§ Le inchieste della Rassegna

CALABRIA grande e amara




Realizzazione
ALDO BELLO
Testi e statistiche
GUGLIELMO TAGLIACARNE
Hanno collaborato
Ricerche letterarie
Ada Provenzano
Ricerche storiche
Pino Orefice
Ricerche economiche
Claudio Alemanno
Sezione grafica
Sandro Gattei
Sezione fotografica
Folco Quilici
Giuliana Calabrese




Qui è il Sud del Sud: stupenda e povera bellezza, terra delle forti passioni e delle bibliche migrazioni, contraddittoria frontiera della politica meridionalista. Non vi sono isole nel mare. Ma, all'interno, é un arcipelago di mondi: greco, albanese, bizantino, con un'énclave piemontese, che testimoniano delle colonizzazioni, delle invasioni, dell'alternarsi di civiltà, che hanno fatto della vicenda calabrese un mosaico complesso, emblematico della più vasta storia meridionale.

Estendendosi per circa due gradi di latitudine, tra il 37° 54' e 40° 07', si inoltra per 250 chilometri tra Tirreno e Jonio, formando una penisola della penisola italiana. Ha 700 chilometri di coste, distanti tra mare e mare al massimo 80 Km tra Punta Alice e Capo Bonifati, e 31 Km tra gli opposti Colli di Sant'Eufemia e Squillace.
Geologicamente, il terreno è ancora in formazione. Il territorio è al 50 per cento montagnoso, al 40 per cento collinare, e solo al 10 per cento si presenta in pianure costiere, alluvionati, o di fondovalle. Per il 20 per cento è soggetto a movimenti franosi, che impediscono l'insediamento umano e l'uso della terra. Le maggiori fiumare sono 600. 1 fiumi dal corso più lungo sfociano nello Jonio (Crati, Neto, Tàcina), mentre i tributari del Tirreno hanno portate più consistenti (massimo volume, quello del Lao). I laghi, tutti in Sila (Arvo, Ampollino, Cécita), sono artificiali. Il sistema montano va dal Pollino, diviso con la Basilicata, alla Catena Costiera e alla Sila; e attraverso l'Appennino meridionale, culmina nell'Aspromonte. In Calabria esistono le uniche foreste vergini italiane.

