Sconvolto l'assetto
degli equilibri internazionali, occorre trovare nuovi ideali cui ancorare
le scelte operative di politica economica e ridare al lavoro un rigoroso
significato morale che permetta di agire con rinnovato impegno civile.
L'attuale contesto
economico internazionale è caratterizzato dal fatto che la maggior
parte dei paesi soffrono di elevati tassi di inflazione. L'inflazione
è al centro delle preoccupazioni dei responsabili della politica
economica ed esige il loro massimo impegno per tenere sotto controllo
il fenomeno, senza provocare eccessivi riflessi negativi sul funzionamento
e sullo sviluppo del sistema. Si studiano nuove soluzioni e se ne riscoprono
di vecchie, ma non è emerso ancora dal dibattito in corso un
orientamento soddisfacente.
La più generale ed importante causa dell'aumento di lungo periodo
dell'inflazione è il fatto che le nazioni del mondo occidentale
si sono storicamente indirizzate verso economie di tipo misto. I liberi
mercati ed i comportamenti macroeconomici dell'economia convenzionale
sono saltati. Le regole che governano la domanda e l'offerta dei beni,
la determinazione dei prezzi, la formazione del capitale, la stessa
teoria dell'impresa sono ormai obsolete, rese tali dallo sviluppo e
dall'ampliamento di un settore pubblico dedicato al raggiungimento di
obiettivi economici e sociali, nati da considerazioni più etiche
che di mercato. Una tale politica non è più compatibile
con il freddo sistema di ripartizione delle risorse proprio dell'economia
di libero mercato, che utilizza il criterio del tasso relativo di rendimento.
Si rendono inevitabili nuovi sistemi che contengono implicita l'esigenza
di profondi mutamenti nell'arsenale economico.
Ciò non si è avuto. In tutto il mondo ci si è dichiarati
d'accordo sui nuovi fini, ma i criteri di funzionamento e gli strumenti
sono restati quelli sempre adottati dall'economia liberista, con pochi
adattamenti rispetto a quelli che erano validi in un'epoca di inferiori
impegni sociali. Il derivato di questa collisione tra progresso sociale
e conservazione economica è l'inflazione.
Negli Stati Uniti l'adattamento delle politiche è stato reso
difficile da una filosofia prevalentemente individualista, dalla paura
di una eccessiva espansione dell'attività del Governo e dall'orgoglio
di ciò che si è stati capaci di raggiungere nel passato
con una economia di mercato. In particolare, i liberali, con una visione
utopistica del futuro, hanno dettato i nuovi obiettivi per il sistema,
mentre i conservatori, con un anacronistico rispetto verso il passato,
hanno controllato le istituzioni economiche. In altri termini, la società
americana è stata veloce nel definire i fini e lenta nell'approntare
i mezzi.
Non dissimile è stato il comportamento degli europei, anche se
il quadro politico nel cui contesto le scelte sono maturate presenta
caratteristiche diverse. Adesso appare molto improbabile pensare di
abbandonare gli obiettivi sociali. In nessuna parte del mondo libero
si è avuto un ritorno ad economie liberiste, socialmente inerti.
Dove coesistono la proprietà privata ed il suffragio universale
sembra quasi inevitabile lo svilupparsi di una potente spinta verso
cambiamenti sociali.
Fronteggiare il fenomeno dell'inflazione non è dunque agevole.
La storia ha registrato tentativi di vario genere. Il più antico
sistema di controllo dei prezzi di cui si abbia conoscenza risale a
4000 anni fa. Si tratta del codice di Hammurabi, della antica Babilonia,
nel quale erano stabiliti dei limiti al prezzo del grano. Chiunque fosse
riconosciuto colpevole di praticare prezzi più alti, era soggetto
a pene corporali molto severe. La perdita di una mano per la prima offesa,
la perdita di un occhio per la seconda, la perdita della vita per la
terza.
Esaminando la storia troviamo ancora molti esempi di controlli dei prezzi.
