L'Italia e la recessione occidentale




Claudio Alemanno



Occorre adottare nuove strategie d'intervento potenziando le nostre capacità tecnologiche per produrre meglio ed esportare di più. - In campo agricolo è fondamentale la ricomposizione fondiaria per creare efficienti unità agricole - I dati della Cassa Integrazione.

a) INDUSTRIA

Negli ultimi dieci anni si è registrato un aumento della produzione cui ha corrisposto una costante diminuzione dell'occupazione. La spiegazione di questo fenomeno apparentemente contraddittorio è semplice: si è avuto un aumento di produttività cui non ha corrisposto un adeguato ampliamento diversificato della domanda.
La generale caduta di tono dell'apparato produttivo è principalmente imputabile allo scarso apporto di innovazioni tecnologiche. Ciò ha prodotto il progressivo logoramento del sistema la cui produzione, in termini di valore aggiunto, risulta caratterizzata dal contributo prevalente della forza lavoro. In questo senso una parte di responsabilità ricade sui criteri adottati dall'industria di Stato, dal momento ch'essa detiene il controllo dei gruppi maggiori e più qualificanti la politica dello sviluppo.
Così, in un'epoca caratterizzata da una evoluzione tecnologica rapida e convulsa, la crisi economica ha portato allo scoperto questo aspetto negativo insito nel sistema produttivo industriale. Allo stato attuale è necessario dare massimo impulso alla ricerca utilizzata a fini di sviluppo. Ciò deve costituire impegno primario per ogni seria iniziativa volta a perseguire il riassetto dell'apparato industriale e la conseguente distribuzione settoriale e territoriale degli investimenti.
Il deficit della bilancia italiana dei pagamenti tecnologici (recenti previsioni ne fissano l'ammontare a 190 miliardi di lire per il 1975, a 250 miliardi per il 1980), pone motivi di seria riflessione sia per la generale capacità produttiva del paese, sia per la stessa qualità del nostro futuro sviluppo.
Se la solidarietà internazionale si traduce (come è auspicabile) in facilitazioni alle esportazioni italiane, bisognerà ben definire che cosa si vuole esportare ed in quali aree economiche s'intende operare. Se intendiamo restare nella logica di mercato che guida le scelte dei paesi industrializzati dobbiamo dare in primo luogo ossigeno alla ricerca tecnologica. I problemi della ricerca sono strettamente legati ad ogni progetto inerente al futuro sviluppo industriale.
L'Italia è destinata a dipendere sempre più dalle esportazioni industriali e la sua capacità competitiva si misurerà in base all'apporto che la moderna tecnologia saprà dare al valore aggiunto incorporato nei prodotti esportati.

b) AGRICOLTURA

L'agricoltura allo stato attuale è un settore assistito. Questo comparto produttivo è stato per anni dimenticato dagli economisti fino a quando il mercato mondiale dei prodotti alimentari non ha suggerito rapidi ed opportuni ripensamenti. I dati ISTAT relativi all'ultimo censimento fanno notare che in venti anni sono fuggite dalla campagna 26 milioni di unità lavorative di cui solo il 50% è stato utilizzato dall'industria.
Il restante 50% è stato presumibilmente assorbito dalle attività terziarie (servizi pubblici, apparato distributivo, ecc.) contribuendo ad accrescere il volume dei costi meramente passivi.
Si tratta ora di ripensare alle attività agricole dando ad esse contenuti economici in termini di mercato. Le piaghe da curare sono molte e gravi. Il movimento migratorio ha lasciato inalterata la struttura della proprietà fondiaria aprendo margini sempre più ampi all'abbandono della terra e all'anarchia produttiva.
Allo stato attuale l'eccessivo frazionamento della proprietà fondiaria costituisce l'ostacolo più grave per la creazione di imprese agricole con dimensioni economiche.
Un esempio significativo viene dalla Puglia.
In questa regione operano nel settore agricolo 369.812 aziende per una superficie coltivata pari a ettari 1.706.817 (ogni azienda detiene meno di 5 ettari). Eppure l'agricoltura concorre col 21% al reddito complessivo regionale ed offre lavoro al 37% della popolazione attiva.
La metà della produzione agricola è sostenuta dai settori dell'uva e delle olive (circa 550 miliardi) ma mancano le fabbriche attrezzate per la conservazione, la trasformazione e la vendita dei prodotti. Ci si serve ancora degli intermediari per piazzare la merce sul mercato alimentando in questo modo un altro anello del sistematico taglieggiamento dei produttori (contadini, proprietari).

Le condizioni in cui versa l'agricoltura non sono diverse nelle altre regioni, per cui un piano di risanamento investe problemi generali di dimensione aziendale (negli Stati Uniti la media aziendale è sui 500 ettari, mentre in Francia è sui 150 ettari) e di organizzazione dei settori di trasformazione e vendita dei prodotti.
Il meccanismo degli incentivi necessari per la sua attuazione costituisce materia di valutazione politica. Esso comunque non può essere disatteso senza esporre il paese ad ulteriori, gravi emorragie valutarie.

e) SERVIZI

La riorganizzazione dell'apparato commerciale ed il riassetto dei servizi della Pubblica Amministrazione costituiscono altrettante necessità primarie.
La pessima gestione della finanza pubblica è di gran lunga il nodo più grosso da dipanare, l'ostacolo su cui si misura la volontà rigeneratrice della democrazia parlamentare. Oltre a dover risanare l'irrazionale e caotica organizzazione dei servizi è opportuno ricordare che va anche posto un freno al moto perpetuo delle variazioni delle remunerazioni dei pubblici dipendenti. La variazione di tali remunerazioni è sinonimo di variazione nel riparto del reddito totale nazionale per cui questo problema va correttamente inquadrato valutando le condizioni di opportunità e di giustizia di tutti i gruppi sociali operanti nel paese.
Comunque i criteri generali per indirizzare la spesa pubblica verso i settori più produttivi sembrano acquisiti. Bisogna però trovare su questo punto qualificante del costume politico nazionale strategie e metodi nuovi ed efficaci per condurre una valida azione di governo.
Questi "punti caldi" del sistema presentano esigenze innovative radicali che purtroppo vanno attuate nel momento meno felice, cioè nei momenti in cui l'inflazione ha assunto ritmi di accelerazione "brasiliani".
Nè conviene l'attesa, perchè siamo di fronte ad una recessione di dimensioni mondiali, che certamente durerà a lungo, e pertanto va considerata come componente normale della evoluzione economica dei prossimi anni.
Il ritmo d'inflazione è già al di là del 20% in Giappone ed in Italia, in Gran Bretagna è sul 15%, negli Stati Uniti ed in Francia sul 10%. In dieci anni il mondo occidentale ha visto passare il ritmo medio di aumento dei prezzi dal 3% al 10% e poichè il mito del consumismo non è facilmente reversibile tutto lascia pensare che nei prossimi dieci anni il ritmo medio di aumento dei prezzi si aggirerà sul 15-20%. Naturalmente si verificheranno situazioni diverse in ragione delle concrete capacità di resistere a questa tendenza manifestate dai vari sistemi economici nazionali. La Germania appare al momento il paese meno esposto, mentre nell'occhio del ciclone si trovano attualmente l'Italia e la Gran Bretagna.

 


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