Come in un inferno

Aldo Bello

Ha scritto Manlio Rossi Doria che una regione è come un pezzo di carne: tanto d'osso e tanto di polpa. La Calabria ha più osso che polpa.
E non si può conoscerla, se non si va dalla parte dell'osso.
La penisola delle Calabrie (una volta si usava il plurale, perché questa terra era un arcipelago di microcosmi diversi) ha il sessanta per cento dei terreni al di sopra delle altitudini medie meridionali. Le grandi vette silane e aspromontine - ancora in formazione geologica - la spaccano tra Jonio e Tirreno, complicando i collegamenti interni. Rotta da centinaia di fiumare, è frantumata anche etnicamente, e fortissimo è il ghibellinismo di campanile.
A nord di Cosenza, la statale scende lungo la pianura del Crati. Ai lati del "Vallo", sugli orli, come per miracolo, stanno i villaggi, arroccati sui colli o sospesi alle falde dei monti. Prima di Tarsia e di Spezzano Albanese, si imbocca la strada di bonifica, preferibile alla statale, che è stata rimessa a nuovo, ma ha conservato lo stesso tracciato, gli identici tornanti da capogiro, per evitare una guerra civile fra i due paesi. Poi si scende nella valle dell'Esaro: olivi, vigneti. campi a maggese. Il giro è ampio, sullo sfondo del Pollino. Verso lo Jonio si apre la Piana di Sibari, terra promessa della Calabria. Il panorama è tipico: macchie, greggi, l'orticoltura che. con le irrigazioni, ha vinto la palude. Sibari antica, Sibari di Diodoro e di Strabone, è tra il Crati e il Coscile, nel cuore di una pianura un poco malinconica, rigata da lunghi cortei di salici e pioppi. Il mare, che è dietro l'angolo ha riflessi egei.
Per raggiungere la ferrovia sotto Rossano, città purpurea, di là dal Trionto, ci si deve arrampicare per la statale 106 segnata da incredibili olivi secolari. Le fiumare scendono a dente di pettine, dilavando le campagne. E' la terra delle vaste solitudini, dove coabitano i campieri e la brucellosi. A picco sul mare, calanchi tra muraglie d'argilla. Helmut Kanter definì questo paesaggio "di steppa marina": è la montagna che, smottando, scivola compatta nel mare. I paesi, in alto, sono divorati a bocconi, un poco alla volta. Anche la montagna, in Calabria, ha la stia fame; è un moloch insaziabile che ha spinto i calabresi a fuggire sulla costa, a creare doppioni di paesi - le "marine" - accanto alla strada ferrata, dove non giunge l'eco delle frane.
Oltre Strongoli è la Valle del Neto, il fiume che precipita dalla Sila, e sotto San Giovanni in Fiore cattura le acque dell'Arvo. Sul mare è esiliata Crotone. Alle spalle sono le terre del Marchesato, l'ex latifondo. Crotone èl'oasi industriale del deserto calabrese. Tutt'intorno, se tira vento, è paesaggio da ghiblì, e il cielo ha sapore d'Africa. Il verde è esploso quando si alzò una diga per sbarrare il passo al Tacina, piccolo fiume operaio.
Si divide in due: Sila Greca e Sila Grande La prima è più selvaggia, si dice impropriamente greca per i centri albanesi che si trovano nella sua area. I nuclei greci veri e propri - o come si chiamano qui, "grecanici" - hanno altrove il loro baricentro. La Sila Grande ha il cuore a Camigliatello. Oltre i milleduecento metri il castagno cede al pino laricio e al faggio. L'altopiano è una gran terrazza, si allarga per 700 mila ettari.
Per San Giovanni in Fiore si percorre la strada che Murat fece tracciare dagli ingegneri napoleonici, e che fu l'unica arteria silana fino a molti decenni dopo l'Unità. I villaggi inchiodati sulle costole montane una volta. erano slegati, e ciascuno comunicava per proprio conto attraverso le trazzere familiari a Fra' Gioacchino. In paese si arriva dopo grandi svolte. Il paesaggio muta bruscamente: nessun bosco sulla terra d'argilla grigia, monti d'un granito che al sole e alla pioggia disfano in uno squallore opprimente. Qui è la Calabria più buia, la terra delle vedove di Mattmark, una