§ OCCHIELLO

Responsabilitą dell'economia pubblica (1)




Giuseppe Petrilli



Parlando di economia pubblica, sociale e cooperativa, si fa sempre riferimento a una cornice storica caratterizzata dalla presenza di un certo rapporto dialettico tra sfera pubblica e sfera privata, quale si riscontra, pur con diverse connotazioni, nell'ambito dei sistemi ad economia mista che costituiscono la più recente fase di sviluppo dell'economia di mercato. In questi sistemi, il rapporto tra sfera pubblica e sfera privata non potrebbe essere peraltro compreso nel suo pieno significato riducendo alla sua sola dimensione giuridico-formale, dal punto di vista dell'assetto proprietario. La sfera privata è infatti quella dell'autonomia dell'iniziativa e del rischio imprenditoriale, in un quadro globale in cui il meccanismo di innovazione e di continua correzione dialettica delle decisioni è garantito da un sistema di decisioni decentrate. Per sfera pubblica va inteso viceversa il momento, altrettanto ineliminabile, della responsabilità politica globale, legata ad una visione d'insieme dei problemi di sviluppo della società e alla volontà di integrare e correggere l insieme delle decisioni decentrate, nella misura in cui esse non siano in grado di risolvere compiutamente tali problemi.
Posto in termini così universali, il rapporto tra sfera privata e sfera pubblica è forse proprio di qualsiasi sistema economico. In una situazione di economia mista, come quella che caratterizza tipicamente i Paesi industriali dell'Occidente, esso assume tuttavia il significato che maggiormente ci interessa ai fini del discorso da svolgersi in questa sede. L'economia pubblica, sociale e cooperativa viene infatti a situarsi in qualche modo al punto di tangenza tra sfera pubblica e sfera privata, nella misura in cui essa tenda ad assumere, quanto ai mezzi, i criteri economici propri del comportamento imprenditoriale nel momento stesso in cui persegue fini di integrazione e di correzione del meccanismo di mercato. Ci soccorre a questo riguardo un rapido richiamo della genesi storica di questo tipo di economia. In una situazione in cui la libertà deIl'iniziativa economica era avvertita come un valore discendente dagli stessi principi di libertà e uguaglianza tra i cittadini e in cui l'attività imprenditoriale, in quanto tesa a massimizzare il profitto, svolgeva una funzione decisiva nel processo di accumulazione, l'intervento pubblico nella gestione delle imprese fu indirizzato appunto alla tutela degli aspetti della realtà sociale che l'automatismo di mercato trascurava per sua natura. Le prime aziende pubbliche nacquero non a caso dall'esigenza di soddisfare bisogni propri dello Stato o di porre a, disposizione della generalità dei cittadini determinati servizi pubblici, evitando gli inconvenienti che sarebbero potuti derivare in taluni casi da una gestione privata operante in regime di monopolio naturale. In questo senso, essi ebbero una connotazione sociale o collettiva non diversa da quella che accompagnò il sorgere del movimento cooperativistico. In entrambi i casi, si trattò in definitiva di iniziative che restarono all'interno della logica dell'economia di mercato, tendendo a colmare i vuoti, ad ovviare alle distorsioni osservabili in alcuni settori e a restaurare, ove possibile, l'equilibrio concorrenziale.
