Nord e Sud piú vicini




Guglielmo Tagliacarne



Se mettiamo da una parte tutto quello che si è scritto e detto sull'industrializzazione del Mezzogiorno, e dall'altra quello che è stato conseguito a questo riguardo, dovremmo concludere che le parole e le promesse sono state tante, ma i fatti assai meno.
Sulla necessità di sviluppare le attività industriali nel Mezzogiorno per elevarne le condizioni economiche e riscattarlo dall'antico stato di depressione e povertà, tutti sono d'accordo, anche se giustamente si sostiene l'opportunità di curare, aiutare e migliorare l'agricoltura, che nel Mezzogiorno rappresenta pur sempre un fattore molto importante. Guai a trascurarla.
I sostenitori dell'industrializzazione nel Mezzogiorno che si sono battuti con estremo vigore sono tanti: basti citare Pasquale Saraceno, che da lungo tempo e in molteplici occasioni ne ha difeso e dimostrato l'estremo bisogno. Del resto è facile constatare che laddove l'industria è avanzata, anche il reddito e il tenore di vita della popolazione sono elevati: si confrontino il Piemonte e la Lombardia, da un lato, con quote di reddito proveniente dalle attività industriali pari al 55 per cento dei rispettivi redditi complessivi regionali e, per contro, la Calabria, con la quota del 24 per cento.
Anche gli organi comunitari, per determinare il grado di depressione delle regioni alle quali assegnare dei contributi finanziari nell'intento di operare una certa perequazione comunitaria, adottano come uno degli indicatori più importanti quello della scarsa industrializzazione. Stabilita quindi senza ombra di dubbio l'assoluta necessità di sviluppare le attività industriali nel Sud, ci si chiede a che punto stiamo; cioé che cosa si è fatto in concreto. Qualcuno sarà pronto a rispondere: non si è fatto niente, si sono commessi errori su errori; è stata una delusione di cui va data la colpa ai successivi governi, all'inefficienza amministrativa, al clientelismo, eccetera.
Al solito, si esagera, si vuol vedere solo i lati negativi senza riconoscere quelli positivi: siamo portati più alla critica, anche aspra, che alla semplice obiettività. Errori, si, ve ne sono stati, nessuno li nega; ma perché non guardare anche a quello che si è fatto? Un viaggio nelle regioni del Mezzogiorno ci mostra quante industrie nuove sono sorte; le potremo nominare: ci vengono sulla punta della penna mentre scriviamo; ma vogliamo piuttosto cercare di dare una misura in cifre globali, che ci sembrano più significative e più concludenti.
E' dal 1951 che calcoliamo ogni anno il reddito prodotto dai vari settori economici nelle singole provincie e regioni italiane. Di anno in anno le variazioni sono generalmente piccole e qualche volta si alternano quelle positive con quelle negative in una o l'altra parte d'Italia. Ma a distanza di quasi un quarto di secolo si può vedere quali sono state le trasformazioni avvenute. Limitiamoci all'esame del settore industriale, di cui stiamo occupandoci, e riferiamoci al Mezzogiorno. Le cifre di cui disponiamo a questo riguardo sono molte, ma qui diamo solo quelle essenziali. Nel 1951 il reddito prodotto dalle attività industriali nel Mezzogiorno rappresentava una quota del 15 per cento del totale di tali attività di tutta Italia; ora la quota è salita al 18 per cento; ancora modesta, ma in aumento non trascurabile.
In alcune province si è constatato uno sbalzo notevolissimo. Confrontando il 1973 rispetto al 1951, si apprende che in questo periodo di quasi un quarto di secolo si è avuto nella media italiana un aumento del reddito industriale di otto volte, ma l'incremento è stato di oltre venti volte nelle quattro province (sulle 94 di tutta Italia) che figurano alla testa della graduatoria degli aumenti: sono le province di Latina, Siracusa, Matera e Sassari: come si vede, tutte e quattro appartengono al Mezzogiorno (comprendiamo anche Latina, inclusa nelle attribuzioni della Cassa per il Mezzogiorno).
Ma vogliamo offrire a quei lettori, che hanno la pazienza di seguirci nei nostri calcoli, il risultato di una elaborazione non consueta, che ci sembra molto utile per compendiare in una sola cifra lo spostamento territoriale verificatosi dal 1951 al 1973 per il reddito industriale. Questo nuovo calcolo è riferito ai baricentri, per i quali si immagina concentrato tutto il reddito prodotto dalle attività industriali in un unico punto del territorio nazionale (è un calcolo un poco complesso, che tiene conto delle quote di reddito prodotto in ciascuna provincia, secondo le corrispondenti coordinate geografiche; qui, ovviamente, non è il caso di addentrarci nella metodologia). Ecco che cosa si è ricavato: il baricentro del reddito industriale si è spostato dal 1951 al 1973 di 29 chilometri verso sud. Per contro, il baricentro di tutta la popolazione si è invece spostato di 17 chilometri verso nord. Pertanto i due baricentri si sono sensibilmente avvicinati: la distanza era di 185 chilometri nel 1951 e si è ridotta a 145 chilometri nel 1973. In altri termini: Nord e Sud si sono avvicinati. L'ideale sarebbe che i due baricentri si sovrapponessero (perfetta equidistribuzione); ma ciò non è praticamente possibile. D'altro canto, si tratta di una media di tutte le province, la quale si presta alle solite obiezioni contro le medie. Ma con tutto ciò, questi dati ci sembrano importanti - e anche nuovi - abbiamo voluto farne menzione in questo articolo a dimostrazione che un certo risultato positivo è stato raggiunto sulla via dell'industrializzazione del Mezzogiorno.
Il miglioramento, se si considera il periodo abbastanza lungo preso in esame e le ingenti spese sostenute dal bilancio pubblico, può lasciarci insoddisfatti, ma non dobbiamo negare che c'è stato: se pure non ci soddisfa, non è disprezzabile.
Esso è destinato ad ampliarsi in un futuro abbastanza prossimo per evidenti ragioni: 1) per creare uno stabilimento industriale occorrono anni, e perché esso produca un reddito (quindi compaia nelle relative statistiche) ne occorrono molti di più: vale a dire, la statistica ritarda ad esprimere il risultato delle nuove attività; 2) si sono commessi molti errori, alcuni quasi inevitabili, altri evitabili, in un primo periodo forzatamente sperimentale, ed è augurabile che non si ripetano, e chi sa che si riducano anche i secondi; 3) i Paesi produttori di petrolio, i nuovi ricchi, stanno introitando grossi redditi che pure dovranno essere impiegati in acquisti di prodotti industriali dai Paesi più avanzati: il Mezzogiorno è particolarmente vicino alla area petrolifera che gravita sul Mediterraneo. Con ciò il Mezzogiorno guadagna, in distanza, la possibilità di accesso ai nuovi mercati di sbocco (acquirenti). E' una giusta compensazione al vantaggio che le regioni del Nord, d'Italia hanno avuto con l'istituzione del Mercato comune e con il conseguente più facile (breve) accesso ai ricchi mercati dell'Europa centrale e settentrionale. Questa volta, almeno questa volta, la geoeconomia viene a favorire il nostro Sud.

