§ NOSTRO MONDO- INTORNO

L'artigianato salentino nel periodo liberty




Liderosa Petrucci Laudisa



La decorazione si profuse senza inibizioni come simbolo di un ricco ed antico gusto, che si collegava, al di là dei limiti cronologici e geografici, al barocco e al moresco.

All'arte di decadenza che serpeggiava in Europa, alla fine del secolo scorso, si oppose uno stile nuovo, o Art Nouveau, che prese nelle varie nazioni in cui si diffuse forme e denominazioni diverse, talune suggestive (Jugenstijl arte joven) ed altre ironiche (bandwurmstil = stile tenia).
In Italia questo stile fu detto floreale o liberty, e non si configurò mai come uno stile completamente autonomo e capace di impostare un discorso moderno. Va ricordato d'altra parte che alle spalle del movimento europeo v'erano stati revivals storicistici, impropriamente definiti tali, perché nella convinzione di un ritorno del passato, età mitica dell'oro. si ponevano in maniera soprastorica nei confronti della conseguenzialità degli eventi e delle esperienze; queste reviviscenze del passato erano state avvertite in senso nazionalistico dall'Italia nascente, depositaria dei valori di quelle tradizioni. Perciò il fenomeno dei revivals, che nelle altre nazioni è stato solo un punto di partenza solido (almeno così credevano!) per un nuovo agire e quindi aperto a nuove possibilità, come in Horta, Gaudì. Gropius, in Italia è stato imbrigliante proprio per l'insorgere di motivazioni nazionalistiche (Elisabetta Rasy); così scriveva infatti in "Novissima", nel 1901, Gabriele D'Annunzio: "Nell'esistenza di un popolo come il nostro una grande manifestazione d'arte conta assai più di un trattato di alleanza o di una legge tributaria".
Accenno solo brevemente alle interpretazioni opposte che del problema sono state offerte in "Revival", edito da Mazzotta negli ultimi mesi del 1974. Rosario Assunto ritiene il revival come elemento perenne della cultura e capace di superare la transitorietà, dei fatti in una riconquista del passato, mentre G. C. Argan, che pur gli riconosce una continua presenza nell'arte, in quello presente che discende direttamente da quello romantico scorge "un chiarissimo sintomo dell'incapacità dell'arte non solo di situarsi nel proprio tempo, ma di assumere in proprio responsabilità storiche".
I revivals riprendevano gli stili nei loro caratteri più appariscenti e ripetitivi; così avvenne per il neoclassico (termine comprensivo dell'arte greca, romana, etrusca, egiziana, cinquecentesca), per il neogotico, neorococò e neobarocco. E questa inclinazione a recuperare solo alcuni morfemi privati del loro costrutto sintattico originario è tipica del floreale italiano in genere, e salentino, che pur non brillando per originalità linguistiche ha dato vita a realizzazioni interessanti e indicative di una tradizione culturale. Il floreale salentino prosegue un discorso artistico che, analizzato a ritroso, ci porterebbe attraverso le tappe più significative della cultura locale, e cioé dal rococo, barocco e romanico, fino a tempi culturali molto lontani (arte Basiliano-bizantina e della Magna Grecia). Ciò che accomuna queste civiltà è un tenace legame alle tradizioni locali avvertite come un prezioso patrimonio linguistico, e la non-volontà o incapacità di accogliere radicalmente le scelte più rivoluzionarie. Elemento fondamentale dell'arte satentina rimane la parlata popolare ricca di spunti fantasiosi e talvolta istintivi, che per secoli ha mantenuto inalterata la correlazione tra arte ed artigianato. Mentre già a partire dal Rinascimento gli artisti avevano rivendicato la loro autonomia rispetto all'artigianato, nel Salento si può dire che questa separazione di competenze, l'una intellettuale o progettuale e l'altra basata sulla prassi, non viene mai affrontata sistematicamente e si va delineando, potremmo dire per un processo naturale, alla fine del '700, senza peraltro stabilire