti spezzerò le ali, e romperò la tua voce asmatica d’orologio! Chiama pure alla riscossa lo Spazio, vecchio avvoltoio podagroso che lascia dietro di sé come striscia di bava il bianco nastro delle strade e i gran di archi dell’orizzonte, simili a immense lumache arrotondate!... Tempo! Spazio! Sole divinità padrone del mondo! Io mi ribello contro di voi.
Filippo Tommaso Marinetti
UN GIORNO L’ALTRO
Mi faccio un cielo da leccarsi gli occhi mi faccio un giro ben oltre l’orizzonte mi faccio un perdono tirato fino all’osso mi faccio un ragionamento col vino novello mi faccio una fermata al centro del paesaggio mi faccio un libro caduto in disgrazia mi faccio un’oliva dal nome primitivo mi faccio un viaggio dentro la pazienza mi faccio un sorriso da interrare a fondo mi faccio un tibet di ragioni altrui mi faccio un’altalena fra un aggettivo e un verbo mi faccio un giorno o l’altro come dico io mi faccio una rima che finisca in dio.
Lino Angiuli
Amore per l’impegno
LE CENERI DI GRAMSCI
Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere con te e contro te; con te nel cuore, in luce, contro te nelle buie viscere;
del mio paterno stato traditore – nel pensiero, in un’ombra di azione –
mi so ad esso attaccato nel calore
degli istinti, dell’estetica passione; attratto da una vita proletaria a te anteriore, è per me religione
la sua allegria, non la millenaria sua lotta: la sua natura, non la sua coscienza; è la forza originaria
dell’uomo, che nell’atto s’è perduta, a darle l’ebbrezza della nostalgia, una luce poetica: ed altro più
io non so dirne, che non sia giusto ma non sincero, astratto amore, non accorante simpatia…
Come i poveri povero, mi attacco come loro a umilianti speranze, come loro per vivere mi batto ogni giorno. Ma nella desolante mia condizione di diseredato io possiedo: ed è il più esaltante
dei possessi borghesi, lo stato più assoluto. Ma come io possiedo la storia, essa mi possiede; ne sono illuminato:
ma a che serve la luce?
Pier Paolo Pasolini
Amore per i versi sperimentali
CROCICCHIO
Dissolversi nella cipria dell’ordinotte. Con l’improvviso clamore dell’elettricità, del gas, dell’acetilene e delle altre luci
fiorite nelle vetrine, alle finestre e nell’aeroplano del firmamento! Le scarpe che trascinano gocciole di diamanti e d’oro lungo i marciapiedi primaverili,
come le bocche e gli occhi di tutte queste donne pazze d’isterie solitarie;
le automobili venute di pertutto; le carrozze reali e i tramvai in un squittio d’uccelli mitragliati.
– Nous n’avons plus d’amour que pour nous-memes, enfin –.
“È proibito parlare al manovratore”.
Oh, nuotare come un pesce innamorato che beve smeraldi fra questa rete di profumi e di bengala!
Ardengo Soffici
LEZIONE DI FISICA
… Immortali per le strade non ce n’è ci avevano detto che gli uomini, non un uomo, sopravvivono che a noi tocca la stessa immortalità come alle belve nell’amore che genera, e sapessi o no che era il solo atto consentito oltre il limite di uno l’ossequio necessario alle consuetudini della specie anch’io mi sono sentito in gran ritmo naturale sopra una donna e ci guardava un mare come avesse avuto un senso.
Ma ciò che distingue l’uomo è la scommessa ecco una frase inventata dalle élites, in ogni modo è vero che qualcuno scommette di non morire.
