Se mettiamo da
una parte tutto quello che si è scritto e detto sull'industrializzazione
del Mezzogiorno, e dall'altra quello che è stato conseguito
a questo riguardo, dovremmo concludere che le parole e le promesse
sono state tante, ma i fatti assai meno.
Sulla necessità di sviluppare le attività industriali
nel Mezzogiorno per elevarne le condizioni economiche e riscattarlo
dall'antico stato di depressione e povertà, tutti sono d'accordo,
anche se giustamente si sostiene l'opportunità di curare, aiutare
e migliorare l'agricoltura, che nel Mezzogiorno rappresenta pur sempre
un fattore molto importante. Guai a trascurarla.
I sostenitori dell'industrializzazione nel Mezzogiorno che si sono
battuti con estremo vigore sono tanti: basti citare Pasquale Saraceno,
che da lungo tempo e in molteplici occasioni ne ha difeso e dimostrato
l'estremo bisogno. Del resto è facile constatare che laddove
l'industria è avanzata, anche il reddito e il tenore di vita
della popolazione sono elevati: si confrontino il Piemonte e la Lombardia,
da un lato, con quote di reddito proveniente dalle attività
industriali pari al 55 per cento dei rispettivi redditi complessivi
regionali e, per contro, la Calabria, con la quota del 24 per cento.
Anche gli organi comunitari, per determinare il grado di depressione
delle regioni alle quali assegnare dei contributi finanziari nell'intento
di operare una certa perequazione comunitaria, adottano come uno degli
indicatori più importanti quello della scarsa industrializzazione.
Stabilita quindi senza ombra di dubbio l'assoluta necessità
di sviluppare le attività industriali nel Sud, ci si chiede
a che punto stiamo; cioé che cosa si è fatto in concreto.
Qualcuno sarà pronto a rispondere: non si è fatto niente,
si sono commessi errori su errori; è stata una delusione di
cui va data la colpa ai successivi governi, all'inefficienza amministrativa,
al clientelismo, eccetera.
Al solito, si esagera, si vuol vedere solo i lati negativi senza riconoscere
quelli positivi: siamo portati più alla critica, anche aspra,
che alla semplice obiettività. Errori, si, ve ne sono stati,
nessuno li nega; ma perché non guardare anche a quello che
si è fatto? Un viaggio nelle regioni del Mezzogiorno ci mostra
quante industrie nuove sono sorte; le potremo nominare: ci vengono
sulla punta della penna mentre scriviamo; ma vogliamo piuttosto cercare
di dare una misura in cifre globali, che ci sembrano più significative
e più concludenti.
E' dal 1951 che calcoliamo ogni anno il reddito prodotto dai vari
settori economici nelle singole provincie e regioni italiane. Di anno
in anno le variazioni sono generalmente piccole e qualche volta si
alternano quelle positive con quelle negative in una o l'altra parte
d'Italia. Ma a distanza di quasi un quarto di secolo si può
vedere quali sono state le trasformazioni avvenute. Limitiamoci all'esame
del settore industriale, di cui stiamo occupandoci, e riferiamoci
al Mezzogiorno. Le cifre di cui disponiamo a questo riguardo sono
molte, ma qui diamo solo quelle essenziali. Nel 1951 il reddito prodotto
dalle attività industriali nel Mezzogiorno rappresentava una
quota del 15 per cento del totale di tali attività di tutta
Italia; ora la quota è salita al 18 per cento; ancora modesta,
ma in aumento non trascurabile.
In alcune province si è constatato uno sbalzo notevolissimo.
Confrontando il 1973 rispetto al 1951, si apprende che in questo periodo
di quasi un quarto di secolo si è avuto nella media italiana
un aumento del reddito industriale di otto volte, ma l'incremento
è stato di oltre venti volte nelle quattro province (sulle
94 di tutta Italia) che figurano alla testa della graduatoria degli
aumenti: sono le province di Latina, Siracusa, Matera e Sassari: come
si vede, tutte e quattro appartengono al Mezzogiorno (comprendiamo
anche Latina, inclusa nelle attribuzioni della Cassa per il Mezzogiorno).
Ma vogliamo offrire a quei lettori, che hanno la pazienza di seguirci
nei nostri calcoli, il risultato di una elaborazione non consueta,
che ci sembra molto utile per compendiare in una sola cifra lo spostamento
territoriale verificatosi dal 1951 al 1973 per il reddito industriale.
Questo nuovo calcolo è riferito ai baricentri, per i quali
si immagina concentrato tutto il reddito prodotto dalle attività
industriali in un unico punto del territorio nazionale (è un
calcolo un poco complesso, che tiene conto delle quote di reddito
prodotto in ciascuna provincia, secondo le corrispondenti coordinate
geografiche; qui, ovviamente, non è il caso di addentrarci
nella metodologia). Ecco che cosa si è ricavato: il baricentro
del reddito industriale si è spostato dal 1951 al 1973 di 29
chilometri verso sud. Per contro, il baricentro di tutta la popolazione
si è invece spostato di 17 chilometri verso nord. Pertanto
i due baricentri si sono sensibilmente avvicinati: la distanza era
di 185 chilometri nel 1951 e si è ridotta a 145 chilometri
nel 1973. In altri termini: Nord e Sud si sono avvicinati. L'ideale
sarebbe che i due baricentri si sovrapponessero (perfetta equidistribuzione);
ma ciò non è praticamente possibile. D'altro canto,
si tratta di una media di tutte le province, la quale si presta alle
solite obiezioni contro le medie. Ma con tutto ciò, questi
dati ci sembrano importanti - e anche nuovi - abbiamo voluto farne
menzione in questo articolo a dimostrazione che un certo risultato
positivo è stato raggiunto sulla via dell'industrializzazione
del Mezzogiorno.
