§ Custodia di memorie storiche e leggende gentili

Torri costiere salentine




Enzo Panareo



Vestigia di un tempo ferrigno, quando le invasioni dei predoni dal mare rendevano precaria la vita degli abitanti dei villaggi rivieraschi e di quelli dei comuni ali" interno, testimoniano, a distanza di secoli, l'accorta disposizione alla difesa.

Alte, maestose nella severa semplicità delle linee architettoniche, alla sommità di leggeri pendii o nei pressi di angusti corsi d'acqua. tra ciuffi di lentischi e di caprifichi che hanno preso capricciosamente dimora nelle commessure delle pietre corrose dal salino, le torri costiere salentine si specchiano in un mare ora d'indaco sotto il cielo d'un azzurro tersissimo, ora plumbeo sotto il cielo grigio per lo scirocco.
Di alcune di esse, crollate e del tutto cancellate dal paesaggio, si conserva il ricordo nelle carte d'archivio o in testi vetustissimi sui quali ricercatori pazienti hanno intessuto la trama avventurosa della loro esistenza.
Le superstiti, quasi tutte abbandonate perché in parte dirute, in parte pericolanti, danno nelle notti buie rifugio a pescatori ed a contrabbandieri che colti dalla tempesta sono stati portati alla deriva sotto costa.
In un paesaggio immobile ed incantato nella gelosa custodia di memorie millenarie, le torri conservano il segno dei secoli o sotto nomi di santi o sotto leggende a volta truci, a volta gentili, sempre, comunque, misteriosamente romantiche che, a decifrarle, rivelano episodi storici di sconvolgente verità umana.
Le circonda, in un terreno brullo dove il grigio della pietra prevale sulla incerta vegetazione spontanea, un silenzio carico di significati ed interrotto, a tratti, dal percuotersi delle onde sotto la costa nelle giornate in cui, secondo la loro esposizione, imperversa la tramontana o lo scirocco. Talvolta, invece, circonda la loro massiccia forma quadrata o circolare, un volo rapido di gabbiani che rapidamente si riportano sul mare per afferrare la preda. D'inverno, emergenti dalla pesante coltre di foschia che si leva dal mare, danno l'idea di numi tutelari evocati dalla fantasia popolare, d'estate invece, sotto il sole implacabile, restituiscono il colore bruno lucente della pietra percorsa dalla fuga della lucertola.
Vestigia di un tempo ferrigno, quando le invasioni dei predoni dal mare rendevano precaria la vita degli abitanti dei villaggi rivieraschi e di quelli dei comuni all'interno, le torri costiere salentine di quel tempo testimoniano oggi, a distanza di secoli, l'accorta disposizione alla difesa. Hanno, quasi tutte, nomi di santi di una lontana liturgia, assunti nei secoli scorsi, quando l'ingenua devozione di contadini e di pescatori le chiedeva, da vicine chiesuole delle quali il tempo ha fatto giustizia ed il cui ricordo è tramandato unicamente dalla denominazione popolare della torre.
Seguendo il periplo capriccioso dell'intera penisola salentina, di esse, tra distrutte o abbandonate in condizioni fatiscenti - ma molte restano, oggi ancora, integre nella solennità della loro costruzione -, se ne contano, sulla testimonianza degli storici che ne hanno compilato e ne hanno, poi, integrato l'inventario, circa ottanta disposte, secondo una intelligente strategia di difesa, in luoghi opportuni all'avvistamento del pericolo incombente, onde dar tempestivamente l'allarme ai contingenti di truppe pronte ad intervenire.


