§ Le inchieste della Rassegna

BASILICATA Oltre Eboli




Realizzazione
ALDO BELLO
Testi e statistiche
GUGLIELMO TAGLIACARNE
Hanno collaborato:
Ricerche letterarie
Ada Provenzano
Ricerche storiche
Pino Orefice
Ricerche economiche
Claudio Alemanno
Sezione grafica
Sandro Gattei
Sezione fotografica
Folco Quilici
Giuliana Calabrese




Montuosa e appartata terra meridionale, con l'impronta di splendide civiltà, sepolte da un buio Medioevo che fu superato solo con la creazione del pensiero meridionalista, esce dal millenario isolamento - contro la volontà della geografia e della geologia - poiché ha liberato energie insospettate e originali, che hanno proposto questa regione e queste genti come modelli insuperati di analisi socio-economica e culturale fra tutte le aree depresse d'Europa.


Parte dell'antica Lucania (16.mo grado ad est di Greenwich), al novantadue per cento altocollinare (45%) e montuosa (47%), con brevi pianure alluvionati. I massicci, notevoli, sono connessi geologicamente alla Campania e alla Calabria.
Cinque flumi la solcano da nord a sud, a dente di pettine: Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni, che sboccano nella costa bassa e sabbiosa dello Jonio, lunga cinquanta chilometri, mentre la costa alta e rocciosa del Tirreno, nel Golfo di Policastro, supera di poco i quindici chilometri.
L'idrografia e la natura dei terreni, con un'ampia coltre di argille smottanti, creano in molte zone veri e propri paesaggi lunari, rotti dei calanchi.
Verso i confini con la Puglia l'azione delle acque scava profondi crepacci (le "gravine") con pareti precipiti. I laghi sono nelle aree interne, tra i nodi montani potentini.
Delle città non capoluogo, solo Melfi supera i diciottomila abitanti.
Predominano tre climi: mite nella fascia tirrenica; rigido all'interno; esposto ai venti di sud-est (scirocco prevalente), con inverni miti ed estati caldissime, lungo il litorale jonico.
La regione è divisa in due province e in 130 comuni. Capoluogo è Potenza.

