La basilica galatinese di Santa Caterina d'Alessandria




Francesca Petroni Castellett



I restauri sono bloccati per la mancanza di fondi. Rischia così di subire danni incalcolabili un monumento prezioso non solo come testimonianza artistica e culturale, ma anche come richiamo turistico.

Negli ultimi anni, grazie anche alla maggiore mobilità dovuta al decentramento regionale e al fervore di attività che l'ha accompagnato, si è assistito a un rilancio economico-turistico e culturale del Meridione e, ci sembra, della Puglia in particolare. Specie durante i mesi estivi, poi, i giornali italiani sembra scoprano la estrema punta orientale del nostro paese, non più fermandosi alle pendici del Gargano e della Foresta Umbra. Escono così articoli e articoli che non si limitano a parlare del mare e delle coste, delle bellezze naturali e dei "trulli" di Alberobello, ma citano Martina Franca, i suoi palazzi barocchi, i mille balconi in ferro battuto, la cattedrale d'Otranto con i suoi mosaici, la chiesa dei SS. Cosma e Damiano a Conversano con i suoi rari e puri affreschi barocchi, la particolare struttura urbanistica di Polignano a Mare, un intrico di vicoli e case bianche che si affacciano a picco sulle onde. Si legge allora anche della basilica di Santa Caterina a Galatina, macroscopico esempio della negligenza con cui, sino a oggi, non solo il mondo economico, ma anche quello culturale si è occupato di quei luoghi. Stiamo infatti parlando di un edificio che racchiude uno dei più importanti e, nonostante questo, meno noti cicli di affreschi di tutta Italia e in particolare del Meridione, paragonabile per imponenza solo a quello della basilica Superiore di San Francesco, ad Assisi.
La chiesa, come dice una iscrizione scolpita sul portale minore di sinistra, venne terminata nel 1391 e costruita ex novo per volere e grazie al mecenatismo di Raimondello Orsini del Balzo, discendente di quei Del Balzo che vennero in Italia al seguito di Carlo P d'Angiò, e nipote di quel Raimondo che nel 1335 fece erigere le mura di cinta di Galatina, con le quattro porte.
Nella chiesa si conserva una reliquia appunto di Santa Caterina: un anello che si dice appartenne alla martire alessandrina e che la leggenda vuole abbia riportato in Italia lo stesso Raimondello, al ritorno da un suo viaggio nel Sinai, dove adorò il corpo di Caterina "orando tre giorni in abito di penitente; quindi, nel ripartirsi baciò la mano della santa e, con sacro ardire, strappò coi denti quel dito che teneva l'anello donatole da Cristo", come si legge in una "Cronica" settecentesca del Da Lama.
A parte la quinta campata, quella dell'abside, costruita posteriormente, in epoca tardo-gotica, tutto l'edificio, facciata compresa, viene considerato uno dei più tipici esempi dell'arte romanico-pugliese. Questo stile, così originale e imprevisto agli occhi del profano, abituato al rigore delle costruzioni settentrionali, è costituito dall'avvicinamento e in alcuni casi dalla fusione dello stile romanico con quello gotico, fatto dovuto non solo all'epoca. periodo di transizione, ma anche all'adattarsi delle nuove tecniche di costruzione ai materiali e alla "moda" locale.
Basta così entrare in Santa Caterina per notare l'accostamento dei due stili, non casuale, ma naturale sino a creare un complesso armonico, rispondente a un interno rigore costruttivo. Archi a sesto acuto lasciano intravedere archi a tutto sesto, volte a crociera si alternano a volte a botte senza dare alcuna impressione di irregolarità. La chiesa, a cinque navate, ha subito nel tempo varie manomissioni e interventi deleteri, a cominciare dall'antica collocazione del coro nella terza campata, con la distruzione di vari affreschi e il danneggiamento di alcuni pilastri. Lo stesso vale per l'organo eretto nel Seicento e per i vari altari che in epoche diverse vennero costruiti qua e là, tappando finestre, murando angoli, aprendo persino un lucernario, tutti danni cui si riparò negli anni tra il 1930 e il '40, riportando ogni cosa alle forme originali e sistemando il grande organo in fondo all'abside.
Tutte e cinque le navate sono, o meglio erano, grazie alle manomissioni di cui abbiamo parlato, quasi interamente affrescate. Oggi rimangono in prevalenza i cicli più alti. Ma anche questi, grazie all'umidità e al trascorrere del tempo, stavano andando in rovina. La Soprintendenza ai Monumenti e alle Gallerie di Bari ha quindi deciso di intervenire prima che fosse troppo tardi, affidando il restauro degli affreschi al restauratore Carlo Gianto-massi, coadiuvato da una equipe cui io stessa ho appartenuto.
I primi affreschi furono eseguiti verso la fine del trecento, ma morto Raimondello nel 1405, a opera non ancora finita, la sua erede principessa Maria d'Enghien chiamò nuovi pittori di suo gradimento, probabilmente da Napoli, ove era vissuta molto tempo. Fattostà che nuovi affreschi, quelli attuali, ricoprirono i precedenti. Una cosa è certa, e va subito detta, che essi non vennero eseguiti da un unico maestro. Anche se i nomi dei pittori non ci sono noti, tranne uno, Francesco d'Arezzo o d'Ariccia, che nel 1436 firmò un'immagine votiva, la cosa appare evidente per la diversità di stili che si riscontra nei vari cicli e nelle singole scene.