Sono quasi tutte - costruite ad intervalli di tempo più o meno lunghi - del secolo XVI, della cui impronta architettonica, tenendo conto della loro collocazione e della loro destinazione,- conservano puntualmente i tratti. Pochi o niente orpelli, sulla scorta della buona tradizione dell'architettura militare, ma l'essenziale in merlature o in elementi aggettanti, con cavità e feritoie richieste dalla funzione, in maniera da sveltire la sagoma e rendere, infine, l'insieme meno pesante di quanto nell'idea non fosse. D'altronde, opere militari non destinate all'abitazione, ad uno stanziamento cioè lungo ed in condizioni d'isolamento, le torri costiere nella costruzione e nella disposizione interna riflettono le esigenze immediate di turni di guardia periodicamente rinnovantisi. Mancano, per fare un caso, di scale interne in muratura. Gli uomini di vedetta, infatti, utilizzano scale di legno che, una volta usate, venivano ritirate onde impedire agli invasori che fossero riusciti a toccar terra la scalata. Pochi, d'altronde, anche gli ambienti interni, pochi e semplici nel loro allestimento, l'indispensabile cioè a soggiorni brevi da impiegare esclusivamente alla guardia della costa e ad una prima difesa.
I loro tempi di costruzione, la cui discontinuità è giustificata dalle contingenze che ne dettavano l'esigenza, rivelano inoltre i diversi vicereami sotto i quali furono costruite. Tutto ciò si offre, inoltre, come giustificazione delle, forme e strutture diverse che presentano. Alcune di queste torri infine, sorsero per iniziativa di privati ai quali il governo le sottrasse, avendone riconosciuta la pubblica utilità. Tutte, in ogni caso, orlavano la costa in maniera che i messaggi, trasmessi dall'una all'altra torre e da queste all'interno, giungessero rapidamente alle truppe che dovevano intervenire nel momento in cui fosse stato dato l'allarme. Di giorno questi messaggi, una volta fatto l'avvistamento, erano dati con il fumo, con il fuoco, invece, se l'allarme era di notte. Ma gli intervalli da torre a torre erano perlustrati attentamente dai cavallari, uomini cioè a cavallo, i quali non trascuravano alcun anfratto della costa durante il loro servizio.
Generalmente, le torri che si fanno risalire alla prima metà del secolo XVI hanno forma rotonda, mentre quelle successive, della seconda metà dello stesso secolo, hanno forma quadrata allo scopo di consentire un buon piazzamento delle artiglierie sui quattro lati della costruzione.
Si divide, pertanto, in due tempi l'arco della loro costruzione. Il primo va dal 1519 alla metà circa del secolo, essendo imperatore Carlo V e vicerè d. Pietro di Toledo. Risulta, comunque, che all'inizio non se ne costruirono molte in quanto le poche che dovevano essere costruite a spese del governatore furono effettivamente costruite, mentre i privati ai quali, per ordine reale, toccava sostenere le spese della costruzione delle altre, non eseguirono l'ordine.
Il secondo tempo della loro costruzione va, invece, dal 1559 circa al 1571, sotto il vicerè d. Parafan di Ribera o Pietro di Ribera, duca di Alcalà, il quale venuto a conoscenza del proposito dei Turchi di espugnare Malta, dopo aver inviato alcune guarnigioni a Taranto, a Gallipoli, a Otranto, a Brindisi, a Monopoli a Bari ed in altre città della costa, dette inizio alla costruzione delle torri sulla costa ordinando, peraltro, agli ingegneri regi, ai quali era affidato il compito delle opere di difesa del vicereame, di erigerne altre lungo tutta la fascia costiera del Reame. Nel frattempo, cominciavano a sorgere le torri volute da privati ai quali, come s'è detto, il governo, accertatane la consistenza e l'efficacia, le tolse.
Va rilevato che non sempre i cavallari di guardia nelle torri costiere furono all'altezza del loro compito. Distratti il più delle volte, ma addirittura conniventi con i predoni o con contrabbandieri che trafficavano illecitamente lungo le coste del reame e particolarmente lungo le coste del Salento, frequentate da predoni o da gente di altri paesi. Infatti, nel 1556 fu eretto in Napoli il Tribunale della general salute, dal quale dipendevano i Deputati provinciali di salute i quali, come dice il Coco, che è stato uno dei più appassionati e sicuri studiosi di questi monumenti, "richiamarono i cavallari delle torri ai loro doveri".
D'altronde, le torri costiere non erano adibite soltanto all'avvistamento di invasori che potessero insidiare dal mare le coste del reame, esse avevano, inoltre, anche compiti di controllo sulle imbarcazioni in quarantena.


