§ Problemi e prospettive del dopo - Carli

Il ruolo delle Banche




Eraldo Gaffino



L'azione coordinata dello staff Baffi - Ventriglia per una politica omogenea tra I' Istituto Centrale di Emissione e il dicastero del Tesoro.

Con l'avvento di Paolo Baffi e di Ferdinando Ventriglia rispettivamente alla guida della Banca d'Italia ed alla direzione generale del Tesoro, non pochi mutamenti si sono lentamente verificati nella conduzione della politica monetaria del Paese. Il nuovo Governatore della Banca d'Italia, già uno dei principali artefici della linea Carli, si mantiene per la verità molto vicino al solco segnato dal suo illustre predecessore, mostrando però di voler coordinare sensibilmente l'azione della Banca Centrale con quella del Ministero del Tesoro. E' questo il fatto veramente nuovo della politica monetaria italiana. Ventriglia, insieme al ministro del Tesoro Colombo, del quale è stato per lungo tempo consigliere economico, ha dato una impronta più decisa alle direttive della Banca d'Italia, agendo di comune accordo con Baffi e con tutto lo staff dirigente di via Nazionale che generalmente ha ben accettato questa ventata di rinnovamento proveniente dall'esterno. E' forse inutile ricordare in questa sede che Ferdinando Ventriglia è stato il più serio candidato alla successione di Guido Carli e che soltanto insistenti polemiche politiche (dovute alla stretta vicinanza di Ventriglia con Colombo) hanno impedito all'ex vicepresidente ed amministratore delegato del Banco Roma di approdare a via Nazionale. Cionostante, e proprio grazie alla sua azione attuale, Ventriglia resta il principale aspirante alla poltrona della Banca d'Italia, che Baffi tiene con notevole prestigio e che probabilmente manterrà ancora per parecchio tempo.
Il nuovo staff, di cui abbiamo visto l'affiatamento, ha indubbiamente posto il sistema bancario e tutti gli operatori finanziari di fronte a cambiamenti più repentini di quanto le mutate condizioni interne potessero far attendere. Era, infatti, già nelle previsioni di inizio 1975 che quest'anno la bilancia dei pagamenti sarebbe stata meno negativa dell'anno precedente e che di conseguenza la minore distruzione di liquidità avrebbe consentito di espandere il credito all'interno attraverso una riduzione dei tassi d'interesse. Invece a cavallo fra la prima e la seconda metà di quest'anno, ma in particolare nei mesi di agosto e settembre, il Tesoro e la Banca d'Italia hanno inteso premere con decisione sull'acceleratore ed hanno invitato perentoriamente le banche alla riduzione dei tassi d'interesse attivi e passivi.
Certamente il fenomeno non è stato del tutto dirigistico, in quanto si sono avute fitte consultazioni fra i massimi dirigenti delle Associazioni Bancarie e le autorità monetarie centrali, ma la spinta di queste ultime per ottenere i risultati che ci si proponeva è stata notevole e tale da superare difficoltà che in epoche precedenti erano state insormontabili. L'esempio più calzante di quest'azione delle autorità centrali si è avuto con l'occasione della riduzione del tasso di sconto dal 7 al 6 per cento decisa il 12 settembre. In quell'occasione lo stesso ministro del Tesoro ammise che era ferma intenzione delle autorità monetarie esercitare con questa manovra una pressione sulle banche per la riduzione dei tassi attivi ed in secondo luogo di quelli passivi, mentre il direttore generale Ferdinando Ventriglia affermò sinceramente che la ripresa produttiva poteva essere innescata soltanto come era già avvenuto in due precedenti occasioni, nel 1964 e nel 1972, cioè attraverso una forte iniezione di liquiditá nel sistema che consentisse di trasferire l'aumento dei costi produttivi sui prezzi di vendita ed un conseguente aumento della domanda.
A questo punto l'intento del Tesoro era evidente, tant'è che pur facendo presenti tutte le difficoltà cui sarebbero andate incontro, le banche aderirono alle richieste di Colombo e ridussero di due punti il tasso primario sui prestiti.
Quali erano le difficoltà e quali sono anche attualmente le remore che impediscono alle banche di aderire completamente agli inviti delle autorità centrali? Innanzitutto esiste un problema di fondo sollevato un pò da tutte le Associazioni bancarie che il 12 settembre si riunirono al Ministero del Tesoro da Colombo. La lunga corsa al rialzo dei tassi d'interesse verificatasi praticamente per tutto il 1974 e per una buona metà di quest'anno ha provocato come prima conseguenza negativa sui bilanci delle aziende di credito un aumento del costo medio della raccolta. Questo elemento è stato portato unanimemente a Colombo come logica derivante di una diffusa "reclamizzazione" del deposito bancario -a tassi elevati (fatta per rastrellare denaro in momenti di stretta creditizia) che ha raggiunto perfino le zone più disparate e sperdute della provincia italiana, dove solitamente non si richiedevano particolari condizioni favorevoli per il deposito di banca.
