§ Alle origine dell'Umanesimo salentino

Il miracolo basiliano




Luciano Milo



Della vitalissima cultura greco-bizantina, che penetrò a fondo in Terra d'Otranto, informando di sé la coscienza delle popolazioni, sviluppando la cultura, trasformando l'economia, restano solo pochi ruderi sparsi, spesso irriconoscibili per il colpevole abbandono degli uomini e per l'inevitabile ingiuria dei tempo.

Un'antica consuetudine ci fa parlare di "monaci basiliani", anche se è sufficiente un minimo di conoscenza storica per stabilire che non ci fu mai un vero e proprio ordine monastico creato da San Basilio. Di fatto, il pensiero e la dottrina del Santo di Cesarea influenzarono a tal punto e così radicalmente la vita e l'opera di quei monaci, appartenenti ai più diversi ordini religiosi, che furono definiti dai più, tout court, "basiliani". E per comodità critica, così continueremo a chiamarli anche noi.
Le origini del culto basiliano nella penisola salentina si collegano senza dubbio alla massiccia immigrazione verificatasi nel corso dei secoli decimo e undicesimo. Fu, questa, l'ultima delle tre grandi migrazioni, la più importante delle quali fu la seconda (verificatasi tra gli anni 726 e 843), verificatasi a causa delle lotte iconoclastiche. I motivi dell'ultimo esodo, invece, vanno individuati nell'esigenza dell'imperatore di Bisanzio di tenere più strettamente legata la penisola salentina, la cui posizione geografica, tra i due mari mediterranei, rappresentava una splendida testa di ponte verso le popolazioni occidentali, e forniva eccezionali punti di approdo e di appoggio per gli scambi commerciali. Va inoltre sottolineato che il Salento fu anche considerato un centro favorevolissimo per scambi dottrinari e culturali tra Occidente e Oriente, con vincoli spirituali ben più saldi ed efficaci di quelli che sarebbe stato possibile stringere con le sole soluzioni militari.
E. senza ombra di dubbio, mezzo più adatto a penetrare nel fondo dell'anima salentina, sensibile per temperamento e per naturale disponibilità ai movimenti di cultura, non poteva esserci. La stessa natura del luogo, arido e brullo, con aspri macchioni boschivi, con solitari nidi costieri o collinari, con l'abbandono di interi centri abitati in seguito alle repentine razzie turche, costituiva l'ambiente ideale per lo svolgersi della vita degli eremiti. Sorsero dunque monasteri dappertutto, si diffusero chiese tra le campagne, e subito si fecero sentire gli effetti di questa spontanea penetrazione: l'influenza della cultura monastica greco-orientale valse a informare di sè la coscienza delle popolazioni locali: si determinò uno stato di benessere economico quale forse mai era stato conosciuto nel passato, dal momento che si abbandonò la pastorizia e si ebbe un ritorno all'agricoltura che i più avevano abbandonato, dandosi alle colture nomadi: mentre l'ideologia basiliana era assertrice del lavoro come del massimo elemento della formazione spirituale dell'uomo. Da qui, dunque, la razionalizzazione dell'attività primaria, su cui si fondarono le fortune, la forza, e la coesione morale di un popolo che, diversamente, si sarebbe disperso nel mosaico di popolazioni e di vicende che caratterizzava la Puglia centromeridionale del tempo.

La testimonianza dello storico Tasselli

Che la promozione culturale fosse un risultato diretto e immediato del benessere economico, del resto, lo riconosce anche il Tasselli, colorito storico di Casarano, del secolo XVII, che scrisse: "Prima delle celebrate scuole di Montesardo, furono i monaci basiliani in Leuca, nella terra d'Amito, in Casaranello, e poco lontano da Otranto, in San Nicolò da Casole, in Galatone, in Nardò e in altri luoghi ( ... ) e da questi monasteri di religiosi si virtuosi, e nationali di questo Capo, come da' cavalli Troiani, uscirono tanti dotti, Filosofi, Teologi e Letterati, che da essi appunto se ne avvaleva la Chiesa Per fronteggiare l'heresie, e per comporre le differenze insorte tra i più Sovrani del mondo".
E questa è la conferma che l'influenza dei basiliani non si limitò alla penisola salentina, ma si diffuse largamente anche oltre questa regione. Proprio sul primo numero di questa Rassegna, Donato Moro ha scritto dell'abbazia di S. Nicola di Casole, con una diffusa documentazione storica. Bene, non sarà inutile sottolineare ancora una volta l'enorme importanza che quel centro ebbe per l'attività dottrinaria ed erudita che vi ebbe luogo. Riascoltiamo il Tasselli: "Nella libreria famosa di San Nicola di Casole vi erano li più famosi e stimati libri, che haveva ne' tempi andati la Grecia, e fra li uomini dottissimi vi fu Nicolò, che scrisse egregiamente sopra la Logica, e Filosofia di Aristotele, e anche ci lasciò scritti famosi di Teologia, che tutti incendiati si piansero, nell'invasione. e rovina, che pati Otranto de' Barbari Ottomani.
"Hor questo Nicolò Otrantino, celebre nel Sapere del tutto, nel 1207 si fe' religioso in quello stesso monastero di San Nicola di Casole, dell'Ordine di San Basilio, dove si avanzò tanto ne' meriti e nella virtù, che fu Abate di quel Monastero, e avendo cambiato il nome di Nicolò, che aveva, in quello di Niceta, nella sua professione altro però non si nominava in tutta l'Italia, e Grecia, che l'Abate Niceta, celebre per la maniera che più volte fu mandato dal Papa all'Imperatore di Costantinopoli, e da questo al S. Pontefice, per comporre certe differenze, o controversie insorte".

