§ Emigrazione e disoccupazione

Una perdita per il sistema




Libero Lenti



Spenti a Roma i lumi della Conferenza nazionale sui problemi dell'emigrazione, e superato il fastidio delle chiacchere politiche e delle impostazioni ideologiche, può essere utile tornare sull'argomento. Si tratta, infatti, di problemi che interessano grandemente il funzionamento del nostro sistema economico. E l'interesseranno chissà per quanto tempo ancora, dato che non si vede all'orizzonte alcuna sostanziale soluzione, salvo per l'appunto quelle proposte a Roma, che, data la loro inconsistenza, non vale ovviamente la pena di prendere in considerazione.
Andiamo quindi subito al nocciolo dei problemi posti dalla nostra emigrazione la quale ha sempre presentato una notevole importanza sia che la si consideri da un punto di vista strutturale che congiunturale. Strutturale nel senso che il nostro sistema economico è sempre stato a lungo termine "esportatore" di forze di lavoro, e cioè praticamente in via definitiva; e congiunturale, invece, se si vuol tener conto solo dei flussi e riflussi migratori, e cioè di natura sostanzialmente provvisoria, in corrispondenza alle mutevoli vicende cicliche del nostro sistema economico, ma anche degli altri.
Si tratta di due prospettive, quella strutturale e quella congiunturale, che a prima vista sembrano portare a considerazioni assai diverse. Invece, sono riconducibili ad una sola realtà, e cioé al fatto concreto che il nostro sistema economico è povero di risorse naturali e di capitali, vale a dire di mezzi materiali di produzione. Donde un sostanziale e permanente squilibrio rispetto alla ricchezza di mezzi personali, e più particolarmente di forze di lavoro, che non possono trovare impiego in processi produttivi che richiedono crescenti dosi di capitale, e quindi sono soggetti, anzi sempre più soggetti, al progresso tecnologico. Conseguentemente, alla concorrenza internazionale.
Lo squilibrio tra le disponibilità di mezzi materiali e di mezzi personali è dunque la causa prima, anzi l'unica causa, dei fenomeni migratori, sia di natura strutturale che congiunturale. Fatta questa constatazione, del resto lapalissiana, anche se ben poco se ne parla, sento subito levarsi la voce di coloro che confondendo neonati con disoccupati ritengono di poter risolvere questi problemi riducendo il saggio di natalità, e quindi, sia pure prospetticamente nel tempo, la grandezza dei mezzi personali.
Qui non v'è spazio sufficiente per discutere questa tesi. Ve n'è solo per consigliare i loro sostenitori a non argomentare per sentito dire come sono soliti fare, bensì documentandosi sulla riduzione già in atto della fecondità delle donne italiane; sul fatto che le generazioni presenti sono appena in grado di riprodurre quelle passate; sul progressivo processo di invecchiamento della popolazione italiana; e via dicendo. Insomma, a documentarsi che già da tempo il nostro Paese si trova, nella lascia di quelli caratterizzati da una demografia economica, cioé da una bassa natalità e da una bassa mortalità. E' vero che la popolazione aumenta ancora di circa 300 mila unità all'anno. Ma è altrettanto vero che questo aumento dipende dal fatto che i nati d'oggi risultano da generazioni di ieri ancora numerose. In futuro non sarà più così.
Volgiamo adesso lo sguardo alla dimensione delle altre grandezze che condizionano le possibilità interne d'occupazione delle forze di lavoro, e cioé alla disponibilità di risorse naturali e di capitale. Le risorse naturali sono quelle che sono. Si può aumentare la produttività, per esempio quella dei terreni agricoli, ma non la dimensione. Lo stesso dicasi per le risorse minerarie e per altre offerte dalla natura. Ma in ogni caso, per metterle in valore, per aumentare la produttività, occorrono capitali. Qui sta veramente il nodo dei nostri problemi economici. Capitali intesi in senso fisico, e cioè come mezzi materiali di produzione, e non come qualcuno ancora ritiene in senso finanziario, anche se questa visuale consente di misurarne l'aspetto esterno, e più appariscente, degli stessi mezzi.
Per motivi obiettivi il processo di accumulazione del capitale è sempre stato assai lento nel nostro sistema economico. E non ho bisogno di spiegarne i motivi dopo quanto ho appena detto. C'è stato, per la verità, un momento in cui per motivi interni ed esterni questo processo ha registrato una notevole accelerazione. E' stato precisamente negli anni Cinquanta e nella prima metà degli anni Sessanta. Dopo, il ritmo del processo d'accumulazione del capitale si è via via attenuato. E anche in questo caso non ho bisogno di spiegarne i motivi, tanto sono noti. Se qualcuno non li ha ancora capiti, scambiando il risparmio, che alimenta in termini reali gli investimenti, con l'emissione di biglietti di banca, che ne alimenta i flussi finanziari, ha adesso la possibilità di ripensarci su, tenendo conto di quello che è successo in quest'ultimo decennio.
Ma non basta. Non solo il processo d'accumulazione del capitale ha subito un rallentamento, non solo è stato contrassegnato da spostamenti per quanto riguarda le fonti del risparmio, ma peggio ancora, gli investimenti, sempre più politicizzati, ne hanno progressivamente ridotto la potenzialità produttiva. Da diversi anni solo le famiglie risparmiano. Le imprese non sono più in grado d'alimentare autofinanziamenti. La gestione della pubblica amministrazione dà poi luogo ad un risparmio negativo, poiché le entrate tributarie sono inferiori alle spese correnti. Sicché, la pubblica amministrazione, e anche le imprese, quando non sono in grado di effettuare adeguati ammortamenti, ingoiano una parte del risparmio delle famiglie, tra l'altro eroso dall'inflazione.
Motivi di natura strutturale, dunque, e adesso anche congiunturali, hanno impedito ed impediscono una razionale e quindi economica combinazione tra le prestazioni dei mezzi materiali e di quelli personali nell'ambito del nostro sistema economico. Così si spiega il fenomeno migratorio, il quale, sia ben chiaro, costituisce una perdita secca per i sistemi emigratori in quanto sostengono il costo dell'allevamento di forze di lavoro che poi sono impiegate per produrre reddito nei sistemi immigratori, dove il processo d'accumulazione del capitale è più antico, e comunque più celere, e meno soggetto a sprechi di natura politica.
Di questi problemi economici non s'è parlato a Roma alla Conferenza dell'emigrazione. S'è preferito come al solito affrontarli in chiave socio-demagogica che apparentemente consente di spiegare tutto, ed invece non spiega nulla, in quanto non tien conto degli elementi di fondo che chiariscono in modo concreto il fenomeno migratorio. In questo particolare momento, si capisce bene, i problemi di natura congiunturale, e quindi legati all'assistenza degli emigrati che ritornano, sopravanzano quelli di natura strutturale. Ma altrettanto bene si capisce, od almeno si dovrebbe capire, che se non si riconosce il difetto di fondo del nostro sistema economico, e cioè lo squilibrio tra i mezzi materiali e quelli personali di produzione, ben scarse possibilità vi sono di risolvere, in un conveniente periodo di tempo, i problemi dell'emigrazione.

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