§ Itinerari salentini

Archeologia sottomarina in Terra d'Otranto




Elisa Malagoli



Le teorie scientifiche affermano con sufficiente certezza, acquisita dopo accurate indagini comparate, che non si potrebbero risolvere i problemi riguardanti l'archeologia sottomarina, prescindendo da fenomeni di più ,vasta e complessa portata, che sono anche alla base degli studi geologici.
Nella penisola salentina questi fenomeni son quasi all'ordine del giorno. Un classico esempio è dato dalle torri litoranee (come nel caso di Torre Pali, nelle immediate vicinanze di Ugento), che, a distanza di pochi anni soltanto, sono state circondate dalle acque e sono in procinto di essere in parte o quasi del tutto sommerse. Un'altra prova dell'innalzamento geologico del livello marino è offerta dal caso della "Chiesa sommersa". E' una costruzione costituita da grossi massi rettangolari, cementata con calce e pozzolana, che emerge da una profondità di tre o quattro metri. E' più che evidente la sua costruzione romana. Certamente, la "Chiesa" sorgeva nell'entroterra, mentre allo stato attuale è inoltrata, a occhio e croce, di oltre cinquecento metri nel mare, in direzione est dall'idrovora di San Giovanni, presso San Cataldo. In venti secoli, il mare Adriatico l'ha incorporata, insieme al vicino molo di Adriano.
Numerose leggende, come nella massima parte dei casi accade in circostanze del genere, sono fiorite intorno al mistero della "Chiesa sommersa". Alcune di esse, addirittura, sono relativamente recenti, e sorte nel nostro secolo, forse a sottolineare una inesaurita vena fantastica delle popolazioni salentine. Si scende in particolari concreti, si accenna ad un calice d'oro, che sarebbe stato trafugato dagli ambienti sommersi a mezzo chilometro dalla costa, e a ritrovamenti di preziosi utensili scoperti e trattenuti (o venduti) da pescatori scomparsi solo da pochi anni.
Proseguendo da San Cataldo verso sud, in un ideale itinerario sottomarino, si possono scorgere, quando la visibilità lo consente, carene e relitti di natanti antichi e recenti: la sagoma di qualcuno di essi ci riporta incontestabilmente alle Repubbliche Rinascimentali. Foltissimo era, almeno fino a qualche anno fa, il vasellame dell'epoca greca e romana, frammisto in genere ad anfore olearie e vinarie, in veri e propri banchi insabbiati: si tratta, evidentemente, di materiale proveniente da navi onerarie sorprese dalle tempeste.
In corrispondenza del lago Cesine e delle località marine conosciute con i nomi di "Secca della Pagliara" e "Secca dei Pali", anche senza sporgersi oltre la cosiddetta "Ripa", che repentinamente degrada oltre i venti metri, l'occhio capace di frugare fra le intricatissime foreste di alghe può scorgere strani banchi di "palle", utensili sferici di granito, identificati come proiettili di artiglierie quattrocentesche. del diametro variabile dai dieci ai trenta centimetri, a seconda che venissero adoperati con arma da fuoco o con catapulta. Giacciono inoltre, a circa dieci metri di profondità media, alcune "ruote", massi perfettamente circolari, che si direbbero, dal loro aspetto, delle primordiali mole da macina.
Subito dopo una mareggiata, vale a dire nel momento più propizio all'osservazione subacquea, è stato localizzato un relitto di naviglio rinascimentale completamente intatto nella carena.
Corre voce negli ambienti dei pescatori locali che, in prossimità di questo relitto, parecchi anni or sono siano state rinvenute alcune verghette d'oro. I più spericolati precisano anche il numero: undici. Può trattarsi, con tutta probabilità, del prezioso "galeone" di cui tanto si è parlato e scritto, senza che fino ad oggi si siano spenti l'interesse e la curiosità.