grande comunità di disperati in un classico orizzonte da terra depressa. Le donne, nel nero costume quasi monacale, esprimono - misti - dolore forza speranza. E' la gente che vive delle rimesse, del sistema previdenziale, dei piccoli lavori pubblici. E del mitico telaio a mano. E' quella che Corrado Alvaro chiamò la "Calabria in fuga", senza forza interna, senza un'economia locale, senza impulsi dalle aree vicine. Le case sprofondano a cerchi concentrici in un paesaggio di dossi pelati, frugati da un vento rabbioso che fa - grottescamente - l'aria luminosa e chiari gli orizzonti.
Qualcuno, ha detto che, come la Piana di Sibari poteva essere la nostra Ruhr, così la Sila poteva diventare una piccola Svizzera. In realtà, è una terra romantica che al tempo della riforma diciottomila contadini si dichiararono disposti a raggiungere e a possedere stabilmente. La Sila si è aperta, gridavano allora da una valle all'altra. E furono bei giorni. Ma dopo agosto, di colpo i boschi annerirono, la terra si trasformò in una rossa fanghiglia,: i torrenti ingrossarono, la montagna crepò come una melagrana, e la Sila si chiuse su se stessa. Ci fu una gran quantità di neve, e vennero gli elicotteri a salvare i contadini.
Lassù, allora, rimasero in pochi, quei pochi che si sentirono l'animo scuro dei traditori perché avevano rotto con il mondo e si erano serrati nel cuore troppo stretto di una montagna ingrata.
Otto secoli prima, l'abate Gioacchino, il dantesco visionario profeta, tentò qui una sua riforma che in un certo modo riuscì, sopravanzando e resistendo ancora oggi moltissimi aspetti della vita di allora, non ultimo il modo di vestire delle donne. Ma quelli erano uomini d'altro stampo d'una diversa matrice. Stare insieme sulla montagna, sentirsi uniti, forti, liberi, mentre in precedenza erano stati servi e divisi, era più naturale. Oltre tutto, non avendo una tradizione cui richiamarsi, erano loro a incominciare una nuova storia, la propria storia. Al contrario, la gente salita due decenni fa, o poco più, sull'altopiano, dovette rompere i rapporti d'amicizia e di parentado, si allontanò dalla metropoli consumistica degli assegnatari, calandosi in una tetra dimensione di esilio che, col poco vantaggio che ne venne, non ripagò nessuno di quanto aveva lasciato.
Inaccessibile e regale è l'Aspromonte, terra di fuorilegge, sicuro rifugio di latitanti. Da qui, a ridosso degli ultimi contrafforti montani, l'Appennino digrada in mezze montagne che, oltre Reggio, si ergono nell'estremo affaccio dello Stretto, dove i mari mediterranei diventano un mare siciliano. Gli itinerari sono due, e tutti e due costieri: quello orlato dallo Jonio è più dolce, va su per lunghi arenili costellati di torri di vedetta che non fermarono i briganti saraceni; quello tirrenico ha un piglio wagneriano: sabbie che s'illuminano di costellazioni di mica, bianche galassie ininterrotte, all'ombra di agrumeti perenni che salgono dalle spiagge e assediano le ciminiere dell'immediato hinterland; campings che si snodano da un villaggio turistico all'altro, senza respiro, per un'estate di dieci mesi che è una catena di produzione di valuta pregiata. Ecco la Calabria che si muove, che vuole andare avanti, che vive come in un'ansia panica di bruciare le tappe e di riconquistare un tempo perduto per colpe altrui, per disegni esterni, per dominazioni senza scampo. E' la Calabria che si apre, e la forza del riscatto viene da lontano, ha una matrice universale che, se a livello di pensiero religioso si espresse nell'opera dei Santi ed eremiti, sotto il profilo letterario e civile culminò in quel monumento europeo che è l'opera di Corrado Alvaro, al confronto della quale svanisce tanta esangue narrativa italiana, anche dei giorni nostri, e grazie alla quale fu infranta quella barriera sanfedista che sempre mise indietro l'orologio della storia meridionale.

