§ Le inchieste della Rassegna

PUGLIA. Regione pilota




Realizzazione
ALDO BELLO
Testi e statistiche
GUGLIELMO TAGLIACARNE
Hanno collaborato:
Ricerche Ietterarie
Ada Provenzano
Ricerche storiche
Pino Orefice
Ricerche economiche
Claudio Alemanno
Sezione grafica
Sandro Gattei
Sezione fotografica
Folco Quilici
Giuliana Calabrese




La pianura, il fervore speculativo delle popolazioni, la posizione geografica che ne fa un ponte naturale per il Medio Oriente e l'Africa, un'agricoltura che -potenzialmente - può creare prospettive d'avanguardia, un tessuto industriale diversificato, un turismo che apre nuove frontiere: questi gli elementi che esprimono la vocazione della regione a realizzarsi come uno dei muri portanti dell'economia meridionale.


E' una delle regioni più vaste d'Italia, e la più orientale di tutte, avanzata nell'estremo lembo della Penisola Salentina, con la città d'Otranto, fino oltre al 18.o grado orientale dal meridiano di Greenwich, (2° 20' 14" da quello di Monte Mario).
La regione è bene individuata non solo per la sua posizione avanzata verso l'Albania fra i mari Jonio e Adriatico, ma anche per la sua natura geologica e la sua plastica, che la staccano nettamente dall'Appennino, avvicinandola al Carso liburnico e alle terre d'oltre Adriatico, alle quali in origine era congiunta, prima che si formasse la gran fossa dell'Adriatico meridionale nella sommersione terziaria. La Puglia ha una propria individualità anche dal punto di vista umano ed economico.
La regione si allunga per circa 340 Km fra i due mari mediterranei, ed è limitata ad ovest dalla Basilicata e dalla Campania e a nord-ovest dal Molise. Comprende inoltre le isole Tremiti o Diomedee, che con la più lontana Pelagosa sorgono sul piedistallo sottomarino del Gargano. Altre piccole isole sono le Pedagane, di fronte al porto di Brindisi; Sant'Andrea, di fronte a Gallipoli; le Coradi di fronte a Taranto.
I confini terrestri della Puglia hanno una lunghezza di 432 Km, quelli marittimi di 784 Km. Le coste delle isole sono lunghe complessivamente 45 Km.
La regione è divisa in cinque province e in 253 comuni. Capoluogo è Bari.

Una Regione "diversa"

Aldo Bello

Più che la geografia, una storia che fu dapprima grande e in seguito tragica aveva fatto di questa regione un arcipelago di terre isolate e divise. In Capitanata e nel Tavoliere, vecchi granai d'Italia dal tempo in cui si seminavano cereali anche nei vasi da fiori, le colture estensive davano un volto all'arretratezza. Il fervore speculativo di Bari spariva appena in provincia. Proseguendo verso Sud, fonti e quote di reddito diminuivano in progressione costante.
Quando, per rompere il circuito del sottosviluppo, le Partecipazioni Statali decisero di soppiantare gli antiquati cantieri navali tarantini, creando il quarto centro siderurgico italiano, fu coniata l'immagine della "cattedrale nel deserto". Qualcuno, calcando la mano sul paradosso, definì il nuovo impianto della città bimare un elefante bianco, che non poteva prolificare, non faceva razza: cioè, non stimolava la nascita di aziende complementari e indotte, in grado di proporre una catena di occasioni d'impiego. In realtà, il siderurgico concretizzava le immagini dickensiane di "Tempi difficili", era una moderna Cocketown, un'oasi di ferro nel mare degli ulivi e dei tufi.
La stessa scelta dell'ubicazione scatenò dure polemiche. Le valutazioni e gli interessi erano diversi e contrastanti. In termini strettamente economici, alcuni affermavano che quel colosso andava costruito là dove più intensa era la domanda di acciaio, vale a dire in una zona costiera del Centro-Nord, anche tenendo conto delle spese di trasporto che avrebbero inciso sui costi, e quindi sui prezzi, ai fini della concorrenza sia interna che internazionale. Altri vollero invece inquadrare il problema nell'obiettivo dell'industrializzazione del Sud. In sostanza, al discorso efficientista si sostituì quello politico-sociale: se il quarto siderurgico fosse sorto a Nord, anche l'industria di Stato avrebbe contribuito a perpetuare, aggravandoli, gli squilibri nella struttura dualistica dell'economia italiana; tutte le imprese utilizzatrici di ghisa e acciaio avrebbero trovato un nuovo motivo di attrazione nell'area centrosettentrionale, già ampiamente favorita nel passato, e si sarebbero allungati i tempi dello sviluppo industriale del Mezzogiorno. Perciò fu scelta la zona a nord di Taranto, che era sulla costa, vi confluivano strade e ferrovie, aveva alle spalle una lascia pianeggiante che poteva permettere la nascita di eventuali industrie sussidiarie, e per di più rappresentava una testa di ponte verso i Paesi del bacino orientale del Mediterraneo e quelli dell'Africa, alle soglie del risveglio anticoloniale, ai quali mirava l'intera siderurgia italiana.
Stesso discorso (anche se i fini furono inizialmente diversi, e meno accese le polemiche sulla dislocazione) si ebbe per gli impianti petrolchimici di Brindisi, mentre a Bari continuavano a svilupparsi le maggiori imprese manifatturiere della regione.
Nacque così quel "triangolo pugliese", che ben presto forzò la mano all'intervento straordinario per la creazione delle altre due aree industriali - in Capitanata e nel Salento - e per l'estensione del tessuto di infrastrutture in grado di determinare un habitat che esaltasse la vocazione di muro portante dell'economia meridionale prospettata dalla natura pianeggiante e dalla splendida posizione geografica della Puglia.

