Dalla Relazione
alla Commissione Bilancio e Programmazione - Partecipazioni Statali
della Camera.
Il superamento
del passaggio critico che il Paese attraversa richiede la valorizzazione
della capacità di azione imprenditoriale, nel quadro degli
indirizzi generali stabiliti dal Governo; l'alternativa a tale via
d'uscita della crisi essendo non già una modifica (nel breve
periodo del tutto ipotetica) del modello di sviluppo, quanto piuttosto,
e più concretamente, il definitivo scivolamento del nostro
sistema economico verso forme burocratico-assistenziali e autarchiche,
in contrasto con le direttrici di fondo che hanno guidato il nostro
sistema dalla sua rinascita democratica in poi. Più specificamente,
dal dibattito in corso è emerso che tale valorizzazione del
momento imprenditoriale è strettamente funzionale ad una strategia
di lotta all'inflazione che si proponga di non sacrificare i ceti'
e le aree economicamente più deboli.
Basti riferirsi a questo riguardo ai temi del Mezzogiorno e delle
cosiddette "riforme", che sono al centro del confronto delle
forze politiche e sociali. Non si potrà mai sottolineare abbastanza
che le regioni meridionali sono oggi tra le principali vittime dell'attuale
processo inflazionistico: nel senso che esso. da una parte, colpisce
i ceti e i gruppi non occupati o marginali, e perciò scarsamente
protetti dal meccanismo della scala mobile e, dall'altra, incide negativamente
su due dei fondamentali meccanismi di investimento e di' spesa nel
Sud, limitando la convenienza alla creazione di nuove unità
produttive da parte delle imprese ed erodendo progressivamente il
valore reale degli stanziamenti previsti nel bilancio dello Stato
e degli altri enti pubblici di spesa.
Si accentua di conseguenza l'importanza dello strumento di manovra
rappresentato dai gruppi a partecipazione statale; vorrei sottolineare,
a questo riguardo, che nel corso degli anni 1971 - 1973 il gruppo
Iri ha investito nel Mezzogiorno oltre 2.700 miliardi (importo quasi
triplo - a prezzi costanti - di quello relativo al precedente triennio
1968 - 1970), cosicché l' incremento dell'occupazione diretta
nel Sud è passato nei due trienni da 17.000 a 35.000 persone.
Nell'attuale programma sono configurati investimenti nel Sud per più
di 4.000 miliardi, a prezzi 1974, con la creazione di circa quarantamila
nuovi posti di lavoro; la quota relativa ai settori manifatturieri
è di poco meno di due terzi di investimenti e di oltre tre
quarti in termini di occupazione.
In tal modo viene ad essere superata in tutti i settori, (essenzialmente
manifatturieri), dove esiste un effettivo margine di libertà
nella localizzazione degli impianti, la riserva fissata dalla legge
quadro a favore del Mezzogiorno negli investimenti complessivi e in
nuove iniziative. In altri settori, come i telefoni e le autostrade
(che assorbono oltre la metà degli investimenti in programma),
la percentuale destinata al Mezzogiorno si collega ad un intervento
attuato su scala nazionale in base a specifiche direttive formulate
dall'autorità politica (Governo o Parlamento) anche per quanto
riguarda la localizzazione degli investimenti. In ogni caso va ricordato
un altro dato, che mi pare più rilevante, e cioè il
fatto che nel corso di questi ultimi due - tre anni il gruppo Iri
- da solo - ha contribuito alla quasi totalità dell'incremento
dell'occupazione verificatosi nel Sud nel settore manifatturiero.
Ciò può essere considerato un titolo di merito, ma in
realtà è un elemento di preoccupazione.
Siamo cioè in presenza di un processo di disgregazione di strutture
produttive tradizionali, non compensato, in termini di occupazione
- almeno al di fuori del sistema delle partecipazioni statali - dalla
creazione di nuove unità produttive o dall'esterno o per iniziativa
di operatori locali.
Ora è evidente che il Gruppo (nel quadro del sistema complessivo
delle partecipazioni statali) non può protrarre a lungo nel
tempo questo ruolo globale di supplenza. Essere infatti il solo, o
il principale, punto di riferimento delle attese delle popolazioni
meridionali moltiplicherebbe l'occasione per interventi di tipo assistenziale
e strutturalmente deficitari; ciò, oltretutto, per il fatto
che le iniziative dell'Iri verrebbero a collocarsi in un contesto
carente di economie esterne, che possono provenire solo dalla crescita
equilibrata di un sistema industriale differenziato, di cui è
componente vitale l'impresa privata.