Letteratura di Calabria

Ada Provenzano

Reduce dalla corte dei re Goti, nel 540 il grande Cassiodoro si ritirava nel monastero da lui stesso fondato nella natia Squillace. E lì chiuse la sua vita il dottissimo autore delle Epistole, che fu il rappresentante più autorevole di quella difficile fase di trapasso fra classicità e Medioevo barbarico, fra romanità e cristianità, tra filosofia e teologia. E non fu, quello di Cassiodoro, un puro caso. Per secoli ancora la Calabria doveva restare estrema depositaria della cultura greca in Italia, tanto stabili furono le strutture culturali e religiose bizantine, anche sotto le dominazioni normanne, sveve e angioine.
Proprio sotto gli Angioini si accentuò poi la decadenza politico-economica, e dunque anche culturale, che portò alle rapine di tanti cospicui documenti dei centri monastici, che oggi è possibile ritrovare nelle biblioteche di rottaferrata, di Messina, di Roma.
Fin nel Trecento, all'approccio della cultura occidentale a quella ellenistica si adoperano due calabresi: il teologo e vescovo Barlaam e Leonzio Pilato. E senza dubbio l'influsso della tradizione bizantina giocò ancora una volta un suo ruolo nel gusto di speculazioni ardite e sottili, di levitanti allegorie, di splendenti utopie che, pure sotto un velo religioso, impronteranno la cultura calabrese a lungo, e sboccheranno nella potente personalità di Gioacchino da Fiore di Celico, la cui filosofia della storia eserciterà un'influenza enorme sulla spiritualità medioevale, coinvolgendo gli stessi Dante e Petrarca.
Tardive e rare sono le testimonianze di cultura volgare, e fra i rimatori della curia di Federico II scopriamo un ignoto Folco di Calabria, autore di un unico componimento. Più noto è Giordano Ruffo, spesso volgarizzato anche in Francia. Negli anni dell'Umanesimo e del Rinascimento si segnalano numerosi letterati, per lo più operanti fuori della regione: poeti in latino, come Francesco Franchini e Giovanni Pelusio; Cicco Simonetta, dotto di greco; il coltissimo cardinal Guglielmo Sirleto; e, alla soglia dell'età barocca, il grande erudito Sertorio Quattromani, e il petrarchista Galeazzo di Tarsia. Tutta calabrese fu invece la celebre Accademia Cosentina, fondata dall'umanista Aulo Giano Parrasio, subito illustrata dal genio di Bernardino Telesio, che ne fece uno dei centri più battaglieri di orientamento culturale, portavoce degli aspetti più severi e spregiudicati del pensiero e, del gusto rinascimentale in seno alla civiltà controriformistica e barocca, fino ai primi anni dell'illuminismo. Tipico interesse di questo centro, che nel Seicento annoverò un'altra prepotente personalità con Pirro Schettini, fu il legame che vi si istituì fra esperienze letterarie e ragioni filosofiche e scientifiche, le une e le altre vissute con intenso fervore polemico.
Di questo nodo di fermenti dialettici, l'espressione più alta e nello stesso tempo meno compromissoria, sono il pensiero e la poesia di Tommaso Campanella, (Stilo, 1568 - Parigi, 1639), la cui poetica fu nettamente antibarocca, e, nel linguaggio denso, nei propositi strutturali, nell'ambizione metafisica, si richiamò a un gusto pressoché arcaico, più vicino a Dante che a Petrarca. Inoltre, la forza rocciosa della sua ribellione, la sua utopia comunitaria e teocratica, la chiusa e intransigente intensità del suo temperamento lirico, e persino quel che di ambiguo e tortuoso c'è in alcuni suoi atteggiamenti e nella sua stessa tragica e contraddittoria biografia, sembrano affondare le radici in un passato, remoto autoctono, con spunti gioachimiti, con l'affiorare di risentimenti per una condizione sociale desolata, di un'atavica solitudine, di una miseria secolare o millenaria, di un bisogno ansioso e disperato di giustizia. Oscillando fra disperazione e profezia, tra ripiegamenti angosciosi e slancio eroico, ricco di sofferte meditazioni e di aspra novità stilistica, poeticamente toccò vertici altissimi, e fu la voce più originale e viva del suo secolo.
Il passaggio al razionalismo fu opera di Gregorio Caloprese e di Gian Vincenzo Gravina (Roggiano, 1644 - Roma, 1718), che interpretarono il rinnovamento arcadico con un ritorno alle ferree norme classiche, non fondate sull'autorità, bensì sulla ragione cartesiana e sulla verità naturale. All'Illuminismo la Calabria partecipò con figure di primo piano, con Salvatore Spiriti, Giovanni Andrea Serrao, con i due fratelli Francescantonio e Domenico Grimaldi. Nell'Ottocento, saldato al secolo precedente da Pasquale Galluppi, proprio questa regione impersonò la punta estrema del romanticismo letterario, con Domenico Mauro, Francesco Saverio Arabia, Giuseppe Compagna, con la singolare figura del prete Vincenzo Padula, interprete dell'esigenza di rivolta sociale, e col suo epigono, Nicola Misasi, scrittore romantico in pieno clima verista. Tra Otto e Novecento, l'emigrazione costrinse ad operare in un clima di cultura nazionale calabresi d'ogni latitudine: il giornalista e poligrafo Rocco De Zerbi, il filosofo Francesco Acri, l'altro filosofo Francesco Fiorentino, l'erudito Bonaventura Zumbini, il poeta in latino Diego Vitrioli, e la schiera di verseggiatori da Domenico Milelli ad Antonino Anile, da Giuseppe Casalinuovo a Luigi Siciliani, a Vincenzo Gerace, al secentista Donnu Pantu, ai moderni Vincenzo Ammirà, Michele Pane, Vincenzo Butera, a Lorenzo Calogero fulminato dal luminal, a Franco Costabile dalla voce finissima, al neoclassico Francesco Leonetti, a Giuseppe Selvaggi.
La narrativa, infine, ha due pilastri: Corrado Alvaro, che da un'esperienza profondamente sofferta ritrasse mirabili figure di donne, pastori, signorotti e briganti, con la loro povertà fiera e chiusa, dura e remota, e paesaggi aspri e solitari; e il fondatore della letteratura sociale italiana, Leonida Répaci, che col ciclo dei Fratelli Rupe ha creato un imponente mosaico umano e storico, che coinvolge tutta la storia, italiana, europea, mondiale, del nostro secolo.

