§ La situazione congiunturale

Primavera fra realtą e speranze




Guglielmo Tagliacarne



Che cosa ci dicono i primi dati disponibili per il 1975? Qualcuno è favorevole, ma i più importanti suscitano vive preoccupazioni, come quello, ad esempio, della produzione industriale. Dopo tre mesi di continue flessioni, l'indice del gennaio ha segnato una ulteriore caduta molto grave, del 15 per cento rispetto allo stesso mese dell'anno scorso. Tutti i rami sono stati travolti dall'ondata recessiva, con quote più rilevanti per le industrie tessili (-20,1 per cento), l'industria del legno (-26,7 per cento), l'industria del mobilio (-27,4 per cento), quella dei mezzi di trasporto (-27,3 per cento), dei derivati del petrolio (-22,0 per cento), della cellulosa per usi tessili (-37,4 per cento), della carta e cartotecnica (-29,9 per cento), e quella poligrafica (-28,8 per cento). La flessione più grave è quella che riguarda la produzione di cellulosa perchè fa seguito alla contrazione del 10 per cento avutasi nell'intera annata 1974.
E' diminuita fortemente anche la produzione di cemento in relazione alla persistente crisi dell'edilizia che investe duramente anche l'area del Mezzogiorno.
Su tutta l'economia grava la difficoltà del credito, particolarmente acuta nel Mezzogiorno. Lo strumento del credito ha particolarmente bisogno di banche locali a conoscenza dei veri bisogni del Mezzogiorno, e che impiegano in quest'area i risparmi dell'area stessa, evitando l'esodo verso altre zone.
Le maggiori difficoltà del credito nel Mezzogiorno sono documentate dai dati forniti dalla Banca d'Italia. Le aziende di credito nel Mezzogiorno hanno raccolto l'anno scorso il 16,6 per cento dei depositi di tutta Italia, mentre gli impieghi nella stessa area sono stati del 14,2 per cento.
I depositi, nel 1974, sono aumentati del 9,6 per cento nel Nord-Centro e del 14,4 per cento nel Mezzogiorno. Le percentuali si invertono per gli impieghi, aumentati del 14,0 per cento nel Nord-Centro e solo del 9,7 per cento nel Mezzogiorno.
Il rapporto impieghi-depositi alla fine del 1974 presso le aziende di credito è stato del 69,9 per cento nel Nord-Centro ed appena del 58,3 per cento nel Mezzogiorno (68,0 per cento nella media nazionale).
Un altro elemento sfavorevole per il Mezzogiorno è il più alto costo del danaro, come viene confermato dalle medie rilevate dalla Centrale dei rischi. Alla fine dell'anno scorso il tasso medio pagato dalle aziende per ottenere il credito (tassi attivi) era del 16,38 per cento nel complesso nazionale e del 17,20 nel Mezzogiorno. Per contro i tassi passivi (quelli percepiti dalla clientela per i loro versamenti) erano in inedia,, per l'Italia, del 9,10 per cento, e del 7,30 per cento nel Mezzogiorno. Pertanto, il divario fra tassi attivi e tassi passivi risulta molto più ampio a svantaggio delle regioni meridionali.
L'indice più comprensivo e preoccupante della situazione è rappresentato dalla disoccupazione. Metà di tutti i disoccupati in Italia sono concentrati nelle regioni del Mezzogiorno (298.000, contro 605.000 in tutta Italia nel 1974). Nel 1971 i disoccupati nel Mezzogiorno erano il 44 per cento di tutta Italia; si è quindi avuto in tre anni un forte aggravamento della già svantaggiosa possibilità di occupazione del Mezzogiorno. Detto peggioramento è dovuto probabilmente alle minori possibilità di emigrazione dal Sud verso le altre regioni d'Italia e verso l'estero, ed anzi al fatto dei notevoli "rientri" di emigrati, specialmente dalla Svizzera e dalla Germania. Per tale fatto sono diminuite anche le rimesse dei nostri emigrati all'estero.
