La riforma
primaria: far funzionare il sistema - Compromesso storico e funzioni
dell'opposizione - Il ruolo degli Stati Uniti d'America di fronte
nel sistema internazionale - L'Islam, ieri e oggi.
Quindici anni
nell'occhio del ciclone avrebbero logorato chiunque. In Italia, spesso
l'unica alternativa alla fagogitazione da parte del potere sembra
essere, con i tempi che corrono, un tempestivo rientro in una zona
d'ombra, alla cui protezione discreta si possano affidare reputazione
e prestigio conseguiti in anni di dura milizia pubblica. Per quindici
anni il Governatore è rimasto al suo posto, di fronte alle
sue responsabilità, e anche di fronte alle responsabilità
(o irresponsabilità) degli altri. E quando si è trattato
di tirar fuori il nostro Paese dal baratro in cui era andato o era
stato mandato a cacciarsi, non ha esitato a gettare sulla bilancia
tutto il peso della sua preparazione, delle sue capacità intellettuali,
senza sotterfugi, senza tattiche da piccolo cabotaggio, senza gli
"omissis" che caratterizzano la giungla del potere politico
italiano. Come ha riconosciuto un suo amico-avversario, Eugenio Scalfari,
"in mezzo alla moltitudine di anime morte che affolla i vicoli
del potere, egli è rimasto il solo a rispondere di persona
anche dei suoi errori". Se ci guardiamo bene intorno, riconoscimenti
del genere possiamo concederli a tante persone che, contate su una
sola mano, ci darebbero qualche dito di resto.
Dice Carli: "Il nostro sistema, oggidì non funziona, o
meglio, funziona al prezzo di sperperi paurosi. Si chiedono riforme
per rimediare ai nostri malanni. Ma non si capisce che la riforma
essenziale, quella primaria, da cui potranno discendere tutte le altre,
è di far funzionare il sistema, così com'è".
Il Governatore riconosce che "è merito degli italiani
tutti, nonostante il sistema, contro il sistema", se a distanza
di un anno il Paese che sembrava sull'orlo della bancarotta ha saputo
superare il punto critico. La società italiana riesce sempre
"ad esprimere una vitalità indistruttibile...", "nonostante
il caos, la corruzione, le ladrerie, le ribalderie di ogni genere,
i soprusi e le violenze del potere e del contropotere, gli sprechi
della pubblica amministrazione".
E' un quadro sintetico, e fin troppo realistico, della società
italiana contemporanea e della classe che la dirige. Allora, cosa
può significare "far funzionare il sistema così
come è?" Risponde il Governatore: "Significa ricreare
le condizioni necessarie affinché l'ente pubblico, l'impresa
pubblica e privata orientino i propri comportamenti in maniera da
tendere verso l'equilibrio. Occorre ampliare il margine di discrezionalità
consentito ai dirigenti nel rispetto dei limiti imposti da leggi,
statuti, regolamenti; intendo riferirmi alle sollecitazioni di ogni
specie alle quali i dirigenti sono assoggettati; senza l'avverarsi
di questa condizione sarebbe impossibile esprimere giudizi su di loro.
Il ristabilimento di un equilibrio duraturo della bilancia dei pagamenti
compatibile con il saggio di sviluppo economico desiderato riuscirà
soltanto quando restituiremo onore ai metodi vetusti secondo i quali
l'apprezzamento sugli amministratori pubblici e privati si fonda sulle
risultanze dei bilanci che essi esibiscono. Così diverrà
possibile un processo ordinato di sostituzioni degli uomini investiti
di responsabilità, senza necessità di minacciare destituzioni..."
Compromesso storico. C'è chi guarda all'incontro tra cattolici
e comunisti come all'unica soluzione possibile per risollevare le
sorti del Paese. In proposito, il Governatore è estremamente
esplicito: il compromesso storico non risolverebbe alcun problema,
"ne nascerebbe un mostruoso apparato statalista, burocratico,
opprimente e inefficiente". "Il male dell'Italia è
la mancanza di una vera opposizione", aggiunge. Ma non dispera:
"L'opinione pubblica è più attenta... Di là
da ogni gioco di classe dirigente, credo che l'Italia sarà
governata sempre più, in avvenire, dagli italiani".
E' nota la valutazione che Carli dà della crisi monetaria mondiale.
E' una crisi a suo giudizio molto grave. Lo ha ripetuto tempo fa anche
a Washington, intervenendo alla seconda conferenza quadrangolare del
Centro di studi strategici. Questa conferenza affrontava il problema
delle relazioni tra inflazione, struttura flnanziaria internazionale
e alleanza per la sicurezza. Il tema dell'intervento di Carli aveva
per titolo "Il ruolo degli Stati Uniti nel sistema internazionale:
possibilità e limiti". Questa, in breve, la tesi da lui
illustrata: la crisi monetaria minaccia di sospingere i Paesi dell'Occidente
verso il caos, ricreando "le condizioni di un nuovo medioevo".
