Inflazione e Pubblici Poteri




Claudio Alemanno



Sconvolto l'assetto degli equilibri internazionali, occorre trovare nuovi ideali cui ancorare le scelte operative di politica economica e ridare al lavoro un rigoroso significato morale che permetta di agire con rinnovato impegno civile.

L'attuale contesto economico internazionale è caratterizzato dal fatto che la maggior parte dei paesi soffrono di elevati tassi di inflazione. L'inflazione è al centro delle preoccupazioni dei responsabili della politica economica ed esige il loro massimo impegno per tenere sotto controllo il fenomeno, senza provocare eccessivi riflessi negativi sul funzionamento e sullo sviluppo del sistema. Si studiano nuove soluzioni e se ne riscoprono di vecchie, ma non è emerso ancora dal dibattito in corso un orientamento soddisfacente.
La più generale ed importante causa dell'aumento di lungo periodo dell'inflazione è il fatto che le nazioni del mondo occidentale si sono storicamente indirizzate verso economie di tipo misto. I liberi mercati ed i comportamenti macroeconomici dell'economia convenzionale sono saltati. Le regole che governano la domanda e l'offerta dei beni, la determinazione dei prezzi, la formazione del capitale, la stessa teoria dell'impresa sono ormai obsolete, rese tali dallo sviluppo e dall'ampliamento di un settore pubblico dedicato al raggiungimento di obiettivi economici e sociali, nati da considerazioni più etiche che di mercato. Una tale politica non è più compatibile con il freddo sistema di ripartizione delle risorse proprio dell'economia di libero mercato, che utilizza il criterio del tasso relativo di rendimento. Si rendono inevitabili nuovi sistemi che contengono implicita l'esigenza di profondi mutamenti nell'arsenale economico.
Ciò non si è avuto. In tutto il mondo ci si è dichiarati d'accordo sui nuovi fini, ma i criteri di funzionamento e gli strumenti sono restati quelli sempre adottati dall'economia liberista, con pochi adattamenti rispetto a quelli che erano validi in un'epoca di inferiori impegni sociali. Il derivato di questa collisione tra progresso sociale e conservazione economica è l'inflazione.
Negli Stati Uniti l'adattamento delle politiche è stato reso difficile da una filosofia prevalentemente individualista, dalla paura di una eccessiva espansione dell'attività del Governo e dall'orgoglio di ciò che si è stati capaci di raggiungere nel passato con una economia di mercato. In particolare, i liberali, con una visione utopistica del futuro, hanno dettato i nuovi obiettivi per il sistema, mentre i conservatori, con un anacronistico rispetto verso il passato, hanno controllato le istituzioni economiche. In altri termini, la società americana è stata veloce nel definire i fini e lenta nell'approntare i mezzi.
Non dissimile è stato il comportamento degli europei, anche se il quadro politico nel cui contesto le scelte sono maturate presenta caratteristiche diverse. Adesso appare molto improbabile pensare di abbandonare gli obiettivi sociali. In nessuna parte del mondo libero si è avuto un ritorno ad economie liberiste, socialmente inerti. Dove coesistono la proprietà privata ed il suffragio universale sembra quasi inevitabile lo svilupparsi di una potente spinta verso cambiamenti sociali.
Fronteggiare il fenomeno dell'inflazione non è dunque agevole. La storia ha registrato tentativi di vario genere. Il più antico sistema di controllo dei prezzi di cui si abbia conoscenza risale a 4000 anni fa. Si tratta del codice di Hammurabi, della antica Babilonia, nel quale erano stabiliti dei limiti al prezzo del grano. Chiunque fosse riconosciuto colpevole di praticare prezzi più alti, era soggetto a pene corporali molto severe. La perdita di una mano per la prima offesa, la perdita di un occhio per la seconda, la perdita della vita per la terza.