Una storia malinconica

Questo avveniva verso la prima metà del secolo XIII. La biblioteca di Casole andò dispersa, come ha affermato Moro, e scomparve quasi del tutto verso il 1480. Gli ultimi monaci vi restarono non oltre la fine del secolo XVI. Nel 1607, sotto Lucio de Mora, arcivescovo di Otranto, l'abbazia era praticamente deserta, ma riprese un pò di vita verso il 1665, quando l'arcivescovo otrantino, lo spagnolo Gabriele Adarzo de Santander, entusiasta ammiratore di quel movimento, culturale, che in passato aveva avuto Casole, promosse il restauro di quell'abbazia. Quel che resta oggi, per l'ingiuria del tempo e per il colpevole abbandono degli uomini, è stato documentato dalla "Rassegna". E si tratta di una malinconica storia, che ha accomunato altri monasteri e cenobi e badie della penisola salentina. Tuttavia - lo ripetiamo - il discorso deve partire sempre da Casole, tanta fu l'importanza, tale fu l'impegno profuso da chi vi dimorò, e così imponente l'azione spirituale che si irradiò da questo centro nodale dell'umanesimo salentino. A Casole si deve quasi tutto quel che sorse in questa terra, e la stessa fine di Casole èstata fatta da decine di cripte, laure e affreschi, che formano uno splendido itinerario, un mondo appartato e pressoché sconosciuto agli stessi abitanti di Terra d'Otranto. Splendidi, nella scoperta che si fa, portati dall'amore per le tradizioni e per la storia di questa penisola bimare, sono i resti dei monasteri basiliani di San Salvatore e delle Centoporte (Giurdignano); di Santa Maria delle Cerrate (dintorni di Lecce), recentemente restituito alla sua antica, inimitabile bellezza; di San Mauro (Gallipoli); dei SS. Stefani (Vaste); e quelli superstiti nei territori di Galatone, Nardò, Galatina, Leuca, Tricase, e via dicendo. Tra le numerosissime immagini che affrescano le pareti interne di questi resti architettonici, ricordiamo in Santa Maria delle Cerrate una stupenda "Annunciazione", che per la disposizione dell'ambiente ci ricorda quelle più celebri del Beato Angelico; in questa stessa chiesa sono due altri affreschi d'alto valore: il "San Giorgio che uccide il drago", e il "Transito della Vergine".

Un mondo da scoprire

Diffusissime le immagini di Madonne bizantine, alcune di particolare incanto, come la "Madonna della Coltura", alle radici di Parabita. Ma a parlare del complesso di opere architettoniche, di tutte le dimensioni, e degli affreschi che ne decorano gli ambienti interni, come direbbe il Tasselli, "saria bisogno di formarne volumi". Non è possibile tuttavia non richiamare l'attenzione su alcune testimonianze, fra le meno note, ma non per questo meno affascinanti. Diciamo delle cripte di Sternatia (di recente scoperta), e del santuario di Santa Maria della Grotta (a Presicce). Addirittura sconosciute molte altre, fra le quali una badia, bella e in rovina, in contrada d'Amito, nei pressi di Tricase, cui accennava anche il Tasselli. Risulta da un affresco sopra quella che era stata la parete dell'altare maggiore, che vi fu una restaurazione nell'anno 1665. Vale a dire, nello stesso momento in cui l'arcivescovo Adarzo promosse la restaurazione di Casole. Testimonianza evidente, a parere di eminenti studiosi, che la sua opera di recupero non si limitò alla sola abbazia di S. Nicola, ma andò ben oltre.
Di tanto, restano sparsi ruderi: recinti in masserie, adibiti a stalle o a depositi di attrezzature agricole, utilizzati come fienili, abbandonati alla vegetazione spontanea, con larghe tracce di affreschi con orribili sfregi. Singolare ,e incredibile è quanto si è verificato nella cripta "del Gonfalone", a Tricase, i cui affreschi vennero totalmente cancellati da parecchie "mani" di calce, "per pulizia", come affermarono gli autori di quello scempio. E nessuno, "né in alto né in basso" - come ha affermato un nostro eminentissimo studioso, il Gabrieli - muove un solo dito per porre riparo a tanta rovina. Santa Maria delle Cerrate è stata un'eccezione - e che splendida eccezione! - che ha impegnato fino all'ultimo le forze intellettuali più vive dell'area. Per il resto, a meno di improbabili smentite, è silenzio. Come se una spirale di nebbia fosse scesa a chiudere in una dimensione buia, e quasi senza speranza, le testimonianze di un nostro passato che pochi conoscono e nessuno - o quasi - ama.


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