Il miglioramento, se si considera il periodo abbastanza lungo preso
in esame e le ingenti spese sostenute dal bilancio pubblico, può
lasciarci insoddisfatti, ma non dobbiamo negare che c'è stato:
se pure non ci soddisfa, non è disprezzabile.
Esso è destinato ad ampliarsi in un futuro abbastanza prossimo
per evidenti ragioni: 1) per creare uno stabilimento industriale occorrono
anni, e perché esso produca un reddito (quindi compaia nelle
relative statistiche) ne occorrono molti di più: vale a dire,
la statistica ritarda ad esprimere il risultato delle nuove attività;
2) si sono commessi molti errori, alcuni quasi inevitabili, altri
evitabili, in un primo periodo forzatamente sperimentale, ed è
augurabile che non si ripetano, e chi sa che si riducano anche i secondi;
3) i Paesi produttori di petrolio, i nuovi ricchi, stanno introitando
grossi redditi che pure dovranno essere impiegati in acquisti di prodotti
industriali dai Paesi più avanzati: il Mezzogiorno è
particolarmente vicino alla area petrolifera che gravita sul Mediterraneo.
Con ciò il Mezzogiorno guadagna, in distanza, la possibilità
di accesso ai nuovi mercati di sbocco (acquirenti). E' una giusta
compensazione al vantaggio che le regioni del Nord, d'Italia hanno
avuto con l'istituzione del Mercato comune e con il conseguente più
facile (breve) accesso ai ricchi mercati dell'Europa centrale e settentrionale.
Questa volta, almeno questa volta, la geoeconomia viene a favorire
il nostro Sud.

Le agevolazioni
Impianti e attrezzature
per la conservazione, trasformazione e distribuzione dei prodotti
agricoli: concessione di contributi a fondo perduto fino al 50% della
spesa ritenuta ammissibile, e fino al 60% nel caso di coltivatori
diretti associati; concessione, da parte di determinati istituti di
credito, di mutui a tasso ridotto per la parte di spesa non coperta
dal contributo; servizio di assistenza tecnica;
Incentivi sul capitale investito nella silvicoltura da legno, dalla
fase vivaistica a quella dell'utilizzazione industriale dei prodotti;
incentivi per la produzione intensiva di carne, (bovina, suina, ovina),
e per la creazione di adeguate strutture aziendali; regime di premi
destinati agli allevamenti ed alla foraggicoltura; incentivi, anche
comunitari, per lo sviluppo dell'agrumicoltura (Sicilia, Calabria,
Basilicata);
Per le piccole e medie imprese (quelle che realizzano impianti industriali
con investimenti fissi compresi fra 100 milioni e un miliardo e mezzo
di lire): finanziamento a tasso agevolato nella misura fissa del 35%
dell'investimento globale (comprendente anche la quota per le scorte
nella misura massima del 40% dell'investimento fisso); contributo
in conto capitale nella misura del 35% degli investimenti fissi comprendenti
opere murarie, allacciamenti, macchinari e attrezzature; ove tali
imprese si localizzino in aree di particolare spopolamento, il contributo
è concesso nella misura del 45%, oltre un ulteriore contributo,
nel limite massimo del 5% degli investimenti fissi, per la realizzazione
di piccole opere di infrastruttura specifica e per l'addestramento
della manodopera; queste stesse agevolazioni sono estese alle iniziative
a carattere industriale con investimenti fissi inferiori a 100 milioni
di lire, comprese quelle promosse dalle imprese artigiane;
Per le imprese di media dimensione (quelle che realizzano iniziative
con investimenti fissi compresi tra un miliardo e mezzo e cinque miliardi
di lire): finanziamento a tasso agevolato in misura variabile tra
il 35% e il 50% dei l'investimento globale; contributo in conto capitale
in misura variabile tra il 15 e il 20% degli investimenti fissi;
Per le imprese di grande dimensione (quelle che realizzano impianti
industriali con investimenti superiori a cinque miliardi di lire)
sarà direttamente il CIPE (Comitato Interministeriale per la
Programmazione Economica), in sede di "contrattazione programmata",
a determinare: il finanziamento a tasso agevolato, previsto in misura
variabile dal 30% al 50% dell'investimento globale; il contributo
in conto capitale, previsto nella misura variabile dal 7% al 12% degli
investimenti fissi;
Per il settore turistico: mutui a tasso agevolato fino al 50% delle
spese ammesse a finanziamento, ad opera degli Istituti di Credito
abilitati al credito alberghiero; il mutuo è elevabile al 75%
per iniziative di particolari caratteristiche di turismo sociale;
durata massima dei finanziamento, 20 anni; contributo in conto capitale
nella misura massima del 15% della spesa riconosciuta ammissibile.