Che cosa ci dicono
i primi dati disponibili per il 1975? Qualcuno è favorevole,
ma i più importanti suscitano vive preoccupazioni, come quello,
ad esempio, della produzione industriale. Dopo tre mesi di continue
flessioni, l'indice del gennaio ha segnato una ulteriore caduta molto
grave, del 15 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno scorso.
Tutti i rami sono stati travolti dall'ondata recessiva, con quote
più rilevanti per le industrie tessili (-20,1 per cento), l'industria
del legno (-26,7 per cento), l'industria del mobilio (-27,4 per cento),
quella dei mezzi di trasporto (-27,3 per cento), dei derivati del
petrolio (-22,0 per cento), della cellulosa per usi tessili (-37,4
per cento), della carta e cartotecnica (-29,9 per cento), e quella
poligrafica (-28,8 per cento). La flessione più grave è
quella che riguarda la produzione di cellulosa perchè fa seguito
alla contrazione del 10 per cento avutasi nell'intera annata 1974.
E' diminuita fortemente anche la produzione di cemento in relazione
alla persistente crisi dell'edilizia che investe duramente anche l'area
del Mezzogiorno.
Su tutta l'economia grava la difficoltà del credito, particolarmente
acuta nel Mezzogiorno. Lo strumento del credito ha particolarmente
bisogno di banche locali a conoscenza dei veri bisogni del Mezzogiorno,
e che impiegano in quest'area i risparmi dell'area stessa, evitando
l'esodo verso altre zone.
Le maggiori difficoltà del credito nel Mezzogiorno sono documentate
dai dati forniti dalla Banca d'Italia. Le aziende di credito nel Mezzogiorno
hanno raccolto l'anno scorso il 16,6 per cento dei depositi di tutta
Italia, mentre gli impieghi nella stessa area sono stati del 14,2
per cento.
I depositi, nel 1974, sono aumentati del 9,6 per cento nel Nord-Centro
e del 14,4 per cento nel Mezzogiorno. Le percentuali si invertono
per gli impieghi, aumentati del 14,0 per cento nel Nord-Centro e solo
del 9,7 per cento nel Mezzogiorno.
Il rapporto impieghi-depositi alla fine del 1974 presso le aziende
di credito è stato del 69,9 per cento nel Nord-Centro ed appena
del 58,3 per cento nel Mezzogiorno (68,0 per cento nella media nazionale).
Un altro elemento sfavorevole per il Mezzogiorno è il più
alto costo del danaro, come viene confermato dalle medie rilevate
dalla Centrale dei rischi. Alla fine dell'anno scorso il tasso medio
pagato dalle aziende per ottenere il credito (tassi attivi) era del
16,38 per cento nel complesso nazionale e del 17,20 nel Mezzogiorno.
Per contro i tassi passivi (quelli percepiti dalla clientela per i
loro versamenti) erano in inedia,, per l'Italia, del 9,10 per cento,
e del 7,30 per cento nel Mezzogiorno. Pertanto, il divario fra tassi
attivi e tassi passivi risulta molto più ampio a svantaggio
delle regioni meridionali.
L'indice più comprensivo e preoccupante della situazione è
rappresentato dalla disoccupazione. Metà di tutti i disoccupati
in Italia sono concentrati nelle regioni del Mezzogiorno (298.000,
contro 605.000 in tutta Italia nel 1974). Nel 1971 i disoccupati nel
Mezzogiorno erano il 44 per cento di tutta Italia; si è quindi
avuto in tre anni un forte aggravamento della già svantaggiosa
possibilità di occupazione del Mezzogiorno. Detto peggioramento
è dovuto probabilmente alle minori possibilità di emigrazione
dal Sud verso le altre regioni d'Italia e verso l'estero, ed anzi
al fatto dei notevoli "rientri" di emigrati, specialmente
dalla Svizzera e dalla Germania. Per tale fatto sono diminuite anche
le rimesse dei nostri emigrati all'estero.