AGRICOLTURA ED EMIGRAZIONE
Se anche l'agricoltura avesse conosciuto una spinta iniziale analoga a quella sviluppata per l'industria, (pur se frutto di un compromesso di criteri economici e ragioni sociali, dovuto alla necessità di scuotere dalle fondamenta un ambiente e una psicologia immobilizzati da secoli di dominazioni e d'inerzia), sarebbe mutata in modo differente tutta una geografia delle cifre.
In realtà, la sorte dell'agricoltura pugliese fu legata a quella, assai ingrata, dell'intero Mezzogiorno.
Statistiche alla mano, un ettaro di buona terra meridionale, irrigata e meccanizzata, rende quanto uno e mezzo di terra francese o australiana, quanto due ettari di terra canadese o sovietica.
Il Sud aveva dodici milioni di ettari, ma il quaranta per cento non era realmente coltivabile. Poca pianura, molta collina, troppa montagna. Su questo scacchiere, agli inizi degli anni '50 sorgevano circa due milioni e mezzo di aziende agricole. Ma dire "aziende" significa ricorrere a un palese eufemismo. Tranne poche eccezioni, erano e sono rimaste manciate di terra. La superficie media censita in Italia era pari a 1,82 ettari. Ma - tanto per restare nella più pianeggiante delle regioni meridionali, proprio la Puglia - la media di Lecce non raggiungeva l'ettaro; quella di Brindisi, Bari e Taranto si aggirava sull'ettaro e mezzo; quella di Foggia sfiorava i tre ettari. In mezzo a questa corte dei miracoli si agitava un'umanità promiscua, semianalfabeta, affamata, chiusa nel circolo vizioso della sussistenza famigliare, pronta alla rivolta improvvisa e perentoria, senza prospettive di un recupero a breve o medio termine. Scuola e università, che potevano fare molto, almeno per il futuro, non mossero un dito. Il latifondo smembrato e consegnato ai contadini senza l'acqua, senza l'energia elettrica, senza macchine, senza servizi sociali, lontano dalle grosse "città contadine" nelle quali montava la marea dell'immigrazione, fu il simbolo di una catastrofe premeditata. Nel suo ambito, l'emigrazione ha avuto una voce ben definita, e in termini di analisi culturale è stata il philum conduttore che non si è mai estinto.
In questa prospettiva possono spiegarsi i motivi storici -sottolineati da Denis Mack Smith - che hanno spinto i contadini e i rurali meridionali, per secoli, a "fare spedizioni stagionali all'estero per contribuire alla costruzione del Canale di Suez, dei ponti della Scozia, delle ferrovie americane, delle gallerie attraverso le Alpi, dei porti di Calais e di Marsiglia. E ogni progresso permanente in Patria sarebbe rimasto ( ... ) quanto mai improbabile finché l'agricoltura nazionale non avesse guadagnato in razionalità e spirito d'iniziativa, e non fosse stata in grado di provvedere in misura maggiore ai bisogni di una popolazione industriale".
Di fatto, ancora oggi l'agricoltura pugliese è in una sfera, in una dimensione di tempi tutt'altro che moderni. Accorpamenti, meccanizzazione, trasformazioni colturali come risultato di ricerca di mercato e di orientamento negli scambi, sperimentazione, sono problemi irrisolti, con gravi conseguenze e per la- formazione del reddito regionale, e per il possibile riequilibrio dello sbilancio alimentare nazionale che vede la mitologica alma parens frugum indebitarsi fino al collo per importare derrate e capi di bestiame da mezzo mondo.

ECONOMIA DUALISTICA
E' stato scritto che la Puglia è fra le regioni del Sud nella più idonea condizione per porre in essere un'area di sviluppo globale, con un ruolo preciso che essa dovrà avere nella strategia di avanzamento dell'intero Mezzogiorno. Fra l'altro, questa "area globale", in una prospettiva più realistica di quanto non sia dato pensare in questi tempi di crisi a scatola cinese, può integrare da un lato le iniziative in atto nei comprensori molisani da Termoli al Fortore con quelle garganiche e baresi; e, dall'altro, le concentrazioni di Brindisi e Taranto con i processi agricoli e industriali in corso nella penisola salentina e nel versante jonico della provincia di Matera. In tal modo, per la prima volta nella storia del Sud potranno essere impostati razionalmente i problemi del decollo con un discorso che, includendo anche il turismo, coinvolgerà territori interregionati omogenei, ed eviterà i rischi della frammentarietà e delle dispersioni. In questo senso, e soprattutto nella misura in cui ci sarà la volontà politica di attuare strutture economico-produttive sovraregionali, la Puglia potrà svolgere quel ruolo di regione-pilota che le è storicamente congeniale.
A conferma di ciò basti considerare che, in termini di realismo politico, la struttura dualistica dell'economia italiana è semplicemente incolmabile nella prospettiva di un'azione unitaria continentale: sicché il Nord continuerà a gravitare prevalentemente nell'orbita degli interessi europei, e particolarmente comunitari, mentre per il Sud il futuro sembra essere nelle "finestre di fronte", cioè in una prospettiva politicoeconomica mediterranea. Chi si sforza di credere ad ogni costo a soluzioni diverse si scontrerà irrimediabilmente, oltre che con la lezione del passato, recente o remoto, anche con le illusioni sulle capacità di recupero di un sistema che, fino a questo momento, non solo ha insistito nella prevaricazione 'degli interessi globali del Mezzogiorno, ma ha creato addirittura due Sud: uno in via di sviluppo, con strade, industrie, servizi, che tuttavia barcolla ad ogni muover di vento di crisi nazionale; e uno ancora oggi neppure sfiorato dal reale o presunto "miracolo meridionale", emarginato, inchiodato alla dannazione, dell'antica arretratezza. Questi Sud si alternano all'interno del più vasto Mezzogiorno, sacca per sacca, Cocketown., dopo Cocketown, Terra del Sacramento dopo Terra del Sacramento. Ed è impresa difficile, se non impossibile, tracciare dei confini precisi, una netta linea di displuvio tra aree del benessere e del malessere. Sicché questa terra si configura ancora, sotto molti aspetti, nella pienezza delle sue contraddizioni: economiche, politiche, umane.