Alterne furono le fortune delle torri costiere fortune legate, più che altro, alle vicissitudini storiche sul piano generale ed alla intensità delle insidie che minacciavano le coste del regno dal mare. Si sa, comunque, che nel 1748 il numero complessivo di esse era, lungo tutta la fascia costiera, di 379, delle quali circa 80 in Terra d'Otranto, secondo la testimonianza del Marciano, confermata dal Coco e dagli altri studiosi che successivamente affrontarono l'argomento. Non tutte queste torri, come s'è detto, malgrado la loro riconosciuta utilità, ebbero vita facile: molte, come sostiene il Coco, cominciarono subito a crollare "o per mancanza di manutenzione, o per frodi commesse nella loro costruzione". In ogni caso, tra il restauro di quelle che andavano subito in rovina e la costruzione delle nuove torri, ordinata dal governo o per iniziativa di privati, non è possibile indicare l'epoca in cui si smise di costruirne definitivamente e le date indicate nei due tempi valgono a puro titolo indicativo.
Il mantenimento degli uomini di guardia, con ordine del 15 Ottobre 1612, del Conte Lemos, fu naturalmente attribuito ai comuni nel cui feudo rientravano le torri o che più direttamente erano interessati alla difesa immediata.
Tuttavia, malgrado la presenza delle torri ed il servizio continuo effettuato dai cavallari, malgrado le forti artiglierie delle quali le torri, ad un certo momento, furono dotate, artiglierie che prontamente intervenivano una volta che il nemico fosse venuto a tiro, le scorrerie non diminuivano, tanto che, piuttosto che stare sulla difesa, fu necessario, quando sulla sponda opposta si localizzava l'insidia, andare all'attacco per cercare di sopprimere i focolai dai quali partivano le scorrerie. A queste poi, per rendere il quadro economico delle provincie del regno quanto più triste possibile, si aggiungevano - nel contesto di un vicereame di carattere feduale tutto centralizzato che non teneva conto delle condizioni socio-economiche delle provincie periferiche -, carestie, pestilenze e, dice sempre il Coco che sull'argomento ha raccolto il maggior numero di dati opportunamente elaborandoli, "l'intolleranza dei reggitori delle provincie".
Per far fronte alle incursioni piratesche, in un secondo momento, fu incrementato il servizio di vigilanza delle torri e furono incrementate le artiglierie. Comunque, tutto il servizio fu riorganizzato per quanto era possibile in un territorio vasto, amministrativamente non certo un modello di organizzazione e nelle mani di ufficiali governativi che reggevano la cosa pubblica secondo una maniera che non si discostava di molto da quella feudale. Già nel 1712 lo stato stabiliva di vendere alcune delle torri mostrando così di cominciare a disinteressarsene, ma nel 1720, di nuovo, in seguito alla ripresa delle incursioni, lo stato riprese anche ad occuparsi delle torri. Finalmente, nel 1798, fu ordinato che le provincie dovevano provvedere alle opere di difesa a spese delle università, ma quando, nel 1825, il governo fece eseguire una indagine sullo stato delle torri, si trovò che queste erano quasi tutte abbandonate e stavano per andare in rovina.
Secondo l'inventario steso dal Marciano, ricordato poi dal De Giorgi, si contarono -limitatamente alla Terra d'Otranto - 24 torri per il territorio di Taranto, altrettante per quello di Gallipoli, 9 per quello di Castro, 15 per quello di Otranto e 7 per quello di Brindisi.


Non poche di queste opere di difesa trassero, come s'è detto, nomi da santi assunti da vicine chiesuole preesistenti alla torre o costruite dopo: torre S. Emiliano, dalla chiesa omonima oggi scomparsa, nei pressi di Badisco, torre S. Palascia, scomparsa, dalla chiesetta anch'essa scomparsa sicchè il nome è rimasto alla località, torre S. Stefano, allo stato di rudere ormai, torre S. Andrea; torre dell'Orso, secondo la dizione odierna, che era stata torre S. Orso. In tutta la penisola salentina, in ogni caso, le torri che trassero denominazione da santi furono ventuna.
Altre torri trassero denominazione dalla, conformazione della costa. Connessa alla torre del Catriero, o del Pizzo, c'è una toccante leggenda d'amore e di morte. Florilanda, bella fanciulla di umili origini, andò sposa di Flavio, un giovane alabardiere di guardia alla torre. Nel giorno della Pasqua delle Rose la bella Florilanda andò, vestita da sposa secondo la consuetudine, con un gruppo di amiche verso la torre per rivedere il suo sposo. I due giovani s'attardarono nel convegno per cui, venuta la notte, Flavio si diresse al suo posto di guardia e la bella Florilanda, a sua volta, fece per tornare a casa, ma, perduta la strada, e le amiche, tornò indietro verso il suo Flavio che, insospettito dal rumore che la fanciulla faceva sotto la costa sugli scogli, l'assalì e la trafisse con la sua arma. Sgomento Flavio, quando s'accorse del tragico errore, depose il corpo di Florilanda, ormai esamine, in una barca e con questa s'allontanò nel mare non facendo più ritorno. Ancora oggi la fantasia popolare vede posarsi di notte sulla torre due bianchi gabbiani che al mattino rapidamente s'allontanano verso il mare lontano. Oggi, d'altronde, soltanto i gabbiani sono gli assidui frequentatori delle torri.
Alte, superbe pur nella rovina, stagliantisi sull'orizzonte che cela lontani lidi, al cospetto di un mare che al mattino giuoca con i riverberi del sole che si leva, ed al tramonto si fonde con il rosso del sole che tramonta, esse sfidano non più l'insidia dell'invasore, ma quella, sempre in agguato, del tempo che ,avanzando le rende sempre più misteriosamente suggestive.
Ma il loro tempo più bello è la notte. Di notte, infatti, mentre la luna mollemente si adagia sulle onde delle quali suscita il moto, sembra che da esse si levi come un canto fondo, nel quale leggende maliose intrecciano la fiaba della vita, il canto di una terra che ancora chiede al tempo ed agli uomini il compimento del suo destino.


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