Vestigia
di un tempo ferrigno, quando le invasioni dei predoni dal mare rendevano
precaria la vita degli abitanti dei villaggi rivieraschi e di quelli
dei comuni ali" interno, testimoniano, a distanza di secoli, l'accorta
disposizione alla difesa.
Alte, maestose
nella severa semplicità delle linee architettoniche, alla sommità
di leggeri pendii o nei pressi di angusti corsi d'acqua. tra ciuffi
di lentischi e di caprifichi che hanno preso capricciosamente dimora
nelle commessure delle pietre corrose dal salino, le torri costiere
salentine si specchiano in un mare ora d'indaco sotto il cielo d'un
azzurro tersissimo, ora plumbeo sotto il cielo grigio per lo scirocco.
Di alcune di esse, crollate e del tutto cancellate dal paesaggio,
si conserva il ricordo nelle carte d'archivio o in testi vetustissimi
sui quali ricercatori pazienti hanno intessuto la trama avventurosa
della loro esistenza.
Le superstiti, quasi tutte abbandonate perché in parte dirute,
in parte pericolanti, danno nelle notti buie rifugio a pescatori ed
a contrabbandieri che colti dalla tempesta sono stati portati alla
deriva sotto costa.
In un paesaggio immobile ed incantato nella gelosa custodia di memorie
millenarie, le torri conservano il segno dei secoli o sotto nomi di
santi o sotto leggende a volta truci, a volta gentili, sempre, comunque,
misteriosamente romantiche che, a decifrarle, rivelano episodi storici
di sconvolgente verità umana.
Le circonda, in un terreno brullo dove il grigio della pietra prevale
sulla incerta vegetazione spontanea, un silenzio carico di significati
ed interrotto, a tratti, dal percuotersi delle onde sotto la costa
nelle giornate in cui, secondo la loro esposizione, imperversa la
tramontana o lo scirocco. Talvolta, invece, circonda la loro massiccia
forma quadrata o circolare, un volo rapido di gabbiani che rapidamente
si riportano sul mare per afferrare la preda. D'inverno, emergenti
dalla pesante coltre di foschia che si leva dal mare, danno l'idea
di numi tutelari evocati dalla fantasia popolare, d'estate invece,
sotto il sole implacabile, restituiscono il colore bruno lucente della
pietra percorsa dalla fuga della lucertola.
Vestigia di un tempo ferrigno, quando le invasioni dei predoni dal
mare rendevano precaria la vita degli abitanti dei villaggi rivieraschi
e di quelli dei comuni all'interno, le torri costiere salentine di
quel tempo testimoniano oggi, a distanza di secoli, l'accorta disposizione
alla difesa. Hanno, quasi tutte, nomi di santi di una lontana liturgia,
assunti nei secoli scorsi, quando l'ingenua devozione di contadini
e di pescatori le chiedeva, da vicine chiesuole delle quali il tempo
ha fatto giustizia ed il cui ricordo è tramandato unicamente
dalla denominazione popolare della torre.
Seguendo il periplo capriccioso dell'intera penisola salentina, di
esse, tra distrutte o abbandonate in condizioni fatiscenti - ma molte
restano, oggi ancora, integre nella solennità della loro costruzione
-, se ne contano, sulla testimonianza degli storici che ne hanno compilato
e ne hanno, poi, integrato l'inventario, circa ottanta disposte, secondo
una intelligente strategia di difesa, in luoghi opportuni all'avvistamento
del pericolo incombente, onde dar tempestivamente l'allarme ai contingenti
di truppe pronte ad intervenire.
Sono quasi tutte - costruite ad intervalli di tempo più o meno
lunghi - del secolo XVI, della cui impronta architettonica, tenendo
conto della loro collocazione e della loro destinazione,- conservano
puntualmente i tratti. Pochi o niente orpelli, sulla scorta della
buona tradizione dell'architettura militare, ma l'essenziale in merlature
o in elementi aggettanti, con cavità e feritoie richieste dalla
funzione, in maniera da sveltire la sagoma e rendere, infine, l'insieme
meno pesante di quanto nell'idea non fosse. D'altronde, opere militari
non destinate all'abitazione, ad uno stanziamento cioè lungo
ed in condizioni d'isolamento, le torri costiere nella costruzione
e nella disposizione interna riflettono le esigenze immediate di turni
di guardia periodicamente rinnovantisi. Mancano, per fare un caso,
di scale interne in muratura. Gli uomini di vedetta, infatti, utilizzano
scale di legno che, una volta usate, venivano ritirate onde impedire
agli invasori che fossero riusciti a toccar terra la scalata. Pochi,
d'altronde, anche gli ambienti interni, pochi e semplici nel loro
allestimento, l'indispensabile cioè a soggiorni brevi da impiegare
esclusivamente alla guardia della costa e ad una prima difesa.