mai una netta frattura fra un campo e l'altro. Sicché, quando con l'art nouveau si cercò di recuperare e riscattare la manualità artigiana dal semplice mestiere, occupandosi degli aspetti più disparati della cosiddetta arte applicata, il fenomeno fu assorbito nel Salento senza bruschi salti. E' vero che gli architetti o ingegneri provvisti di laurea si dedicavano prevalentemente alla progettazione di edifici pubblici e privati di rilievo, ma tanto per fare qualche esempio, l'ingegnere Franco progetto per la Richard-Ginori, (sorta nel 1896 dalla fusione di due fornaci, e per la quale lavoravano artisti molto noti), dei piatti di finissima porcellana bianca con disegni azzurri di carattere naturalistico; l'ingegnere Politi si occupò in alcuni casi dell'arredamento delle ville da lui ideate, disegnandone anche sedie, tende ed armadi. Ma accanto a loro lavoravano capomastri come il Murrone, al quale si commissionavano opere non meno importanti e rappresentative, che interpretava prevalentemente in senso artigianale, e cioè come superfice disponibile alla decorazione. Quindi quella che in Inghilterra, in Francia o in Germania fu una vera e propria battaglia per l'unificazione (architetto Alexander Koch) o una uguaglianza delle arti (E. Gallé), fu avvertita nel Salento come conferma delle tradizioni; d'altra parte a livello nazionale aveva operato a favore delle arti applicate una rivista ufficiale, ma anche antiaccademica, diretta da C. Boito dal 1891, e denominata "Arte italiana decorativa e industriale".
La decorazione sugli edifici salentini quindi si profuse senza inibizioni come simbolo di un ricco ed antico artigianato collegantesi al di là dei limiti cronologici e geografici al barocco e al moresco; assunse forme vivaci, naturatistiche o astratte, in un disinvolto eclettismo, senza che s'avvertisse in questo contraddizione. Ebbero notevole diffusione sugli archi appiattiti delle finestre le ghirlande di turgida frutta, più che simbolo, espressione immediata nella loro spontaneità della vita; e vediamo così su tanti insignificanti palazzi ottocenteschi, ritornare elementi del barocco locale (e non del romanico) cari a Giuseppe Zimbalo, o i leoni cariatidi. Protedono su questa strada naturalistica non solo le decorazioni a rilievo, ma anche quelle policrome su cemento prodotte su scala industriale dai fratelli Peluso di Tuglie, che con i valori timbrici dei colori sottolineano l'immediatezza del soggetto proposto. Lo stesso Morris aveva propugnato un ritorno alla "natura come fonte di ispirazione nuova contro i noiosi vecchi stili". In queste decorazioni di cemento però si trovano rappresentati con sorprendente spontaneità ed eclettismo elementi classicheggianti (figure mitologiche, puttini festanti), motivi araldici. simbolici e naturalistici (in prevalenza fiori). Accanto a questo esuberante naturalismo che modella persino le balaustre a forma di fiore, si diffonde l'astratta virtuosistica decorazione moresca, che nelle ville Sticchi (Santa Cesarea), Herima, Carissimo, Indraccolo (Lecce), trova la sua più alta affermazione.
Anche nella lavorazione del ferro battuto Si possono rintracciare queste due diverse tendenze, e l'uso di questo metallo fu spesso conseguenziale allo stile dell'edificio, come nel caso del palazzo Tamborino, nella via 95° R. Fanteria di Lecce, ove con agile eleganza quasi rococò avviene la metamorfosi del ferro in fiore; legate invece allo stile moresco sono le alabarde dei cancelli delle ville di questo stile. Interessante è il cancello d'ingresso di Villa Licci a Leuca, tutto giocato su quadrati e rombi, proposta bidimensionale corrispondente agli esercizi progettuali di Hoffmann, con il quale però non propone dei veri legami. Il ferro battuto, che nel periodo floreale divenne un mezzo decorativo molto diffuso, non era certo alle sue prime esperienze, infatti già a partire dal periodo rococò sui balconi, alle