Questo quadro, in cui le motivazioni sociali della gestione collettiva erano intese in senso riduttivo ed orientate più verso la redistribuzione del reddito che verso lo sviluppo del sistema nel suo complesso, fu modificato in modo sostanziale solo in conseguenza della grande crisi del 1929, con l'avvento di una politica anticiclica di ispirazione keynesiana. A partire da quel momento, la correzione ed integrazione delle insufficienze e delle distorsioni risultanti dal puro e semplice meccanismo di mercato vennero riferite non soltanto alla continuità della crescita economica, ma anche ai ritmi, agli indirizzi e ai contenuti del processo di sviluppo. Il ruolo sussidiario dell'intervento pubblico nei confronti dell'iniziativa degli operatori privati cessava di conseguenza di presentarsi come qualcosa di subalterno e di marginale rispetto ad un sistema autosufficiente, per assumere l'aspetto di un'azione condizionatrice ed orientatrice, in analogia al crescente interesse manifestato da una larga parte del movimento cooperativo per quello che si è spesso convenuto di chiamare il modello di sviluppo economico-sociale. Connotazione essenziale degli interventi pubblici e delle iniziative cooperative, cui intendiamo riferirci in questa sede, rimaneva comunque il loro esplicarsi nella forma di imprese produttrici o distributrici di beni e di servizi, cioé l'assunzione di parametri di gestione sottoposti a vincoli diversi, ma sempre rispondenti ad una condotta economica di tipo imprenditoriale. Mi sembra significativo che tale connotazione, lungi dal cadere in desuetudine, si sia andata accentuando nel tempo, tanto nell'ambito pubblico che in quello cooperativo, differenziando ancor più nettamente le imprese di questo genere dagli organismi pubblici o parapubblici aventi finalità di pura erogazione.
Tutto ciò è contraddittorio solo in apparenza. Proprio il superamento di una concezione che vorrei definire assistenziale dell'intervento pubblico ha infatti reso impossibile una delimitazione rigorosa e definitiva tra l'economia pubblica, sociale e cooperativa, e il cosiddetto settore privato, in termini settoriali o merceologici. E' tuttavia venuta meno, per lo stesso motivo, anche ogni possibilità di teorizzare una gestione dell'impresa pubblica o cooperativa che si differenzi, strutturalmente e necessariamente, da quella dell'impresa privata. Non è certo casuale che ciò sia avvenuto proprio mentre la tendenziale separazione tra proprietà e gestione e l'accresciuto peso dei dirigenti nelle decisioni imprenditoriali rendevano sempre più evanescente una discriminazione fondata sul solo assetto proprietario delle singole iniziative.
Non sembrerà strano che in queste condizioni io ritenga di potermi esimere dall'affrontare qui un'analisi della morfologia istituzionale delle imprese che a vario titolo rientrano nell'ambito cui si riferiscono i nostri lavori. La molteplicità delle forme assunte a questo riguardo dall'imprenditorialità pubblica o comunque collettiva - dalla statizzazione alla nazionalizzazione, municipalizzazione e regionalizzazione, fino alla gestione pubblica indiretta, quale si realizza ad esempio attraverso la presenza di imprese di proprietà pubblica e di struttura privatistica, per tacere dei diversi tipi di organizzazione cooperativa - non consente di individuare ruoli e responsabilità differenziati, senza perdersi in una immane casistica. Questa molteplicità, di aspetti deriva del resto dalle origini eminentemente empiriche, per non dire occasionali, che l'intervento pubblico e l'iniziativa cooperativa hanno avuto nella generalità dei nostri Paesi, al di fuori di ogni disegno preordinato. Essi si presentano oggi per lo più come la cristallizzazione di una serie di episodi storici, che giova piuttosto considerare nel loro complesso, individuando le responsabilità specifiche nelle principali motivazioni dell'imprenditorialità pubblica, e negli impegni specifici che ne discendono.