Col muro nel cuore

Aldo Bello

Gli itinerari sono due. Il primo va sull'orlo costiero: sbuca dalle fuliggini di Taranto, travalica l'ascella delle Serre fino a Ginosa, con i campi di tabacco che scendono fino al mare, e giunge a vista del Bradano con quei ponti filiformi che furono i primi in ferro e cemento in questa regione. Da qui, nuovamente l'aria s'illumina. Tavole Palatine, Eraclea, Siri: le rovine ricordano che fra Egeo e Jonio una strada d'acqua fu cammino della civiltà achea. Costa bassa, approdi agevoli, tappeti di sabbia con galassie di mica. Il verde che esplode alle spalle è storico: ricorda le prime irrigazioni sperimentate nel Mezzogiorno.
L'altro itinerario invece è più a nord, passa dal valico di Torre Disperata, da qui la murgia s'incattivisce, diventa montagna d'argilla, nega le colture arboree, la vegetazione è cespugliosa, bassa e torva come le illustrazioni del Doré. L'oasi è lacustre, a Monticchio. Poi, il volo può biforcarsi: da una parte ci si affaccia al balcone tirrenico, sceiccato edilizio - da Maratea al mare - per uomini e capitali calati dal Nord; dall'altra le calanche tagliano trasversalmente la montagna, cupe e incomunicanti, orride, desolate: fino ai contrafforti del Pollino, cima che unisce e divide due regioni, cioé due modi di essere corte dei miracoli.
Da una parte e dall'altra, le valli, le "grandi vallate" che seguendo l'impervio corso dei fiumi si snodano dall'interno al mare, tranne che nelle aree costiere prossime al confine pugliese, son quasi come ai primi del secolo, dorsali calve con paesi come necropoli e campi senza reddito. Caduto il bosco, la montagna si è trasformata nel male oscuro Basilicata. Per un'intera epoca l'ha costretta a fermarsi nella Storia.
Se le valli erano tormentate e sconnesse, le catene montuose, rotte da gole profonde, subivano metamorfosi fulminee. Era la terra abbagliante che d'estate aveva il colore del deserto. Il lieve strato di terra coltivabile veniva dilavato dal tempo: l'argilla bianca si stendeva e perdita d'occhio, da un orizzonte all'altro, calando dai monti, configurandosi in coni stranissimi, coprendosi d'una repellente peluria bruna. D'estate i fiumi erano fiumare di pietrisco lunare, con qualche stagno malarico. D'inverno si tramutavano in torrenti rovinosi come ciechi arieti, dilagavano nelle pianure e nelle depressioni, dove gli argini naturali si interrompevano, e dal novembre all'aprile facevano dei campi di grano putride risaie.
Il sessanta per cento della superficie montana, il trenta per cento collinare: la pianura, all'interno, era sempre fondovalle, dissestata dall'eco delle frane. Quando quest'inferno geologico fatto regione entrò nella storia magniloquente e tragica del ventesimo secolo, l'analfabetismo raggiungeva il 92 per cento della popolazione, e tra le donne toccava il 98 per cento; su 124 comuni solo 62 avevano un cimitero. Nel secondo dopoguerra esistevano solo tre tipi di scuole secondarie, sicché a Melfi i diplomati erano tutti maestri elementari, a Matera periti agrari, a Potenza geometri.
Dei cinque maggiori fiumi che tranciano la regione, il Basento è quello che meglio divide i lucani: nel linguaggio, nei pensieri e nelle aspirazioni, nella stessa concezione della storia. Il Basento è l' immagine
concreta della linea di demarcazione psicologica e intellettuale che divide terra e genti lucane. Perché, oltrepassando Eboli, il Cristo di Carlo Levi scopri che la Basilicata non era una. Ce n'erano due, di
qua e di là del Basento. E tutte e due avevano un muro nel cuore.
Linguisticamente, come costume, come economia, come mentalità, questa regione si dissocia in linea verticale. Vi è quella napoletana, nel Potentino, dove l'accento ha cadenze partenopee e la società, sia pure in maniera meno vistosa e con caratteristiche più agresti, rispecchia il modello cui si è ispirata. E vi è quella appula, del Materano, con l'innesto del dialetto barese e tarantino, con l' influenza di quelle strutture sociali, con l'espansione dei fermenti pratici che sono di estrazione tutta pugliese. Se i poli di attrazione sono Potenza in Campania, le città-pilota per Matera sono ad oriente. E la ragione non è soltanto nella geografia, ma nell'opera di penetrazione svolta da due tipi di civiltà, la cui definizione, in un certo senso generica, ma in qualche modo anche illuminante, può essere quella di una civiltà tradizionale, e tuttavia stanca ed usurata, come la napoletana; e di una civiltà pugliese, anch'essa tradizionale, ma arricchita dal fervore speculativo, dalle aperture intellettuali, dalla praticità dell'iniziativa imprenditoriale delle genti che la realizzano. Due cordoni, dunque, uniscono la Basilicata a Napoli e a Bari. Sicché, venir fuori dall'immobilismo, dalla storica palude in cui moriva questa regione povera e appartata, e dalle terrificanti cifre della sua arretratezza, ha voluto dire innanzitutto non "distrarsi al bivio", e tempestivamente articolare la propria anabasi.
La prima rivolta fu brigantesca. Quando fu soffocata nel sangue e nel tradimento, si contarono i morti, e il Deep South, il profondo e profondissimo Sud, ebbe le croci da piantare sulle rive del suo fantastico "Spoon River".
Dalla seconda rivolta, morale e intellettuale, nacque un lungo magistero. Giustino Fortunato è il fiore all'occhiello di quel meridionalismo militante che fu la prima presa di coscienza della condizione umana, delle aspirazioni civili, delle ragioni storiche dell'"altra Italia". E quel magistero trovò subito in trincea, pur se defilati in diverse o contrapposte posizioni ideologiche, gli alti spiriti che hanno poi condizionato - aprendole a interessi moderni - una Politica e una letteratura. Dall'irta Basilicata Levi esportò realismo e magia. Nell'esilio lucano un altro uomo del Nord, Pavese, figlio della Langa e del Belbo, diede un nome alla sua ossessiva sensibilità e una ragione profetica al suo impegno politico. Qui, come una meteora folgorante, si svolse l'intensa vicenda di Rocco Scotellaro, poeta-contadino. Il dialetto di Tursi riconfermò la dignità letteraria, vernacola con la voce di Pierro. La genialità scapigliata di Sinisgalli diede al Sud una nuova voce europea.
L'altra rivolta fu migratrice, interessò decine di migliaia di disperati, e creò una diaspora che portò i lucani sulle pianure argentine e australiane, dapprima, e per le strade di mezza Europa poi. Sicché solo insieme con il Molisé questa regione è rimasta un esempio insuperato di nucleo di espulsione demografica.
La Basilicata fu regione-cavia. A Metaponto si tentarono la prima riforma agraria e le prime irrigazioni su larga scala, le bonifiche idrauliche e gli assestamenti del territorio, le strade veloci che dovevano vincere la montagna, le dighe che dovevano dissetare gli uomini e le terre. Qui si svolsero le prove generali dell'intervento straordinario. In un paese lucano, Grassano, i contadini meridionali indossarono le prime tute blu, improvvisandosi operai. Nel bene e nel male, ogni metamorfosi
che nel 1950 ad oggi ha riguardato il Mezzogiorno ha avuto nella Basilicata le rudimentali quinte di un immenso laboratorio per la ricerca sperimentale in vitro. E Metaponto resta ancora oggi una vetrina di
quel pionierismo, come Ferrandina fu l'archetipo di agglomerato industriale, e la diga di Monte Cotugno è la piramide di Cheope degli sbarramenti fluviali europei.
Eppure, a guardare a fondo, questa regione è vittima della sua ansia di progresso. Una volta domato, il più ribelle dei fiumi lucani, il Sinni, irriga terre disseta genti muove impianti industriali della lontana Puglia, regione storicamente predatrice di acque altrui. L'energia elettrica prodotta tra le montagne del Potentino alimenta Taranto e Bagnoli. Le sementi prodotte lungo le pianure costiere che furono teste di ponte della Magna Grecia fioriscono altrove, e ad altri danno i loro frutti. I treni della speranza dissanguano interi paesi, si portano via i giovani. Da secoli questa è terra tributaria del mondo, e il sogno di creare accanto alle ciminiere episodiche un grande demanio silvo-pastorale (sogno nato con l'uomo lucano; e che un lucano, Nitti, per primo illustrò, spogliandolo d'ogni contorno onirico, settant'anni fa) stenta a tradursi in realtà.
Per questo motivo, l'organizzazione economico-produttiva resta chiusa nell'antico circolo vizioso dell'immobilismo del risparmio attuato sulla quota del reddito percepito dai contadini. Costoro continuano a lavorare per tutta una vita, accantonando a durissimo prezzo risparmi che consentono loro di acquistare anche soltanto un pugno di terra. Si calcola che nel giro di ogni generazione almeno il venticinque per cento della terra sia venduta. Sicché, la popolazione rurale lucana lavora per accumulare microcapitati in grado di acquistare ogni quattro generazioni la terra, il deserto delle argille, il bianco sertao della Basilicata, e la sua contropartita, vale a dire il reddito prodotto e risparmiato per l'acquisto, viene regolarmente trasferito fuori regione.
Ci si rende conto, allora, di come sia storicamente e sociologicamente determinato un perpetuo circuito della miseria, con i caratteri tipici dell'area depressa: bassi livelli di produzione, di reddito, di consumo, secondo un comportamento diffusamente noto, che la statica l'economia e lenta la crescita civile.
La Basilicata è terra varia e ricca, a modo suo. Soprattutto di risorse umane e intellettuali. Ma è stata per secoli profondamente sfiduciata. L'aurea massima della "legge uguale per tutti" poté risvegliare il senso critico dei lucani, che proprio nel diritto cercarono quella fiducia che, al fuoco delle passioni, vacillò e cadde, per tentare di risollevarsi al fine di dare una "ragione" all'irragionevolezza di una vita socialmente arretrata e culturalmente inquieta. E solo appoggiandosi al diritto i lucani riuscirono -e riescono ancora oggi - a mettere un pò di ordine nell'intricatissima situazione che ha sempre accompagnato la loro condizione umana.
Occorrerebbe riscoprirla, questa terra di grandi giuristi che correvano a Napoli ad ascoltare Settembrini e De Sanctis, e che nelle anticamere dei tribunali leggevano Petruccelli della Gattina, il creatore del "colore" giornalistico, che nel 1861, preso anche lui dalla "malattia del giudizio", scriveva: "La Camera italiana si compone di 443 deputati: ossia sopra una popolazione di circa 23 milioni, un deputato ogni 60 mila abitanti. Sono già state convalidate 438 elezioni... Di questi deputati, a parte sette dimissionari e cinque morti che, beninteso, non contano più, due sono principi, tre duchi, ventinove conti; 23 marchesi, 26 baroni, 50 commendatori o gran croci; 17 cavalieri, dei quali tre della Legion d'Onore; un centinaio d'avvocati, 25 medici, 21 ingegneri; dieci preti, fra cui Apollo Sanguinetti, uno dei più ostinati seccatori del Ministero ... ; un prelato, quattro ammiragli, 23 generali, 13 magistrati; 52 professori o ex professori o che si danno come tali; 13 colonnelli, sei maggiori, cinque Consiglieri di Stato ... ; un bey dell'Impero Ottomano, l'onorevole Paternostro; due ex dittatori, due ex prodittatori, nove ex ministri, sei o sette milionari, cinque banchieri, otto commercianti; 25 nobili senza titolo, altri senza professione; quattro soli letterati, e Verdi, il maestro Verdi. Non si dirà, certo, che il nostro sia un parlamento democratico. V'è tutto, meno il popolo".
Solo da poco si è trasformato quel trinomio "SSS" col quale in Germania venivano definiti gli svevi, (Schaften-sparen-sterben = lavorare-risparmiare-morire), e sotto la spinta illuministica dell'ansia di progresso che coinvolge tutte le regioni meridionali anche la Basilicata si muove, per venir fuori da quel fondo d'imbuto che è la sua posizione statistica nel quadro complessivo delle regioni della Comunità Economica Europea.
Le ultime tre posizioni, infatti, vedono altrettanti nomi italiani, che si alternano come in un gioco di dadi: Molise, Basilicata, Calabria, con redditi medi otto volte inferiori rispetto a quelli delle più fortunate aree tedesche o francesi, e almeno due volte inferiori rispetto a quelli delle regioni del "triangolo industriale" italiano. E la marcia di trasferimento verso un diverso modello di sviluppo è una difficile storia quotidiana, che si scontra con gli opposti interessi delle altre regioni e di uno Stato accentratore, immobile, sorretto da una burocrazia inintelligente e vessatoria.
Perché questo è l'aspetto più drammatico dell'intera "questione", lucana e meridionale: ostili la montagna e il clima, una storia di dominazioni e di violenze, di carneficine e di sistematici sfruttamenti; ma più ostile - occulta o palese che sia stata, e continui ad essere - la condizione di sudditanza politica ed economica determinata da uno Stato manicheo, forte della sua debolezza; della fondamentale perfidia del Diritto Romano, dal quale è stato generato per accumulazione di epoche, o per inerzia intellettuale e morale; e del pessimismo ideologico che, esprimendolo, lo realizza.