Esaminando la storia troviamo ancora molti esempi di controlli dei prezzi. Si è trattato sempre di misure a carattere disperato, messe in atto da governi per sopprimere gli effetti inflazionistici che essi stessi avevano creato. I pochi tentativi che hanno avuto successo sono risultati efficaci soltanto grazie a disposizioni drastiche adottate per periodi brevi. Persino durante la seconda guerra mondiale, in un periodo di acceso patriottismo, i controlli sui prezzi sono risultati di scarsa efficacia.
Gli operatori economici hanno sempre cercato di proteggersi dagli effetti del fenomeno inflazionistico. Un ruolo importante in questo senso è stato svolto dall'oro. Molti paesi hanno emesso titoli obbligazionari nei quali il reddito ed il capitale erano protetti dal "rischio inflazione" attraverso l'ancoraggio ad un indice del potere di acquisto della moneta. Un sistema adoperato in Francia per alcune recenti emissioni collega l'interesse corrisposto all'andamento dell'indice d'inflazione preparato a cura dell'Istituto centrale di statistica.
L'indicizzazione sembra dunque la scoperta del momento ma non è certo un fatto nuovo, anche se talvolta viene utilizzata con altri termini, quali, ad esempio, "correzione monetaria". Non esistono precise misure sulla entità del tasso d'inflazione che provochino il ricorso a questo strumento, ma a nostro avviso un tasso di interesse dal 7 al 10% annuo indica lo stato grave della malattia. A questo punto i prezzi raddoppiano ogni decennio ed iniziano a mostrarsi delle tensioni strutturali fra i diversi gruppi sociali. Quando il tasso d'inflazione eccede il 10% annuo, la malattia si cronicizza e diventa grave. Un tasso d'inflazione al di sopra del 10%, quando oltrepassa il breve periodo, comporta di solito conflitti sociali ed una tendenza verso la disobbedienza civile e ciò non soltanto nel mondo capitalista, come hanno dimostrato le rivolte in Polonia e nei Balcani. In ogni caso, ora che i prezzi in Italia si trovano ad un livello che supera il 10% rispetto al livello raggiunto nell'anno passato, non deve sorprendere l'aumentato interesse per l'indicizzazione in casa nostra. La più antica e semplice forma d'indicizzazione è il tasso di interesse. Utilizzando i British Consuls, obbligazioni senza scadenza, emesse dal Governo britannico durante il periodo napoleonico, gli economisti hanno individuato una relazione fra il prevalente tasso d'inflazione ed il livello generale dei tassi d'interesse.
In generale si può affermare che il tasso reale d'interesse si colloca fra in 3,5% e il 4% ed !aggiungendo il tasso d'inflazione attuale o previsto si giunge alla determinazione del tasso nominale. Ma le regole e le relazioni cambiano quando l'inflazione non è più strisciante ma galoppante. Gli economisti stanno tentando attualmente di determinare una nuova relazione che sia significativa. Infatti non ci si può molto basare sulle passate esperienze, poiché i paesi più industrializzati stanno sperimentando tassi d'inflazione superiori al 10%.
Il paese che ha avuto la più traumatica esperienza nel campo della indicizzazione è la Germania. Durante la iper-inflazione degli anni venti venne creato un sistema in base al quale i salari venivano automaticamente rettificati per tenere conto dell'inflazione. Il tasso d'inflazione era tuttavia talmente rapido che l'aumento dei prezzi finì per essere calcolato ,su base giornaliera, mentre l'aumento delle paghe di un giorno comportava un ulteriore balzo in avanti dell'indice. I lavoratori venivano pagati tre volte al giorno e si precipitavano a convertire le paghe in beni prima che la moneta diminuisse ulteriormente di valore. E' forse per questo motivo che la Germania è uno dei pochi paesi dove la indicizzazione è vietata (in base alla legge monetaria del 1948).
L'indicizzazione praticata in Brasile agli inizi degli anni 60 costituisce materia di studio stimolante. L'inflazione era nell'ordine del 50-70% e quindi era impossibile ottenere fondi a medio o lungo termine. Le disponibilità finanziarie si dirigevano verso impieghi di carattere speculativo. Il tasso ufficiale sui prestiti era dell'8%, ma ciò non aveva alcun significato, poiché con meccanismi di vario tipo si prestava denaro ad un tasso superiore al 50% annuo.