Storia di Calabria

Pino Orefice

La regione fu occupata fin dal tempo della civiltà paleolitica europea, come documenta la Grotta di Scalea, presso Praia a Mare. Per le civiltà agricole, la documentazione è più scarsa.
Dal terzo millennio a. C., conobbe le culture del rame e del bronzo. Le necropoli del Cosentino testimoniano il passaggio all'Età del Ferro. In età storica, si comprese sotto il nome di Calabria la penisola Salentina. L'attuale Calabria, invece, fu centro vitale della Magna Grecia, comprendendo la Lucania e il Brutium, sulle cui coste sorsero fiorenti colonie greche: Sibari, Thurii, Crotone, Locri, Rhegium, Velia.
All'interno, montuoso e agricolo, si stanziarono le antiche popolazioni. Le "poleis" si combatterono a lungo, con un rapido alternarsi di predomini, mentre la pressione delle tribù lucane e bruzie verso la costa si faceva più intensa. Allo scadere del V secolo, le colonie greche si riunirono in lega per fronteggiare gli Italici. Nel 387 a. C. Dionisio di Siracusa distrusse Rhegium. La difesa contro le stirpi Italiche fu poi assunta da Taranto. Il III secolo a. C. segnò il culmine della potenza delle genti Calabre, allorché i Bruzii costituirono una federazione indipendente. Poi, questa terra fu sottomessa dai Romani.
Caduta in un profondo disordine al tramonto dell'Impero, la Calabria dà scarse notizie per il periodo anteriore al secolo VII. L'invasione longobarda ne spezzò l'unità politica territoriale. Niceforo Foca, intorno al 900, ricostituì la dominazione bizantina, dalla quale notevole impulso ebbe il monachesimo basiliano. Il fiscalismo, tuttavia, inaridì le forze locali. Quando sopravvennero i Normanni (secoli XI-XII), la Calabria fu unita alla Sicilia ed ebbe un lungo periodo di vita ordinata. E per questa regione particolari cure ebbero gli Svevi, di cui i Calabresi furono fedeli sudditi, sostenendo Manfredi contro gli autonomisti e Alessandro IV. Nella guerra del Vespro parteggiarono per i Siciliani. A partire dal secolo XV si ebbe un periodo di decadenza economica e politica, di invasioni esterne e di lotte intestine. Mentre la regione era strozzata dalla rapacità fiscale degli Angioini prima, degli Aragonesi poi, le popolazioni contadine non erano in alcun modo difese dalla feroce oppressione dei feudatari. Solo Cosenza; nel XIV secolo, conservò una fiorente vita cittadina. Nel 1458-59 scoppiò una violenta rivolta contadina capeggiata dal feudatario Centelles; nel 1647-48 vi furono le ripercussioni della rivoluzione di Masaniello. Dalla Calabria nel 1799, mosse la spedizione del Cardinal Ruffo, che in giugno portò alla caduta di quella Repubblica Partenopea che fu, dopo secoli di decadenza, il primo risorgimento meridionale e italiano.
Entrata a far parte del regno murattiano, fino al 1810 registrò numerosi moti di resistenza. I Borboni tornarono nel 1815. Nel 1844 i fratelli Bandiera sbarcarono alle foci del Neto per provocare un' insurrezione, ma furono fermati presso San Giovanni in Fiore, poi condannati a morte. Ugual sorte toccò alla spedizione a Sapri, nel giugno 1857, guidata da Pisacane. Nell'agosto 1860, la Calabria fu liberata da Garibaldi, e nel '61 entrò a far parte del Regno d'Italia. Il 29 dicembre 1908 fu colpita da un altro violentissimo terremoto che distrusse Reggio. Nel settembre del 1943 vi sbarcarono le truppe anglo-americane. Negli anni Cinquanta vi fu avviata la politica meridionalista, con gli interventi straordinari, e una Legge Speciale.

PROFILI DELLE REGIONI DEL MEZZOGIORNO

3. - Calabria

Guglielmo Tagliacarne

La Regione cenerentola ma anche una Regione civile

Scrivere sulla Calabria per me è cosa sommamente gradita e anche facile perché di essa mi sono occupato più volte ed anche perché non manca una ricca documentazione su questa bella regione. Vengo spesso interpellato per fornire dati e notizie su questa o quella regione d'Italia, anche da parte di studiosi stranieri; ma su nessuna regione come sulla Calabria mi sono pervenute e continuano a pervenire richieste. E' un fatto che sulla Calabria si appunta un interesse particolare, riguardo la sua storia, la sua arte, la sua popolazione, la sua terra, le sue tradizioni e specialmente la sua economia, che è la più povera di tutte le regioni italiane. C'è tutta una biblioteca di libri, opuscoli, guide, eccetera sulla Calabria. Sotto questo riguardo la Calabria è ricca, ma ahimé, non si può ripetere lo stesso aggettivo rispetto alle opere, all'attività governativa, all'azione pubblica., allo sviluppo socioeconomico. Quante promesse! Quanto pochi i fatti.