Letteratura di Basilicata

Ada Provenzano

Fiore all'occhiello dì Venosa è la nascita di Orazio. E questo potrebbe far pensare a una notevole tradizione culturale classica. In realtà, e fuori di retorica, il mondo latino non ebbe dominante importanza nella difficile formazione culturale e letteraria di questa regione estremamente decentrata rispetto all'organica diffusione della ciassicità romana e condizionata nel periodo medioevale anche dalla cultura bizantina e dalle stesse forme greche e basiliane della penetrazione del Cristianesimo: anche se fra i secoli VI e VIII non mancarono documenti di agiografia in latino (la versione. latina della leggenda greca di San Luca abate, e quella più tarda della vita di San Vitale, del 1194). Fu lenta anche la formazione di un volgare scritto lucano; così come la fase storicamente importante del dominio normanno e poi di quello svevo-fridericiano, che trovò in Melfi uno dei suoi centri maggiori (donde la promulgazione da Melfi delle Costituzioni di Federico II), non promosse una corrispondente alta civiltà culturale e letteraria, anche se si può ricordare, di Riccardo giudice venosino, un poemetto latino in distici elegiaci, ''De Paulino et Polla", con un notevole possesso della lingua e di una buona forza comica ed espressiva. Né molto di più può ricavarsi sullo sviluppo umanistico, a meno che non si considerino "lucani" alcuni accademici e diplomatici della Corte aragonese effettivamente nativi della Campania orientale e meridionale (Gabriele Attilio, Giovanni Albino, Giovanni Brancati). Rari scrittori possono indicarsi tra la seconda metà del '400 e i primi anni del '500 (il vescovo di Massa Lubrense, Girolamo Borgia, sulle cui origini lucane ancora si discute; Giovanni di Trocculi, autore in volgare di barzellette e strambotti). Sono tracce assai fragili di una diffusione letteraria sporadica in una regione che, dopo il periodo normanno e svevo, venne sottoposta alla dura pressione politica e fiscale degli Angioini e degli Aragonesi, e che in se stessa non trovò forze economiche e sociali che le permettessero una vita di autonomie comunali o una partecipazione creativa alla storia del Regno. Solo nel 500 si può individuare qualche personalità spiccata. E' il caso patetico e drammatico della poetessa Isabella di Morra (nata nel 1520 a Favale, oggi Valsinni), che bene espresse la solitudine, l'abbandono, l'inamenità del paesaggio, le condizioni subumane dell'uomo, con accordi di cupo dolore personale, che le ispirarono una lirica di singolare intensità. Luigi Tansillo (nato a Venosa da, famiglia patrizia oriunda di Noia), ben rappresenta la situazione di una salvezza individuale grazie all'evasione verso condizioni culturali più proprizie, in cui un innegabile rapporto con un nativo sentimento del paesaggio selvaggio e scabro si colora di forme sontuose e sensuali e si arricchisce di una cultura poetica elegante e raffinata, sia nei poemetti ("Il vendemmiatore", "La balia", "Il podere", "Stanze a Bernardino Martirano", "Cliorida"), sia nel suo esercizio lirico che segna il transito dal petrarchismo bembistico a impostazionì prebarocche, che non disdegna un'accesa sensualità e i sentimenti erotici. Sicché proprio nel Seicento Tommaso Stigliani, nato e morto a Matera, ma vissuto a Napoli, a Roma, a Torino, a Parma, a Milano, poté sentire proprio nel Tansillo una delle maggiori "autorità" della lirica nuova, un maestro della poesia barocca, da contrapporre tenacemente agli eccessi metaforici del Marino (nell'"Occhiale", del 1627), tentando con più velleità che capacità una via nuova e ambiziosa, con un lavoro che voleva fondere poesia, tecnica e scienza ("Il mondo nuovo", 1617) per il quale osava paragonarsi a Dante. Mentre più vicino a una poesia epico-religiosa barocca fu quel francescano Serafino da Salandra che nel 1647 pubblicò una tragedia, "L'Adamo caduto", che fu indicata come una delle fonti del Paradiso perduto di Milton. Solo in pieno Settecento, col rinnovamento che nel regno di Napoli provocarono il diffondersi dell'illuminismo e l'affiorare della borghesia, la letteratura lucana ebbe una maggiore consistenza. Il materano Emanuele Duni riprese e applicò le teorie vichiane alla storia del diritto e alla storia romana; al giurista Fiorentino di Pomarico, difensore delle' teorie dei Genovesi e del Rousseau, dobbiamo un vasto panorama della situazione socio-economica del regno partenopeo ("Riflessioni sul Regno di Napoli, in cui si tratta degli studi, de' tribunali, delle arti, del commercio, de' tributi, dell'agricoltura, pastorizia, popolazione e altro": panorama che sottolineava i ritardi dell'opera riformatrice rispetto alla drammatica situazione economico-sociale della regione), e una fiorente pubblicistica, fino a che cadde vittima, col più grande Francesco Mario Pagano, della reazione borbonica dopo il '99.
Il Pagano, nato a Brienza, educato a Napoli nella scuola dei Genovesi, e a quella vichiana del De Angelis, congiungendo Illuminismo e vichianesimo, aspirazione a una nuova poesia teatrale (donde i falliti suoi tentativi di tragedie e commedie, pur se frutto dell'ardito sogno del recupero degli antichi, con ricchi elementi eticopolitici) e concreta vocazione economico-giuridica, riuscì ad una concezione democratica innovatrice, che lo portò alla partecipazione alla rivoluzione del '99 e ai provvedimenti antifeudali della nuova repubblica. E, da qui, al martirio sul patibolo borbonico.
Tra i minori del grande movimento rivoluzionario vanno ricordati anche il pittore e poeta dialettale "giacobino" Gian Lorenzo Cardone, e quel Francesco Lomonaco (di Montalbano, morto suicida a Pavia) che, esule a Milano, portò con il Cuoco, a Foscolo e al Manzoni l'eredità dell'insegnamento vichiano e degli ideali della repubbica partenopea, oltre a un forte stimolo unitario (con le "Vite degli eccellenti italiani", ventitrè biografie da Dante al Filangieri) e democratico (con i "Discorsi letterari e filosofici", pubblicati nel 1809 e sequestrati dalle autorità). Nel periodo risorgimentale e romantico anche la Basilicata pagò il suo tributo a quella lirica effusiva e sentimentale, in cui temi patriottici, domestici, religiosi e paesistici si espressero attraverso una poetica ingenua e popolareggiante, improvvisatoria, con alcuni elementi soltanto di poesia ed eloquenza romantica, fra echi foscoliani, byroniani, montiani, leopardiani, persino lamartiniani. Sulla generale mediocrità spiccò Nicola Sole, di Senise, autore di un'"Arpa lucana" piena di accenti liberali e vagamente populistici, che De Sanctis indicò come rappresentante di un'epoca e di una classe; e spiccarono verseggiatori come il Giura, la Battista, il Guglielmucci, al quale ultimo si deve un racconto, "La monaca di casa", sorprendente per i problemi sociali che affronta; e, più tardi, Ferdinando Petruccelli della Gattina, di Moliterno, morto a Parigi, inventore del "colore" giornalistico, vale a dire del "corsivo", nel quale gusto letterario, acume politico, amore della polemica, giocarono ruoli incrociati, sempre eleganti, spesso corrosivi, a volte acri: fu, il Petruccelli, autore di quei "Moribondi del Palazzo Carignano" (1862), che è un precoce documento di insofferenza e di critica del Parlamento.
Con l'Unità, il contrìbuto della regione alla cultura nazionale si fece ben più solido. Fra ultimo Ottocento e Novecento numerose personalità lucane si inserirono con prepotenza, come energie a lungo covate, in tutti i filoni del sapere, dalla storiografia (Giacomo Raccioppi e Ettore Ciccotti), alla filosofia e alla storia della filosofia (Francesco De Sarlo, Paolo Emilio Lamanna) alla critica, alla filologia (il classicista Nicola Festa, Francesco Torraca, Giuseppe De Robertis), al pensiero politico (Francesco Saverio Nitti, e quel Giustino Fortunato che fu padre e maestro di intere generazioni di meridionalisti), alla poesia (con Antonio Rinaldi). E non a caso la Basilicata dei nostri tempi ci ha consegnato figure come Leonardo Sinisgalli, di Montemurro, che associa lucidità intellettuale a un potere evocativo dei miti del paese in un'armonica, stupenda grazia; come Albino Pierro, pregevole nelle sue poesie dialettali; come Rocco Scotellaro, ricco di passione etico-politica, di una fantasia che ben dà la misura dell'energia meridionale, e della sofferenza meridionale, della volontà innovatrice, per condizioni di vita che risolvano il dramma storico e sociale di cui lucani e uomini del Sud sono, loro malgrado, protagonisti incolpevoli.