UN PRIMATO CULTURALE
Eppure poche regioni, più della pugliese, hanno scavato così a fondo nella propria condizione storica e antropologica.
Pochissime hanno espresso una KuIturkampf più articolata e profonda. Tanto per restare tra i nomi a noi più vicini, anche in senso cronologico, Salvemini anticipò Gramsci; De Viti De Marco creò la scienza economica dei nostri giorni; con Tommaso Fiore rifiorì l'illuminato pessimismo storico di un popolo che non fu mai fatalista; l'apologia della libertà del pensiero umano era fatta dal tranese Giovanni Bovio mentre scopriva il bronzo di Giordano Bruno nel romano Campo de' Fiori, nello stesso momento in cui - razionalizzando l'angosciosa Weltanschaung di Carlo Cafiero - il "cafone" Giuseppe Di Vittorio- diventava l'Emiliano Zapata delle plebi rurali meridionali; dappertutto nel Mezzogiorno imperavano il più vieto decadentismo e la schiuma di quella malattia ereditaria che è il folklore locale, quando, ricca delle sue esperienze europee, la poesia del leccese Bodini esplose come una violenta frustata che lasciò, in uno - scarno vigore anche formale e linguistico, i segni della, più viva e dolente testimonianza delle condizioni civili, intellettuali e morali delle genti del Sud. Sempre, architettura scultura pittura pugliesi assursero a dignità - senza burbanza - e si disposero nei grandi movimenti europei completandoli e arricchendoli: sicché oggi è impossibile parlare di un'età romanica senza citare le cattedrali pugliesi; del barocco senza sottolineare il preponderante fascino di Lecce; di una pittura moderna ignorando la linea che va da Toma a De Nittis a Cantatore. Una catena di felici intuizioni ha consentito la crescita di modelli culturali, il cui spaccato solo ora è scoperto da quella critica militante, (messa fuori gioco dalle inferme e inquietanti filosofie della crisi, dal rozzo e arido materialismo, dalla rinnovata barbarie di meccanico determinismo sotto spoglie di sociologismo, che prima aveva incoraggiato), la quale, in cerca di filoni validi, anche se nel passato consapevolmente emarginati, li ha riscoperti solo nelle province artistiche e nei continenti culturali del profondo Sud.

PROBLEMI DEL RIEQUILIBRIO
E' stato scritto che la più clamorosa antinomia di cui la Puglia è stata nello stesso tempo vittima e artefice consiste, alla luce di una lunga e tormentata vicenda storica, nello sviluppo di cospicue manifestazioni artistiche e letterarie, cui non ha fatto riscontro un'analoga e pertinente promozione economica. In effetti, questa regione fu terra di preda e campo di scontro di ambizioni politiche nate lontano e concluse altrove. Sicché l'avvio di un rapido processo di avanzamento e valorizzazione socio-economica, incontestabile anche se frammentaria, dagli anni '50, ha rappresentato una specie di collision course fra le diverse aree e i differenti interessi pugliesi, che hanno visto contrapporsi, dal punto di vista geografico, provincia a provincia, e dal punto di vista economico, (e politico, cioè di scelta) agricoltura e industria, occupazione terziaria e spinta migratoria, con una fin troppo agevole individuazione dei ruoli perdenti.
L'impegno per il futuro, dunque, non può che essere quello di un riequilibrio interno, per la creazione di strutture portanti globali anche in Capitanata e nella penisola salentina; e di un'apertura nuova ai paesi del Terzo Mondo (con i quali esercita concorrenza nientemeno che il "triangolo" settentrionale, il quale dovrebbe essere invece competitivo con i grandi agglomerati produttivi comunitari), al fine di creare durevoli e attivi sbocchi di mercato; ciò che presuppone l'offerta di beni e servizi ad hoc, impianti in grado di realizzare tempestive conversioni, manodopera disponibile alla mobilità, un management agguerrito e spregiudicato almeno quanto basta, e gli indispensabili supporti politici e sindacali. La Puglia, e nel contesto più generale l'intero Mezzogiorno, offrono spazi, materia prima, e materia grigia, al prezzo giusto. Il problema e dunque aperto, a meno che non si prosegua sulla strada dell'astratto esercizio del potere: al cospetto del quale - contorta foresta pietrificata - starà ancora l'eterno inganno ottico della "speranza" meridionale.