I loro tempi di costruzione, la cui discontinuità è
giustificata dalle contingenze che ne dettavano l'esigenza, rivelano
inoltre i diversi vicereami sotto i quali furono costruite. Tutto
ciò si offre, inoltre, come giustificazione delle, forme e
strutture diverse che presentano. Alcune di queste torri infine, sorsero
per iniziativa di privati ai quali il governo le sottrasse, avendone
riconosciuta la pubblica utilità. Tutte, in ogni caso, orlavano
la costa in maniera che i messaggi, trasmessi dall'una all'altra torre
e da queste all'interno, giungessero rapidamente alle truppe che dovevano
intervenire nel momento in cui fosse stato dato l'allarme. Di giorno
questi messaggi, una volta fatto l'avvistamento, erano dati con il
fumo, con il fuoco, invece, se l'allarme era di notte. Ma gli intervalli
da torre a torre erano perlustrati attentamente dai cavallari, uomini
cioè a cavallo, i quali non trascuravano alcun anfratto della
costa durante il loro servizio.
Generalmente, le torri che si fanno risalire alla prima metà
del secolo XVI hanno forma rotonda, mentre quelle successive, della
seconda metà dello stesso secolo, hanno forma quadrata allo
scopo di consentire un buon piazzamento delle artiglierie sui quattro
lati della costruzione.
Si divide, pertanto, in due tempi l'arco della loro costruzione. Il
primo va dal 1519 alla metà circa del secolo, essendo imperatore
Carlo V e vicerè d. Pietro di Toledo. Risulta, comunque, che
all'inizio non se ne costruirono molte in quanto le poche che dovevano
essere costruite a spese del governatore furono effettivamente costruite,
mentre i privati ai quali, per ordine reale, toccava sostenere le
spese della costruzione delle altre, non eseguirono l'ordine.
Il secondo tempo della loro costruzione va, invece, dal 1559 circa
al 1571, sotto il vicerè d. Parafan di Ribera o Pietro di Ribera,
duca di Alcalà, il quale venuto a conoscenza del proposito
dei Turchi di espugnare Malta, dopo aver inviato alcune guarnigioni
a Taranto, a Gallipoli, a Otranto, a Brindisi, a Monopoli a Bari ed
in altre città della costa, dette inizio alla costruzione delle
torri sulla costa ordinando, peraltro, agli ingegneri regi, ai quali
era affidato il compito delle opere di difesa del vicereame, di erigerne
altre lungo tutta la fascia costiera del Reame. Nel frattempo, cominciavano
a sorgere le torri volute da privati ai quali, come s'è detto,
il governo, accertatane la consistenza e l'efficacia, le tolse.
Va rilevato che non sempre i cavallari di guardia nelle torri costiere
furono all'altezza del loro compito. Distratti il più delle
volte, ma addirittura conniventi con i predoni o con contrabbandieri
che trafficavano illecitamente lungo le coste del reame e particolarmente
lungo le coste del Salento, frequentate da predoni o da gente di altri
paesi. Infatti, nel 1556 fu eretto in Napoli il Tribunale della general
salute, dal quale dipendevano i Deputati provinciali di salute i quali,
come dice il Coco, che è stato uno dei più appassionati
e sicuri studiosi di questi monumenti, "richiamarono i cavallari
delle torri ai loro doveri".
D'altronde, le torri costiere non erano adibite soltanto all'avvistamento
di invasori che potessero insidiare dal mare le coste del reame, esse
avevano, inoltre, anche compiti di controllo sulle imbarcazioni in
quarantena.
Alterne furono le fortune delle torri costiere fortune legate, più
che altro, alle vicissitudini storiche sul piano generale ed alla
intensità delle insidie che minacciavano le coste del regno
dal mare. Si sa, comunque, che nel 1748 il numero complessivo di esse
era, lungo tutta la fascia costiera, di 379, delle quali circa 80
in Terra d'Otranto, secondo la testimonianza del Marciano, confermata
dal Coco e dagli altri studiosi che successivamente affrontarono l'argomento.
Non tutte queste torri, come s'è detto, malgrado la loro riconosciuta
utilità, ebbero vita facile: molte, come sostiene il Coco,
cominciarono subito a crollare "o per mancanza di manutenzione,
o per frodi commesse nella loro costruzione". In ogni caso, tra
il restauro di quelle che andavano subito in rovina e la costruzione
delle nuove torri, ordinata dal governo o per iniziativa di privati,
non è possibile indicare l'epoca in cui si smise di costruirne
definitivamente e le date indicate nei due tempi valgono a puro titolo
indicativo.
Il mantenimento degli uomini di guardia, con ordine del 15 Ottobre
1612, del Conte Lemos, fu naturalmente attribuito ai comuni nel cui
feudo rientravano le torri o che più direttamente erano interessati
alla difesa immediata.
