§ Radiografia del mondo del lavoro

Tre milioni di emigrati. Cresce la disoccupazione.




Cosimo Prete



Sebbene sia diminuito il numero di coloro che prendono le vie d'Europa, il Sud continua a dare un alto contributo all'emigrazione italiana - Gli occupati nei singoli settori produttivi - I giovani in cerca di prima occupazione.

I dati si ricavano dall'ultima Relazione del Ministero degli Affari Esteri. Una accurata elaborazione della Svimez ci dà una chiara geografia dell'entità delle popolazioni (per singole regioni dell'Italia meridionale) residenti all'estero. Complessivamente, hanno lasciato il Sud tre milioni di unità, con percentuali regionali che danno i brividi. Basti pensare che sono stati costretti ad abbandonare il Molise il 47,3 per cento degli abitanti; e percentuali assai elevate sono riscontrabili per la Basilicata (32,2 per cento), e per la Calabria (30,1 per cento).
Ecco la tabella elaborata dall'Istituto per lo sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno.

Cosa può enuclearsi da queste cifre. Innanzitutto, questo: lo spopolamento delle campagne meridionali, che ha compromesso in modo irrimediabile, per decenni, il settore primario; poi, l'invecchiamento medio della popolazione meridionale: sono state le forze giovani quelle che hanno abbandonato le regioni del Sud, e hanno prevalso gli uomini rispetto alle donne, (da qui, anche, la femminilizzazione delle forze addette all'agricoltura); infine, abbiamo un quadro regionale esatto dei dati, che serve, se non altro, a sfatare alcuni miti: il primo è quello dei campani, che si riteneva fossero restii a lasciare la loro regione. Un napoletano muore, si diceva, ma non lascia Napoli. Non è vero. La Campania ha dato un altissimo contributo all'emigrazione meridionale, addirittura superiore a quello dato dalla Puglia, che pure ha subìto un'emorragia demografica cospicua. In senso assoluto, Sicilia e Calabria registrano una cifra vertiginosa di emigrati: insieme, queste due regioni hanno visto andare fuori tanti uomini, che rappresentano la metà dell'intero flusso migratorio meridionale. Molise e Basilicata, infine, sono rimasti esempi insuperati di nuclei di espulsione demografica, al punto che in Molise si tratta di circa la metà della popolazione, e in Basilicata di un terzo: se si tien conto degli indici di incremento demografico, si scopre addirittura che il Molise non riesce a compensare, con le nascite, le perdite di forze di lavoro emigrate.
Passiamo ora ai dati dell'occupazione. Dall'indagine campionaria sulle forze di lavoro effettuata dall'Istat, con riferimento al gennaio di quest'anno, risulta che il numero degli occupati èdiminuito, rispetto allo stesso mese del 1975, in tutta Italia, di circa 285.000 unità. Tale cifra, analizzata per settore, si riferisce a una diminuzione di 1.38.000 occupati nell'agricoltura e 327.000 occupati nell'industria, e ad un aumento di occupati nel settore terziario di 180.000 unità. Nel Mezzogiorno, le persone occupate sono passate da 5.746.000 nel gennaio '75 a 5.706.000 nello stesso mese di quest'anno. Abbiamo avuto 12.000 occupati in meno nel settore agricolo; 54.000 occupati in meno nell'industria; 26.000 occupati in più nel settore terziario, che continua ad essere il rifugio delle forze di lavoro inoccupate nei settori primario e secondario. Per quel che riguarda una rapida analisi regionale, in Sicilia il numero di occupati è diminuito di 54.000 unità, in Campania di 23.000, in Sardegna di 5.000, mentre in Puglia si è avuto un incremento di 41.000 unità, assorbite soprattutto dall'agricoltura.
Le persone in cerca di prima occupazione ammontano complessivamente a 681.000: di queste, 310.000 sono residenti nelle regioni meridionali, e rappresentano il 45,5 per cento del totale. Tenendo conto della tradizionale ripartizione dell'Italia (dal punto di vista statistico, per l'analisi delle forze di lavoro) in quattro parti - Triangolo industriale, Italia Nord-Orientale, Italia centrale, e, poi, in blocco, il Mezzogiorno - ci accorgiamo facilmente della sproporzione esistente tra Sud e rimanenti aree: le regioni meridionali accusano circa la metà delle forze di lavoro in cerca di prima occupazione, con tutte le conseguenze che questo dato comporta: mancato sviluppo economico-produttivo, recessione e incertezza nel campo degli investimenti industriali, stasi della politica di intervento straordinario nel Mezzogiorno, eccessivo ricorso al settore terziario. E non si dimentichi che l'annata agraria ha avuto un corso negativo su quasi tutta la linea produttiva, per il pessimo andamento climatico, per la concorrenza di altri paesi mediterranei, per le incerte e spesso contraddittorie direttive della Cee, per la politica approssimativa (ma è un eufemismo!) del governo, che vede - ad esempio - un progetto speciale per la produzione di carne nel Sud, mentre la Comunità avanza la proposta di abbattimento di circa due milioni e mezzo di capi di bestiame (con premio danaro) per quella che viene definita la "ristrutturazione del settore lattiero-caseario": in altri termini, i settori più protetti dalla Cee, quelli più agevolati e maggiormente finanziati, saranno ancora più protetti; mentre noi dovremo continuare ad importare ,carne, latte, burro, formaggi, legname, a prezzi da monopolio, con l'aggravio del nostro sbilancio alimentare, e con i nostri pagamenti con l'estero appesantiti proprio dalla politica europea, che invece dovrebbe agevolarci.
Non a caso, un'agricoltura razionalizzata, moderna e competitiva potrebbe assorbire forze di lavoro specializzate, giovani, con redditi convenienti. Ciò che comporterebbe l'accorpamento dei terreni, lo sviluppo della grande azienda agricola, il potenziamento del cooperativismo. Tutte cose, per il Sud, che somigliano a una scienza d'un altro pianeta. Non a caso, la non-convenienza dell'impiego agricolo (o l'impiego forzato, il rifugio della disoccupazione
di ritorno) riguarda una graduatoria che vede in cima, come al solito, le regioni meridionali (83.000 unità in Campania, 59.000 in Sicilia, 54.000 in Calabria, 58.000 in Puglia). E si badi bene: questi dati non dicono tutta la verità, perché non tengono conto di tutte le unità che non compaiono come "disoccupate", ma tali in realtà sono, perché sono sotto Cassa Integrazione Guadagni.

Il Mezzogiorno, dunque, continua a pagare il più alto tributo di disoccupazione, vede più giovani a spasso, sopravvive con la sottoccupazione, gonfia il settore terziario: insomma, è un'antologia di quell'"amara scienza" che è la lotta per la vita in una terra che, lungi dall'avere sviluppato un'economia autonoma, aggressiva, competitiva, tecnologicamente avanzata, si trova ancora oggi nella condizione di sbocco di mercato per prodotti del Nord, con canali commerciali saturati dalle industrie che restano le case-madri dislocate nelle regioni settentrionali. Rimane tuttora centro di smistamento per doppioni di unità produttive che vanno a carte quaranta ad ogni movimento tettonico, e servono solo a due scopi: a far rastrellare quattrini (dal pubblico intervento, ordinario e straordinario) che finiscono nelle tasche degli industriali del Nord, e a sparire dalla scena quando non "rendono" più. La nostra storia continua a ripetersi, puntuale. Fino a quando?


Banca Popolare Pugliese
Tutti i diritti riservati © 2000