Ci vuole orgoglio: credere che il proprio lavoro la pena non se stessi ma il proprio modello sia utile agli altri; fiducia: che la storia paghi il sabato; eccetera: e il bello è che di questa scommessa l’unico a non avere le prove se l’opera gli sopravviva magari di una sola luna è chi ha scommesso, che muore…
Elio Pagliarani
AZZURRO PARI VENERDì
Come devo comportarmi, domandai per sapere (per avere, invece, si chiede) se l’ala nera sarebbe infine abbattuta. L’astrologo disse: (il destino): generalmente buono, sarà accaduto e non dovrà rimpiangere, di fianco la luna falcata radiosa, considerando l’epoca, una piccola soddisfazione (in pieno giorno galleggiare nel prato), la posizione potrebbe indurla, di Urano o l’inverno che viene dagli spazi, coincide con qualche amica o parente, non esiti a farlo, procurandole notorietà (rumore di cesoie dal giardino), allo scopo di screditarla, tenga sempre con sé il talismano, sarà un mese piuttosto monotono.
Alfredo Giuliani
I RAPPORTI
Le calze infila, nere, e sfila, con i denti, la spaccata, il doppio salto, in un istante, la calzamaglia, all’indietro, capriola, poi la spaccata, i seni premono il pavimento, dietro i capelli, dietro la porta, non c’è, c’è il salto all’indietro, le cuciture, l’impronta della mano, all’indietro, sul soffitto, la ruota, delle gambe e delle braccia, di fianco, dei seni, gli occhi, bianchi, contro il soffitto, dietro la porta, calze di seta appese, la capriola.
Antonio Porta
APOLOGO DELL’EVASO
... Lucenti strani corpi violano il cielo; sbanda il filo di formiche diagonale
nel cortile riemerso; ancora il sole sorge dietro la Punta Campanella incustodita
dai finanzieri corrotti e un argine ultimo crolla. Lode a un’estate di foco. S’io fossi
la piccola borghesia colata nelle piazze fiorite e nei dì di festa che salvi c’ignora
dalla droga e dalla noia per un po’ d’uva lavata in mare presso la marcia catapulta; rifugiati
al primo tuono nelle gelaterie – chi fuggirei? Passato il temporalaccio d’agosto i graspi giungono a riva
fra i remi ai contrabbandieri salpati nel novilunio e anzitutto conviene (usciti dal vico cieco chiamammo
e orme erano ovunque dell’abominevole uomo delle nevi) fare l’amore intanto
che sui ponti la Via Lattea diulata. Il Po nasce dal Monviso; nuvole... ma di ciò, altra volta.
Nanni Balestrini
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Amedeo Modigliani, “La femme polonnaise”, olio su tela, 1918. Philadelphia Museum of Art. |
Versi giovani, curati da Giancarlo Pontiggia, poeta anch’esso, ma anche traduttore dalle lingue classiche e dal francese. Parliamo di una “antologia della giovane poesia italiana”, (che poi tanto giovane non è, visto che il discrimine è il 1970: l’autore più vecchio ha 39 anni, il meno vecchio 28), dal titolo Il miele del silenzio. Trent’anni fa, insieme con Enzo Di Mauro, Pontiggia aveva pubblicato La parola innamorata, raccolta controcorrente e contro ogni cordata avanguardistica, dunque antistorica. Alcuni nomi che apparvero fra questa pagine: Giuseppe Conte, Maurizio Cucchi, Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Cesare Viviani.
Gli autori dell’ultima raccolta. Si passa dal poemetto “occitanico” e sapienziale di Maurizio Marota, Federicae, ai versi della cesenate Roberta Bertozzi, che nel poema Gli enervati di Jumièges fa cozzare la leggenda violenta del re franco Clodoveo II con il quadro del 1880 di Evariste Vital Luminais. C’è chi scrive un’opera sulle “nuotatrici della DDR che sbancarono le Olimpiadi di Montreal del 1976, come Francesco Frungillo in Ogni cinque bracciate, e chi fa parlare Schiller (“con gli occhi spolmonati / dalla malaria”) e un giovane amante del 3500 a. C., descrivendo invasioni post-umane di granchi, locuste e rospi (Federico Italiano). C’è il dettato purissimo di Matteo Veronesi, e c’è quello amoroso di Isabella Leardini. Ci sono le deflagrazioni consecutive di Alessandro Rivali, che narra la presa e l’implosione di Bisanzio, e l’eroismo quotidiano di Andrea Temporelli, unico autore già raccolto in un’edizione einaudiana, e c’è la “forza pietosa e rigeneratrice della memoria” propria di Daniele Piccini, e ci sono i versi che graffiano i muri di Davide Brullo…
Molti spiriti solitari. Molta generosità. Altrettanta libertà, cioè capacità di scelta non condizionata da camarille editoriali. E un’introduzione che ha un piglio classico: «Ciò che sarà, della poesia e dell’uomo, ancora non sappiamo; e forse, proprio in questa esitazione, è molto del fascino scuro e insidioso di questi tempi e dei loro linguaggi».