In quest'ordine di idee, è da osservare anzitutto che, per quanto la formazione della cosiddetta economia collettiva abbia avuto solo in alcuni casi e soprattutto in epoca recente dirette finalità occupazionali, l'obiettivo della massima occupazione ha ormai acquistato pressoché universalmente rilevanza centrale nelle preoccupazioni della società contemporanea e, conseguentemente, nei fini dell'azione pubblica. Appare pertanto ragionevole porre tale obiettivo al primo posto tra le responsabilità dell'economia pubblica, sociale e cooperativa, nei confronti del mondo del lavoro. Si tratta tuttavia - sarà bene dirlo subito - di un discorso complesso, che richiede una serie di precisazioni e specificazioni. In una economia di mercato, l'iniziativa pubblica e cooperativa incontra infatti, nel perseguimento dell'obiettivo della piena occupazione, limiti che discendono tanto dai vincoli della competitività, quando si tratti di imprese operanti in condizioni di mercato, quanto dagli oneri, necessariamente limitati, che possono derivarne per contribuenti, utenti o consumatori. Ciò vale in primo luogo per quanto riguarda gli interventi di carattere congiunturale, motivati dalle specifiche difficoltà incontrate da singoli comparti produttivi o addirittura da singole imprese del settore privato. L'intervento pubblico, anche quando comporti una estensione, temporanea o permanente, dell'area dell'economia collettiva, può risultare compatibile a questo riguardo col ricambio fisiologico derivante dalla dinamica di mercato, solo quando non ostacoli, ma anzi assecondi attivamente, l'indispensabile processo di riconversione e razionalizzazione, in particolare attraverso la promozione di iniziative sostitutive. In caso contrario, esso può divenire un fattore di cristallizzazione di situazioni antieconomiche, e concorrere per questa via all'isolamento del mercato nazionale o addirittura a uno scadimento della posizione dell'economia interessata agli effetti della divisione internazionale del lavoro. Anche dal punto di vista più limitato delle imprese operanti nell'ambito dell'economia collettiva, è chiaro del resto che un comportamento di questa natura può tradursi di fatto, in un'avversa situazione congiunturale, nell'assunzione di una indebita funzione di supplenza nei confronti dell'iniziativa privata e in un conseguente indebolimento economico, o addirittura in una crisi insuperabile, dato in particolare il progressivo venir meno, in tali condizioni, della possibilità di ricorrere al risparmio volontario per il finanziamento di tali iniziative.
Un discorso in parte analogo può farsi per quanto riguarda la responsabilità che l'economia pubblica, sociale e cooperativa è spesso chiamata ad assumersi ai fini di una distribuzione più equilibrata dell'occupazione nell'ambito del territorio, quale può essere conseguita in primo luogo attraverso l'estensione geografica del sistema industriale. Se sono evidenti a questo proposito i limiti dell'azienda cooperativa, legata per sua natura ad un tessuto sociale caratterizzato da un alto grado di associazionismo volontario e come tale non facilmente trasferibile nelle zone meno sviluppate, considerevoli sono anche le resistenze che un ambiente economicamente e socialmente arretrato oppone in genere all'affermazione di una moderna imprenditorialità, tanto privata quanto pubblica. Le specifiche carenze che si registrano in un ambiente come questo a livello delle infrastrutture fisiche e sociali, la debole propensione al rischio di impresa degli scarsi capitali disponibili, l'impreparazione professionale della manodopera, sono altrettanti fattori che richiedono il concentrarsi dello sforzo pubblico in alcune grandi iniziative pilota, capaci di prevalere sui numerosi fattori di attrito, creando le condizioni per la progressiva fusione di un tessuto di medie e medio-piccole iniziative, soprattutto industriali. Il pur preminente obiettivo occupazionale non può essere perseguito in tale contesto dalla mano pubblica attraverso interventi tendenti comunque a massimizzare l'occupazione diretta, ma piuttosto attraverso un orientamento selettivo dei propri investimenti che consenta loro di svolgere una funzione di volàno e di moltiplicatore anche nei confronti dell'occupazione industriale e terziaria. Non va dimenticato a questo riguardo che le imprese operanti nell'ambito dell'economia pubblica, sociale e cooperativa adempiono tanto più alla propria specifica funzione nel quadro di una politica di sviluppo, quanto meno la loro presenza si pone in termini esclusivi o addirittura antagonistici rispetto all'intraprendenza dei privati e quanto più, al contrario, essa assolve nei loro riguardi una funzione di incentivo e di stimolo.