Tuttavia, malgrado la presenza delle torri ed il servizio continuo
effettuato dai cavallari, malgrado le forti artiglierie delle quali
le torri, ad un certo momento, furono dotate, artiglierie che prontamente
intervenivano una volta che il nemico fosse venuto a tiro, le scorrerie
non diminuivano, tanto che, piuttosto che stare sulla difesa, fu necessario,
quando sulla sponda opposta si localizzava l'insidia, andare all'attacco
per cercare di sopprimere i focolai dai quali partivano le scorrerie.
A queste poi, per rendere il quadro economico delle provincie del
regno quanto più triste possibile, si aggiungevano - nel contesto
di un vicereame di carattere feduale tutto centralizzato che non teneva
conto delle condizioni socio-economiche delle provincie periferiche
-, carestie, pestilenze e, dice sempre il Coco che sull'argomento
ha raccolto il maggior numero di dati opportunamente elaborandoli,
"l'intolleranza dei reggitori delle provincie".
Per far fronte alle incursioni piratesche, in un secondo momento,
fu incrementato il servizio di vigilanza delle torri e furono incrementate
le artiglierie. Comunque, tutto il servizio fu riorganizzato per quanto
era possibile in un territorio vasto, amministrativamente non certo
un modello di organizzazione e nelle mani di ufficiali governativi
che reggevano la cosa pubblica secondo una maniera che non si discostava
di molto da quella feudale. Già nel 1712 lo stato stabiliva
di vendere alcune delle torri mostrando così di cominciare
a disinteressarsene, ma nel 1720, di nuovo, in seguito alla ripresa
delle incursioni, lo stato riprese anche ad occuparsi delle torri.
Finalmente, nel 1798, fu ordinato che le provincie dovevano provvedere
alle opere di difesa a spese delle università, ma quando, nel
1825, il governo fece eseguire una indagine sullo stato delle torri,
si trovò che queste erano quasi tutte abbandonate e stavano
per andare in rovina.
Secondo l'inventario steso dal Marciano, ricordato poi dal De Giorgi,
si contarono -limitatamente alla Terra d'Otranto - 24 torri per il
territorio di Taranto, altrettante per quello di Gallipoli, 9 per
quello di Castro, 15 per quello di Otranto e 7 per quello di Brindisi.
Non poche di queste opere di difesa trassero, come s'è detto,
nomi da santi assunti da vicine chiesuole preesistenti alla torre
o costruite dopo: torre S. Emiliano, dalla chiesa omonima oggi scomparsa,
nei pressi di Badisco, torre S. Palascia, scomparsa, dalla chiesetta
anch'essa scomparsa sicchè il nome è rimasto alla località,
torre S. Stefano, allo stato di rudere ormai, torre S. Andrea; torre
dell'Orso, secondo la dizione odierna, che era stata torre S. Orso.
In tutta la penisola salentina, in ogni caso, le torri che trassero
denominazione da santi furono ventuna.
Altre torri trassero denominazione dalla, conformazione della costa.
Connessa alla torre del Catriero, o del Pizzo, c'è una toccante
leggenda d'amore e di morte. Florilanda, bella fanciulla di umili
origini, andò sposa di Flavio, un giovane alabardiere di guardia
alla torre. Nel giorno della Pasqua delle Rose la bella Florilanda
andò, vestita da sposa secondo la consuetudine, con un gruppo
di amiche verso la torre per rivedere il suo sposo. I due giovani
s'attardarono nel convegno per cui, venuta la notte, Flavio si diresse
al suo posto di guardia e la bella Florilanda, a sua volta, fece per
tornare a casa, ma, perduta la strada, e le amiche, tornò indietro
verso il suo Flavio che, insospettito dal rumore che la fanciulla
faceva sotto la costa sugli scogli, l'assalì e la trafisse
con la sua arma. Sgomento Flavio, quando s'accorse del tragico errore,
depose il corpo di Florilanda, ormai esamine, in una barca e con questa
s'allontanò nel mare non facendo più ritorno. Ancora
oggi la fantasia popolare vede posarsi di notte sulla torre due bianchi
gabbiani che al mattino rapidamente s'allontanano verso il mare lontano.
Oggi, d'altronde, soltanto i gabbiani sono gli assidui frequentatori
delle torri.
Alte, superbe pur nella rovina, stagliantisi sull'orizzonte che cela
lontani lidi, al cospetto di un mare che al mattino giuoca con i riverberi
del sole che si leva, ed al tramonto si fonde con il rosso del sole
che tramonta, esse sfidano non più l'insidia dell'invasore,
ma quella, sempre in agguato, del tempo che ,avanzando le rende sempre
più misteriosamente suggestive.
Ma il loro tempo più bello è la notte. Di notte, infatti,
mentre la luna mollemente si adagia sulle onde delle quali suscita
il moto, sembra che da esse si levi come un canto fondo, nel quale
leggende maliose intrecciano la fiaba della vita, il canto di una
terra che ancora chiede al tempo ed agli uomini il compimento del
suo destino.