Letteratura di Puglia

Ada Provenzano

E' difficile tracciare un quadro della cultura e letteratura medievale pugliese, date le insicure notizie, le sfuggenti personalità e i centri d'incrocio tra aree latine e greco-bizantine. L'agiografia era sviluppata già prima della conquista normanna, (Niceforo e Giovanni da Bari, autori di Canosa e Brindisi). Sotto i Normanni, all'attività cronachistica si associò una produzione di cronache epiche (Malaterra, Vilhelmus Appulus). Più difficile ancora è rintracciare documenti in volgare (il Libro di Sydrac, tradotto dal francese in volgare in Terra d'Otranto), poiché l'uso del latino e quello del greco prevalgono anche nel periodo svevo; il greco soprattutto ci dà nel Salento verseggiatori che possiedono un'elaborata tecnica metrica e una cospicua coscienza artistica. In complesso, però, nella Puglia medievale non è dato trovare un equivalente letterario alla splendida fioritura artistico-architettonica.
Più ricca è l'attività umanistica quattrocinquecentesca, che alterna la letteratura religiosa latina e volgare (Antonio da Bitonto, Roberto Caracciolo, da Lecce, Mariano da Bitonto, Mauro d'Otranto, Agostino da Lecce, Pietro Galatino), a una cultura di dotti e letterati gravitanti nella Corte di Napoli (Jacopo Filippo Pellegrino di Troia, letterato, e rimatore; Angelo Tafuri di Nardò, storico; Giovanni Filocalo di Troia, verseggiatore in latino; Camillo Querno di Monopoli, poeta epico; Antonio De Ferrarlis, detto il Galateo, di Galatone, amico del Pontano, certamente il più notevole uomo di cultura espresso dalla Puglia del tempo).
In pieno Cinquecento (oltre ai maestri di greco a Napoli, e agli umanisti in area greca, come lo Stisso di Zollino), Scipione Ammirato fu la massima personalità che la regione ha dato nel Rinascimento alla cultura nazionale. Un capitolo vivace e interessante aprono gli scrittori pugliesi in età barocca, soprattutto nella provincia più attiva, il Salento, e nel centro culturale di Lecce. A parte il polignanese Pompeo Sarnelli, sono pugliesi numerosi poeti barocchi, da Giovanni Palma di Brindisi e Gian Battista Vitale di Foggia (che polemizzò con il Marino), ai fratelli Ascanio e Giulio Cesare Grandi di Lecce, Antonio Bruni di Manduria, Gianfrancesco Maia di Materdona di Mesagne, Federico Meninni di Gravina, Giuseppe Battista di Grottaglie, fino al Duca delle Grottaglie, Giovanni Cicinelli.
Nel Settecento, più che una letteratura arcadica, si manifesta in Puglia una ripresa di interessi eruditi e storiografici, da Giacinto Gimma di Bari a quel monumento della cultura europea che fu Pietro Giannone, nato a Ischitella, in provincia di Foggia, e morto, prigioniero e perseguitato dalla Chiesa, nella remota Torino.
Gli interessi filosofici e pratici, razionali e illuministici, si diffusero anche in Puglia (specie nel settore delle scienze agrarie, come con Giambattista Gagliardi di Taranto); e ancora una volta il Salento fu in prima fila, con, Filippo Briganti di Gallipoli, notevole economista; Giovanni Presta, autore di un'opera sugli ulivi e I'industria olearia, risultato di un'autentica indagine in senso moderno; e poi con gli associati all'Accademia degli Speculatori (Matteo Aquino, Pietro de Lauro, Ignazio Margese), con al vertice quel Giuseppe Palmieri che sviluppò una visione equilibrata della situazione economica dei Sud in una prospettiva attivamente liberistica.
Allievo dei Genovesi fu anche Francesco Milizia di Oria. Né va dimenticato quel Francesco Antonio Astore, morto sul patibolo borbonico, che, nato nei dintorni di Gallipoli, ebbe una vita ideologicamente tormentata, e passò dal dispotismo illuminato alle più ardite idee democratiche e rivoluzionarie; mentre la continuità delle idee riformistiche e la nuova prospettiva risorgimentale possono essere riassunte da Luca Samuele Cagnazzi di Altamura. Risorgimento ed età romantica che espressero con Pietro Paolo Parzanese di Ariano di Puglia il massimo esempio di moderatismo riscaldato da un candido e sincero patriottismo. Il ponte fra Ottocento e Novecento ècreato da Luigi Corvaglia di Melissano. Le tensioni politiche, che avevano trovato nel barlettano Carlo Cafiero la più grande figura e la più eroica azione dell'anarchia, sfociarono poi nell'opera di Gaetano Salvemini, di Molfetta, e in quella di Tommaso Fiore, di Altamura, "giacobino agrario" che ancora oggi, in piena età industriale, si legge con puntuale riscontro nella realtà economico-sociaIe e culturale della Puglia.
Alla nuova vita politica e sociale, e alle aspirazioni culturali moderne, (si pensi all'altissima funzione svolta dall'editore Giovanni Laterza, tipico self-made-man), corrisponde una meno intensa attività letteraria, cui in ogni caso il Salento dà il massimo contributo, perpetuando la funzione di area letterariamente più attiva dell'intera regione. Infatti, se dappertutto non mancarono critici e scrittori, (la narratrice Lina Pietravalle, i poeti dialettali Francesco Saverio Abbrescia, Francescantonio D'Amelio, Davide Lopez, e soprattutto Antonio Nitti; il critico Giovanni Macchia; e, nel periodo dei metodo storico, Nicola Zingarelli e Achille, Pellizzari), èsoprattutto nella penisola salentina che imprese di riviste e opere di scrittori (Michele Saponaro, Oreste Macrì, Girolamo Comi, tanto per fermarci ai maggiori) danno una misura del contributo notevolissimo dato dalla Puglia alla letteratura nazionale, specie nel campo della poesia, (Giacinto Spagnoletti, Gino De Sanctis, Raffaele Carrieri, Vittorio Bodini, e una costellazione di minori, minori forse perché "periferici" rispetto ai centri del potere culturale ed editoriale).

A. DE VITI DE MARCO

Claudio Alemanno

Nacque a Lecce il 30 settembre 1858, morì a Roma nei 1943. Nel capoluogo salentino compì gli studi e visse a lungo, anche se la sua attività di studioso e di maestro lo fece dimorare altrove (insegnò infatti negli atenei di Camerino, Macerata, Pavia e Roma). Fu sempre profondamente legato alla sua terra, di cui per molti anni difese in Parlamento gli interessi politici ed economici, quale rappresentante dei collegio di Gallipoli. Di accesi principii liberali, fu economista e scienziato di livello planetario. La sua vasta produzione scientifica abbraccia un pò tutti i campi delle moderne discipline: dall'Economia Politica al Diritto Commerciale e Pubblico, dalla Scienza delle Finanze e dal Diritto Finanziario alla Tecnica Bancaria e Commerciale. Ma dove lasciò il meglio di sé, del suo ingegno, della sua incommensurabile dottrina, fu nel campo dell'Economia Finanziaria, che non solo insegnò a generazioni di allievi, ma su cui costruì l'originale teoria della moneta e dell'imposta che, sviluppando per la prima volta in Italia le tesi dello "Stato monopolista" e dello "Stato cooperativo", costituisce ancora oggi la base degli studi scientifici, ed è commentata - sui testi originali del De Viti De Marco, quegli stessi che sono introvabili in Italia -negli atenei tedeschi, inglesi, statunitensi, sudamericani. Austero e riservato, di elevatissima statura morale e politica, non volle cedere ad alcun compromesso col fascismo, e si ritirò dalla cattedra, per essere dimenticato nel dopoguerra, anche se maestri del valore di Luigi Einaudi, Gustavo Del Vecchio, il Pantaleoni, il Pareto, il Messedaglia, il Di Nardi, il Fanno, il Di Fenizio, il Lenti, lo Steve e il Troisi lo hanno ricordato nei loro scritti. E l'Einaudi lo poneva alla pari con il Pantateoni, il Pareto e il Barone, quale quarto muro maestro di quell'edificio che si chiamò "Scuola di Losanna", ma che sarebbe stato più corretto chiamare "Scuola Italiana", vale a dire quella corrente dottrinaria che dette agli studi economici della "Scuola psicologica", nata in Austria ed in Germania nella seconda metà del sec. XIX, carattere scientifico, rigore matematico e impostazione razionale. Tra le opere fondamentali, ricordiamo: "Primi principii dell'economia finanziaria", pubblicati nel '28, rielaborati nel '39, poi tradotti in tedesco, spagnolo e inglese; "Moneta e prezzi"; "il carattere teorico dell'economia finanziaria"; "Saggi di economia e di finanza"; "Scienza delle finanze"; "Finanza straordinaria". Della sua opera politica resta il volume "Un trentennio di lotte politiche, 1894-1922", pubblicato nel 1930. Si batté come meridionalista ponendo in rilievo soprattutto le distorsioni dei sistemi fiscali e tributari, chiaramente antimeridionali.