Un esempio tipico di tale comportamento può essere costituito dalla costruzione di grandi infrastrutture viarie, sia nella fase della loro realizzazione, in cui l'iniziativa pubblica offre occasioni di lavoro alla minore imprenditorialità, sia soprattutto nella fase finale per le modifiche che ne derivano alle condizioni di redditività degli investimenti privati. Tutto ciò si traduce ovviamente nella creazione di occupazione indotta, imputabile in ultima analisi alle iniziative del settore pubblico, e in una positiva integrazione tra la grande e la piccola dimensione aziendale.
Vi è peraltro una connesione evidente tra gli aspetti quantitativi e qualitativi di ogni politica dell'occupazione, e da questo punto di vista non è possibile disgiungere le responsabilità dell'intervento pubblico in materia di occupazione da quelle concernenti il progresso tecnico-scientifico, con particolare riguardo all'introduzione di nuove tecnologie e di nuove forme di organizzazione. Il discorso si allarga necessariamente, a questo punto, investendo responsabilità che non riguardano soltanto i lavoratori, ma i consumatori e l'intera collettività nazionale interessata, quando si tratti in particolare dell'introduzione di tecniche caratterizzate da un elevato rapporto di capitale per addetto, la cui minore capacità di creazione diretta di nuova occupazione può essere compensata dai suoi maggiori effetti moltiplicatori e, ad un livello macro-economico, dai vantaggi che ne derivano sul piano della sicurezza degli approvvigionamenti e dell'espansione globale del commercio estero. L'economia, pubblica si caratterizza tuttavia, anche sotto questo profilo, per la sua maggiore capacità di non attribuire arbitrariamente alla tecnologia il ruolo di una variabile indipendente. Assai più dell'iniziativa privata, dominata dalla esclusiva preoccupazione della massimizzazione del profitto, essa può infatti, per così dire, relativizzare e storicizzare il progresso tecnologico, adeguandolo alle possibilità e alle esigenze specifiche offerte nelle singole situazioni dalla natura dei fattori di produzione disponibili e dalle loro occasioni di combinazione.
C'è, d'altro canto, una connessione evidente tra il problema tecnologico e la questione dei prezzi, che acquista preminente interesse dal punto di vista delle responsabilità dell'economia collettiva nei confronti dei consumatori. Non si potrebbe dimenticare infatti come sia stata questa la ragione storica di gran parte degli interventi pubblici nei settori dei servizi cosiddetti di pubblica utilità, e nello stesso affermarsi del movimento cooperativo, con particolare riguardo alle cooperative di consumo. Conviene aggiungere peraltro che tale nozione di pubblica utilità si accompagnava ad una visione restrittiva e settoriale dei compiti dell'economia collettiva, orientata in genere verso le attività che per loro natura non potessero inquadrarsi nello schema classico di una gestione concorrenziale, e comunque dominata da preoccupazioni redistributive sostanzialmente assistenziali. Il fatto stesso che tale nozione di pubblico servizio sia oggi spesso rimessa in discussione, proprio nella misura in cui l'economia collettiva tende ad orientarsi verso modelli di gestione propriamente imprenditoriali, a cominciare dal settore dei trasporti, conferisce particolare attualità alla ricerca di nuove forme istituzionali ed operative capaci di conciliarne gli obiettivi sociali con le esigenze di una condotta economica. Grande importanza acquistano a questo proposito i criteri di definizione delle tariffe dei servizi pubblici che possono articolarsi in modo diverso, così da fornire agevolazioni all'utenza minore o a quella ubicata nelle zone più eccentriche.
Sempre in materia di prezzi, le iniziative assunte nell'ambito dell'economia pubblica possono esercitarsi, in altri casi e con particolare riguardo alle attività manifatturiere, attraverso imprese operanti a condizioni di mercato, in concorrenza con imprese private dello stesso settore, con finalità calmieratrici ed antimonopolistiche. E' appunto nelle attività di questo tipo che più direttamente si manifesta la connessione già ricordata tra progresso tecnologico e difesa del potere di acquisto dei consumatori.