Si è trattato sempre di misure a carattere disperato, messe in
atto da governi per sopprimere gli effetti inflazionistici che essi
stessi avevano creato. I pochi tentativi che hanno avuto successo sono
risultati efficaci soltanto grazie a disposizioni drastiche adottate
per periodi brevi. Persino durante la seconda guerra mondiale, in un
periodo di acceso patriottismo, i controlli sui prezzi sono risultati
di scarsa efficacia.
Gli operatori economici hanno sempre cercato di proteggersi dagli effetti
del fenomeno inflazionistico. Un ruolo importante in questo senso è
stato svolto dall'oro. Molti paesi hanno emesso titoli obbligazionari
nei quali il reddito ed il capitale erano protetti dal "rischio
inflazione" attraverso l'ancoraggio ad un indice del potere di
acquisto della moneta. Un sistema adoperato in Francia per alcune recenti
emissioni collega l'interesse corrisposto all'andamento dell'indice
d'inflazione preparato a cura dell'Istituto centrale di statistica.
L'indicizzazione sembra dunque la scoperta del momento ma non è
certo un fatto nuovo, anche se talvolta viene utilizzata con altri termini,
quali, ad esempio, "correzione monetaria". Non esistono precise
misure sulla entità del tasso d'inflazione che provochino il
ricorso a questo strumento, ma a nostro avviso un tasso di interesse
dal 7 al 10% annuo indica lo stato grave della malattia. A questo punto
i prezzi raddoppiano ogni decennio ed iniziano a mostrarsi delle tensioni
strutturali fra i diversi gruppi sociali. Quando il tasso d'inflazione
eccede il 10% annuo, la malattia si cronicizza e diventa grave. Un tasso
d'inflazione al di sopra del 10%, quando oltrepassa il breve periodo,
comporta di solito conflitti sociali ed una tendenza verso la disobbedienza
civile e ciò non soltanto nel mondo capitalista, come hanno dimostrato
le rivolte in Polonia e nei Balcani. In ogni caso, ora che i prezzi
in Italia si trovano ad un livello che supera il 10% rispetto al livello
raggiunto nell'anno passato, non deve sorprendere l'aumentato interesse
per l'indicizzazione in casa nostra. La più antica e semplice
forma d'indicizzazione è il tasso di interesse. Utilizzando i
British Consuls, obbligazioni senza scadenza, emesse dal Governo britannico
durante il periodo napoleonico, gli economisti hanno individuato una
relazione fra il prevalente tasso d'inflazione ed il livello generale
dei tassi d'interesse.
In generale si può affermare che il tasso reale d'interesse si
colloca fra in 3,5% e il 4% ed !aggiungendo il tasso d'inflazione attuale
o previsto si giunge alla determinazione del tasso nominale. Ma le regole
e le relazioni cambiano quando l'inflazione non è più
strisciante ma galoppante. Gli economisti stanno tentando attualmente
di determinare una nuova relazione che sia significativa. Infatti non
ci si può molto basare sulle passate esperienze, poiché
i paesi più industrializzati stanno sperimentando tassi d'inflazione
superiori al 10%.
Il paese che ha avuto la più traumatica esperienza nel campo
della indicizzazione è la Germania. Durante la iper-inflazione
degli anni venti venne creato un sistema in base al quale i salari venivano
automaticamente rettificati per tenere conto dell'inflazione. Il tasso
d'inflazione era tuttavia talmente rapido che l'aumento dei prezzi finì
per essere calcolato ,su base giornaliera, mentre l'aumento delle paghe
di un giorno comportava un ulteriore balzo in avanti dell'indice. I
lavoratori venivano pagati tre volte al giorno e si precipitavano a
convertire le paghe in beni prima che la moneta diminuisse ulteriormente
di valore. E' forse per questo motivo che la Germania è uno dei
pochi paesi dove la indicizzazione è vietata (in base alla legge
monetaria del 1948).
L'indicizzazione praticata in Brasile agli inizi degli anni 60 costituisce
materia di studio stimolante. L'inflazione era nell'ordine del 50-70%
e quindi era impossibile ottenere fondi a medio o lungo termine. Le
disponibilità finanziarie si dirigevano verso impieghi di carattere
speculativo. Il tasso ufficiale sui prestiti era dell'8%, ma ciò
non aveva alcun significato, poiché con meccanismi di vario tipo
si prestava denaro ad un tasso superiore al 50% annuo.
