§ A tu per tu con tre artisti meridionali

Sud come amore




Enrico Surdo



Se Roma, o Milano, o Londra, o mille altre città al mondo possono essere i fulminei e transitori amori di Giorgio Orefice, il suo unico peccato originale è la Sicilia. Sicilia, o "Sicilitude", che gli è dentro e gli si la poesia (con i suoi paesaggi senza finestre, o con progetti di alte finestre;

col cielo d'un blu sordo, che ti lascia indovinare magiche costellazioni; con i suoi nudi rigorosi; con i suoi volti coniati con la fiera tristezza che emerge dalle monete siracusane). La scorza è aspra, ed è questo il suo alibi a fior di pelle. L'altro tentativo di alibi è in certe sue tentazioni simboliste, nella filosofia amara che l'uomo trasferisce al pittore: questo anzi è il suo modo di mentire, di mimetizzarsi. Che poi quella poesia gli sbaracca le trasparenti difese, e mette a nudo gli improvvisi incantamenti, certe solitudini e certe magiche intuizioni. Allora l'artista sopraffà l'uomo, evoca la sua matrice creativa, conferma l'esemplare coerenza con il mondo che va ideando. La problematica esistenziale è riproposta, la testimonianza pittorica non consente mistificazioni retoriche, né pathos, né gratuite beatitudini. Le rovine dei miti scoperti sono "Sícilitude"; la vocazione critico-emblematica è "Sicilitude"; l'allarme ecologico, la negazione dei meccanismi che vogliono realízzare un'angoscíosa metamorfosi dall'uomo al relitto, sono "Sicilitude", come lo è quel suo permanente stato di necessità, cioè quel bisogno di contraddizione, e d'inquietudine, che si porta dentro come un'antica tirannia. "Sicilitude": cioè poesia.
Credevo che Tonino Jaria potesse caratterizzarsi attraverso i suoi paesaggi: Calabria grande e amara, scrisse Répaci. Luttuosa terra delle rapine idrauliche, delle fiumare violente come arieti, con l'eco delle frane tra i calanchi. E muti, chiusi in un'atmosfera permanentemente drammatica erano i paesaggi di Jaria, con qualche abiura (e che splendida abiura: esplosione di colori, d'un impressionismo tutto personale). Le sue figure femminili vennero dopo. Forse le aveva in mente, ostinato e pudico le riservava ad una diversa maturazione; e le sue figure maschili giunsero contemporaneamente. Dolcissime, le prime, anche quando erano donne-disperazione, donne-fame, donne-dolore; come fusi nella roccia, le altre, uomini-Aspromonte, o come fusi nella clorofilla, uomini-albero. Ultima terra emersa del nostro emisfero, la Calabria non poteva non condizionarlo, con la sua natura prepotente, col suo cielo incredibile, col suo mare bucaniere, con il temperamento che non conosce ambiguità. E questa Calabria ha sfogliato l'artista, pagina dopo pagina, tela su tela: un'antologia per lo "Spoon River" di una terra stupenda e disperata, generosa, fiera. Da qui, certi corpi spigolosi, certe angolazioni decise, certi paesaggi arroccati, certi corpi che occorre indovinare nel labirinto dei colori (anche questi sorprendenti, o cupi o esplosivi). E da qui, alcuni improvvisi abbandoni, e la malinconia che emerge dagli abissi e si fa di volta in volta occhi, volto, ragazza, morte violenta, magia di un momento d'amore. Variazioni di un tema che Jaria evoca con mano felice, con sicure intuizioni, illuminando poeticamente la realtà, senza - per partito preso - modificarla.


Inella è salentina. La pittura di Inella è salentina. C'é la chiarezza del cielo, c'è la prepotenza del sole, c'è il viluppo degli alberi verde-marron con rami impossibili; forse, da lontano, si indovina il mare: dietro le case dai colori chiari. Case con finestre, finestre spalancate, e - alle spalle - possibili case: e di fronte spazi illimiti, altra presumibile natura, (e forse il desiderio di un'anabasi: il ritorno verso quella luce che viene da lontano, e ha ,il sapore di madre Grecia).
Santa Maria di Leuca è una balaustra, fondamenta ai tetti rossi devono essere Jonio e Adriatico che mescolano le carte; un tramonto estivo sono nuvole rosse che sfiocca un' invisibile ciminiera; un sogno è il sole a picco. L'atmosfera resta fiabesca, eppure la fiaba ha radici reali, è "memoria", dunque può realizzarsi e comunicare, con I' immediatezza delle parole candide.


Eppure, in queste tele la figura umana non esiste, l'uomo è latitante. Si può solo presentire, forse è dentro le case in attesa, poco più in là di un gatto che gioca; o forse è un escluso, la forza dei sogni assoluti è proprio qui, nel rinnegare gli elementi contaminatori, i soggetti che ostacolano la linearità del transfert. Allora non avrebbe senso parlare di una fuga dalla realtà; è piuttosto una posizione spontaneamente critica nei confronti della realtà in cui siamo costretti. E dunque queste tele hanno un potere liberatorio, riconducono alla freschezza originaria un pensiero che pare perduto nelle foreste pietrificate dei concettualismi pittorici contemporanei. Con i tempi - e con le avventure - che corrono, è tutt'altro che poco.


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