Ecco perciò che la raccolta ha oggi un costo mediamente superiore anche a quello dei più alti livelli di remunerazione manifestatisi nel 1974, in quanto anzichè livellarsi verso il basso i tassi d'interesse si sono livellati verso l'alto per i forti aumenti ottenuti da coloro che si trovavano su fasce minori di remunerazione.
Quindi le banche hanno manifestato da un lato molte perplessità alla riduzione dei tassi attivi proprio grazie a questo aumento dei costi della raccolta, ma anche a causa di un aumento dei costi di lavoro, costi che probabilmente subiranno una nuova recrudescenza con il rinnovo del contratto nazionale di lavoro della categoria con l'inizio del 1976.
Contemporaneamente, però, le banche hanno manifestato altre perplessità quando si è loro chiesto di abbassare i tassi passivi in quanto al di sotto di certi livelli, un temibile concorrente è giunto proprio dal deposito postale che a tutt'oggi rende il tasso netto del 7 per cento. Fino a ieri questa forma era considerata la più modesta fra quelle disponibili per investire il proprio risparmio. Oggi, invece, vi ricorrono con maggiore frequenza soprattutto in provincia e nel Sud attratti dalla semplicità dell'operazione e dal tasso d'interesse più elevato di quello che si può ottenere in banca per cifre modeste. La raccolta degli sportelli postali tramite i libretti di deposito e i buoni fruttiferi è quindi salita, nei primi nove mesi di quest'anno, di 1200 miliardi rispetto all'incremento di 800 del 1974, nello stesso periodo. C'è stato quindi un aumento di 400 miliardi a favore del deposito postale derivato soprattutto da questo divario d'interessi.
Le autorità monetarie centrali si sono dimostrate poco sensibili a questo problema dimostrando che la posta non può essere un concorrente pericoloso per la banca. In realtà sembra più giusto affermare che se un assestamento sui tassi d'interesse si deve verificare per dar modo alla ripresa economica di affermarsi e poi di consolidarsi, questo processo non può mantenere escluso il risparmio postale il cui adeguamento era giunto nel 1974 in un momento in cui i tassi bancari stazionavano su livelli almeno doppi di quelli attuali.
Altra grossa difficoltà che le banche incontrano attualmente nel seguire la politica monetaria dettata dal centro deriva dal vincolo di portafoglio ancora esistente e che se pur attenuato nella primavera di quest'anno comporta pur sempre una riduzione di redditività degli impieghi, insieme alle riserve obbligatorie, non indifferente. Il vincolo di portafoglio, cioè gli acquisti obbligatori di titoli a reddito fisso, deriva dalla politica di sostegno al mercato obbligazionario inaugurata da Carli e che comunque non ha consentito di evitare quelle gravi crisi avutesi nel 1969 e nel 1973-74. Sarebbe invece più opportuna una revisione globale dell'impegno delle banche verso il mercato finanziario in un momento in cui le stesse imprese lamentano una difficoltà insuperabile nel rivolgersi al mercato azionario. Difendendo le obbligazioni e trascurando il mercato azionario si è in definitiva impedito alle imprese di raccogliere capitale di rischio e si sono obbligate a rivolgersi agli istituti di credito a loro volta già oberati da grossi impegni di difesa delle obbligazioni e dal normale credito bancario fatto alle aziende.
Anche nel campo finanziario, quindi, una situazione divenuta insostenibile è derivata da una politica errata nei riguardi del mercato azionario. Grazie a queste storture le imprese sono oggi fortemente e gravemente indebitate con il sistema bancario, tanto da dipendere quasi esclusivamente da quest'ultimo, che si trova perciò esposto in forme più pericolose della stessa partecipazione azionaria diretta.
Questo pericolo è stato fortunatamente percepito anche al centro. Tant'è che riunioni su riunioni si sono svolte al Ministero del Tesoro fra i massimi rappresentanti degli istituti di credito speciale per cercare di risolvere una situazione non più facilmente sostenibile specie nell'ipotesi di una crisi economica perdurante. Ma la strada per dipanare questa matassa ormai intricatissima non è facile. Anzi. E' probabile comunque che presto si debba assistere a importanti mutamenti anche in questo settore con l'augurio che essi siano talmente centrati da risolvere e non complicare il problema.

 


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