G. FORTUNATO

Claudio Alemanno

Scrittore e uomo politico (Rionero in Vulture 1848-Napoli 1932). Deputato per la Destra storica dal 1880 al 1909 e poi senatore, fu nell'attività politica seguace di Sidney Sonnino, ma rivelò le doti migliori della sua personalità soprattutto quale libero esponente della cultura meridionale, appassionato ed esperto dei problemi della sua terra. La questione meridionale, infatti, trovò in lui non tanto un politico preoccupato delle soluzioni contingenti, quanto uno studioso e un educatore volto all'avvenire. Egli rovesciò la tradizionale concezione del Mezzogiorno come terra naturalmente ricca, ma inferiore per razza e capacità di governi, insistendo sulla povertà del suolo in numerosissimi discorsi e saggi, e delineando tutto un vasto programma di leggi miranti a combattere le ingiustizie del passato e a studiare i mezzi idonei per lo sfruttamento delle risorse naturali.
La costanza, la nobiltà e la sapienza del suo magistero valsero a tener desta l'attenzione sul problema meridionale e a promuovere una ricchissima serie di studi geologici, economici e storici sui vari aspetti di esso. La serietà delle sue impostazioni trovò tuttavia un limite nel suo pessimismo e nel tecnicismo dispersivo del suo metodo, che, conforme al suo spirito di conservatore illuminato, finiva per comportare una rinuncia alle soluzioni organiche, o per lo meno alla ricerca delle forze sociali e politiche capaci d'attuare un autentico rinnovamento. Resta tuttora, in ogni caso, il valore, l'inestimabile patrimonio del suo pensiero, che gli hanno valso in pieno merito il titolo di maestro e ispiratore di tutti, o della massima parte, dei meridionalisti d'ogni tempo.
Fra le sue opere principali ricordiamo: "La questione demaniale nelle province meridionali", 1882; "il Mezzogiorno e lo Stato italiano", 1911; "Questione meridionale e riforma tributaria", 1920.
Lasciò pure un'esemplare traduzione di alcune odi oraziane ("Rileggendo Orazio", 1926).
Storico e sociologo, scrisse numerosi saggi sulla storia delle sue terre: Vitalba, Rionero in Vulture, Venosa.

F. S. NITTI

Claudio Alemanno

Studioso e uomo politico, nato a Melfi nel 1868, morto a Roma nel 1953. Laureatosi a Napoli, fu brillante giornalista del "Napoli" e della "Gazzetta piemontese", nonché acuto studioso di problemi economici e finanziari. Nel 1892 ottenne la libera docenza in Economia politica, e insegnò diritto finanziario nell'università di Napoli ed Economia politica e Statistica nella Scuola Superiore di Agraria di Portici, diventando nel 1898 ordinario di Scienza delle Finanze a Napoli. Scritti sui più importanti problemi del tempo, specialmente sulla questione meridionale, e un'attiva collaborazione ai giornali lo imposero all'attenzione generale. Fra le opere di questo periodo, sono: "Nord e Sud", 1900; "L'Italia all'alba del secolo XX", 1900; "La città di Napoli", 1902; "Le forze idrauliche dell'Italia e la loro utilizzazione", 1902; "Nuove ricerche sulle forze idrauliche", 1903; "Principi di scienza delle finanze", 1903; "La conquista della forza", 1906. Nel 1904 fu eletto deputato nel collegio di Muro Lucano, e, segnalatosi come parlamentare aperto agli sviluppi democratici della vita nazionale e come animatore delle forze radicali, fu chiamato da Giolitti al ministero dell'Agricoltura Industria e Commercio, che tenne dal marzo dell''11 al marzo del '14, portando a compimento l'importante riforma del monopolio delle assicurazioni.
Competenza tecnica rivelò anche nel gabinetto Orlando (ottobre '17 - gennaio '19) come ministro del Tesoro.
Nel dopoguerra ebbe la presidenza del Consiglio dal 23 giugno '19 al 15 giugno '20, e tenne pure il portafoglio degli Interni. Sentì assai vivamente i problemi connessi con la crisi economica e sociale e tentò di avviarli a soluzione con chiarezza e coraggio, ma non poté dominare l'urto delle forze contrapposte in uno dei momenti più difficili della storia unitaria d'Italia. Mentre riuscì brillantemente a varare un prestito nazionale di sette miliardi, non ebbe successo nell'assicurare l'ordine pubblico, sia di fronte agli scioperi organizzati dalle sinistre, sia di fronte alle agitazioni combattentistiche e nazionalistiche. Senza poter ottenere l'appoggio dei socialisti, scatenò contro di sé, con l'amnistia ai disertori e con i progetti di un accordo con la Jugoslavia, gli odi violentissimi dei nazionalisti e restò, anche dopo la caduta del suo ministero, l'oggetto principale degli assalti dei fascisti, così che col trionfo di questi dovette riparare nel 1924 in Svizzera e nel 1925 a Parigi. Nell'esilio, non smentendo quello spirito caustico e alquanto scettico che gli aveva reso più difficile il compito politico, scrisse molte opere contro la dittatura, la pace di Versailles, la Società delle Nazioni. Fra le altre, "La libertà", (1926), e "La Démocratie", (Parigi, 1933), si ricollegavano a "L'Europa senza pace", del 1921, e a "La decadenza dell'Europa", 1922. Molti lettori ebbe anche in Italia "La désgrégation de l'Europe", pubblicata a Parigi nel '38 e tradotto a Roma solo nel '45. Il 30 agosto del '43 venne arrestato dai nazisti e fu deportato a Itter, poi a Hirschegg, dove scrisse le "Meditazioni dall'esilio", pubblicate poi a Napoli nel 1947, e seguite da "Rivelazioni Dramatis personae", 1948. Nel '45 poté rientrare in Italia. Formò con Croce, Orlando e Bonomi, l'Unione Democratica Italiana per le elezioni dell'Assemblea Costituente, vedendo in quella formazione una forza di conciliazione nazionale. Indicato nel maggio '47 come possibile presidente del Consiglio, non poté formare il governo. Nelle elezioni del '48 capeggiò il blocco nazionale (liberali e qualunquisti), ma, quale senatore di diritto, si diede poi a patrocinare una collaborazione delle forze democratiche di sinistra nel quadro di una politica europeistica, e nel '52 fu leader della lista popolare per le elezioni amministrative di Roma.