balaustre in pietra intagliata, si andavano sostituendo le ringhiere in ferro, e successivamente anche i portali di molti edifici padronali erano commisti di ferro e legno. La lavorazione del legno nel Salento aveva una dignitosa tradizione, e anche dopo il liberty ha avuto suoi cultori molto interessanti, che hanno operato in un artigianato talvolta divenuto artistico, come nel caso di D'Andrea. "Non si potrebbe infatti osservare un oggetto di D'Andrea senza fare riferimento alla composizione dell'arte salentina di cui si sentiva alimentato non tanto per esigenze anagrafico-geografiche, quanto, per libera scelta di una linea sostanziata di estro, fantasia e liberazione di sé" (1). "Tecnicamente, con un processo di trasportazione accuratamente studiato trapassano nel ferro i diversi modi con cui gli architetti e i plasticatori del barocco leccese rendevano la materia conduttrice di luce . . . " (2). Ed oggi, a venti anni dalla sua morte, perdura nei suoi epigoni in moduli privi di spiritualità lo stile da lui creato.
Ma al di là dei risultati che possono includersi in un panorama di provinciale tradizionalismo, il ferro ha dato espressioni veramente liberty in senso europeo.
Nella villa Leuzzi, in Santa Maria di Nardò, il ferro si pone come elemento strutturale portante del grande balcone-pensilina posto asimmetricamente. Come non ricordare in questo modo strutturale di utilizzare il ferro, la facciata della Maison Tassel, di Victor Horta? Dove però la lavorazione del ferro e della pietra, e la forma dell'edificio, sono in stretta interazione, completandosi e significandosi a vicenda, è nel villino che Tito Schipa volle come monumento della sua arte. La forma della facciata, il portone appunto in ferro battuto e il coronamento decorativo dell'edificio ripetono il motivo della lira, affiancata. dall'alloro. Le superfici partecipano con la mossa decorazione a significare l'insieme, riscattandosi - specie nel prospetto - dall'inerzia tipica delle facciate salentine. Questa villa può apparire kitsch, a prima vista, piena com'è di nostalgie decadenti e simboli, ma nella sua intima coerenza e libertina audacia merita una attenzione maggiore, e anche su un piano di valore diverso ricorda il furor inventivo-artigianale di Gaudi. Vorrei citare accanto a questa un'altra villa, quella cioé di Ermanno Cleopazzo, a Squinzano, che presenta una tale cura dei più piccoli dettagli, da sorprendere non poco: le porte, le finestre, i pavimenti (diversi quasi in ogni stanza), le maniglie in ottone della porta principale del piano nobile, la decorazione in cemento policrono dell'esterno, le ringhiere, i timpani delle finestre, sempre rispondono al principio della stilizzazione del fiore, attraverso una gamma di interpretazioni autonome che vanno dal naturalismo al disegno geometrico, quasi astratto. Nel suo complesso, la villa appare un saggio di perizia tecnica del nostro artigianato, un campionario quasi delle sue specializzazioni nei vari materiali: legno, ferro, vetrocemento, pietra intagliata. Nel suo aspetto originario, doveva essere uno degli esempi più unitari dello stile floreale salentino, ora purtroppo possiamo solo vederne una parte e ricostruire mentalmente la sua bellezza: è andata perduta infatti la grande cupola a vetri colorati dell'androne, e dei vetri delle finestre bianco-verdi non rimane che lo specchio più alto e piccolo. E' un vero peccato che una costruzione così interessante, già devastata nel periodo fascista, venga oggi tanto trascurata e persino modificata.
Le soluzioni formali attuate col ferro battuto, e che ho già indicato, venivano riprese in una produzione non sempre interessante dal punto di vista qualitativo, poiché l'utilizzazione di questo materiale non si limitò alte applicazioni più impegnative ma, come sempre accade, allargò il suo repertorio a realizzazioni meno appariscenti e soggette a scadimenti: voliere, serre, tavoli e sedie da giardino, lampade, candelabri (questi ultimi spesso di sapore rinascimentale).
