§ Documenti del Regno delle Due Sicilie

Fiere e mercati del sud




Romana Turchini



Questa carta, redatta da esperti nominati dai Borboni, rappresenta il primo tentativo di dare un quadro statistico completo dei prodotti pregiati del Mezzogiorno, destinati all'esportazione, in cambio di manufatti provenienti da diversi Paesi europei.

Il Regno delle Due Sicilie era quasi agli sgoccioli, da lì a qualche decennio l'impresa dei Mille avrebbe mutato una storia e una geografia. Eppure, fu proprio in quel clima di tramonto che la sensibilità del governo borbonico (sensibilità che coinvolse sempre le scienze e le lettere) rivolse la sua attenzione ai metodi di applicazione delle statistiche, metodi volti a dare, per quanto possibile, un aspetto "grafico" della realtà economico-produttiva, del Mezzogiorno continentale. Va detto subito che si trattava di una realtà abbastanza moderna per i tempi che correvano. E lo dimostra questa "carta" che presentiamo, la prima del genere diffusa in Italia, e forse l'unica che sia stata mai redatta con i fini di cui dicevamo. Attualmente, ci consta che ne esista una presso la Biblioteca "Giampaolo Nitti", di Melfi. Questa che riportiamo, invece, appartiene al professor Franco Bonelli, docente di Storia dell'Economia per il corso di laurea in Storia, presso la facoltà di Lettere dell'Università di Pisa. Certamente, la carta ebbe una sua diffusione nell'epoca in cui fu redatta, e fini nelle case dei baroni, dei grandi proprietari terrieri, degli "industriali" e dei grossi commercianti dell'epoca. Quante copie possano essere rimaste in giro èdifficile dirlo: forse qualcuna, dispersa tra le varie carte di famiglia, o incorniciata in qualche vecchio studio di memoria borbonica. Proprio questo rende il documento pregevole, e legittima la curiosità e l'interesse di chi tenta di dare al Sud, alla storia del Sud, una interpretazione diversa, e più veritiera di quella proposta fino ad oggi, distorta in buona parte da interessi precostituiti e da tendenze politico-economiche quasi sempre scopertamente antimeridionali.
La carta ha una sua notevole rilevanza storico-politica, oltre che tipografica. Essa rivela in primo luogo che c'era stato tutto un risveglio civile, e che si dedicavano particolari attenzioni al problema delle statistiche economiche, intese come esemplificazione grafica in grado di presentare schemi produttivi e possibilità di scambi per l'intero territorio meridionale. Queste innovazioni, dal punto di vista delle indagini statistiche, erano dovute alla presenza di una tradizione francese (il regno del Murat, all'inizio del secolo), e si trattava di un'esperienza che continuava a produrre effetti positivi. In altri termini, tali studi erano frutto della somma di due componenti: la matrice illuministica, che nel Settecento aveva portato all'ansia riformistica; la matrice francese, che aveva garantito un fervore speculativo e un clima libertario, che avevano finito col creare un'aria nuova nel Reame.
L'unico limite era questo: gli studi, la scienza statistica applicata alla produzione, non potevano essere un fenomeno di fruizione collettiva: mancava infatti la borghesia, che sarebbe venuta fuori dal bozzolo molto tempo dopo; di conseguenza, la destinazione era per i baroni, anche se illuminati, che avevano potere economico. In ogni caso, la carta, che presenta con 52 simboli quanto di meglio era prodotto nel Mezzogiorno continentale, resta ancora oggi un quadro vivo, esemplare, di economia arcaica, isolata, fatta di fiere, mercati, tradizioni locali: siamo a livello di economia preindustriale. Tuttavia, tutti i simboli accostati ai singoli paesi e centri abitati danno un' idea abbastanza chiara della disponibilità di quei prodotti, per i quali si diceva che il Mezzogiorno poteva diventare il giardino d'Europa. E' questo il Sud che vendeva la massima parte dei suoi prodotti alle economie industriali europee, (in modo particolare all'Inghilterra, alla Francia, ai Paesi Bassi): ed erano ritenuti prodotti pregiati da questi Paesi con agricolture povere e improduttive, con borghesia sviluppata e già consumistica. Questo tipo di esportazioni era poi ripagato con l'importazione di manufatti, di lavorati e semilavorati, dei quali il Mezzogiorno aveva un gran bisogno, essendo privo di un tessuto industriale indipendente dall'agricoltura.
Il rovescio della medaglia di questa carta sono appunto le importazioni di prodotti industriali da Liverpool, (cotoni, tessuti, ferri battuti, cockerie, e perfino chincaglierie); da Rotterdam, (minerali, altro cotone); da Bordeaux, da Marsiglia. Era stabilito, in altri termini, quasi un rapporto semicoloniale. Da sottolineare che il Sud poteva ancora vendere grano perché la sua popolazione non aveva registrato l'esplosione demografica, che fu propria degli anni successivi. D'altro canto, i suoi erano prodotti molto richiesti dalle aree europee che non erano in grado di disporre di produzioni e riserve cerealicole e ortofrutticole, indispensabili per una popolazione che continuava ad arricchirsi, e dunque a disporre di danaro corrente, con la crescita degli impianti industriali e degli imperi coloniali. Il giorno in cui questo equilibrio ebbe spostato il suo asse da fatti politico-economici di portata ben più vasta, incominciò la decadenza dell'economia agraria meridionale. Il resto ben noto, è ancora sotto i nostri occhi.


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000