Nuova legge per
gli interventi straordinari, incentivi per la ripresa economica, interventi
per la riconversione e la ristrutturazione industriale, riscoperta dell'agricoltura,
progetti speciali, rilancio del turismo: ma il Sud è al centro
degli interessi nazionali, o sta per essere definitivamente emarginato?
Gli stregoni della politica e della politica economica dicono di no.
Intanto, il tempo passa, i problemi si aggravano, i programmi slittano.
E lo Stato ha le tasche vuote.
"Nel Mezzogiorno devono essere dislocati non solo gli incrementi
di potenziale produttivo nazionale, ma anche la maggior quota possibile
degli investimenti sostitutivi della capacità esistente".
Così ha dichiarato il ministro per gli interventi straordinari
nel Mezzogiorno, Ciriaco De Mita, il quale ha aggiunto: "Questo
potrà comportare una disoccupazione transitoria (peraltro coperta
dall'istituto della garanzia del salario) nel Nord, in tutti quei casi
in cui la ristrutturazione e riconversione in loco non sono giustificabili
nè sul piano economico ne su quello della politica di riprogrammazione
dell'assetto produttivo del paese. Ma non vi sono alternative, se non
si vuole la definitiva emarginazione delle regioni meridionali".
Quale strategia, dunque per il Sud? Il ministro si è detto convinto
che la politica di sviluppo meridionale dovrà essere orientata
verso le attività industriali: e proprio verso quelle per le
quali più grave è il divario rispetto al Nord e alle aree
europee altamente industrializzate; e ha richiamato al dovere della
consapevolezza che questa nuova e decisiva fase dell'impegno per il
Mezzogiorno avrà un suo prezzo: il richiamo vale soprattutto
per il Nord e per quei comportamenti sindacali (come il salvataggio
della "Innocenti") tesi a conservare i livelli occupazionali
tout court, e non in prospettiva. Per il massimo responsabile della
politica di intervento nel Sud, è evidente che quanto è
stato fatto finora per il Meridione è stato del tutto inadeguato.
"E' vietato continuare a credere di far salire, con gli interventi
straordinari, il piatto più basso della bilancia di un sistema
economico dualistico come il nostro, spezzato in due aree sviluppate
in maniera diversa. L'occasione è storica: il riequilibrio produttivo
sarà realizzato, una volta per tutte, ora, con la riconversione",
o mai più. La direzione non può essere che quella della
crescita industriale. Nelle zone depresse neanche l'agricoltura può
svilupparsi se non si inserisce nel reddito una componente industriale,
nè ci si può illudere di bloccare diversamente l'emigrazione:
le persone si muovono sempre secondo le convenienze economiche dettate
dalla realtà".
Il dibattito meridionalista apertosi in questa fase autunnale si è
arricchito di numerosi interventi. Per un altro ministro, quello del
Bilancio e Programmazione Economica, Morlino, ci sono tre novità
di fondo: la concreta disponibilità su cui si può contare
di una legge già approvata dal Parlamento "per la continuazione,
il rinnovamento e l'articolazione dell'intervento straordinario nel
Sud"; la contestuale discussione e la definizione di un tipo di
intervento nella riconversione industriale con cui il governo vuol dotare
il paese, per la prima volta, di una vera e propria politica industriale;
e "la ripresa di una politica di piano come alternativa a politiche
soltanto congiunturali, sempre negative per il Sud". L'esigenza
di novità, ha aggiunto, non deve far dimenticare le scelte di
fondo che sono all'origine della nostra esperienza democratica: l'inserimento
dell'Italia in un'economia aperta e in processi di integrazione internazionale;
la scelta di un'economia di mercato, senza anacronistiche spinte autarchiche;
la scelta di ritenere lo Stato responsabile dello sviluppo complessivo
del paese.
A questo punto, ha detto Francesco Compagna, intervenendo a distanza
nel dibattito, vanno pronunciate alcune di quelle verità che
non si vorrebbero sentire, ma che si devono pur dire: una va detta ai
sindacati a proposito della politica degli alti salari che alimenta
il lavoro nero; un'altra a chi segue la logica sostanzialmente antimeridionalista.
come nel caso della "Innocenti", come per l'Alfa Sud e il
suo cospicuo assenteismo, come per chi insiste nella politica dello
spreco volendo ad ogni costo la costruzione del quinto centro siderurgico
a Gioia Tauro; un'altra verità va detta alle Regioni, perchè
è necessario che "si mettano in regola circa la capacità
di realizzare gli interventi ordinari loro assegnati dalla Costituzione;
un'ultima verità va rivolta al governo che, se aggraverà
ulteriormente la spesa corrente (ad esempio, con i contratti del pubblico
impiego) darà all'inflazione una spinta fatale. Non è
un mistero, dice l'illustre meridionalista, che lo Stato ha le tasche
vuote e senza una lira non si può fare politica economica, e
tanto meno politica meridionalistica.
A questo punto, una serie di quesiti: si vuole una riconversione generalizzata
o limitata ad alcuni grandi settori? e se solo per settori, quali saranno
preferiti? quelli in grado di ridurre le importazioni o quelli in condizione
di soddisfare la domanda di servizi sociali o quelli ad alto contenuto
tecnologico? la riconversione deve frenate oppure no l'emigrazione verso
il Nord? di quali strumenti si deve servire? Dei soliti o di nuovi?
Deve essere guidata sia politicamente che tecnicamente da un solo organismo,
o no?