Ricordo appena, per le loro qualità stilistiche, anche se talora al di fuori dei limiti convenzionali della cronologia floreale, le pensiline di alcuni Hotels leccesi (Patria, Risorgimento, Toscano), che si ricollegano allo stile Metrò napoletano; e, per il loro accentuato naturalismo, le cicogne reggilampada del palazzo Angiolille e del palazzo delle Poste.
Cito appena la lavorazione della cartapesta, che nel periodo si attardava su schemi borghesi e pietistici ottocenteschi, solo per quelle realizzazioni che le si possono alla lontana affiancare; infatti, sotto campane di vetro, oltre ai santi, si ponevano grappoli di fiori e immagini simboliche ottenute con materiali vari, come coralli, madreperle, argento, e che alle immagini dei santi si ricollegano per il loro carattere votivo. In queste composizioni mi pare di scorgere una capacità inventiva e una libertà fantastica vicina al gusto floreale.
I mobilieri erano fondamentalmente degli intagliatori, (ne rimane tuttora qualche erede), che si esprimevano attraverso una fitta decorazione. Per comodità li possiamo suddividere in due categorie, una legata a forme rinascimentali con l'inserimento di figure zoomorfo-romaniche, e l'altra più precisamente floreale.
Come ho già indicato, queste due categorie le individuiamo solo per esemplificare la lettura delle attività ebanistiche del periodo. poiché accadeva frequentemente che un artigiano adoperasse l'uno o l'altro stile, indifferentemente, anche nello stesso mobile. Infatti, si possono rintracciare ancora mobili liberty con sbalzi bronzei e ceselli di gusto barocco o rinascimentale su mobili di struttura floreale. Un altro aspetto tipico del mobile floreate salentino che si può ricollegare a quello nazionale ed internazionale è il gusto per una concatenazione (un vero monoblocco) di vari mobili in un corpo unico.
Nel floreale salentino, come peraltro in quello italiano, non si evidenzia la struttura dell'oggetto che risulta compatto, poco mosso; si preferisce, nel costruire, l'ordinato impianto simmetrico, e rari sono i casi in cui si assiste al riscatto da questo canone classico. L'interno delle abitazioni, gli atri dei palazzi, rispondono quasi sempre a rigide leggi geometriche, che denunciano un concetto dello spazio e del tempo come elementi universali, oggettivi, esterni all'uomo e prima dell'uomo, che può intervenire solo sugli aspetti velleitari di essi, quelli cioé che non inficiano la struttura fondamentale di quei valori. E questo rispecchia anche il carattere conservatore della classe aristocratico-borghese al potere, che commissionava opere rappresentative della legittimità della sua autorità, sancita da leggi umane e divine. Il Salento si attardava ancora nei primi decenni del '900 sul concetto del prestigio morale dell'aristocrazia e su quello economico del latifondo. Le stesse opere sono il chiaro sintomo di questi aspetti; si realizzarono infatti cappelle e ville gentilizie, queste ultime somiglianti in alcuni casi a fortezze e in altri a regge fastose, pur nelle ridotte dimensioni. Accanto alle commissioni di ville, ci furono quelle di palazzi con appartamenti da affittare, stabilimenti vinicoli, sintomo questo che il letargo economico dell'area si andava concludendo, anche se la sua attività era fondamentalmente di carattere speculativo e poche volte imprenditoriale: fatto, questo, che perdura ai nostri giorni.
Ritornando all'artigianato, mi pare opportuno concludere con un invito ad una riqualificazione, in senso estetico, organizzativo e promozionale, di quello attuale, che rappresenta nella sua continuità un'antica e valida tradizione.

N 0TE

1) Elio Filippo Accrocca, Antonio D'Andrea, De Luca, 1972, pag. 12.
2) G. C. Argan, Antonio D'Andrea, De Luca, 1972, pag. 18.


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