GAETANO SALVEMINI

Claudio Alemanno

Nacque a Molfetta nel 1873, morì a Sorrento nel 1957. Si indirizzò giovanissimo, agli studi storici e, dopo avere insegnato negli atenei di Messina e Pisa, successe a Pasquale Villari nella cattedra di Storia Moderna, a Firenze. Deputato socialista dal '19 al '21, fu avversario irriducibile di Giolitti e fervente interventista. Spirito vivacissimo, fiero, polemico, insofferente verso ogni disciplina di partito, abbandonò presto il socialismo e fondò con De Viti De Marco l'"Unità", settimanale politico diretto soprattutto ad analizzare i gravi problemi dei Mezzogiorno. Oppositore dei fascismo, arrestato nel '25, destituito dalla cattedra, fu costretto a espatriare. In Francia organizzò il movimento "Giustizia e Libertà": fu poi in Inghilterra, e dal '34 negli Usa, dove insegnò Storia della civiltà italiana all'università di Harward. Tornò in patria nel '49, reintegrato nell'ateneo fiorentino. I suoi interessi storici lo portarono a scrivere del comune fiorentino, la rivoluzione francese, il Risorgimento, I'Unità, il movimento socialista, il fascismo. Partito da un'impostazione storiografica positivistica che risentiva l'influenza delle letture di testi marxisti, segui quell'indirizzo che Croce definì "economico-giuridico". Inaugurò la sua attività pubblicando "La dignità cavalleresca nel comune di Firenze" (1896), "Magnati e popolani" (1899), e la raccolta "Studi storici" (1901). Attratto dalle ricerche storiche moderne, offri alcune sintesi vigorose con la "Rivoluzione francese" (1905), "il pensiero religioso, politico e sociale di Mazzini" (1905), "La formazione del pensiero mazziniano" (1910), l'"introduzione alla raccolta di scritti del Cattaneo" (1922). Approfondì l'analisi della nostra politica estera con "La Triplice Alleanza e gli interessi politici dell'Italia"(1900), "La politica estera di F. Crispi"(1920), "L'Italia politica del secolo XIX" (1925), e la serie di articoli che compongono il volume "Dal patto di Londra alla pace di Roma" (1925). Negli anni dell'esilio i suoi interessi risentirono della viva passione politica: nacquero così "The fascist dictatorship", New York 1927; "Under the axe of fascism", (poi tradotto in Italia - Torino 1948 - col titolo "Sotto la scure del fascismo"); "Prelude to World War II", New York 1949; "Mussolini diplomatico", 1952. Notevolissima l'attività pubblicistica e di polemista, con una enorme ed etereogenea mole di note, articoli, saggi, opuscoli. Di particolare interesse, quelli raccolti in "Scritti sulla questione meridionale", Torino 1955, nei quali dibattè i problemi del latifondismo, del fiscalismo, dell'industrializzazione, dello sviluppo civile e sociale, del clientelismo, del trasformismo. Anticipò Gramsci, auspicando un'alleanza operai del Nord-contadini del Sud; e con Gramsci fu in aperta polemica.