Più a sud ancora, dove i fondali interrompono la loro regolarità e precipitano fino a profondità variabili fra i ventidue e i trenta metri, nei tratti scoscesi riaffiorano e scompaiono le "Secche di Torre Specchia", non molto distanti dalla zona archeologica di Roca Vecchia, centro protostorico del Salento Messapico, le cui muraglie si spingono sul limite ,delle rocce che improvvisamente dirupano in mare, in fase di sfacelo. E' chiaramente visibile, sommersa a poco più di una decina di metri di profondità, una parte della muraglia. E questo è un luogo di estremo interesse per chiunque si occupi di archeologia sottomarina. Vi si notano, fra i reperti superstiti, sfuggiti alla caccia di esperti quanto accaniti "tombaroli del mare", le cosiddette "marmitte dei giganti", vortici pietrificati che somigliano tronchi d'albero cavi e fossili.
Chi osservi la costa dalla terra, può facilmente rilevare che la muraglia appare tagliata netta nella roccia, e scende subito dopo in mare, sommergendo nelle azzurre profondità la storia dei Messapi, gli utensili, le anfore caratteristiche, gli oggetti ornamentali, le lapidi numerose, incise con caratteri non ancora decifrati.
In sostanza, su questi fondali si nota il ripetersi dei motivi dell'entroterra in una vera e propria città sommersa, che nel ventre del Basso Adriatico è depositaria dei segreti di una civiltà fiorita nel terzo e secondo secolo avanti Cristo.
Sempre in quello scrigno marino, tra i fondali tormentati da una ricca vegetazione, si sovrappongono in bacini sparsi i resti delle civiltà greca e romana, e di quelle turca e saracena, a noi più vicine, che hanno lasciato tracce anche nelle aguzze rocce del bagnasciuga, in segni di ormeggio molto evidenti e inconfondibili per chi conosca l'audacia e il temerario senso dell'avventura di quei popoli navigatori.
Proseguendo nel nostro ideale itinerario, incontriamo presso Torre dell'Orso, sfuggiti a crescenti rapine e a inauditi saccheggi, superstiti resti di vasellame sommerso nei naufraghi. In prevalenza, si tratta di antiche anfore. Successivamente, nelle secche dell'Alimini, a bassissimo fondale presso Torre Santo Stefano, (una piccola baia incastonata come una gemma di cristallo nell'azzurro placato del mare), con un pò di buona fortuna si possono rinvenire reperti greci e romani, costituiti da anfore ammassate ed incassate ormai nel calcare, provenienti da probabili naufragi, avvenuti nel tentativo di guadagnare durante le tempeste quell'insenatura a prima vista ospitale, ma in realtà subdola e ingannatrice nel suo aspetto ridente e incantevole.
Infine, al termine del nostro viaggio, appare nell'estremo lembo della costa la gemma del Levante, nel suo dolcissimo volto di sirena addormentata: è Otranto, città martire, col suo poderoso castello e la sua Torre del Serpe, ricca di antiche e meravigliose vicende storiche.
In questo tratto, e fin quasi fino alle soglie della splendida Leuca, abbagliante di luce là dove Adriatico e Jonio si fondono nel lago Mediterraneo, il mare cambia aspetto e colore. I fondali, che prima degradavano lentamente, in avvallamenti appena percettibili, rivelano qui precipizi di trenta e più metri di profondità e formano un gigantesco gradino, denunciando la presenza di una nuova "Ripa", quasi perfettamente rettangolare, priva di appigli fino al fondale sabbioso. E' il gradino che, partendo da Torre del Serpe, attraversa per intero il marezzato golfo dell'Orte, fino a raggiungere la Palagia e Capo d'Otranto. Qui, altri sparsi "bacini" rivelano all'occhio esperto la presenza di anfore, qualche àncora, numerosi proiettili d'artiglieria o di catapulta, ormai inchiodati nelle radici calcaree da cui sembra impossibile separarli, senza sacrificarne la nuda, elementare bellezza, l'integrità giuntaci attraverso millenni di inarrestabili eventi geologici, il fascino per la "lettura" di una storia cresciuta dall'incontro, dalla fusione, o dal confronto, fra irripetibili civiltà.

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