Quando le variazioni delle grandezze monetarie raggiungono le dimensioni
attuali, il sistema ha in sé elementi di autodistruzione e
non serve utilmente lo sviluppo economico. E' perciò necessario
controllare queste variazioni. Il che può essere ottenuto solo
se una qualche autorità si dà carico del controllo,
non potendo il mercato raggiungere da solo l'obiettivo. L'autoritá
alla quale il Governatore pensa è quella degli Usa, ai quali
tocca "caricarsi sulle spalle il peso di guidare i movimenti
della massa di dollari e della sua distribuzione tra usi interni ed
usi internazionali".
L'intervento di Carli sottolineava radici storiche lontane, straordinarie
analogie con quanto era già accaduto nel passato, in Occidente,
tra l'VIII e il X secolo. Anche allora l'Europa conobbe una lunga
crisi depressiva, alle cui origini furono fenomeni monetari e di bilancia
dei pagamenti. A causa del meccanismo economico messo in funzione
dagli arabi, che conquistavano l'intera Europa occidentale, l'oro
trasmigrò in quel periodo dall'Europa al Medio Oriente. E poiché
esso serviva la circolazione interna europea e quella internazionale,
e poiché i califfati accumulavano ricchezze nei forzieri (oggi
diremmo: riciclavano), il sistema monetario internazionale fu debasizzato,
l'Occidente deflazionato, e lo sviluppo del Medio Oriente non stimolato
monetariamente. Da questa situazione l'Europa riuscì a liberarsi
solo con la forza: e infatti, alcuni storici più attenti hanno
visto nelle Crociate in Terra Santa, promosse da Urbano II (pontefice
versatissimo in politica internazionale e in scienza economico-finanziaria)
un modo, anche se non l'unico movente, per riciclare l'oro musulmano.
L'analogia, anche geografica, con la situazione di oggi è senza
dubbio suggestiva, e non riguarda solo l'apparenza, la facciata dei
problemi. Questo significa che anche Carli potrebbe essere d'accordo
con i "falchi" che consigliano interventi nel Medio Oriente?
La sua proposta non è così semplicistica. La filosofia
che il Governatore teorizza non è infatti quella della "dipendenza":
ma piuttosto quella della "interdipendenza": in sostanza,
egli propone quella "triangolazione" tra Paesi petrolieri,
Paesi industriali e Paesi emergenti, di cui ha parlato più
volte. Nello stesso tempo, richiama gli americani alla necessità
di conservare agli altri Paesi industriali uno spazio di mercato che
consenta ad essi di sottrarsi alle strettoie della recessione. Ricordando
che oggi nel sistema monetario internazionale convivono oro, strumenti
ufficiali (quali i diritti speciali di prelievo) e dollari (o altre
valute-chiave), Carli esclude che possano instaurarsi spontaneamente
condizioni di equilibrio tra tutte queste forme di attività
monetarie.
Non a caso egli riporta alla memoria una acuta interpretazione della
crisi del '29, recentemente avanzata dal professor KindIeberger, il
quale ha visto un aspetto rilevante della Grande Depressione nella
riluttanza delle autorità statunitensi ad assumere la responsabilità
conseguente alla crescente sostituzione del dollaro americano alla
sterlina inglese al centro del commercio mondiale. Kindleberger argomenta
che la leadership dell'interscambio mondiale implica la disponibilità
del Paese che la esercita a far credito e a cedere, secondo la necessità
della congiuntura, quote di mercato per consentire l'aggiustamento
delle diverse bilance dei pagamenti. Si tratta di due implicazioni
degne di attenzione; soprattutto la seconda, (quella di permettere
ai debitori di rimborsare in merci), che tocca il punto centrale del
problema petrolifero. "Altrimenti dal circolo vizioso si può
uscire solo con la deflazione delle economie nazionali e dell'economia
mondiale, cioé con un arresto dello sviluppo di durata e di
dimensioni imprevedibili". Dice Carli: "La logica di Kindleberger
appare inoppugnabile e rientra in uno schema in cui vantaggi e svantaggi
della leadership si bilanciano, e giustificano politicamente la figura
di un Paese egemone. Ma vi è un modo più raffinato e
moderno per aggirare lo scoglio di una cessione di quota del commercio
internazionale da parte del Paese leader, che va ancor più
a beneficio della stabilità mondiale. Esso consiste nell'aggiustamento
triangolare, cioè nella possibilità che un gruppo di
Paesi divenga importatore netto (o aumenti semplicemente il disavanzo
di parte corrente) dai Paesi in disavanzo, dietro cessione di risorse
dei Paesi in avanzo. Se si ottiene questo risultato l'onere della
leadership è più sopportabile agli occhi dell'opinione
pubblica del Paese tenuto ad esercitarla, e gli effetti dell'aggiustamento
sono più duraturi ai fini dello sviluppo economico mondiale".