I conti economici della Calabria

Qui non devo scrivere un libro, ma presentare soltanto una specie di cartella, di curriculum brevissimo della regione. Mi limiterò a dire qualcosa dei conti economici della Calabria durante gli ultimi anni e a fornire qualche elemento sulla dinamica storica di alcuni aspetti della regione.
Ho detto che la Calabria è la regione cenerentola, perché ogni volta che si fa una graduatoria delle regioni italiane sotto vari aspetti economici-finanziari troviamo questa regione sempre all'ultimo posto, come fanalino di coda. Altre due regioni sono povere, la Basilicata e il Molise. Queste tre sorelle in povertà si danno la mano, ma, ripetesi, la Calabria è la cenerentola delle cenerentole.
Il reddito medio prodotto in Italia (anno 1974) è di 1.419.722 lire per abitante; per la Calabria esso scende a 819.072 lire (923.547 lire in Molise e 948.181 in Basilicata). Essa si colloca quindi a un livello del 42 per cento inferiore alla media nazionale (Numero indice 57,7 fatto=100 la media italiana).
Un'attività economica notevole continua ad essere l'agricoltura, mentre l'industria rappresenta una quota modesta in confronto ai valori medi nazionali.


Il reddito che la regione produce non è sufficiente a coprire il fabbisogno regionale in consumi ed investimenti. Pertanto la Calabria è costretta ad "importare" da fuori della regione una ragguardevole quantità di risorse: in parte esse provengono dall'estero, ma in misura molto maggiore affluiscono dalle altre regioni italiane.
Il conto economico della Calabria si presenta nei seguenti termini:


Come si vede da questo prospetto, la Calabria è tributaria dell'esterno per una quota pari ad oltre un terzo del reddito che essa produce.

Consumi poco superiori alla metà di quelli nazionali:

Se la nostra regione figura all'ultimo posto della graduatoria delle regioni per quanto si riferisce al reddito che produce, essa si trova all'ultimo posto anche rispetto ai consumi e al tenore di vita delle famiglie. Per quest'ultimo aspetto ci riferiamo a un gruppo di consumi non alimentari di largo uso che rispecchiano abbastanza bene la situazione (spesa per abbonamenti alla RAI-TV, spesa per tabacchi, spesa per spettacoli, consumo di energia elettrica, diffusione della lettura, autoveicoli).
I dati ricavati da questo gruppo di consumi presentano per la Calabria un indice di 52, fatto uguale a cento la media nazionale. Ciò significa che il livello medio del tenore di vita della nostra regione è poco più della metà di quello medio nazionale (lo stesso indice è 52 per la Basilicata e 71 per il Molise: lo diciamo per completare la situazione delle tre sorelle povere).

La Calabria perde quota

Anche se si guarda a un periodo anteriore, troviamo che la Calabria ha perso quota, cioé è scesa rispettivamente in confronto al resto del paese. Ciò si constata osservando i posti di graduatoria che le tre province della Calabria occupavano nel 1951 ed occupano nel 1974.

Tre quarti di secolo di vita calabrese

L'esame retrospettivo accennato or ora porta a considerare la dinamica di questa regione nel tempo riguardo ad, alcuni notevoli aspetti socio-economici. Anzitutto osserviamo l'andamento demografico. La popolazione della Calabria in tre quarti di secolo, dal 1901 al 1974, è aumentata molto di meno in confronto al totale dell'Italia. Infatti al principio del secolo la popolazione calabrese rappresentava il 4,3 per cento del totale italiano, mentre ora la sua quota è scesa al 3,6 per cento.
I matrimoni hanno mantenuto un livello elevato per tutto il periodo. Invece la natalità (numero di nati su 1000 abitanti) è caduta a precipizio: da 35 nati su mille abitanti al principio del secolo, essa è scesa 16,7 per mille, livello poco superiore alla media nazionale (16,0 per mille).
Anche la mortalità è scesa fortemente: da 21,8 morti per mille abitanti nel 1901 a 7,5 nel 1974. Per quest'ultimo dato, la Calabria si presenta a un grado più favorevole di quello nazionale (9,9 per mille). L'eccedenza fra il numero dei nati e quello dei morti è attualmente di 9,2 per mille abitanti, assai più elevata di quella media nazionale (6,0 per mille).
Purtroppo la Calabria perde un, gran numero di abitanti a causa dell'emigrazione, che è stata sempre molto estesa; ma il fenomeno si è via via ridotto: gli espatri erano di 23,9 su 1000 abitanti al principio del secolo, ed ora sono scesi al 6,0 per mille.
Un dato molto confortante è rappresentato dalla mortalità infantile, scesa da 158 morti nel primo anno di vita su 1000 nati vivi nel 1901 a 26,9 nel 1974: questo dato è di poco superiore alla media nazionale (25,7).
Riepiloghiamo nel seguente prospetto i dati fondamentali sulla dinamica demografica della Calabria nei primi tre quarti di questo secolo.