Il Brasile ha utilizzato cinque strumenti di base per fronteggiare il
fenomeno. I primi tre sono familiari la tutti gli economisti: controllo
delle spese statali e della politica monetaria, regolamentazione dei
prezzi e salari.
In effetti il deficit statale ed una sconsiderata politica di emissione
di carta moneta erano i principali responsabili del fenomeno. Negli
anni recenti le politiche fiscali e monetarie sono state prevalentemente
di carattere conservatore. La regolamentazione dei prezzi è stata
estesa a quasi tutte le voci componenti il mercato di esportazione.
La regolamentazione dei salari è risultata certamente molto efficace
in un paese in cui i sindacati non esistono ed i salari sono fissati
con decreto governativo.
Gli altri due elementi sono la svalutazione a piccoli passi e l'aggiustamento
monetario, adottati per neutralizzare le distorsioni economico-sociali
causate dall'ambiente inflazionistico. Utilizzando il sistema della
svalutazione a piccoli passi, il Governo brasiliano riduce il valore
del cruzeiro ogni sei settimane di un ammontare basato sui rapporti
di acquisto in essere con i suoi partners commerciali. Le revisioni
vengono effettuate ad intervalli irregolari al fine di stroncare la
speculazione e permettono di evitare le ripercussioni di una rilevante
svalutazione. Inoltre i frequenti mutamenti delle parità mantengono
la competitività dei prodotti brasiliani.
Si è poi constatato che quando l'inflazione si sviluppa ad un
tasso del 30% annuo non vi è incentivo a risparmiare. Il contante
disponibile viene adoperato per operazioni di carattere speculativo
o convertito in beni.
Questa fuga dal contante finisce per aggravare ulteriormente l'inflazione
per cui, in Brasile, si è fatto ricorso ad alcuni meccanismi
di correzione monetaria. Ad esempio, un titolo obbligazionario può
avere un rendimento reale del 7% ma se il tasso d'inflazione nell'anno
risulta del 15% il valore del titolo viene aumentato di conseguenza.
L'aumento che viene corrisposto in conseguenza dell'inflazione è
esente da imposte in quanto non viene considerato come un profitto,
ma come un riconoscimento degli effetti dell'inflazione.
La "correzione monetaria" è volta anche a proteggere
il capitale delle società. Spesso l'inflazione costituisce una
vera e propria imposta nascosta sul capitale, se non si tiene conto
dell'incremento di valore delle scorte e se i valori di ammortamento
accertati a fini fiscali vengono calcolati in base al costo storico.
In Brasile, le società possono aumentare di anno in anno il valore
degli impianti e delle scorte sulla base dell'indice. I profitti non
sono tassabili a condizione che vengano portati a capitale.
In Italia qualcosa di analogo si è fatto con la recente legge
sulla rivalutazione monetaria dei beni d'impresa (Legge 2 Dicembre 1975
n. 576). Nel nostro paese la svalutazione monetaria rappresenta solo
uno degli aspetti di un grave problema che solo di recente ha cominciato
ad imporsi all'attenzione degli operatori del diritto e del legislatore.
Anche in altri paesi europei è in atto una profonda revisione
dei metodi contabili (le esperienze olandesi e britanniche hanno già
prodotto risultati apprezzabili) ed è significativo che anche
nel progetto di quarta direttiva CEE, recentemente sottoposto all'approvazione
del Consiglio dei ministri della Comunità, viene riconosciuta
agli Stati membri la facoltà di introdurre nelle legislazioni
nazionali forme di rilevazione contabile svincolate dai costi storici.
In Italia i problemi in oggetto costituiscono ormai patrimonio di un
vasto dibattito, e si manifesta sempre più l'esigenza di trovare
un assetto legislativo che risolva tali problemi in modo permanente.
Tuttavia il legislatore italiano ha sempre manifestato la tendenza a
considerare il problema nel quadro di provvedimenti intesi a sopperire
temporaneamente alle esigenze, soprattutto fiscali, emergenti nei periodi
di forte tensione inflazionistica. Anche il recente intervento legislativo
(c. d. legge Visentini) è stato concepito in quest'ordine di
idee.
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