In sintesi, mi sembra di dover dire che, nel quadro della politica
meridionalista dei prossimi anni, non può essere posto l'accento
soltanto su uno strumento imprenditoriale che, pur importante come
l'Iri rappresenta comunque non più del 5-6 per cento dell'occupazione
manifatturiera nazionale, quanto piuttosto sul continuo aggiornamento
delle strategie complessive che guidano l'azione governativa e sulla
coerente adozione delle misure con le quali può essere attuato
l'obiettivo dello sviluppo meridionale.
Per un altro dei nodi dell'attuale congiuntura politico-economica,
quello degli investimenti sociali, appare sempre più evidente
l'importanza del contributo imprenditoriale, per il superamento del
crescente divario tra esigenze e obiettivi, da una parte, e capacità
di intervento degli strumenti pubblici tradizionali, dall'altra.
Alcuni provvedimenti sono stati definiti in sede governativa e, almeno
in parte, tradotti in disegni di legge approvati o all'esame del Parlamento:
l'elemento di maggiore novità è costituito dall'utilizzo
dell'istituto della concessione, non solo per la costruzione e talora
la successiva gestione di determinate opere, ma anche per la progettazione
e la realizzazione di complessi organici di opere di grande rilevanza.
In tale prospettiva si inserisce il recente "piano di emergenza"
formulato dagli organi della programmazione, in linea con le tesi
emerse dal dibattito tuttora in corso sui problemi delle infrastrutture
e degli investimenti sociali. Tali tesi concernono il collegamento
tra la possibilità di soddisfare la domanda di beni collettivi
e la innovazione degli strumenti dell'offerta, considerati i limiti,
finanziari ed operativi, che oggi ostacolano l'intervento diretto
della Pubblica Amministrazione; la riserva delle funzioni di indirizzo
e di controllo alle autorità regionali e l'affidamento invece
dei progetti in concessione a imprese qualificate; la mobilitazione
delle capacità disponibili in tutte le fasi della realizzazione
delle opere, senza precostituire posizioni di monopolio o di privilegio
a vantaggio di alcuno.
In questa prospettiva l'Iri ha predisposto, attraverso l'Italstat,
lo strumento per una vasta gamma di possibili interventi nel territorio.
Attendiamo la concreta definizione degli indirizzi strategici precedentemente
esposti, in un contesto in cui il fattore tempo appare decisivo anche
nel quadro dell'attuale crisi congiunturale. Tale considerazione di
urgenza si applica, in particolare, al rilancio della politica della
casa cui oggi il Governo ha assegnato assoluta priorità proponendo
il reperimento di nuove risorse e l'opportuna mobilitazione di quelle
esistenti. Appare essenziale, a questo punto, individuare nuovi strumenti
volti a collegare tali risorse con il necessario deciso sviluppo dell'edilizia
sovvenzionata, e tali da garantire il tempestivo coordinamento delle
varie fasi dei programmi edilizi (espropri, urbanizzazioni, appalti).
Non può certamente sfuggire a questo punto lo stretto legame
che esiste tra la nuova dimensione che il processo di sviluppo deve
assumere e la necessità di preservarne, anzi di ristabilirne,
alcuni meccanismi di fondo. Così il risanamento della nostra
economia dipende dalla capacità o meno di mantenere entro margini
ristretti, e finanziabili sul mercato internazionale, il deficit complessivo
della nostra bilancia dei pagamenti. Questo obiettivo è legato
alla ripresa sostenuta delle esportazioni, non essendo le importazioni
comprimibili e manovrabili oltre certi limiti, se si vogliono evitare
conseguenze negative nello stesso processo di sviluppo. Ma non è
pensabile che il rilancio delle esportazioni possa avvenire, nel quadro
delle modifiche in atto e nelle correnti di scambio, senza un loro
riorientamento che faccia posto alle produzioni esportabili pur con
gli attuali alti costi del lavoro e dell'energia; il che significa
offrire in misura crescente prodotti tecnologicamente avanzati o,
meglio ancora quelle forniture complesse di beni e servizi complementari
che i paesi di nuova industrializzazione oggi richiedono.