Se nel complesso della Calabria la popolazione è cresciuta lentamente da un decennio all'altro, a causa dell'emigrazione, tuttavia molte città hanno registrato aumenti consistenti nel numero di abitanti; citiamo alcuni casi, per i comuni al di sopra di 20.000 abitanti.

 

Tre Calabrie

Sull'emigrazione è il caso di aggiungere qualche altra notizia. Essa è stata molto intensa, sia quella rivolta verso altre regioni italiane, sia quella partita per l'estero. Un'analisi compiuta sulle statistiche demografiche per regioni di nascita e di residenza e su quelle della Direzione generale dell'emigrazione (Ministero degli Affari Esteri) ci porta ai seguenti risultati.


Si può quindi concludere che all'incirca tre quinti dei calabresi vivono in Calabria, un quinto nelle altre regioni italiane e un quinto all'estero.

Ancora troppi analfabeti

Una piaga dolorosa della Calabria è sempre stata l'alta quota di analfabeti. Nel 1901 l'87 per cento delle donne e il 69,2 per cento degli uomini non sapeva ne leggere ne scrivere. L'analfabetismo non è ancora debellato: al censimento del 1971 risultavano analfabeti il 10,7 per cento degli uomini e il 19,7 per cento delle donne. E' da avvertire che il maggior numero degli attuali analfabeti è costituito da persone anziane.

 

Un particolare rilievo assume la ripartizione della popolazione secondo l'attività economica esercitata. La trasformazione è stata notevole.
L'occupazione in agricoltura in settant'anni, dal 1901 al 1971, è scesa dal 63 per cento della popolazione attiva al 32,6 per cento; l'occupazione nell'industria è salita dal 26 al 36 per cento; un aumento assai cospicuo si è riscontrato nelle altre attività che comprendono il commercio, il credito, la pubblica amministrazione e i servizi.

Si noterà che i mutamenti più importanti si sono riscontrati negli ultimi venti anni sia per l'agricoltura, sia per l'industria.

Una regione civile

Ho scritto nel titolo di questa nota che la Calabria è una regione, povera sì, ma civile. Ho dimostrato quanto sia vero che è povera. Ora devo spiegare perché ho qualificato la regione di "civile". A quest'ultimo riguardo mi limito a due elementi che, per la loro importanza costituiscono dei veri test: uno è già stato indicato più sopra: è il tasso di mortalità infantile, che é all'incirca al livello medio nazionale, ed è diminuito enormemente. Esso costituisce una sintesi di ambiente, condizioni igieniche ed economiche, di cultura, di cure e di amore.
L'altro si ricava dalle statistiche della delinquenza e lo cito tanto più volentieri in quanto spesso si parla della Calabria come di una regione che ha molti conti da regolare con la giustizia. Ebbene i dati della criminalità smentiscono l'opinione largamente diffusa. Si prendano, fra le voci della criminalità, quelle più gravi, cioè gli omicidi, le percosse e lesioni personali e le offese alla famiglia. Ecco i quozienti di tali delitti su 100.000 abitanti negli ultimi quarant'anni. Aggiungiamo anche il 1938 che fu considerato un anno esemplare per l'argomento che stiamo esaminando.

E' da segnalare la diminuzione nell'ultimo anno per il quale disponiamo dei dati, che contrasta con quello che si sente ripetere attraverso i vari mezzi d'informazione; secondo i quali la delinquenza sarebbe assurta a livelli straordinari, ben più gravi di quelli di un tempo. La statistica fa giustizia della... giustizia.


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