E. CICCOTTI

Claudio Alemanno

Storico e uomo politico, nato a Potenza nel 1863, morto a Roma nel 1939. Seguì dapprima gli studi giuridici, poi quelli di Storia dell'Antichità. Militò da giovane nel socialismo. Implicato nei fatti di Milano 1898, ebbe una condanna in contumacia, con la destituzione dalla cattedra di Storia Antica che aveva conseguito nel 1890 nell'Accademia Scientifico-Letteraria di Milano. Eletto deputato a Milano e a Napoli nelle elezioni suppletive del 1899, ma non confermato per incompatibilità, fu restituito all'insegnamento all'università di Pavia: passò poi a quella di Messina e infine - come titolare di lingua e letteratura latina - all'Istituto Superiore di Magistero di Roma. Rieletto deputato nella XXI legislatura (1900-1904), nella XXIII (1909-1913) e nella XXIV (1913-1919), si venne staccando dal socialismo ufficiale già nel 1905 e ne fu dal 1915 avversario aperto per l'atteggiamento assunto dai socialisti di fronte alla guerra. Fu senatore nel 1924. La politica militante lo distolse per trent'anni dagli studi storici, che pure aveva coltivato con buon successo nei giovani anni ("La Costituzione cosiddetta di Licurgo", 1876; "La famiglia nel diritto attico", 1886; "Il processo di Verre", 1895; "Donne e politica negli ultimi anni della repubblica romana", 1895; "La pace e la guerra nel mondo antico", 1899; "Indirizzi e metodi negli studi di demografia antica", 1899; "Il tramonto della schiavitù nel mondo antico", 1899). Riprese l'attività scientifica, (appena segnata, in un trentennio, da: "Vecchi e nuovi orizzonti della numismatica e funzione della moneta nel mondo antico", 1915; "Storia greca", 1922; "Lineamenti della evoluzione tributaria nel mondo antico", 1921), già inclinante alla vecchiaia, con "Commercio e civiltà nel mondo antico", 1929; "Civiltà del mondo antico", 1935; "Profilo di Augusto", 1938. Ma la sua visione di storico era rimasta quella dei suoi giovani anni: un positivismo sociologico, appena temperato da un certo empirismo insofferente di schemi troppo rigidi; un sociologismo che sì dispiega nelle sue molte e per altri versi pregevoli introduzioni ai volumi della "Biblioteca di Storia Economica", da lui diretta con Vilfredo Pareto, e che si atteggia fino a storia comparata o tipologia storica in alcuni scritti, specialmente nel volume "Confronti storici", 1929. Per quel che concerne la sua attività di meridionalista, documentò un'ampia e puntuale visione d'insieme delle condizioni della società meridionale ("Sulla questione meridionale. Scritti e discorsi", 1904; che segui a "Mezzogiorno e Settentrione d'Italia", 1898), con un'evidenza profondamente realistica, che sottolineò le disgregazioni sociali, l'isolamento dei centri abitati e la loro reciproca estraneità, la mancanza di interessi economici, la dispersione degli orientamenti politici e culturali.

Storia di Basilicata

Pino Orefice

La civiltà paleolitica trova nel bacino quaternario di Venosa un'ampia documentazione. La fase di questa cultura è rilevabile a Loretello, Zanzalenno e Terranera. Non abbiamo elementi riferibili a culture mesolitiche e neolitiche. La civiltà che tramanda manifestazioni altrettanto importanti è quella tipica, detta "di Matera", che risale al 3.000-1.000 a. C., con contatti con le culture dell'Egeo e dell'Oriente mediterraneo. In età storica, la Basilicata fece parte della Lucania, il cui territorio si estendeva dallo Jonio al Tirreno (comprendeva anche l'attuale Cilento). Ebbe colonie greche. In età romana fu teatro di guerra fra Greci; fra Sanniti e Romani; fra i Romani, Pirro e Annibale. Non ebbe una vera importanza economica, e con l'inizio delle invasioni barbariche, causa prima della crescente malaria, decadde definitivamente. Nel Medio Evo seguì le vicende dell'Italia meridionale. Contesa ai Bizantini prima dai Goti, poi dai Longobardi, che vi si insediarono nel sec. VI, fu divisa nel sec. IX tra il principato longobardo di Salerno e il tema bizantino di Longobardia, perdendo la fisionomia unitaria dell'epoca romana. Contesa dai vari signori normanni nel sec. XI, solo dopo la costituzione di un regno accentrato fu riunita, ricevendo il nome attuale (forse da "basilikòs", il funzionario greco ad essa preposto), e fu circoscritta al bacino dei cinque fiumi sfocianti nello Jonio. Melfi fu il centro politico di primo piano sotto Normanni e Svevi: vi furono stipulati gli accordi del 1059 tra Papato e Normanni, e nel 1231 Federico secondo vi emanò le celebri "Constitutiones". La conquista angioina risale al 1266. Divisa e quasi frantumata dai nuovi baroni, fu terra di preda e di guerriglia permanente. Nella prima metà del sec. XVI entrò a far parte, con il viceregno di Napoli, dei possedimenti spagnoli in Italia. Un lungo periodo di squallida miseria, ma in compenso di pace ovattata, fu interrotto dalla rivolta di Matteo Cristiano da Casagrande. Gravata dal malgoverno madrileno, partecipò ai movimenti politici e culturali del secolo dei lumi. Le insurrezioni di Maratea, Potenza e Melfi furono cancellate dal sangue della reazione del 1799. La restaurazione francese del 1806 tentò invano di ristabilire l'ordine in una regione nella quale dilagava il brigantaggio e in cui costanti erano i tentativi di ritorno dei Borboni. Durante i moti del 1820-21 ebbe una notevole attività carbonara, duramente repressa dalle corti marziali. I moti del 1848, al contrario, trovarono questa terra così impreparata da far naufragare la spedizione di Carlo Pisacane. Il 18 agosto 1860 scoppiò a Carleto l'insurrezione che, estesasi all'intera regione, portò all'annessione al Regno d'Italia. La crisi contadina, che reclamava l'abbattimento delle strutture feudali, e le repressioni garibaldino-piemontesi contribuirono a fomentare il mai sopito fenomeno del brigantaggio, (che ebbe nella Basilicata, nella Calabria e nella Puglia i centri più attivi dell'intero Mezzogiorno, con nomi entrati nella leggenda, oltre che nella storia meridionale), e a farlo durare fino al 1865. Successivamente, la Basilicata fu sottoposta a un severo regime tributario e al grave fenomeno del disboscamento. Tuttavia progredì per le scuole, le strade, le ferrovie. La Legge Speciale del 31 marzo 1904 non ebbe felici risultati, come accadde del resto per tutte le magniloquenti e inutili Leggi Speciali in favore di altre regioni del Mezzogiorno; sicché la crisi economica determinatasi tra il 1890 e il 1910 si potè superare quasi esclusivamente grazie alle rimesse dell'emigrazione, che aveva a sua volta dissanguato la demografia lucana. Fino al 1950 restò terra desolata, nucleo di espulsione di giovani forze di lavoro, con indici di povertà terrificanti. In età degasperiana fu prescelta come regione-cavia per i primi esperimenti della politica di intervento straordinario nel Mezzogiorno. Metaponto e il suo hinterland divennero una specie di nuova frontiera. A Grassano nacque il primo cantiere di lavoro: si costruiva - con mezzi tecnici e materiali di fortuna - la prima strada che non portasse la firma degli ingegneri di Murat. Un poco alla volta, Cristo andò "oltre Eboli". Il resto, è storia dei nostri giorni.