Storia di Puglia

Pino Orefice

Abitata fin dal Paleolitico, come attestano numerose testimonianze risalenti a quel periodo, in epoca storica la Puglia fu popolata da genti indoeuropee di ceppo illirico, (Iapigi, Dauni, Peucezi, Messapi, Calabri, Sallentini). A partire dal sec. VIII a. C., la colonizzazione greca influenzò profondamente tutta la vita della regione e diede origine al grande centro di Taranto, e a centri minori, quali Gallipoli, Brindisi, Otranto. Dopo lunghe lotte, le città messapiche dovettero riconoscere la supremazia dei Greci; durante le guerre sannitiche, esse furono alleate di Roma, la quale, dopo la conquista di Taranto (272 a. C.), confederò sotto il suo dominio le città apule. Non mancarono tentativi di ribellione che si rivelarono con maggior consistenza dopo la battaglia di Canne e durante la guerra sociale; ma, con la deduzione di nuove colonie, Roma rafforzò il suo dominio nella regione che, con l'espansione romana verso l'Oriente, acquistò maggiore importanza e floridezza. Brindisi divenne allora il porto principale, fu direttamente collegata con Roma tramite le vie Appia e Traiana; a poco a poco tutta la regione fu completamente latinizzata e nei primi due secoli dell'Impero raggiunse una grande prosperità economica. Con la caduta dell'Impero romano anche la Puglia, come il resto della penisola, subì varie dominazioni barbariche: la guerra tra i Goti e i Bizantini (535-553), fu la causa della distruzione delle città e della desolazione delle campagne; ma la popolazione ebbe ulteriormente a partire sotto l'esoso fiscalismo dei Bizantini. Con la venuta dei Longobardi, venne spezzata l'unità della regione: essi infatti incorporarono al ducato di Benevento la parte settentrionale della Puglia, e solo tra il 622-677 riuscirono a togliere il restante della regione ai Bizantini il cui potere si andava sempre più indebolendo: e a questi non rimase che l'estremità del Salento, con gli empori di Otranto e Gallipoli. Furono secoli di estrema decadenza, che si accentuò con la conquista. saracena di Bari (840) e di Taranto (842), con la conseguente devastazione del paese. L'intervento dell'imperatore Ludovico II, liberatore di Bari, complicò le lotte tra Longobardi, Saraceni, Chiesa di Roma. Ne approfittarono i Bizantini, che in un momento di ripresa, verso la fine del sec. IX, riuscirono a scacciare dalla regione sia i Saraceni sia i Longobardi, ricostituendo l'unità territoriale. Bari ebbe importanza come centro amministrativo e commerciale soprattutto dal 957, quando il "catepano", governatore della regione, vi prese residenza. Durante questi due secoli di dominazione bizantina, fu un continuo susseguirsi di guerre, e si rese più acuto il contrasto fra la popolazione latina e quella greca. Tuttavia le città pugliesi si risvegliarono, si rafforzarono le istituzioni comunali e la borghesia seppe conquistarsi una certa autonomia. Indice di tale risveglio furono le rivolte contro i "catepani", delle quali la più importante fu quella di Melo da Bari (1009-1012). Fu quello il momento in cui i Normanni s i inserirono per la prima volta nelle vicende di Puglia, riuscendo in breve tempo a sottomettere al loro regno tutta la regione (1071). Non mancarono le rivolte contro il nuovo Stato accentratore, come quella di Bari (1156) e di altre città. Tuttavia, specie sotto Guglielmo II, la Puglia godette di un periodo di prosperità. Difficili furono gli anni in cui ai Normanni successero gli Svevi, ma sotto Federico II (1220-1250) la Puglia trascorse gli anni più luminosi della sua storia; saggiamente amministrata, non solo raggiunse un alto livello economico, con il rifiorire dell'agricoltura e dell'industria, ma vide cospicuamente incrementate le lettere e le arti. Morto Federico e caduto Manfredi a Benevento (1266), la Puglia passò agli Angioini, che in un primo tempo continuarono la politica di Federico. Ma ben presto iniziò nella regione quella decadenza che si perpetuò poi fino al 1700: il centro del regno venne trasferito a Napoli e la debolezza stessa della monarchia angioina lavori le lotte dinastiche e feudali, che ebbero come conseguenza il depauperamento della vita economica e civile. Né la situazione cambiò quando agli Angioini successero gli Aragonesi (1442), orientati nella sfera degli interessi spagnoli e quindi completamente disinteressati della regione protesa verso l'Oriente. Le scorrerie dei Turchi, le invasioni Francesi del 1501 e del 1529, la dominazione spagnola (1503-1707), imposero alla Puglia un altro Medioevo: i porti furono messi fuori uso, si impaludarono le zone costiere, i latifondi restarono incolti. Una certa rinascita si ebbe nel sec. XVIII sotto i Borboni, tant'è vero che, all'epoca della rivoluzione, la Puglia fu già in grado di favorire le istituzioni liberali. La regione subì il saccheggio da parte del cardinal Ruffo (1799); varie benefiche riforme furono introdotte durante il decennio francese (1805-1815); ma la restaurazione borbonica riportò la Puglia nel più grande oscurantismo, al quale però si opposero i civili, partecipando ai moti d'indipendenza del 1821 e del 1848. Si andava intanto diffondendo il Partito Nazionale d'Azione che, chiarendo le differenze ideologiche talora assai profonde, preparava il plebiscito in favore dell'annessione al Regno d'Italia. Una violenta ribellione, però, esplose ben presto, sia perché non era stata mantenuta la promessa di ripartire le terre demaniali, sia perché la popolazione mal si adattava alla coscrizione militare e al ferreo fiscalismo piemontese; e conseguenza diretta di tale ribellione fu un accanito brigantaggio. Durante l'attuale secolo, la Puglia venne acquistando maggior floridezza. proponendosi, soprattutto dopo il secondo dopoguerra, come uno dei tre vertici del "triangolo meridionale", completato agli angoli opposti dalla Campania e dalla Sicilia.

PROFILI DELLE REGIONI DEL MEZZOGIORNO

1.- Puglia

Guglielmo Tagliacarne

Cominciamo questa serie di brevi monografie sugli aspetti economici delle regioni del Mezzogiorno, dalla Puglia. Puglia o Puglie? Già Augusto dava alla nostra regione il nome al singolare. Del resto la regione presenta caratteri abbastanza simili su tutta la sua superficie, sia rispetto alla faccia che si rivolge all'Adriatico, sia rispetto a quella che guarda al Tirreno. Questo è pure il parere dei geografi che l'hanno descritta, dal Toschi, al Dainelli, al Milone.
La nostra trattazione si limiterà ad un esame parziale, per alcuni caratteri; troppo spazio, oltre quello consentitoci, occuperebbe uno studio approfondito sull'economia della regione nelle sue componenti e nella sua evoluzione storica.