Oltre alla disoccupazione, è da segnalare la sottoccupazione,
che nel Sud è particolarmente estesa e si annida in attività
di scarsa efficienza e produttività. Anche l'intervento della
Cassa integrazione guadagni nell'industria ha registrato un incremento
maggiore nel Sud che nel resto d'Italia: fra il 1973 e il 1974 le
ore integrate nel complesso sono aumentate del 15,5 per cento nella
media nazionale e del 20,2 per cento nel Mezzogiorno. Con il ricorso
alla Cassa Integrazione si elimina la ripercussione dolorosa riguardo
alle persone, ma non la sostanza economica di una perdita di produzione.
Constatato, come si è visto, la gravissima diminuzione della
produzione industriale, la crisi dell'edilizia (con forte riduzione
anche dei progetti di costruzione) e l'aumento della disoccupazione
(larvata per effetto della Cassa integrazione), non v'è da
sperare che la ripresa economica possa essere imminente, anche se
si scorgono alcuni elementi favorevoli; ma, per ora, sono segni pallidi
e incerti. Merita di ricordarli: miglioramento della bilancia commerciale
e di quella dei pagamenti (ma il disavanzo è sempre notevole),
valore della lira stabilizzatosi (ma con una perdita del potere di
acquisto internazionale superiore al 20 per cento), rallentamento
dell'ascesa dei prezzi (ma tuttavia in continuo rialzo).
La nostra speranza è rivolta soprattutto all'agricoltura. E'
troppo presto per poter fare previsioni sui raccolti dell'annata,
ma per ora esse sono abbastanza promettenti. Dobbiamo ricordare che
per il Mezzogiorno questo settore continua ad avere molta importanza
e deve richiamare tutte le cure per assicurarne il miglioramento e
lo sviluppo.
La quota del reddito prodotto dal settore agricolo sul reddito complessivo
(che comprende l'industria, le attività terziarie e la pubblica
amministrazione) è appena del 10 per cento nella media nazionale,
ma sale ad oltre il 18 per cento nel Mezzogiorno, con quote del 22
per cento in Puglia, Basilicata e Calabria.
Anche le esportazioni dal Mezzogiorno devono e possono svilupparsi,
approfittando della sua posizione più vicina ai paesi arabi,
che ora dispongono di ingenti somme ricavate dal petrolio, disponibili
per maggiori acquisti anche in Italia e maggiormente nelle nostre
regioni meridionali e insulari.
Una notizia favorevole al Mezzogiorno è quella della definizione
delle norme per il Fondo di sviluppo regionale, stabilito a Bruxelles
il 3-4 marzo. Il Fondo avrebbe dovuto entrare in funzione con il primo
gennaio 1974 e, in origine, era fissato a un ammontare ben superiore
a quello concordato dopo tante perplessità. La quota che riguarda
l'Italia (40 per cento del Fondo complessivo) è appena di 75
miliardi di lire nel 1975 e 125 miliardi nel 1976 e nel 1977. Sì
tratta di cifre evidentemente irrisorie; inoltre esse non saranno
utilizzate nè subito, ne senza difficoltà. Il presidente
del Fondo, l'inglese George Thomson, ha dichiarato che le prime erogazioni
avverranno entro il prossimo settembre. Per ottenerle occorre presentare
piani e progetti precisi di sviluppo economico. Speriamo che, come
lo ha assicurato l'on. Compagna, questa volta, non si ripeta quello
che si è verificato in altre occasioni, di aver lasciato cadere
contributi già messi a nostra disposizione (per i danni del
terremoto in Sicilia e per l'industria tessile).
Una notizia recentissima che interessa in modo particolare il Mezzogiorno
è quella annunciata da Sadat: l'imminente apertura del Canale
di Suez.
Previsioni sulla durata della crisi che stiamo attraversando non si
possono fare: ne usciremo entro la fine di quest'anno o nel 1976?
Troppi elementi di giudizio sono incerti: di carattere economico,
di carattere politico e di carattere psicologico. L'incertezza è
dominante. Si pensi a tre recenti avvenimenti: il Portogallo, il Vietnam,
l'assassinio di Re Feisal; sono fattori esterni, ma capaci di creare
un'atmosfera di preoccupazioni anche all'interno. Le elezioni amministrative
sono alle porte. Il loro risultato può anch'esso influire notevolmente
ad allontanare o avvicinare la ripresa.