Di attribuzioni, nel tempo, se ne trovano tante, ma in genere di poca fede, quando non incredibili come quella che fa assurdamente il nome di Giotto e dovuta al già citato Da Lama. Solo recentemente, pur non esistendo studi monografici a dare sostanziali e particolareggiati contributi, troviamo in studiosi qualificati accenni e intuizioni che possono aprire la via a future ricerche su questi dipinti. Nella sua "Storia dell'arte", Adolfo Venturi ha collocato la chiesa di Santa Caterina nella cornice della pittura napoletana del quattrocento. Egli però sottolinea come l'origine remota delle pitture debba ricercarsi in Toscana, mentre è solo la loro esecuzione prossima che si deve a influenze partenopee. Quindi aggiunge: "... gli affreschi, eseguiti probabilmente tra il 1410 e il 1445, sono di mani diverse" e "non mancano, specialmente nei Sette Sacramenti e nelle Virtù, forme che attestano qualche rinverdimento del tronco antico della tradizione pittorica napoletana".
Roberto Longhi invece afferma in un suo saggio che tra i pittori di Santa Caterina doveva esserci sicuramente anche un maestro siciliano. Parlando infatti dell'autore di un trittico conservato a Palermo, scrive: "è un maestro rude, marcante, a grandi spezzature che, pure appoggiandosi alla generazione precedente, si esprime con solecismi arcaici, quasi neobizantini. Starei anzi per dire basiliani, perché, bene studiato, il pittore si rivela identico a uno dei maestri (il più truce e narrativo) della chiesa di Santa Caterina a Galatina . . ." Quindi, lo storico d'arte fiorentino, con la sua geniale sensibilità, aggiunge: "Qui non si può che sfiorare l'argomento, ma che la soluzione più verosimile sia per un siciliano andato a lavorare a Galatina e non viceversa, è suggerito dal prevalente sapore tirrenico e non adriatico degli affreschi pugliesi".
A parte alcuni riquadri isolati, la maggioranza delle pitture della basilica può essere divisa in vari cicli. Uno di questi, del quale è autore il pittore citato dal Longhi, occupa la prima campata e tratta dell'Apocalisse. In quarantuno scene si susseguono personaggi diabolici, mentre i flagelli divini sono raffigurati con una certa violenza espositiva e tutto è avvolto da una atmosfera quasi fiabesca, ma assai cupa. In un riquadro, tra mille figure fantastiche, bianchi guerrieri a cavallo assediano Gerusalemme e da alcune tracce rimaste sulla parete si può dedurre che in origine le loro armature erano tutte d'argento. Sulla volta, un cielo azzurro con alcuni segni dello zodiaco, un sole rosso e una luna in bianco e nero, oltre a vari angeli e un Cristo severo.
Nelle quattro vele, che chiudono la seconda campata, sono i Sette Sacramenti, mentre sulle pareti è la storia della Genesi in cui si distinguono le visioni del paradiso terrestre, ricco d'animali di ogni genere, eseguiti con, una minuzia e una precisione da miniaturista, mentre alberi e arbusti sono dipinti foglia per foglia a colori vivacissimi, che risaltano su fondi cupi, verdi o azzurri. Il serpente tentatore, secondo una iconografia che ha origini orientali (e anche questo è un segno da tener presente, come alcune figure d'elefanti), appare con volto e ricci capelli di donna.
Non manca poi una Vita di Santa Caterina, ventitre quadri con la Storia del Redentore e poi moltissime figure votive, specie su gli zoccoli, raffiguranti santi, angeli e scene. varie bibliche.
I restauri, che sono stati portati avanti per quattro anni, hanno dato risultati molto positivi e, dopo un generale consolidamento, vanno restituendo colori e luci originali, da secoli sepolti sotto neri strati polverosi che tutto appiattivano. Saggiando poi l'intonaco di varie pareti apparentemente non affrescate, sono state trovate alcune pitture, in genere rovinatissime. Sulle pareti dell'ambulacro destro, invece, sono venuti fuori alcuni piccoli affreschi, prove, più che altro, di quelli maggiori. Chiese con campanile, casette, persino piccoli ritratti eseguiti con la punta del pennello in uno stile fresco e immediato, costituiscono i soggetti di queste "esercitazioni" ingenue e a volte commoventi, nel loro ritornare alla luce dopo tanto tempo.
Nonostante questo, l'anno scorso i restauri si sono fermati per mancanza di fondi. Oltre che ingiusto potrebbe essere dannoso lasciare a metà un'opera di questo genere, preziosa non solo come testimonianza culturale, ma anche come richiamo turistico. Il restauro della chiesa di Galatina deve essere portato a termine al più presto e, speriamo, nonostante tutto, rappresenti solo l'inizio di una serie di lavori su altri monumenti e opere d'arte pugliesi che altrimenti minacciano di andare perdute.


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