Alcune risposte le dà Napoleone Colajanni: "Una politica
di riconversione industriale - dice - deve tendere in primo luogo ad
una industria più competitiva, e per raggiungere questo risultato
occorrono maggiori investimenti, selezionati secondo rigorosi criteri
qualitativi. Infatti, per spiegare le difficoltà attuali non
basta riferirsi alle differenze di costo del lavoro". In secondo
luogo, l'asse dell'industrializzazione va spostato a Sud, perché
"non esiste la possibilità che una parte dell'industria
viaggi su livelli competitivi a scapito del sottosviluppo meridionale,
perché quest'ultimo incide e inciderà sempre più
sull'intera economia nazionale. Bisogna quindi prevedere una costanza
dell'occupazione al Nord e nelle aree industrializzate e una sua espansione
nel Mezzogiorno. Recupero di efficienza e nuovo sviluppo richiedono
un forte momento di programmazione".
Sindacati e Confindustria. Per i primi, la Cgil sostiene la necessità
di un quadro di sviluppo esplicito e chiaro, nel quale "non deve
assolutamente apparire un processo di ripresa caratterizzato dalla riduzione
della base produttiva e dell'occupazione: qualora ciò si dovesse
prefigurare, i sindacati richiederebbero un'immediata modifica delle
scelte attualmente portate avanti". Per la Confindustria. il responsabile
per i problemi del Mezzogiorno, Giustino, dopo aver rilevato che il
Sud ha bisogno di nuovi investimenti per creare posti di lavoro, si
èchiesto in che direzione debbano essere indirizzati, in quali
settori, per produrre che cosa e per chi. Mentre al primo quesito è
facile rispondere, ha affermato, per gli altri sono in atto - non solo
in Italia, ma in tutto il mondo - studi diretti a dare una risposta
alle nuove istanze. Le maggiori difficoltà, per gli imprenditori
privati, si incontrano nel momento in cui devono essere decisi i tipi
di produzione e i mercati in grado di assorbite i prodotti, tale è
la concorrenza a livello planetario, e tanto sofisticate sono le tecnologie
produttive.
Infine, due meridionalisti. Il primo, Pasquale Saraceno, economista
di livello europeo; il secondo, Vittore Fiore, esponente di quel gruppo
di intellettuali che viene dalla scuola di Dorso, Fortunato e Salvemini.
Per Saraceno è stato giustamente osservato che i risultati che
possono essere attesi dalla nuova legge per il Sud saranno strettamente
correlati al tipo di volontà politica che presiederà alla
sua attuazione e all'efficienza di cui saranno dotati tutti gli organi
e i soggetti cui la legge stessa si riferisce. "Non si può
però non sottolineare - ha detto - che, comunque, occorre porsi
alcuni interrogativi: è possibile nell'attuale situazione pervenire,
entro la data stabilita, all'approvazione dei programmi? i programmi
devono essere costretti entro i limiti delle risorse assegnate? data
l'incertezza della situazione economica, si può immaginare che
periodicamente (ad esempio, ogni anno) i programmi vengano riveduti,
nuovi obiettivi vengano posti, e nuove decisioni siano prese? Dalla
risposta a queste domande, secondo Saraceno, dipenderà il futuro
delle regioni meridionali. Se non tutto il futuro, buona parte di esso.
Altre domande sono poste da Vittore Fiore: la legge, egli dice, avvia
un processo di regionalizzazione, in un momento di indebitamento catastrofico
degli enti meridionali. Questi enti, sapranno servirsi dell'intervento
pubblico per affrontare in modo produttivo vecchi e nuovi compiti? sapranno
organizzare la domanda pubblica per la creazione di infrastrutture di
base per la crescita delle capacità operative? Non è quindi
da considerarsi prioritaria la predisposizione di un "progetto
speciale" per lo sviluppo di strutture tecnologiche nelle regioni
meridionali? E ancora: sapranno le regioni del Sud cogliere tutte le
opportunità che la legge offre loro per superare le proprie carenze
organizzative, per adottare metodi moderni di amministrazione e di gestione
dei servizi, per applicare i controlli sui risultati di piani e progetti,
e infine per il lavoro complessivo di pianificazione regionale integrata?
Per il Mezzogiorno, dunque, ci si interroga ancora: come accade da oltre
un secolo in una storia che si ripete con drammatica puntualità.
Quale strategia, o quali strategie? La strada da percorrere è
tutta in salita, dice Compagna. Bene: non saranno certo decine di migliaia
di giovani meridionali (operai, diplomati, laureati) a rifiutarsi di
percorrerla. Purché si sappia dove va a finire, e che cosa c'è
là dove finisce. Non saranno milioni, di emigrati a opporsi al
cammino, perché essi il "cammino della speranza" lo
hanno fatto, pagando di persona: purché cessino le emorragie
che hanno spopolato intere aree meridionali. Questione di volontà
politica, si dice. Ed è in gran parte vero. C'era un solo, lunghissimo
albero nel deserto americano in cui fu installata la prima di centinaia
di grandi industrie elettroniche. Da quell'albero ha preso il nome la
più grossa concentrazione urbana e industriale dell'America moderna:
Palo Alto. Tutt'intorno, un'agricoltura meccanizzata, irrigata, selezionata
dalla ricerca scientifica, dà redditi da capogiro e offre le
sementi per quella "corn belt" che è la cintura del
mais che va dall'Atlantico al Pacifico, producendo più cereali
di quanti può rendere l'Ucraina, dove il grano si raccoglie ben
due volte all'anno. Tutto questo è economia moderna, è
produrre razionalmente, è volontà di "far politica
e politica economica": esattamente il contrario di quel che avviene
da noi; e, forse, il contrario di quel che si vuol fare, riconversione
industriale o no, rilancio economico o meno, del Mezzogiorno.
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