Superficie e popolazione

In quanto a superficie la Puglia è la più estesa nell'area del Mezzogiorno continentale, con la quota del 6,4 per cento del complesso nazionale. La popolazione, di oltre tre milioni e mezzo di abitanti, costituisce, all'incirca, la stessa quota dianzi indicata per la superficie, il 6,7 per cento di tutta la popolazione italiana. Pertanto la densitá della Puglia è pari a quella media nazionale: 192 abitanti per chilometro quadrato in Puglia contro 185 abitanti nella media nazionale. La vicina Campania presenta una densità doppia di quella della Puglia, la più alta rispetto a tutte le altre regioni italiane. La popolazione attiva rappresenta in Puglia il 32,5 per cento della popolazione complessiva: proporzione sensibilmente inferiore alla media italiana, pari al 34,8 per cento. Il 36,9 per cento di tutta la popolazione attiva pugliese è occupata nell'agricoltura: quindi la nostra regione conserva una notevole prevalenza agricola: la quota suddetta per la Puglia è il doppio di quella media nazionale con attività agricola (17,2 per cento).
Il capoluogo regionale, Bari, con 357.274 abitanti alla data del censimento, costituisce il dieci per cento della popolazione di tutta la regione ed occupa l'undicesimo posto fra le cinquanta città italiane con oltre 100.000 abitanti. Il tasso di natalità nella nostra regione è del 19,8 per mille abitanti, contro una media per tutta Italia del 15,7 per mille. Presenterebbe la natalità più elevata rispetto a tutte le regioni, se non fosse di poco superata dalla Campania (20,7 per mille). Il tasso di mortalità è fra i più bassi delle regioni italiane, 7,8 per mille abitanti, contro la media del 9,5 per mille di tutta Italia.
Nel 1973 il 5 per mille degli. abitanti della Puglia è emigrato all'estero; una pari quota è rappresentata dai rimpatriati nello stesso anno. Pertanto l'incremento della popolazione della regione, è dovuto - attualmente - solo all'eccedenza fra il numero dei nati e quello dei morti, che é del 12,0 per mille abitanti in ragione di anno: eccedenza circa il doppio di quella media nazionale, del 6,2 per mille abitanti.

Agricoltura: prevalgono la vite e l'olivo

Il prodotto lordo vendibile dell'agricoltura è stato calcolato nel 1973 pari a 761 miliardi di lire, dei quali 221 miliardi sono rappresentati dalla vite, 163 miliardi dall'olivo 151 miliardi dalle patate e dagli ortaggi. Il valore degli allevamenti ammonta a 79 miliardi di lire.
Le percentuali seguenti mostrano quanto la distribuzione per settori agricoli nella Puglia differisca. da quella media nazionale.

 

Industria: Sviluppo recente

L'inizio di una fase industriale è di data recente in Puglia, ed è in via di accelerazione con un indirizzo moderno. I centri più importanti sono localizzati a Taranto, Brindisi e Bari, dove sono sorti grandi complessi nei settori della chimica e petrolchimica, della grande e media meccanica, della siderurgia, della meccanica di precisione con elevati livelli di specializzazione. Altri settori importanti sono quelli degli strumenti elettrici ed elettronici, della carta, della gomma, del mobilio, del vestiario, dei materiali da costruzione, del tabacco, oltre alle tradizionali industrie alimentari e dell'artigianato. Sono pure notevoli le industrie estrattive (bauxite) e delle acque minerali. La produzione di energia elettrica si è anch'essa rapidamente accresciuta. Un' altra industria, che potrebbe giovarsi della riapertura del Canale di Suez, è quella cantieristica, che in Puglia ha antiche tradizioni ed elevate capacità.
Non v'è dubbio che esistono in Puglia le basi o le premesse per un ulteriore sviluppo di nuovi impianti industriali, anche se occorreranno tempi piuttosto lunghi per il raggiungimento degli alti livelli conseguiti in altre regioni del Nord.

Esportazioni: notevoli quelle ortofrutticole

La Puglia partecipa per una quota notevole alle esportazioni italiane di prodotti ortofrutticoli. Negli ultimi cinque anni (1969-74) tali esportazioni (ci riferiamo a quelle di qualità, controllate dall'Istituto del commercio estero) sono state di particolare importanza, per i seguenti prodotti.

 

Traffico marittimo: forte aumento dal 1964 al 1974

Un'attività importante in Puglia è quella dei porti, attraverso i quali si svolge una cospicua
esportazione. Le merci imbarcate nei porti pugliesi per l'estero sono passate da un indice 100 nel 1964 a un indice 439,7 nel 1974. La quota di tali esportazioni pugliesi sul totale dell'Italia è passata dal 3,6 per cento nel 1964 al 6,6 per cento nel 1974; quella sul complesso del Mezzogiorno si è elevata nel suddetto periodo dal 6,0 per cento al 9,7 per cento. Si constata quindi nella nostra regione un forte e rapidissimo sviluppo.

Reddito: tre province pari alla media, una povera e una ricca

Il reddito complessivo prodotto in Puglia è calcolato in 3.191 miliardi di lire (1973) al costo dei fattori. pari al 4,9 per cento del complesso nazionale ed è costituito percentualmente dai seguenti settori economici.


I dati di questo prospetto stanno a dimostrare. l'elevata partecipazione dell'agricoltura come caratteristica produttiva della regione., Anche per la pubblica amministrazione la Puglia presenta una quota sensibilmente superiore a quella media nazionale. Il reddito medio per abitante è calcolato nella nostra regione in lire 868.400, contro la media nazionale di 1.201.500 lire: quindi il reddito medio pugliese è di circa un terzo inferiore a quello medio dell'Italia. Il Molise, la Calabria e la Basilicata presentano valori sensibilmente inferiori, ,a quelli della nostra regione. Ma si avvertono
notevoli differenze nelle medie delle singole province:
Bari, lire 822.284 per abitante
Brindisi, lire 833.054 per abitante
Foggia, lire 873.896 per abitante
Lecce, lire 676.952 per abitante
Taranto, lire 1.264.989
per abitante

Pertanto, tre province, Bari, Brindisi e Foggia si trovano all'incirca a uno stesso livello, pari a quello medio regionale; invece si ha una grave carenza per Lecce e una media assai elevata nella provincia di Taranto, superiore del 5 per cento alla media nazionale.

Consumi: molto pane, poca carne,

I consumi alimentari delle famiglie sono stati calcolati dall'Istituto Centrale di Statistica nel 1973 in 85.479 lire per persona (media mensile) contro una media di 103.975 lire per tutta l'Italia. La distribuzione percentuale dei singoli consumi alimentari e sintetizzata nella seguente tabella, confrontata con la media nazionale.
I dati suesposti dimostrano il mediocre consumo della popolazione pugliese: non solo la spesa per l'alimentazione e mediamente inferiore a quella nazionale, ma si nota pure una maggiore spesa - in proporzione - per il pane e i cereali (specialmente pasta) e una minore percentuale dedicata alla, carne. Sono queste le caratteristiche delle popolazioni povere. Anche per altri consumi la Puglia presenta un ammontare di spesa sensibilmente inferiore alla media nazionale.


