Gli indicatori
del ritardo economico e sociale, dopo vent'anni di politica meridionalistica,
mettono in rilievo le gravi carenze a livello regionale e provinciale,
che lasciano il Meridione in un'area di basse pressioni.
Dotato di una popolazione
che rappresenta il 35% del totale nazionale, il Mezzogiorno contribuisce
al prodotto lordo del Paese soltanto nella misura del 25%: in particolare,
la quota di prodotto industriale che si forma nelle regioni del Sud
è di poco superiore al 18% dell'intero prodotto che vien fuori
dall'apparato industriale italiano. La composizione del prodotto lordo
che si forma nell'area meridionale vede un'elevata importanza del settore
agricolo (17,7%) e del ramo dell'amministrazione pubblica (16,1%). Nel
triangolo industriale, l'agricoltura partecipa al prodotto lordo ripartizionale
per appena il 4,3% e l'amministrazione pubblica per il 7,3%. Il prodotto
lordo dell'industria copre nel Mezzogiorno solo il 30% del totale, contro
il 50% del triangolo industriale.
L'arca meridionale assorbe nel 1975 poco più del 30% delle forze
di lavoro del Paese. Il suo tasso di attività è talmente
basso (31,5%) da concorrere in maniera determinante alla riduzione del
tasso medio di attività a livello nazionale, dato che le restanti
regioni del Centro-Nord hanno un tasso del 39,1%. La disoccupazione
raggiunge nel Sud livelli relativi doppi di quelli che si riscontrano
nelle rimanenti regioni italiane. Se si assumono le cifre dei disoccupati
che hanno dichiarato all'Istat di cercare lavoro, il Mezzogiorno presenta
un tasso di disoccupazione del 5,2%, che è appunto doppio rispetto
al tasso del 2,5% osservato per il Centro-Nord. Se si considerano, in
base a un'indagine del Censis, anche le persone che si dicono in attesa,
oltre che alla ricerca attiva, di un lavoro, il tasso di disoccupazione
si eleva nel Sud ad oltre il 10%, mentre nel Centro-Nord guadagna soltanto
un punto percentuale (3,5%). Il 60% circa degli iscritti alle liste
di collocamento risiede nel Mezzogiorno. La popolazione lavorativa del
Sud, infine, ha il più basso livello di istruzione: il 23% dei
lavoratori non ha mai conseguito un titolo di studio, contro il 9% del
triangolo industriale.
Quali miglioramenti ha portato la politica di interventi straordinari
nel Mezzogiorno? Se guardiamo alla dinamica del prodotto lordo meridionale
- che è un indicatore sintetico della crescita del sistema in
termini di creazione materiale di beni e servizi finali - la risposta
è deludente: dal 1951 ad oggi, il tasso di sviluppo reale del
Sud è stato inferiore (4,8%) a quello medio riscontrato nel Centro-Nord
(5,2%). Tassi all'incirca eguali si registrano solo se, anziché
fare riferimento al volume complessivo del prodotto lordo, si guarda
al prodotto per abitante a prezzi costanti. Ma ciò è dovuto
alle fortissime correnti emigratorie che esso ha alimentato verso l'estero
e verso le altre regioni, riducendosi in tal modo il suo peso demografico
complessivo dal 37,2% del 1951 all'attuale scarso 35%. Ne discende che
il divario in termini di livello di prodotto reale per abitante non
è mutato negli ultimi venticinque anni: il prodotto complessivo
si è solo ripartito su un numero di teste relativamente minore.
Le distanze, dunque, restano grandi. La popolazione meridionale produce
un reddito medio in termini di nuovi beni e servizi che è appena
il 50% di quello medio della popolazione di Piemonte, Liguria e Lombardia.
Se si utilizzano i valori del reddito ai prezzi correnti di ogni anno,
allora il divario sembra recuperato dopo il 1962 da un lento ma progressivo
avanzamento del reddito medio meridionale. In realtà, a conti
fatti, questo progresso è soltanto nominale e cartaceo, poiché
deriva dal fatto che le attività economiche prevalenti al Sud,
(agricoltura, amministrazione pubblica, e, tra le industrie, le costruzioni),
hanno avuto i più forti aumenti dei prezzi, assicurando alle
popolazioni meridionali un incremento di potere d'acquisto superiore
a quello del volume reale di beni e servizi prodotti.
La drammaticità del divario viene attenuata se i confronti sono
operati sulla base delle risorse reali disponibili e impiegate in consumi
e investimenti: allora lo scarto tra Sud e triangolo industriale non
è solo in notevole riduzione tra il 1951 e i nostri giorni -
essendo le risorse reali medie per abitante meridionale salite, fatto
uguale a 100 il corrispondente dato dell'area più progredita,
da 53 a 70 - ma presenta in assoluto una dimensione più accettabile.