PROFILI DELLE REGIONI DEL MEZZOGIORNO

2. - Basilicata

Guglielmo Tagliacarne

Nel fascicolo precedente ci siamo occupati della Puglia, che è una regione di un certo grado di sviluppo economico, di valore quasi medio rispetto al complesso del Mezzogiorno. Oggi ci occupiamo invece della Basilicata, una delle tre province povere del Sud, le altre due essendo il Molise e la Calabria.

Basilicata o Lucania?

La Basilicata costituisce una parte della più vasta regione, che nella suddivisione augustea dell'Italia prendeva il nome di Lucania, la terza regione, limitata dal basso corso del Silario (oggi Sele) e il Bradano. Il nome di Basilicata compare per la prima volta in un documento del 1175 e sembra derivare da quello del funzionario bizantino (Basilikos) che amministrava detta regione.
Fu a seguito della decisione del Capo del Governo (Mussolini) che in un telegramma del 27 dicembre 1932 al prefetto di Potenza la Basilicata ha ripreso il nome di Lucania. Da allora (1933) troviamo in tutti gli Annuari di statistica il nome di Lucania in sostituzione di quello dianzi usato di Basilicata. Soltanto con l'Annuario statistico 1944-48 ritroviamo ripristinato il nome di Basilicata. La Costituzione Italiana all'articolo 131, elencando le regioni della Repubblica ribadisce il nome di Basilicata, che si trova confermato nella legge 22 maggio 1971 che crea la Regione Basilicata. Quindi è ormai il caso di non parlarne più, ogni discussione è chiusa: Basilicata e non Lucania.
Secondo il celebre geografo che ha descritto in modo preciso ed anche suggestivo le varie regioni d'Italia, Ferdinando Milone, la Basilicata nei suoi presenti confini è la regione di transizione tra le due facce del Mezzogiorno della nostra penisola. Verso l'Adriatico parteggia con la Puglia l'immenso anfiteatro che scende verso lo Jonio. Più nell'interno va sempre più assumendo i caratteri del paesaggio volto al Tirreno, elevandosi via via sino a raggiungere le più alte vette in un "tumultuoso ondeggiante accavallarsi di montagne, di balze, di colli, intramezzati da valli e sormontati da picchi più acuti, che !si prolunga a perdita d'occhio, di là dal Vulture selvoso e dal Vesuvio fumante". Con questa bella descrizione di stile letterario, che abbiamo desiderato riportare, è il De Lorenzo, che nella sua "Geografia dell'Italia Meridionale" presenta la nostra regione, della quale ora ci accingiamo a fornire alcune notizie di carattere economico.

Una regione povera

Il sottosviluppo della Basilicata appare Chiaramente dalla cifra sul reddito medio prodotto dalla regione, che sintetizza tutti i settori di attività economica. Nel 1974 il reddito pro capite della Basilicata è stato calcolato in 931.000 lire, contro una media di 1.031.000 lire per il complesso del Mezzogiorno e di 1.581.000 lire per tutta l'Italia. Del modesto livello di vita della Basilicata si ha conferma nel dato dei consumi privati, che è di 773.000 lire per abitante, contro una media di 868.000 lire per il Sud e di 1.143.000 lire per il complesso nazionale.

Forte dipendenza dall'esterno per il suo fabbisogno

Con il modesto grado di reddito prodotto, la Basilicata non copre il suo fabbisogno, costituito dalla somma dei consumi privati e pubblici e dagli investimenti. Infatti la massa di detti consumi nel 1974 è ammontata a 625 miliardi di lire; gli investimenti sono stati 269 miliardi di lire; quindi il totale degli impieghi della regione sono stati di 894 miliardi di lire, mentre il reddito prodotto è stato complessivamente appena di 644 miliardi. La differenza fra le due cifre (894 - 644), cioè 250 miliardi di lire, rappresenta la cifra di partecipazione dell'esterno, necessaria a coprire i fabbisogni della regione. Quando diciamo "esterno" significhiamo le altre regioni italiane, sostanzialmente quelle del Nord, e, in parte minore, anche le importazioni dall'estero.

Una regione fortemente agricola

L'economia della Basilicata è ancora, in forte misura, di carattere agricolo. Infatti il 22,2 per cento di tutto il reddito prodotto dalla regione è costituito dal settore agricolo. E' questa la quota più alta di reddito agricolo che si riscontra fra tutte le regioni italiane. Essa è più del doppio della quota media nazionale, 9,5 per cento, e molto superiore anche alla quota del Sud, del 17,7 per cento.
E' invece modesta la partecipazione della Basilicata al reddito prodotto dal settore industriale, il quale non rappresenta che una quota del 33,3 per cento del reddito regionale, contro il 40,1 per cento per la media nazionale.

Scarse le attività terziarie, sintomo di scarso sviluppo

E' opportuno confrontare le cifre della Basilicata con quelle dell'Italia e del Mezzogiorno anche per gli altri settori di attività.


Da questi dati si ha conferma delle caratteristiche e del modesto grado di sviluppo della regione. Ciò appare specialmente quando si consideri la bassissima quota costituita dal settore creditizio e assicurativo, da quello dei trasporti e infine dall'elevata percentuale rappresentata dalla burocrazia locale. E' proprio nelle regioni povere che essa figura con una cifra - relativa - molto elevata. Si consideri che nelle regioni settentrionali del Triangolo industriale la partecipazione della pubblica amministrazione sul totale del reddito prodotto è appena del 7,3 per cento (6,3 per cento in Lombardia) contro il 17,7 per cento della Basilicata.

Il tasso di crescita del reddito: due risultati contrapposti

E' interessante completare questi dati sulla contabilità della regione con il tasso di crescita del reddito conseguito durante l'arco di tempo che va dal 1951 al 1973. Si constata un netto contrasto fra Basilicata e media nazionale, a seconda che si considerino le cifre del reddito complessivo o quelle per abitante. Nel primo caso, reddito complessivo, la Basilicata presenta un incremento inferiore a quello del Mezzogiorno e della media nazionale; nel secondo caso, reddito per abitante, invece la Basilicata presenta un incremento superiore. Il differente risultato si spiega con il fatto dell'emigrazione che ha sensibilmente diminuito il numero di abitanti della Basilicata, mentre è aumentato quello del complesso nazionale e del Sud durante l'arco di tempo considerato.

Una provincia in via di sviluppo (Matera) e l'altra più arretrata (Potenza)

Delle due province della Basilicata, la più povera è quella di Potenza, che presenta un reddito prodotto per abitante di 664.000 lire, mentre quella di Matera figura con un reddito molto più elevato, di 1.017.000 lire per abitante (dati del 1973).
E' da notare che fra le due province soltanto quella di Matera presenta una percentuale abbastanza elevata di reddito prodotto dal settore industriale, pari al 39,7 per cento del reddito provinciale, mentre nella provincia di Potenza detto settore non partecipa al reddito provinciale che con la modesta quota del 27,8 per cento.
Anche riguardo alla dinamica, è Matera che presenta un tasso, di sviluppo più accentuato. Questa provincia ha conseguito dal 1951 al 1973 un aumento del reddito prodotto complessivo del 720,7 per cento, mentre nella provincia di Potenza l'incremento è stato solo del 547,2 per cento.