Il possesso di autovetture in Puglia è di 16,4 per cento abitanti contro il 24,5 per cento nella media italiana.
Gli abbonati alle radioaudizioni in Puglia sono 13 per mille abitanti, contro 15 per mille in tutta Italia; gli abbonati alla televisione in Puglia sono 184 per mille abitanti contro 214 in tutta Italia. Qui la differenza rispetto all'Italia è modesta, ma si tratta di una spesa caratteristica anche nelle regioni povere.
I posti letto negli alberghi, pensioni, locande e altri esercizi in complesso nella Puglia sono 78.839, pari a circa il 2 per cento del totale dell'Italia. I clienti nel 1974 sono stati nella nostra regione 970 mila, di cui 102 mila stranieri. Queste cifre sono molto basse in confronto a quelle della media nazionale.

Forze di lavoro: molti dipendenti e troppi disoccupati

Le forze di lavoro occupate sono rappresentate nella Puglia da 1.159.000 persone, che costituiscono il 32,9 per cento del numero di abitanti: di esse 416 mila persone sono occupate in agricoltura e 347 mila nell'industria.
Sul totale delle persone occupate il 74,3 per cento sono dipendenti, il 19,9 per cento sono indipendenti e il 5,8 per cento sono coadiuvanti. Le corrispondenti cifre medie per il complesso dell'Italia sono: 71,6 per cento occupati dipendenti, 21,8 per cento indipendenti e 6,6 per cento coadiuvanti. Pertanto la Puglia presenta una quota sensibilmente più elevata di lavoratori in posizione dipendente.
I disoccupati nella Puglia sono stati calcolati nella media del 1974 in 50 mila persone, pari al 4,1 per cento delle forze di lavoro, contro una media del 2,9 per cento nella media di tutta Italia.

Il credito speciale e ordinario: molti depositi, scarsi impieghi

La distribuzione degli sportelli bancari è in Puglia meno estesa che nella media nazionale: ve ne sono 1,3 per 10.000 abitanti contro 2 nella mela di tutta Italia.
Gli impieghi degli istituti di credito speciale al dicembre 1974 sono stati così ripartiti per settori, in Puglia:


Come si vede, il settore che è stato più favorito è quello dell'industria con un ammontare di crediti pari al 14,3 per cento del totale degli impieghi degli istituti di credito speciale di tutta Italia. Il settore meno privilegiato è quello del commercio con appena il 1,5 per cento in Puglia degli impieghi complessivi dell'Italia.
E' da notare che la provincia maggiormente beneficiata e stata quella di Taranto, attraverso il settore dell'industria con 1.227.665 milioni di lire su 1.740.564 milioni dell'intera regione.
Il credito agrario nelle province pugliesi al dicembre 1974 è ammontato a 173.358 milioni di lire, di cui 71.897 milioni sotto forma di credito agevolato per esercizio e 69.560 milioni di credito agevolato per miglioramento.
Infine, nelle aziende di credito ordinario si sono avuti al 31 ottobre dell'anno scorso in Puglia, impieghi per 1.401 miliardi di lire contro 2.246 miliardi di depositi; la proporzione degli impieghi sui depositi è risultata del 62,4 per cento in Puglia, in confronto al 68,4 per cento nel totale dell'Italia. Si vede pertanto che il rapporto fra impieghi e depositi è particolarmente basso rispetto alla media nazionale.

Quadro sintetico: la Puglia nell'Italia

Giunti alla fine di questo rapido excursus sulla nostra regione, presentiamo un quadro sintetico che costituisce una specie di "passaporto" della Puglia, con le sue caratteristiche più notevoli.
Abbiamo scelto un gruppo di parametri importanti per i quali la Puglia è confrontata con il totale dell'Italia. La significatività delle cifre appare chiaramente quando siano ragguagliate al dato della popolazione, che ne costituisce una specie di metro di misura. Se la quota percentuale di un dato fenomeno è inferiore alla quota della popolazione, vuol dire che esso assume un valore "negativo"; se invece è superiore, esso acquista un valore "positivo" (il contrario dicasi per la disoccupazione).
La popolazione della nostra regione costituisce il 6,7 per cento di tutta la popolazione italiana; è questo il dato di riferimento da tenere in mente: che cosa dicono le singole cifre? Vediamo.

 

1) Come superficie, si ha all'incirca la medesima quota della popolazione.
2) Come estensione del territorio pianeggiante, si ha un valore quasi doppio: vale a dire questa regione eccelle riguardo alla pianura.
3) L'incremento demografico naturale è superiore; quindi supera il livello medio nazionale.
4) La quota della popolazione agricola è sensibilmente più elevata di quella complessiva dell'Italia: dunque è una regione spiccatamente agricola.
5) Al contrario avviene per la quota di popolazione addetta all'industria: quindi la regione è scarsamente industriale.
6) La quota dei disoccupati supera, ragguagliata alla popolazione, la media nazionale.
7) La percentuale del prodotto dell'agricoltura è più alta di quella media dell'Italia.
8) Al contrario avviene per il reddito complessivo: perciò la regione "perde" rispetto all'Italia in complesso.
9) La nostra regione "perde" anche rispetto ai consumi, specialmente quelli privati.
10) La quota delle esportazioni pugliesi è scarsissima; ma diventa importante quando si considerino i prodotti agricoli.
11) Il movimento portuale è ragguardevole rispetto al movimento delle merci, meno per quello dei passeggeri.
12) L'afflusso turistico è molto modesto rispetto alla media nazionale.
13) In quanto ai depositi bancari, la regione presenta un valore discreto per quello affluito alle banche, più importante per quello postale.
14) I crediti speciali concessi in Puglia sono relativamente notevoli.
15) La circolazione automobilistica nella regione è sensibilmente inferiore a quella media dell'Italia.
Tutto sommato, la Puglia è una regione prospera in rapido sviluppo, aperta a favorevoli prospettive.


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