Tuttavia questi risultati non risolvono il problema dello squilibrio
e dell'incapacità del sistema economico meridionale a reggersi
autonomamente, dato che essi sono ottenuti con un trasferimento di risorse
dal resto d'Italia e dai paesi esteri, per importi che raggiungono un
terzo del reddito prodotto in loco: reddito che è sufficiente
a finanziare le spese di consumo, ma non quelle di investimento. Lasciato
a se stesso, il sistema economico del Mezzogiorno sarebbe destinato
al paradosso dell'estinzione. L'espressione "economia dominata",
coniata per il Mezzogiorno, si rintraccia nel pensiero di molti studiosi.
I legami di subordinazione crescente dell'economia meridionale all'economia
del Nord sono molteplici e di vario ordine:
- Esiste una dipendenza nel settore della produzione, in quanto gli
impianti industriali ubicati nel Sud appartengono o a grandi società
nazionali, i cui centri di decisione hanno sede nelle altre regioni,
o a società locali create o finanziate dal Centro-Nord, quindi
propense a considerare l'avventura nel Sud di tipo semicoloniale;
- esiste una dipendenza nella struttura dei mercati; le imprese settentrionali
hanno ultimato la penetrazione in tutto il mercato meridionale, creando
una forte concorrenza alle deboli strutture industriali del Mezzogiorno,
che possono restare competitive solo se adeguano alle prime tecnologia
e costi di produzione.
- esiste una dipendenza marcata nel settore del credito: gli istituti
di credito abilitati ad operare nel Sud sono in massima parte a carattere
nazionale ed orientano l'impiego dei flussi finanziari verso i più
garantiti investimenti al Nord, lasciando al Meridione le briciole della
liquidità totale;
- poiché il Mezzogiorno vive di spesa pubblica, esiste una dipendenza
politica che inquina il tessuto sociale dell'area, diffonde il clientelismo,
sospinge gli operatori a intrecciarsi con la classe politica, costituita
in pratica da funzionari di partito, la cui linea politica è
decisa all'esterno dell'area meridionale.
Sono, queste, affermazioni di grande peso, che vengono fuori da indagini
serie, e che concorrono a spiegare le ragioni dell'insuccesso delle
politiche dispiegate per provocare il decollo economico del Sud. Dalla
fine degli anni '50 - da quando cioé la Cassa è passata
da un intervento diffuso ad una politica di incentivi all'industrializzazione
- il livello globale dell'occupazione è diminuito nel Sud più
che nel Centro-Nord, e non tanto perché un milione e 340 mila
lavoratori hanno lasciato nel frattempo l'agricoltura, ma perché
appena 120 mila nuovi posti di lavoro sono stati creati nell'attività
industriale. Uno sguardo all'interno dell'industria fa scoprire poi
che l'occupazione nelle industrie in senso stretto, lungi dall'espandersi,
è regredita, e che tutto l'incremento di occupazione è
concentrato nell'attività edilizia e delle opere pubbliche.
Alla luce di questi dati, appare puntuale la constatazione che il tipo
di industrializzazione attuato nel Sud ha comportato la creazione di
impianti industriali ad alta intensità di capitale, con scarso
assorbimento di manodopera, autosufficienti o strettamente legati agli
impianti di case-madri operanti altrove. Questi impianti hanno avuto
così anche la caratteristica di indurre uno sviluppo assai scarso
di imprese minori, e quindi di occupazione in attività collaterali:
ne è derivata una situazione di ristagno ancora più avvertita
per lo scotto patito dalle illusioni incautamente accese nei meridionali,
cui l'operatore pubblico ha tentato di apportare sollievo ampliando
la spesa pubblica per trasferimenti sociali. Si è avuto allora
lo stesso sviluppo del terziario che si è registrato nel Centro-Nord,
con un aumento di occupati (25%) pressoché analogo a quello del
resto d'Italia, ma non già per strutture di servizi collegate
all'attività di produzione, bensì per servizi correlati
all'attività di consumo. Si è così acuito anche
nel Sud il processo di urbanizzazione, con fenomeni di congestione nelle
aree costiere non motivati da uno sviluppo reale, e quindi di tutt'altra
origine rispetto ai fenomeni di congestione urbana verificatisi nel
Centro-Nord. Un altro tipo di dualismo territoriale si è così
manifestato all'interno del Mezzogiorno, per cui sembra oggi improprio
parlare di esso come di un blocco di sottosviluppo.
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