Oltre alla disoccupazione, è da segnalare la sottoccupazione, che nel Sud è particolarmente estesa e si annida in attività di scarsa efficienza e produttività. Anche l'intervento della Cassa integrazione guadagni nell'industria ha registrato un incremento maggiore nel Sud che nel resto d'Italia: fra il 1973 e il 1974 le ore integrate nel complesso sono aumentate del 15,5 per cento nella media nazionale e del 20,2 per cento nel Mezzogiorno. Con il ricorso alla Cassa Integrazione si elimina la ripercussione dolorosa riguardo alle persone, ma non la sostanza economica di una perdita di produzione.
Constatato, come si è visto, la gravissima diminuzione della produzione industriale, la crisi dell'edilizia (con forte riduzione anche dei progetti di costruzione) e l'aumento della disoccupazione (larvata per effetto della Cassa integrazione), non v'è da sperare che la ripresa economica possa essere imminente, anche se si scorgono alcuni elementi favorevoli; ma, per ora, sono segni pallidi e incerti. Merita di ricordarli: miglioramento della bilancia commerciale e di quella dei pagamenti (ma il disavanzo è sempre notevole), valore della lira stabilizzatosi (ma con una perdita del potere di acquisto internazionale superiore al 20 per cento), rallentamento dell'ascesa dei prezzi (ma tuttavia in continuo rialzo).
La nostra speranza è rivolta soprattutto all'agricoltura. E' troppo presto per poter fare previsioni sui raccolti dell'annata, ma per ora esse sono abbastanza promettenti. Dobbiamo ricordare che per il Mezzogiorno questo settore continua ad avere molta importanza e deve richiamare tutte le cure per assicurarne il miglioramento e lo sviluppo.
La quota del reddito prodotto dal settore agricolo sul reddito complessivo (che comprende l'industria, le attività terziarie e la pubblica amministrazione) è appena del 10 per cento nella media nazionale, ma sale ad oltre il 18 per cento nel Mezzogiorno, con quote del 22 per cento in Puglia, Basilicata e Calabria.
Anche le esportazioni dal Mezzogiorno devono e possono svilupparsi, approfittando della sua posizione più vicina ai paesi arabi, che ora dispongono di ingenti somme ricavate dal petrolio, disponibili per maggiori acquisti anche in Italia e maggiormente nelle nostre regioni meridionali e insulari.
Una notizia favorevole al Mezzogiorno è quella della definizione delle norme per il Fondo di sviluppo regionale, stabilito a Bruxelles il 3-4 marzo. Il Fondo avrebbe dovuto entrare in funzione con il primo gennaio 1974 e, in origine, era fissato a un ammontare ben superiore a quello concordato dopo tante perplessità. La quota che riguarda l'Italia (40 per cento del Fondo complessivo) è appena di 75 miliardi di lire nel 1975 e 125 miliardi nel 1976 e nel 1977. Sì tratta di cifre evidentemente irrisorie; inoltre esse non saranno utilizzate nè subito, ne senza difficoltà. Il presidente del Fondo, l'inglese George Thomson, ha dichiarato che le prime erogazioni avverranno entro il prossimo settembre. Per ottenerle occorre presentare piani e progetti precisi di sviluppo economico. Speriamo che, come lo ha assicurato l'on. Compagna, questa volta, non si ripeta quello che si è verificato in altre occasioni, di aver lasciato cadere contributi già messi a nostra disposizione (per i danni del terremoto in Sicilia e per l'industria tessile).
Una notizia recentissima che interessa in modo particolare il Mezzogiorno è quella annunciata da Sadat: l'imminente apertura del Canale di Suez.
Previsioni sulla durata della crisi che stiamo attraversando non si possono fare: ne usciremo entro la fine di quest'anno o nel 1976? Troppi elementi di giudizio sono incerti: di carattere economico, di carattere politico e di carattere psicologico. L'incertezza è dominante. Si pensi a tre recenti avvenimenti: il Portogallo, il Vietnam, l'assassinio di Re Feisal; sono fattori esterni, ma capaci di creare un'atmosfera di preoccupazioni anche all'interno. Le elezioni amministrative sono alle porte. Il loro risultato può anch'esso influire notevolmente ad allontanare o avvicinare la ripresa.

 


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