Forte perdita demografica

La popolazione della Basilicata, come si è già detto, segna da tempo un andamento negativo; il numero di abitanti è diminuito dal 1951 al 1974 di 15.881 unità; ciò non si deve al movimento naturale, giacche il tasso di natalità in Basilicata è del 15,4 per mille abitanti, pari esattamente al dato medio nazionale, e il tasso di mortalità è del 7,7 per mille abitanti, sensibilmente inferiore al dato nazionale (9,5 per mille). Risulta pertanto nella nostra regione un saldo positivo assai elevato, fra nascite e morti, del 7,7 per mille (dati del 1974). Ma la Basilicata è una regione a forte emigrazione, sia verso le altre regioni italiane, sia all'estero. Si potrebbe dire che vi siano tre Basilicate: una nei confini geografici amministrativi, forte di 612.000 abitanti alla fine del 1974; un'altra sparsa nelle varie parti d'Italia, specialmente nelle regioni settentrionali e nel Lazio, e una altra forte di 169.083 persone fuori dai confini nazionali, come risulta dal Censimento compiuto dal Ministero degli Affari Esteri attraverso le sue rappresentanze diplomatiche nei vari paesi del mondo.

Il tasso di criminalità più basso di tutta Italia

Questa regione, se figura agli ultimi posti per il livello economico, appare però in posizione favorevole riguardo ad altri aspetti extraeconomici; ad esempio per la frequenza dei delitti. Nel 1973 il tasso di criminalità ha presentato un indice di 1.168 delitti su 100.000 abitanti, che è il tasso di criminalità più basso fra tutte le regioni italiane. Contro l'indice suddetto per la nostra regione quello medio nazionale è più del doppio, 2.898; anche l'indice complessivo del Mezzogiorno, 2.832, è assai più alto di quello della Basilicata. Questa favorevole posizione viene confermata per tutti i grandi gruppi di criminalità.


Questa particolare posizione della Basilicata la dobbiamo tenere bene in mente per ricordare che la nostra regione presenta un livello sociale-morale che se fosse generalizzato per tutta la Penisola, si conseguirebbe un quadro nazionale ben migliore di quello che purtroppo sì lamenta, caratterizzato da elevati indici di violenza, di rapine e di offesa alla società, sia rispetto alla famiglia sia rispetto alle istituzioni.

Agricoltura: aziende di notevoli dimensioni a conduzione contadina

Le 92 mila aziende agricole censite al 1970 costituiscono il 2,5 per cento di tutte le aziende agricole della penisola e occupano una superficie di 876.319 ettari. Le aziende della nostra regione dispongono di una dimensione mediamente elevata, di 9,5 ettari per azienda, contro una media di 7,0 ettari per tutta Italia e di 6,0 ettari per l'area del Mezzogiorno. La produzione agricola è organizzata prevalentemente in aziende contadine. Le produzioni più importanti della Basilicata sono il frumento, l'uva, gli agrumi, le olive, la frutta, le patate. Alcune colture più prospere come il tabacco e la barbabietola sono concentrate su zone ristrette. L'estensione delle bonifiche e dell'irrigazione ha consentito negli ultimi anni notevoli progressi colturali con rendimenti più elevati. Il patrimonio zootecnico è assai modesto; negli ultimi decenni si è notevolmente accresciuto l'apporto dei bovini.

Un artigianato agricolo

Le industrie della Basilicata sono state sino a pochi anni fa costituite soltanto da piccole aziende artigiane e lavorazioni casalinghe, oltre ad alcune trasformazioni di prodotti agricoli quali il frangere olive, macinare il grano, spremere il vino, allevare il baco da seta. Fra le altre attività artigiane sono da ricordare quelle della lavorazione del cuoio e delle pelli, delle paste alimentari, della ceramica, del mobilio. Soltanto da poco sono sorte alcune industrie di notevoli dimensioni, specialmente nei settori di avanguardia. Alla data dell'ultimo censimento (1971) le unità locali nel settore industriale furono 8.074 con complessivi 32.000 addetti. Questa cifra è inferiore soltanto a quelle del Molise e della Valle d'Aosta, molto più limitate per territorio. La nostra regione ha trovato una certa possibilità di sviluppo industriale nella disponibilità in loco di fonti energetiche.

Tre nuclei industriali

La distribuzione delle aziende industriali della Basilicata può essere presentata da tre nuclei. Uno di essi è quello della valle del Basento sorto a seguito del ritrovamento di giacimenti di metano, che comprende l'ANIC, la Società Ceramica e la Società Montecatini.
Un secondo nucleo di industrializzazione è quello di Potenza, che approfitta della disponibilità di buone comunicazioni ferroviarie e stradali, dell'energia elettrica fornita dall'ENEL, di un discreto approvvigionamento idrico. Le aziende localizzate in detta area riguardano i settori della chimica, dei materiali plastici, dei cementi, del materiale elettrico, dei laterizi.
Un terzo nucleo d'industrializzazione è quello del Golfo di Policastro, che interessa particolarmente il comune di Maratea. In quest'area opera un importante complesso di opifidi lanieri a Maratea e a Praia a Mare. Maratea può considerarsi il baricentro economico della Basilicata per le particolari condizioni ambientali, anche turistiche e per le sue possibilità di sviluppo, in considerazione delle favorevoli infrastrutture di cui può disporre.

Le fonti energetiche

La produzione di energia elettrica è stata nel 1973 di 742 milioni di Kwh, di cui 579 costituiti da energia termoelettrica. Il consumo di energia elettrica è stato di 952 milioni di Kwh. Più importante è la partecipazione della Basilicata ad altre fonti di energia. I permessi di ricerca sono stati 6 nel 1973 per 165.325 ettari e 3 nel 1974 per 47.418 ettari. Le concessioni di coltivazione sono state 15 nel 1973 per 24.869 ettari e altre 15 nel 1974 per 24.869 ettari. Queste cifre costituiscono una parte notevole sul totale di quelle analoghe per tutta Italia. I metri perforati per esplorazione e per coltivazione in Basilicata sono stati assai notevoli specialmente dal 1955 al 1969. La produzione di greggio ha raggiunto nel 1974 48.415 tonnellate pari a circa il 5 per cento di tutta Italia. Ancora più importante è la produzione di gas naturale, che raggiunge, nel 1974, 619 miliardi di metri cubi, poco meno del 10 per cento di tutta la produzione nazionale. E' questa una ricchezza naturale della Basilicata che può costituire una base di notevole sviluppo economico.

Discreti risparmi e scarsi impieghi

Il risparmio in questa regione è molto limitato; tuttavia non è trascurabile (anche per effetto delle rimesse degli emigrati) quando si consideri la povertà della gente e la scarsità delle attività economiche. A metà anno del 1975 i depositi presso le aziende di credito in Basilicata raggiungevano la cifra di 341 miliardi di lire; gli impieghi erano notevolmente inferiori, di appena 134 miliardi di lire. Si desume pertanto per questa regione un rapporto fra impieghi e depositi enormemente ,inferiore a quello del complesso nazionale: il 39,3 per cento in Basilicata (il rapporto più basso di tutta Italia), contro il 63,7 per cento del totale Italia. Se si considera inoltre che in Basilicata è molto diffuso il risparmio delle Casse postali, si deve concludere che l'afflusso del risparmio in questa regione non trova un adeguato impiego per lo scarso livello della struttura economica.

Gli impieghi di crediti speciali

Una certa importanza hanno assunto gli impieghi degli istituti di credito speciale. Alla fine del settembre 1975 essi erano ammontati in Basilicata a 196 miliardi di lire, di cui 154 milioni di tipo agevolato. La quota di gran lunga più importante è stata rivolta al settore industriale (140 miliardi) e ne ha usufruito anzitutto la provincia di Matera, come risulta dal seguente prospetto.