Il Brasile ha utilizzato cinque strumenti di base per fronteggiare il fenomeno. I primi tre sono familiari la tutti gli economisti: controllo delle spese statali e della politica monetaria, regolamentazione dei prezzi e salari.
In effetti il deficit statale ed una sconsiderata politica di emissione di carta moneta erano i principali responsabili del fenomeno. Negli anni recenti le politiche fiscali e monetarie sono state prevalentemente di carattere conservatore. La regolamentazione dei prezzi è stata estesa a quasi tutte le voci componenti il mercato di esportazione. La regolamentazione dei salari è risultata certamente molto efficace in un paese in cui i sindacati non esistono ed i salari sono fissati con decreto governativo.
Gli altri due elementi sono la svalutazione a piccoli passi e l'aggiustamento monetario, adottati per neutralizzare le distorsioni economico-sociali causate dall'ambiente inflazionistico. Utilizzando il sistema della svalutazione a piccoli passi, il Governo brasiliano riduce il valore del cruzeiro ogni sei settimane di un ammontare basato sui rapporti di acquisto in essere con i suoi partners commerciali. Le revisioni vengono effettuate ad intervalli irregolari al fine di stroncare la speculazione e permettono di evitare le ripercussioni di una rilevante svalutazione. Inoltre i frequenti mutamenti delle parità mantengono la competitività dei prodotti brasiliani.
Si è poi constatato che quando l'inflazione si sviluppa ad un tasso del 30% annuo non vi è incentivo a risparmiare. Il contante disponibile viene adoperato per operazioni di carattere speculativo o convertito in beni.
Questa fuga dal contante finisce per aggravare ulteriormente l'inflazione per cui, in Brasile, si è fatto ricorso ad alcuni meccanismi di correzione monetaria. Ad esempio, un titolo obbligazionario può avere un rendimento reale del 7% ma se il tasso d'inflazione nell'anno risulta del 15% il valore del titolo viene aumentato di conseguenza. L'aumento che viene corrisposto in conseguenza dell'inflazione è esente da imposte in quanto non viene considerato come un profitto, ma come un riconoscimento degli effetti dell'inflazione.
La "correzione monetaria" è volta anche a proteggere il capitale delle società. Spesso l'inflazione costituisce una vera e propria imposta nascosta sul capitale, se non si tiene conto dell'incremento di valore delle scorte e se i valori di ammortamento accertati a fini fiscali vengono calcolati in base al costo storico. In Brasile, le società possono aumentare di anno in anno il valore degli impianti e delle scorte sulla base dell'indice. I profitti non sono tassabili a condizione che vengano portati a capitale.
In Italia qualcosa di analogo si è fatto con la recente legge sulla rivalutazione monetaria dei beni d'impresa (Legge 2 Dicembre 1975 n. 576). Nel nostro paese la svalutazione monetaria rappresenta solo uno degli aspetti di un grave problema che solo di recente ha cominciato ad imporsi all'attenzione degli operatori del diritto e del legislatore.
Anche in altri paesi europei è in atto una profonda revisione dei metodi contabili (le esperienze olandesi e britanniche hanno già prodotto risultati apprezzabili) ed è significativo che anche nel progetto di quarta direttiva CEE, recentemente sottoposto all'approvazione del Consiglio dei ministri della Comunità, viene riconosciuta agli Stati membri la facoltà di introdurre nelle legislazioni nazionali forme di rilevazione contabile svincolate dai costi storici.
In Italia i problemi in oggetto costituiscono ormai patrimonio di un vasto dibattito, e si manifesta sempre più l'esigenza di trovare un assetto legislativo che risolva tali problemi in modo permanente. Tuttavia il legislatore italiano ha sempre manifestato la tendenza a considerare il problema nel quadro di provvedimenti intesi a sopperire temporaneamente alle esigenze, soprattutto fiscali, emergenti nei periodi di forte tensione inflazionistica. Anche il recente intervento legislativo (c. d. legge Visentini) è stato concepito in quest'ordine di idee.


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