Non meno importante è la responsabilità dell'economia collettiva verso lo sviluppo dei consumi pubblici, che il meccanismo di mercato tende spesso a trascurare, data la frequente esistenza di fattori che ne ritardano la soddisfazione, sia dal lato dell'offerta che da quello della domanda. Per quanto attiene all'offerta c'è, com'è noto, una maggior lentezza relativa dei tempi della spesa pubblica, che ha in parte motivi strutturali e cui fa riscontro un minor grado di "solvibilità" della domanda di consumi collettivi rispetto a quella per consumi individuali. Per questo motivo, le infrastrutture fisiche e sociali e in genere quelle che potrebbero definirsi "dotazioni civili", dipendenti dalla spesa pubblica, tendono per lo più ad adeguarsi faticosamente al livello di sviluppo raggiunto dalle strutture produttive e il divario è spesso tanto più sensibile quanto più sono intensi i ritmi di sviluppo. L'evoluzione in atto nella nozione di pubblico servizio, cui ci si riferiva in precedenza, tende quindi ad investire anche attività considerate tradizionalmente come pertinenti alle dirette responsabilità della Pubblica Amministrazione. Sotto questo profilo l'economia collettiva, lungi dall'identificarsi necessariamente con un'area estranea alla competizione di mercato, viene al limite ad introdurre parametri di comportamento privatistico nello stesso perseguimento delle finalità proprie dello Stato. Qui come altrove, il ricorso dell'azione pubblica allo strumento imprenditoriale trova peraltro il suo presupposto e il suo limite nell'esistenza di condizioni che ne consentano l'esercizio nel rispetto dei vincoli dell'economicità. Un'evoluzione di questo genere, mentre moltiplica i mezzi finanziari a disposizione dell'iniziativa pubblica e ne accresce l'efficienza e la tempestività, può infine concorrere a realizzare una più equa distribuzione del reddito, nella misura in cui consenta di addossare agli utenti di alcune infrastrutture, come le autostrade, oneri che altrimenti graverebbero sulla generalità dei contribuenti.
L'ampliato orizzonte delle responsabilità dell'economia pubblica verso utenti e consumatori e verso la società intera non si esprime soltanto attraverso un'evoluzione di metodi e di strutture istituzionali, ma attraverso un'accresciuta rilevanza di fini e di contenuti. L'obiettivo di fondo da perseguire è quindi quello di un generale miglioramento della qualità della vita, ormai volgarizzato da una vasta pubblicistica, e imposto tanto dalle preoccupazioni ecologiche, quanto da quelle attinenti all'insufficienza delle risorse, che la crisi energetica ha reso particolarmente attuali. Un reale miglioramento della qualità della vita non è infatti realizzabile in assenza di interventi equilibratori, capaci di favorire una migliore distribuzione delle attività economiche nell'ambito del territorio e una migliore distribuzione delle risorse disponibili. Il discorso tocca evidentemente tutti i settori economici, a cominciare da quello agricolo, ove il problema dell'associazionismo - che si identifica in larga misura con quello della cooperazione - non potrebbe essere considerato come un obiettivo a sè stante, staccandolo dagli altri momenti del ciclo produttivo, la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti. Questi momenti esigono tutti di essere concepiti come episodi complementari dell'azione volta ad accrescere il potere contrattuale delle categorie agricole e la loro partecipazione al beneficio degli incrementi di produttività, rimasti finora troppo spesso appannaggio esclusivo dell'azienda e del sindacato industriale. L'esistenza di responsabilità pubbliche specifiche, in ordine alla sistemazione delle aree abbandonate da un'agricoltura industriale orientata secondo criteri selettivi, ci riconduce di per sé al più vasto tema di una sistemazione complessiva del territorio, comprendente, accanto alla pianificazione urbanistica intesa in senso stretto, le trasformazioni strutturali da operarsi in campo agricolo, la programmazione territoriale dello sviluppo industriale, il coordinamento dei programmi di sviluppo delle infrastrutture fisiche e sociali.
1 - continua

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