Protagonisti:
una luce trasparente, una terra che riassume colori inattesi, un mare
che muta venature dallo Jonio all'Adriatico.
Il vero protagonista
dell'estate salentina è il sole: un sole senza mezze misure,
quale può trovarsi solo tra il sapore d'Africa e il sapore dell'Appennino.
In questa penisola la montagna è sconosciuta, i venti scorrono
da una costa all'altra, alzandosi appena quando incontrano le creste
delle Serre centrali. Poi ricadono sulla costa opposta, di sera, a rinfrescare
terre e uomini arsi. Tutta la storia del Salento è stata condizionata
da questo sole inclemente, che prosciuga tutto, annienta le nebbie occasionali
delle brevi depressioni, toglie l'acqua anche alle vene carsiche che
si snodano sotto la crosta porosa del calcare.
L'altra protagonista è la luce. Chi è sceso dai freddi
cieli del Nord si è sentito coinvolto in questa luce che è
solo di qui, che si innalza come una cattedrale di matasse d'aria tra
litorale e litorale, e va su, all'infinito. E' la luce che avvolge le
case bianche, che a groppi accostati si fanno paesi vestiti da thuareg.
E sole e luce condizionano i due mari che fanno di questa terra una
penisola. Lo Jonio, dalle interminabili sabbie, anch'esse chiare con
brevi scogliere contrabbandate per speroni; l'Adriatico, con le dune
segnate da ciuffi di canne. Sull'Adriatico i paesi si difendono appena
dai sali marini: l'acqua è la più salata dell'intero Mediterraneo
(33 per mille); per questo il Canale d'Otranto è infido, le sue
burrasche sono improvvise e perentorie, sono capaci di diventare luttuose.
Più sereno è lo Jonio. E da un mare all'altro, un gioco
di colori che trasmutano col passare delle ore, con lo spostarsi del
sole, col chiarirsi e scurirsi di quell'aria e di quella luce di cui
dicevamo sopra: il gioco è perenne, va dal blu al viola, all'azzurro,
al verde smeraldo, crea una prospettiva variabile, quasi la certezza
di coglie re un momento irripetibile. E in questo continuo alternarsi
si specchiano le città costiere, che fanno perno sulla geometria
segnata dai centri più celebri, Castro, Santa Cesarea, Otranto,
Leuca, Gallipoli, Porto Cesareo. L'itinerario è breve, se si
vuole. Il problema è, semmai, passar sopra all'incanto che creano
tanti e tanti piccoli centri incastonati tra un vertice e l'altro. E
sono spesso poche case racchiuse in una cornice di rocce scure, odorose
di granchi tra i muschi lambiti dalle acque; o passar sopra alle improvvise
apparizioni di cale e rade, di verdi insenature ancora non contaminate
dallo squallore - dall'inciviltà - delle moderne costruzioni;
di piccole rientranze culminanti in inesplorate grotte, di sconosciuti
semicerchi rocciosi, con i dirimpettai fondali viola per tappeti di
ricci, con le alghe ondeggianti, fra le quali scivolano superstiti branchi
di pesce, sfuggiti alle insidie di criminali pescatori al tritolo.
Un sole dopo l'altro: l'estate salentina va da sole a sole, da aria
ad aria, da colore a colore, e se è turismo quello che porta
qui decine di migliaia di visitatori, e la loro valuta che dà
respiro all'economia locale, tuttavia è perdita di quiete, di
una solitudine quasi antica che si incontra con l'altro sole, quello
dell'autunno, che tinge le campagne di rosso, e quello della primavera,
quando gli scheletri degli alberi esplodono di tenero argento, tra le
masse maschie dei sempreverdi ulivi.
Estate dei "caseddhi", estate dei "pagliari", tempo
della villeggiatura col profumo dei fichi dell'albachiara, dei meloni
filigranati, dei pomodori sugosi, delle cornacchie scoccanti; estate
per la ricerca di un ombrello d'ombra, (sotto il noce), mentre un altro
minuscolo ombrello, quello del finocchio selvatico, che manda scie di
profumo sul naso delle lepri;
estate dei gelsi mori e degli arazzi di tabacco sui telai, dell'uva
che si personalizza tra i pampini, delle triglie al cartoccio, della
pasta fatta in casa, delle melanzane e dei peperoni, del basilico che
tutti i profumi sovrasta, dei lunghi sonni meridiani, dei risvegli all'alba
per l'assaggio dei fichidindia bagnati di serena. Estate di tanti ricordi:
dei balli e delle serenate, delle lumache alla pioggia settembrina,
dei mandorli secchi, delle passeggiate dopo il tramonto, delle comitive
estemporanee, delle interminabili chiaccherate appena fuori casa, in
un turbinio di grilli nottambuli, sotto stelle che sembrano irreali.
Qui, dove tornare significa voler restare.
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