Le agevolazioni

Impianti e attrezzature per la conservazione, trasformazione e distribuzione dei prodotti agricoli: concessione di contributi a fondo perduto fino al 50% della spesa ritenuta ammissibile, e fino al 60% nel caso di coltivatori diretti associati; concessione, da parte di determinati istituti di credito, di mutui a tasso ridotto per la parte di spesa non coperta dal contributo; servizio di assistenza tecnica;
Incentivi sul capitale investito nella silvicoltura da legno, dalla fase vivaistica a quella dell'utilizzazione industriale dei prodotti; incentivi per la produzione intensiva di carne, (bovina, suina, ovina), e per la creazione di adeguate strutture aziendali; regime di premi destinati agli allevamenti ed alla foraggicoltura; incentivi, anche comunitari, per lo sviluppo dell'agrumicoltura (Sicilia, Calabria, Basilicata);
Per le piccole e medie imprese (quelle che realizzano impianti industriali con investimenti fissi compresi fra 100 milioni e un miliardo e mezzo di lire): finanziamento a tasso agevolato nella misura fissa del 35% dell'investimento globale (comprendente anche la quota per le scorte nella misura massima del 40% dell'investimento fisso); contributo in conto capitale nella misura del 35% degli investimenti fissi comprendenti opere murarie, allacciamenti, macchinari e attrezzature; ove tali imprese si localizzino in aree di particolare spopolamento, il contributo è concesso nella misura del 45%, oltre un ulteriore contributo, nel limite massimo del 5% degli investimenti fissi, per la realizzazione di piccole opere di infrastruttura specifica e per l'addestramento della manodopera; queste stesse agevolazioni sono estese alle iniziative a carattere industriale con investimenti fissi inferiori a 100 milioni di lire, comprese quelle promosse dalle imprese artigiane;
Per le imprese di media dimensione (quelle che realizzano iniziative con investimenti fissi compresi tra un miliardo e mezzo e cinque miliardi di lire): finanziamento a tasso agevolato in misura variabile tra il 35% e il 50% dei l'investimento globale; contributo in conto capitale in misura variabile tra il 15 e il 20% degli investimenti fissi;
Per le imprese di grande dimensione (quelle che realizzano impianti industriali con investimenti superiori a cinque miliardi di lire) sarà direttamente il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), in sede di "contrattazione programmata", a determinare: il finanziamento a tasso agevolato, previsto in misura variabile dal 30% al 50% dell'investimento globale; il contributo in conto capitale, previsto nella misura variabile dal 7% al 12% degli investimenti fissi;
Per il settore turistico: mutui a tasso agevolato fino al 50% delle spese ammesse a finanziamento, ad opera degli Istituti di Credito abilitati al credito alberghiero; il mutuo è elevabile al 75% per iniziative di particolari caratteristiche di turismo sociale; durata massima dei finanziamento, 20 anni; contributo in conto capitale nella misura massima del 15% della spesa riconosciuta ammissibile.


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