 


Gravi carenze di antica data

Da una recente pubblicazione della SVIMEZ ("Guida Statistica dei comuni e delle aree del Mezzogiorno") si apprende che nel periodo 1951~1971 nel tempo stesso che la popolazione italiana è aumentata di oltre sei milioni e mezzo, quella della Basilicata è notevolmente diminuita: su 129 comuni, solo 21 hanno registrato un aumento nel numero di abitanti, gli altri 108 hanno invece presentato un regresso. Per alcuni comuni la diminuzione ha assunto il carattere di un quasi completo abbandono, come alla presenza di un grave pericolo: Castelgrande, Montemilone, Ripacandida, Ruvo del Monte, Ginestra e altri.
L'analfabetismo non è ancora debellato: nel comune di Castelnuovo di Sant'Andrea su 1.930 abitanti al di sopra di sei anni, 502 (26 per cento) si sono essi stessi dichiarati analfabeti; nel comune di Balvano gli analfabeti sono 593 su 2.114 abitanti (28 per cento).
Istituti di cura, scuole, sportelli bancari mancano in moltissimi comuni. Le abitazioni sono spesso sprovviste dei servizi essenziali. Ecco un prospetto che ce lo conferma.


Altri indici di povertà se ne potrebbero citare numerosi. Tuttavia è da ricordare che la miseria in questa regione è di lunga data e di esasperante gravità, di cui si possono citare numerose ed autorevoli testimonianze, fra le quali ricordiamo quella di un deputato di Potenza in un discorso alla Camera dei Deputati del l. marzo 1933: "Un quinto circa della popolazione di Potenza vive in scantinati, detti sottani, sottoposti al livello stradale da un minimo di due metri a un massimo di cinque metri, umidi e miserabili tuguri di un sol vano, stamberghe malsane ed oscure, insuscettibili di qualsiasi miglioramento, dove si nasce., ma più facilmente si muore, dove si svolge in una promiscuità sessuale penosa la vita più intima; spelonche ove gli uomini, le donne e i fanciulli vivono con le bestie. Tali umidi abituri non prendono luce che dagli usci, e poiché ammontano a ben 578 - di cui 275 mancano di camini, 101 di mezzi di scarico sia pure rudimentali - rappresentano un permanente pericolo per la pubblica igiene". Questa triste descrizione ci ricorda i famosi "sassi" di Matera, oggetto di interessate visite dei turisti stranieri, ma anche testimonianza di situazioni ignominiose, che soltanto da poco tempo sono state finalmente eliminate.

Sulla via del miglioramenti

Questo stato di cose non può essere ulteriormente tollerato in un'Italia civile. Già i miglioramenti conseguiti negli ultimi anni, specialmente per l'attività della Cassa per il Mezzogiorno, sono notevoli. Chi visita la Basilicata di oggi e l'abbia visitata mezzo secolo addietro deve riconoscere che vi è stato un progresso considerevole: la Basilicata di oggi non è più quella del 1925, quando mancavano anche le strade, le ferrovie, i servizi pubblici più essenziali, le scuole. Ma la spinta al progresso in modo esteso e rapido deve ora venire oltre che dallo Stato Centrale, dalla Regione; ne fa fede il programma elaborato con serietà e consapevolezza dal Consiglio regionale.

Programmazione avveduta

Dopo aver riconosciuto che lo sviluppo della Basilicata non può fare a meno degli apporti esterni, il Programma indica come finalità generali l'inversione della tendenza al trasferimento fuori dai confini regionali delle risorse naturali (acqua, energia elettrica, metano), del risparmio privato e soprattutto delle forze di lavoro, di cui deve essere viceversa reso massimo l'impiego all'interno della regione. L'emigrazione dovrebbe cessare entro il 1980. Si prevedono vari interventi - e si specificano - riguardanti le strade, l'urbanistica l'agricoltura, l'industria, il turismo.
Entro il 1980 si dovrebbe eliminare il divario tra Basilicata e Mezzogiorno sia in termini di strutture occupazionali e produttive che di redditi individuali.
I tassi medi annui di sviluppo sono previsti per il periodo 1973-1980 come segue, per i diversi settori di attività economica:

 

Prospettive al 2000

Le previsioni sul futuro sono sempre difficili da fare, ma noi ci sentiamo di affermare, secondo calcoli obiettivi e accurati, che alla fine di questo secolo, cioè fra 25 anni, il reddito prodotto in Basilicata e i consumi privati, per abitante, saranno -almeno - il doppio di quelli attuali, in termini reali, quindi raggiungeranno il livello medio delle regioni che oggi sono al primo posto in Italia per benessere e sviluppo economico, il Piemonte, la Lombardia e la Liguria. Aspettare un quarto di secolo per raggiungere questa meta è ancora tanto, è troppo. Ci auguriamo che questa meta sia conseguita in tempo più breve. Dipende in gran parte dall'azione della Regione e dall'attività della gente della Basilicata, che è gente laboriosa, parca, che sa resistere alle fatiche e contrastare alla scarsità della natura, che è una terra avara e amara.

Quadro sintetico: la Basilicata in Italia

Abbiamo scelto un gruppo di parametri importanti per i quali la Basilicata viene confrontata con l'Italia. La significatività delle cifre della regione appare chiaramente quando siano ragguagliate, una per una, a quelle corrispondenti dell'intera penisola sulla base della quota rappresentata dalla popolazione sul totale nazionale: questa quota si può dire che rappresenti il mezzo di misurazione. Se la quota percentuale di un dato fenomeno è inferiore a quella della popolazione, vuol dire che assume un valore "negativo"; se invece è superiore, esso acquista un valore "positivo" (il contrario dicesi ovviamente per qualche fenomeno come la disoccupazione).
La popolazione della nostra regione costituisce l'1,1 per cento di tutta la popolazione italiana: è questo il dato di riferimento da tenere presente; che cosa dicono le singole cifre dei fenomeni considerati? Vediamo.


1) Come superficie, la sua quota è il triplo di quella della popolazione, il che significa che la regione presenta una bassa densità della popolazione, di appena 61 abitanti per Km. quadrato, contro 183 per la media nazionale e 157 per la media del Mezzogiorno. La densitá della popolazione in Basilicata è la più bassa fra tutte le regioni italiane (ad eccezione della Valle d'Aosta).
2) La superficie pianeggiante è scarsa.
3) L'incremento demografico è molto elevato, ma la popolazione è in regresso a causa dell'emigrazione.
4) La quota della popolazione agricola è molto più elevata rispetto alla media nazionale.
5) Il contrario avviene per la popolazione addetta alle attività industriali.
6) La quota delle persone disoccupate supera sensibilmente quella della popolazione. La disoccupazione nella regione ha carattere endemico.
7) La percentuale del prodotto dell'agricoltura è più alta di quella media dell'Italia.
8) Il contrario avviene per il reddito complessivo: perciò la regione "perde" rispetto all'Italia in complesso.
9) La nostra regione "perde" anche rispetto ai consumi, specialmente quelli privati.
10) La quota delle esportazioni della Basilicata è scarsissima.
11) L'afflusso turistico assume una scarsa importanza.
12) In quanto ai depositi bancari, la regione presenta un valore mediocre per quello affluito alle banche, più importante per quello Postale; ma gli impieghi costituiscono una quota modestissima.
13) I crediti speciali concessi in Basilicata sono relativamente notevoli.
14) La circolazione automobilistica nella regione è sensibilmente inferiore a quella media dell'Italia.
Tutto sommato, la Basilicata è una regione povera e attardata, che fa molta fatica a svilupparsi, ma tuttavia presenta alcuni fattori favorevoli, come la discreta disponibilità di fonti di energia. La sua povertà e il suo sottosviluppo non costituiscono caratteri permanenti e insormontabili.

 

 

 


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