Postilla per provocazione conclusiva. La necessità di inserire nelle antologie testi di alcuni “cantautori” era ormai una sorta di luogo comune, una convinzione sbandierata con grida e proclami, ma mai, o quasi mai, inverata nel gran fortunale della scrittura ufficiale. Qualche editore ha tentato la sorte, ospitando le parole in musica di Fabrizio De Andrè o di Bob Dylan, ma in rarissime occasioni.
Solo da poco il tentativo è diventato realtà, grazie a un’antologia curata da Marco Albertazzi e Marzio Pieri, sintomaticamente intitolata Gli Invisibili. Fra queste pagine si possono leggere non soltanto De Andrè, Paolo Conte, Piero Ciampi, Franco Battiato, Angelo Branduardi, Vinicio Capossela, Gianmaria Testa, Demetrio Stratos e il “maestro” Domenico Modugno, ma anche un gran numero di poeti “obliterati” dalla cultura canonica e, possiamo dire, da un’ignoranza da intendere nel significato etimologico: il non sapere.
Passi per Onofri, Cristina Campo, Amelia Rosselli, e Vigolo, Turoldo, Ripellino, e soprattutto Rebora, che un loro posto al sole ce l’hanno. Ma nell’antologia emergono dall’ombra altri nomi, che aprono (meglio: riaprono, perché è annosa) una seria questione: a che cosa serve la critica? A celebrare farisaicamente l’esistente, o a cercare anche gli ignorati di turno? Perché alcuni nomi, che nulla dicono al lettore non soltanto medio, ma persino di buona cultura, riservano gradevoli sorprese: il siciliano Edoardo Cacciatore, i lombardi Emilio Villa e Luisito Bianchi, il campano Lorenzo Giusto, il piemontese Eugenio Battisti, il toscano Lamberto Maccioni, i calabresi Lorenzo Calogero e Aldo Dramis, il romano Marcello Jacorossi, e il bellunese Beniamino Dal Fabbro non sono stati sorretti dalla critica militante, dalle grandi editrici, ma nascondono bagliori di vite lacerate, consacrate, demolite, o celate dalla quotidianità: voci di poesia vera, di poesia semplice, colma di umanissimo stupore (“Doppiamente folle, o Signore / nello spiegare il mio canto
col fiato che mi rimane di questa lunga giornata / per credere ostinatamente /
che nel deserto nasce la primavera / e al di là della notte /
il sole s’annuncia”) nel caso di Luisito Bianchi; oppure come Neri Pozza, che riesce fuori dall’oblio poetico con alcune liriche profonde e tese agli abissi del non dicibile, ma proposte con levità squisitamente familiare.
L’episodio poetico dedicato a Ezra Pound, che scrive per un “multilingue iddio” e che va dritto al suo destino di reclusione per “Il suo errore ideologico” non lamentandosi della sua sorte ma interrogandosi su come poter «dare senso ai sensi corpo alle figure, suoni mai uditi alle parole», è un exemplum di poesia non vincolata a correnti o a mode del momento.
L’antologia ha il doppio merito di ricollocare dentro il continente-poesia quelli che erano stati esclusi per ragioni di purezza disciplinare – i cantautori, appunto – e di isolamento mediatico.
(2 - Fine. La prima puntata su “Apulia”, I/2009)
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